Il naufragio del Rodi. Vari progetti hanno ricordato i fatti di San Benedetto del Tronto del 1970

Era l’undici dicembre del 1970 quando, dopo essere rientrata nel porto di San Benedetto del Tronto da un viaggio nelle acque atlantiche del nord Africa, la nave da pesca Rodi partì alla volta di Venezia per la pulizia della carena nel porto della Serenissima. Eseguiti i lavori di pulizia ed effettuati alcuni controlli sui macchinari il Rodi ripartì alla volta del porto marchigiano in quanto ormai prossime erano le festività natalizie. I dieci uomini che componevano, in quel momento, l’equipaggio, risiedevano tutti nella città marchigiana o nei paesi limitrofi e quindi tornavano a casa per passare le vacanze natalizie con le rispettive famiglie. In confronto ai viaggi oceanici a cui erano abituati la tratta Venezia-San Benedetto era sicuramente considerata breve e con pochi rischi, eppure la burrasca scatenata in quei giorni dal maltempo rese di fatto impossibile quello che si pensava sarebbe stato un sereno rientro. Nelle prime ore del 23 dicembre la nave fece naufragio proprio a pochi chilometri dalla destinazione prevista. Una nave cisterna con destinazione il porto sambenedettese avvistò lo scafo di un’imbarcazione rovesciata a poche miglia dal fiume Tronto. Dopo una prima non facile ricognizione l’imbarcazione fu identificata come il Rodi e da quel momento partirono le operazioni di ricerca dei possibili superstiti che si protrassero fino al 25 dicembre nella zona tra San Benedetto e Pescara, in quanto il relitto veniva trasportato dalla corrente verso sud. Ci furono dei tentativi di rimorchiare lo scafo ma questi fallirono per le condizioni meteo ancora difficili.

Il Rodi iniziò così a scivolare verso sud proprio a pochi chilometri dalle case dei marittimi i cui familiari, ormai senza più la speranza di rivedere vivi i propri cari, speravano almeno di riaverne i corpi. Il senso di frustrazione della cittadinanza si fece altissimo e sfociò in un moto di protesta inimmaginabile solo qualche giorno prima. A far crescere la sensazione di impotenza della marineria locale c’era l’impossibilità di andare materialmente a recuperare l’imbarcazione. Furono infatti molti i pescatori locali che si proposero attivamente per il recupero del Rodi ma furono fermati dai loro armatori.

Nonostante la città fosse da alcuni anni teatro di impegno politico giovanile extra parlamentare in pochi avrebbero immaginato un epilogo così coinvolgente. La mattina del 27 dicembre apparvero in diverse zone della città manifesti di Lotta Continua con su scritto “I falsi pianti degli armatori”, che avevano il doppio obiettivo di denunciare lo scarso sforzo della società armatrice del Rodi per il recupero dei corpi dei naufraghi e allo stesso tempo di porre l’attenzione sulle scarse condizioni di sicurezza con cui lavoravano sulle barche i tanti marittimi locali. Lo stesso manifesto invitava tutta la cittadinanza a rivendicare come propri i dieci morti della nave appena affondata. La risposta, probabilmente inaspettata, fu clamorosa. L’intera cittadinanza, al di là della provenienza sociale e delle idee politiche, si ritrovò compatta nella protesta. Marinai, studenti, cittadini comuni bloccarono la linea ferroviaria e alzarono le barricate per impedire il traffico sulla Statale 16 di fatto bloccando completamente i trasporti sulla costa adriatica. Nel 1970 infatti il tratto Ancona-Pescara dell’A14 era ancora in fase di realizzazione. Un’idea fissa si era impossessata della mente dei sambenedettesi ed era quella di fare il più presto possibile nel recupero del relitto e con esso tutti i corpi dei marinai, tre dei quali avevano meno di vent’anni.

In poco tempo tutta la città entrò in agitazione e i contraccolpi negativi si iniziarono da subito a vedere nel settore dei trasporti che di fatto era tagliato in due nella linea adriatica. Il 28 dicembre venne indetto uno sciopero generale che coinvolse davvero tutti con l’abbassamento delle saracinesche delle attività commerciali. Come si diceva la protesta stava assumendo anche una valenza più amplia, legata alle condizioni generali del lavoro per mare. L’opinione pubblica prese coscienza della totale mancanza di tutele previdenziali e infortunistiche nei contratti dei marittimi. Ciò fu di stimolo per i partiti, per i sindacati, per le associazioni di pescatori e degli armatori per rivendicare a livello nazionale maggiori garanzie e migliori condizioni di lavoro per i marittimi del settore.

Come spesso accadeva in quegli anni il dibattito dalle rivendicazioni episodiche si allargò a quelle più generali. Nei giorni di protesta, infatti, si parlava non solo del recupero dei morti del naufragio, non solo di contratto di lavoro e assicurazioni, ma anche dell’adeguamento delle strutture portuali per renderle più efficienti rispetto al mutato scenario apertosi con la pesca intercontinentale. I manifestanti piazzarono una postazione microfonica alla stazione, dalla quale chiunque poteva prendere la parola, invocando ad alta voce le rivendicazioni che sino ad allora erano state taciute. Il 29 dicembre finalmente furono avviati i lavori di recupero dell’imbarcazione davanti al porto di Ortona dove il Rodi era lentamente scivolato a più di cento chilometri dai moli di San Benedetto. I blocchi e le dimostrazioni terminarono immediatamente mentre migliaia di sambenedettesi partirono alla volta dello scalo abruzzese, certamente per controllare le operazioni di recupero, ma anche con l’obiettivo di creare un simbolico corteo funebre per le vittime da riportare in città. Eppure, nelle operazioni di ispezione dello scafo furono trovati soltanto quattro membri dell’equipaggio i cui funerali solenni vennero tenuti alcuni giorni dopo nella cattedrale cittadina. I corpi di altri due membri furono restituiti dal mare nelle settimane successive mentre le salme degli altri quattro marittimi non verranno mai ritrovate.

Molti sono stati i progetti realizzati per ricordare il cinquantesimo anniversario del tragico evento. Diversi anche i promotori, dall’amministrazione comunale, al mondo culturale locale fino a riviste di ambito e interessi nazionali. È il caso della rivista “Malamente” che ha curato un libretto allegato al numero di gennaio 2021 con interviste ai partecipanti delle manifestazioni e con alcuni interventi tra i quali quello del sociologo dell’università di Ancona Renato Novelli. Interessante notare come la decisione di dedicare una pubblicazione alla rivolta di San Benedetto non ha un intento memorialistico ma quello di analizzare un fenomeno unico nel panorama della storia marchigiana del dopoguerra. Si legge infatti nell’introduzione al libro che le due giornate che videro un’intera comunità bloccare un intero territorio espressero una conflittualità, una capacità di auto-organizzazione popolare, di autogestione della protesta che non ha avuto riscontro nella storia delle lotte nella regione Marche dopo il 1945. Se nelle grandi città del Nord l’apice dello scontro sociale si era raggiunto nel biennio 1968-1969, nelle “tranquille” Marche fu proprio la rivolta sambenedettese, breve ma radicale, ad aprire gli anni Settanta, il decennio ribelle che si fece sentire fortemente anche lontano dai contesti urbani e industrializzati. Per la stessa San Benedetto la rivolta non fu una breve parentesi, ma segnò una svolta. Le giornate di protesta del dicembre 1970 lasciarono una traccia profonda nella coscienza di una grossa parte degli abitanti della città. Il territorio fu infatti per tutti gli anni Settanta caratterizzato da una partecipazione politica extra-parlamentare notevole e anche da episodi drammatici come il rapimento e l’uccisione di Roberto Peci fratello del brigatista pentito Patrizio. 

Il Comitato Rodi, che è stato creato dal mondo culturale cittadino per non dimenticare la tragedia e i fatti rivoltosi del dicembre 1970, si è fatto promotore di un libro e di un film documentario. Per ricordare quei fatti, ma anche quel mondo in parte scomparso varie associazioni che operano nella tutela delle tradizioni e del patrimonio storico, culturale e artistico del territorio hanno costituito il Comitato i cui frutti principali sono stati una pubblicazione e un breve film allegato allo stesso libro. Mare e rivolta già dal titolo vuole mettere insieme due suggestioni profonde che hanno accompagnato parte delle vite del mondo politico e culturale locale. In occasione del cinquantenario del naufragio si è deciso di riportare alla memoria quei fatti considerati un tratto identitario della città. Del resto, una città che ha ancora oggi nel porto la sua realtà centrale dal punto di vista lavorativo e produttivo vive anche nel ricordo delle tragedie del mare. Solo di quattro anni prima del Rodi è la tragedia del Pinguino nave oceanica affondata al largo della Mauritania con la morte di nove marittimi locali. Eppure, quest’episodio si rivela differente per la drammaticità di essere vissuto dalla comunità a pochi chilometri da casa, in un tratto di mare ben conosciuto e proprio per questo non considerato pericoloso. La reazione è proprio quella rivolta indicata nel titolo. 

Il volume è un lavoro collettivo dove si alternano saggi, racconti, testimonianze, riflessioni critiche da un lato e dall’altro foto dell’epoca, volantini e immagini della vita marittima e cittadina. Tra i contributi si segnalano quelli della scrittrice Silvia Ballestra e del poeta Eugenio De Signoribus. Il breve film è invece impostato su un doppio registro, da un lato la voce narrante di Piergiorgio Cinì fondatore del Laboratorio teatrale Re Nudo che racconta a volte anche in prima persona i fatti del dicembre 1970. A questa si alternano gli interventi di attori che danno voce prima a generici personaggi della marineria locale poi alle stesse vittime del naufragio.

Anche l’amministrazione comunale ha deciso di ricordare l’evento con una pubblicazione e un documentario entrambi con l’evocativo titolo Dirò del Rodi. Il volume è soprattutto una raccolta di foto e di documenti inediti riguardanti quei concitati giorni di dicembre. La parte archivistica raccolta in ben sette archivi in ambito nazionale è senz’altro quella più preziosa in quanto espone aspetti meno evidenti della vicenda. Ogni paragrafo tratta un momento della tragedia e delle sue conseguenze sulla cittadinanza. Si parte con il naufragio e i soccorsi, si continua con le proteste e soprattutto si va ad approfondire aspetti meno noti come quelli riguardanti l’inchiesta, la visita in città del ministro della marina mercantile e il generale cordoglio manifestato oltre che dalla cittadinanza anche dalle istituzioni locali e nazionali.

L’omonimo documentario di Giacomo Cagnetti e Rovero Impiglia sintetizza in poco più di venticinque minuti tutti i momenti dei fatti sin qui raccontati, a questi aggiunge un importante affresco riguardante le attività dei pescatori sambenedettesi negli anni del boom economico proprio in coincidenza con il periodo di massimo sviluppo della pesca atlantica, quella che in città veniva chiamata “pesca del Marocco”. Alle tante immagini “locali” il documentario restituisce al pubblico anche contributi filmati scovati all’Istituto Luce o presso le Teche Rai.

 

Bibliografia

  • Giuseppe Merlini (a cura di), Dirò del Rodi, San Benedetto del Tronto, Palazzo Piacentini Archivio Storico, 2020
  • Daniele Cinciripini, Serena Marchionni e Gino Troli (a cura di), Mare e rivolta. Cinquant’anni dai giorni del Rodi, San Benedetto del Tronto, Comitato Rodi, 2020
  • Naufragio a terra: la rivolta di San Benedetto del Tronto, dicembre 1970, pubblicazione allegata alla rivista “Malamente”, gennaio 2021

 

Filmografia

  • Dirò del Rodi, documentario diretto da Giacomo Cagnetti e Rovero Impiglia, Italia, 2020, https://www.youtube.com/watch?v=tPCdXD0A9lY
  • Mare e rivolta, documentario a cura del Laboratorio teatrale “Re Nudo” diretto da Piergiorgio Cinì, DVD allegato all’omonima pubblicazione