“Il Portello: voci dalla fabbrica”. L’archivio sonoro di Duccio Bigazzi. Intervista a Sara Zanisi

Sara Zanisi è ricercatrice indipendente in Storia del lavoro e Storia orale. È tra le fondatrici dell’associazione “AVoce – Etnografia e storia del lavoro, dell’impresa e del territorio”. Nel 2008 ha riordinato il fondo sonoro di Duccio Bigazzi conservato presso la Fondazione Feltrinelli e dal 2012 collabora con Fondazione Isec. L’anno scorso ha pubblicato Il Portello: voci dalla fabbrica. Le interviste di Duccio Bigazzi in Alfa Romeo (Franco Angeli, 2017). L’intervista è a cura di Eloisa Betti.

Da cosa trae spunto il volume Il Portello: voci dalla fabbrica di cui sei autrice?

Il libro nasce dalle interviste realizzate da Duccio Bigazzi, ricercatore all’Università di Milano, tra il 1980 e il 1986 e che hanno visto come protagonisti i lavoratori dell’Alfa Romeo dello stabilimento di Arese. Duccio aveva iniziato una ricerca proprio sul Portello, a partire dall’archivio dell’Alfa Romeo, nel 1978, ricerca che diede origine al volume Il Portello. Operai, tecnici e imprenditori all’Alfa Romeo, 1906-1926 (Angeli, 1988). In occasione di quella ricerca, nel 1980, iniziò ad effettuare delle interviste agli operai. Quindi, il primo nucleo di questo archivio sono la trentina di interviste a militanti, operai e dirigenti sindacali che lavoravano in Alfa Romeo o che vi avevano lavorato anche per periodi brevi. Un esempio, fra tutti, è quello di Vincenzo “Cino” Moscatelli, che ha lavorato pochi mesi in Alfa Romeo a metà degli anni Venti, quando c’era un grosso turn-over anche in queste grandi fabbriche. Moscatelli non era uno dei militanti meno noti, ma uno dei protagonisti della Resistenza milanese, uno dei partigiani che liberarono Milano il 25 aprile del 1945 e un dirigente del Partito comunista, quindi senz’altro una figura apicale. Tra le persone che Duccio ha incontrato, però, tra le storie che sono presenti nel suo archivio, ci sono anche militanti molto meno noti.

L’archivio è organizzato proprio in due serie, la prima risale al periodo 1980-82 e sono tutte interviste ad operai, tranne una coppia di ingegneri. Nella seconda, realizzata nel 1985-86, sono presenti interviste a ingegneri, manager, all’amministratore delegato e a uno dei dirigenti dell’Alfasud di Pomigliano. Complessivamente le interviste sono una sessantina; a queste due serie si aggiunge un piccolo fondo con 6 interviste di altre ricerche, in particolare ci sono interviste a imprenditori milanesi realizzate per una ricerca che fece il Censis, poi pubblicata. Duccio, che fu uno dei fondatori della storia del lavoro e dell’impresa italiana, aveva una visione olistica, onnicomprensiva della fabbrica: dentro la fabbrica non c’era solo la classe operaia, ma c’erano anche i dirigenti e la proprietà. Quindi, nel 1980, comincia intervistando operai, poi prosegue con manager, tecnici, capireparto, disegnatori, progettisti, perché nel frattempo aveva approfondito e ampliato il suo sguardo sull’impresa. Questo archivio è inedito, Duccio non pubblicò mai le interviste se non pochi stralci e alcune prime riflessioni.

Come è nata la passione per questo archivio e l’interesse a valorizzarlo?

Io mi sono laureata con Duccio Bigazzi, è stato lui che nelle sue lezioni mi ha fatto scoprire la storia orale, facendoci leggere alcuni testi a metà degli anni Novanta all’Università Statale di Milano. Teneva anche seminari molto interessanti, quindi ho deciso di chiedergli la tesi che mi ha permesso di “entrare nella fabbrica” ascoltando i lavoratori. Io feci proprio una tesi di questo tipo tra l’altro su una fabbrica dismessa, sulla chiusura di una fabbrica (la Aeroplani Caproni, nel 1951): il tema della deindustrializzazione è ritornato a più riprese nel mio lavoro. Quindi, ovviamente, sono sempre rimasta legata all’associazione e quando Rosaria Moccia, che era la compagna di Duccio, cominciò a pensare a come utilizzare e valorizzare queste fonti mi impegnai da subito, mettendo a disposizione l’esperienza che avevo intanto maturato continuando a lavorare con le interviste e con gli archivi sonori. Mi sono attivata per la digitalizzazione, per le trascrizioni e per dare una struttura all’archivio.

Come è stato recuperato e dove si trova oggi l’archivio di Duccio Bigazzi?

Le interviste in questo momento sono conservate presso la Fondazione Feltrinelli, dove è stato riversato anche il suo archivio di ricerca che è attualmente in fase di riordino. Io ho quindi potuto lavorare non solo sulle interviste ma anche sulle sue carte di ricerca. Anche l’Archivio cartaceo di Duccio contiene moltissimo materiale raccolto durante le interviste: fotografie, diari, documentazione varia. Le interviste erano tutte registrate sui nastri magnetici come si faceva negli anni Ottanta, fino al 2008 rimasero a casa della compagna di Duccio Bigazzi, che le conservò ed ha contribuito a dar vita all’omonima associazione. Da subito l’Associazione Bigazzi si impegnò a conservare i materiali, la biblioteca (oggi consultabile presso Fondazione Dalmine, http://www.fondazione.dalmine.it/it/biblioteca/) e l’archivio (oggi consultabile presso Fondazione Feltrinelli, http://fondazionefeltrinelli.it/fonti/archivio/) ma anche la memoria del lavoro di Duccio. Nel 2008, decidemmo di intervenire su questo fondo sonoro, che era ancora conservato nelle sue condizioni originali, quindi rischiava un deterioramento. Presentammo una proposta alla Compagnia di San Paolo che finanziò un progetto di digitalizzazione del fondo sonoro; progetto che io ho coordinato.

Tutte le interviste sono state digitalizzate e successivamente trascritte, perché il problema di queste interviste era che non essendo mai state pubblicate o usate non avevamo assolutamente idea di cosa contenessero. Era necessario un ascolto e una trascrizione perché da subito vi era l’idea di utilizzarle e pubblicarle. Le interviste, dunque, sono state tutte trascritte, ma sono stati conservati anche gli audio originali, riversati sia in formato di alta qualità che in formato compresso per la consultazione. Duccio ha sempre ribadito che per lui la fonte è la registrazione e non la trascrizione: la trascrizione è quindi uno strumento che noi abbiamo realizzato per il lavoro che stavamo facendo, parlo al plurale perché il lavoro di digitalizzazione e di trascrizione è stato un lavoro di équipe (insieme a Sara Talli Nencioni e Andrea Strambio De Castillia). Di tutte queste interviste abbiamo realizzato anche sintetiche schede di corredo, in cui ci sono informazioni essenziali sulla registrazione, sui dati anagrafici e biografici del testimone, nonché una sintesi estrema degli argomenti trattati nell’intervista.

Questo tipo di fonte apre un mare magnum di complicazioni per l’utilizzo e la consultazione, perché sono tutte interviste senza liberatoria, che inevitabilmente essendo storie di vita affrontano temi sensibili e quindi hanno tutte vincoli di riservatezza. La decisione dell’Associazione Bigazzi è stata quella di pubblicarne una parte, in modo che le testimonianze comincino a diventare accessibili. Di volta in volta si vedrà poi come metterle in consultazione. Nel frattempo, anche la Fondazione Feltrinelli si è dimostrata interessata a un percorso di valorizzazione. Una parte di queste interviste, quelle svolte tra il 1985 e il 1986, furono realizzate in collaborazione con l’allora costituendo Archivio storico Alfa Romeo, quindi i nastri sono conservati anche presso l’Archivio che, tuttavia, non ne ha mai fatto uso né per attività di valorizzazione né di consultazione.

Quali criteri ti hanno guidata nella selezione e utilizzo delle interviste di Duccio Bigazzi per il volume Il Portello: voci dalla fabbrica?

Questo è stato lo scoglio più duro, non a caso ho impiegato molti anni per realizzare questo volume. Sono partita dai testimoni che Duccio ringrazia nell’introduzione a Il Portello. Operai, tecnici e imprenditori all’Alfa Romeo (1906-1926). Sono andata a rivedere chi fossero queste persone che venivano ringraziate, una decina, perché sono convinta che in questo tipo di lavoro è importante la relazione che nasce con la “fonte”, attraverso l’intervista, e ho provato a seguire le tracce presenti nel suo archivio: la cosa essenziale era il dialogo, il legame, creatosi tra ricercatore e testimone. Alcuni di questi personaggi sono davvero diventati quelli che in gergo definiamo le “guide indiane”, degli interlocutori importantissimi. Lui ha dichiarato, in più di un intervento pubblico, che non avrebbe mai potuto scrivere “Il Portello” e non avrebbe mai capito nulla dell’Alfa Romeo se non avesse fatto anche le interviste, se non avesse ragionato insieme ai testimoni. La ricerca di storia orale è una ricerca che tu costruisci insieme alle persone che incontri, allora muovendo da questa idea di fondo, sono partita dalle persone che lui ringrazia. Ho poi cercato le tracce del loro legame dentro l’archivio, tra la sua corrispondenza ho verificato se ci fossero altri materiali che meritassero di essere considerati.

Successivamente, mi sono resa conto che una pubblicazione come questa doveva anche dar conto di tutta la complessità di questo archivio, quindi ho fatto una scelta che fosse rappresentativa di tutte le persone intervistate e incontrate da Duccio: ci sono anche storie di persone che lui cita ma di cui non abbiamo i nastri, o perché non espressamente registrati o perché sono andati in qualche modo persi. A quel punto ho cercato di capire chi erano i suoi narratori, quali erano le diverse categorie intervistate, le generazioni, le funzioni all’interno dell’impresa, il livello di permanenza nell’impresa, le biografie. Ho tentato di rappresentare quel mondo attraverso 20 persone, anche se le interviste pubblicate sono effettivamente 19 perché un’intervista è doppia (i due ingegneri). Tra questi l’ingegner Masera, che tiene aperto Pomigliano prima e dopo i bombardamenti, quando l’Italia si trova divisa in due, nel pieno della Seconda guerra mondiale; è la persona che tiene in piedi lo stabilimento e lo salva dalle distruzioni tedesche, consegnandolo agli americani sbarcati. L’ho selezionato perché fa un racconto davvero appassionante di tutto questo periodo: lui è partito da Napoli ed è tornato a Milano a piedi, e nell’intervista racconta tutto questo percorso di ritorno. Tutte le interviste contengono storie che aprono squarci sulla nostra storia contemporanea, perché ci sono ex partigiani ed ex deportati, l’uccisione del dirigente dell’Alfa Romeo Ugo Gobbato…

Alla fine, quindi, ho fatto una selezione di una ventina di interviste che presento in due capitoli diversi. Le interviste sono presentate in ordine cronologico di registrazione, perché mi sembra interessante dar conto di come si costruisce una ricerca di storia orale, come cambiano gli interlocutori facendo lavoro sul campo. Nel primo capitolo, ci sono proprio le classiche biografie, sono selezioni montate togliendo le domande e lasciando il racconto biografico. Nel secondo, invece, ho lasciato i dialoghi, perché mi sembra molto interessante riuscire a rappresentare l’intervista come dialogo, perché lo storico non è invisibile e non deve essere invisibile. Sappiamo che queste fonti si costruiscono proprio dal dialogo tra noi e loro, a me interessava evidenziare i ragionamenti, la metodologia. Del resto, perché è interessante pubblicare oggi queste interviste? Proprio per mostrare un grande storico orale “sul campo”, nel farsi della sua ricerca.

Qual è stato il rapporto di Duccio Bigazzi con gli archivi?

Duccio ha sempre avuto una grande passione per gli archivi, faceva ricerca andando negli archivi, grazie a una grande cura e interlocuzione tra lo storico e l’archivista. Proprio lui è stato uno degli scopritori di molti archivi di impresa e uno dei fondatori di questo movimento che, affermatosi a partire dagli anni Novanta, voleva conservare anche le carte dell’impresa per poter studiare il mondo del lavoro, aspetti visti da Duccio sempre uniti, come in realtà sono. Trovo interessante pubblicare oggi questo tipo di interviste, in cui si vede il suo interesse per tutte le gerarchie di fabbrica e credo che questa sia una pista da riprendere. Questo è un archivio di voci, vivissime, vivacissime non solo quelle dei testimoni ma anche quella di Duccio, quindi un archivio ancora potente e che può ancora raccontare molto, non solo perché fino ad oggi è stato silente e di fatto inedito, ma anche perché qui dentro ci sono ancora fonti storiche, quindi fonti a cui si può attingere per acquisire altra conoscenza: c’è la storia della fabbrica, ma anche la storia di Milano, la storia delle relazioni industriali, la storia del quartiere, la storia del rapporto tra fabbrica e quartiere. Duccio ha aperto spazi narrativi enormi, perché era un bravo storico orale e ha sempre scelto come modalità di intervista quella delle “storie di vita”; non aveva un questionario.

In particolare, nella seconda fase del suo lavoro, intorno alla metà degli anni Ottanta, realizza le interviste avendo un modello assolutamente chiaro in mente: quello dell’archivio Ford. E le realizza, in collaborazione con l’Archivio Alfa Romeo, andando a cercare i progettisti, perché avendo studiato a lungo l’Alfa Romeo sa che tutto il processo produttivo, che nasce dall’innovazione e dalla progettazione, trae spunto dal come le persone interagiscono tra di loro e tra loro e le macchine, tra loro e la tecnologia. Io l’ho definito “archivio paradigmatico” nel volume, non solo perché ci fa capire come si costruisce un fondo sonoro ma anche perché spinge a interrogarsi sul come si lavora con le interviste. Duccio era un grande conoscitore degli archivi e aveva pienissima consapevolezza del fatto che è lo storico che, sollecitando le domande nell’intervista, sta costruendo delle fonti storiche. Proprio in quanto fonti storiche, le interviste devono essere verificabili e accessibili, e quindi conservate negli archivi.

Trovo molto interessante la vostra idea di una rubrica dedicata agli archivi, perché era uno dei temi centrali del lavoro di Duccio Bigazzi. Credo sia importante che gli archivi ritornino nello spazio degli storici e gli storici ritornino di più in archivio, perché sappiamo bene che si lavora sempre meno in archivio… a riempirsi di polvere.