Tracciare la biografia dell’antifascista cesenate Oddino Montanari1 è possibile oggi grazie a fotografie e documenti ancora conservati dalla figlia Norma e prima di lei dalla moglie Vittoria. I “cassetti” familiari riservano non di rado belle sorprese: nel caso di Montanari, le lettere sono centinaia e decine le fotografie che accompagnano tutta la sua vita: dall’Italia al Sud America, dalla Spagna alla Francia. Il memoriale di famiglia però non si limita a questo ma si espande a oggettistica varia: dalle porcellane delle nozze in Argentina, ai modellini di aeroplani realizzati a Gurg,2 ai cartellini funebri in sua memoria.
Norma Montanari riferisce che, mentre il padre combatteva in Spagna, e successivamente era internato nei campi di concentramento in Francia, lei e la madre risiedevano nei pressi di Parigi e possedevano una macchina fotografica, motivo per cui sono presenti negli album di famiglia molte immagini di vita quotidiana risalenti a quel periodo. Evidentemente però i coniugi Montanari avevano sempre riservato un’attenzione particolare alle foto, visto che ve ne sono diverse anche del periodo argentino. Numerosi sono poi gli scatti realizzati in studi fotografici con i classici sfondi neutri che contrastano a livello visivo con le immagini del “disordine” quotidiano.
La prima foto che si è scelta per introdurre la vita di Oddino Montanari è una rappresentazione della famiglia di origine. Oddino non compare, ma lo scatto ci consente comunque di analizzare un aspetto caratteristico dei Montanari: la passione politica.
Il padre Emilio (1876), sposato con Virginia Mazzoni (1878), era un socialista e abitava nella frazione rurale di San Giorgio di Cesena. Emilio e Virginia ebbero cinque figli: Oddino (1903), Velia Dina (1904), Norma (1906), Alano Edmondo (1908) e Leila (1913). I due maschi, Oddino e Alano, sarebbero stati profondamente divisi dalle ideologie politiche: il primo sposò l’ideale comunista, mentre il secondo aderì al fascismo e si arruolò nelle Camicie Nere combattendo in Africa.
Per completare il folto panorama politico mancano all’elenco i fratelli di Emilio. Enea prese i voti, amministrò la chiesa della vicina Gattolino, e fece parte di quel movimento dei parroci “democratici cristiani” influenzati dalla dottrina di don Romolo Murri. Prese parte, come soldato di sanità, alla Grande guerra, dove combatté pure il fratello Dino, repubblicano interventista, che andò volontario e vi perse la vita. Oltre a loro si ricorda una sorella che seguì, come Enea, la via spirituale e si fece suora.
Emilio e i fratelli avevano respirato l’aria della passione politica dal padre Evaristo, il quale, nato nel 1841, aveva guidato l’Alleanza Repubblicana Universale della bassa cesenate, associazione che mirava, sotto l’impulso di Giuseppe Mazzini, alla costituzione di uno Stato repubblicano. Più tardi, intorno al 1876, si era avvicinato al socialismo internazionalista. La famiglia di Emilio Montanari viveva nel centro di San Giorgio; tra i beni intestati a suo nome, oltre alla casa, anche un’officina e un circolo sociale. A queste proprietà si aggiungeva quella di una trebbiatrice; macchina agricola che si può considerare uno degli emblemi del mondo agricolo della prima metà del Novecento.
Simbolo delle agitazioni agrarie di inizio secolo – che vedevano, a momenti alterni, braccianti e mezzadri uniti contro i padroni per il miglioramento della vita contadina – la trebbiatrice divenne una vera e propria icona alla metà degli anni Trenta in seguito alle politiche autarchiche del regime fascista (come rappresenta il famoso video del Duce a petto nudo mentre getta i covoni di grano nella trebbiatrice). Simbolo della Resistenza, infine, quando i partigiani, durante la battaglia del grano dell’estate 1944, fecero di tutto per impedire la trebbiatura del cereale, già organizzato nelle biche, al motto di “Non un chicco di grano al tedesco invasore”. Fu proprio durante alcune azioni di manomissione delle macchine che venne danneggiata anche quella di proprietà di Emilio Montanari. Questa bellissima fotografia dà un’idea di quante forze venissero impiegate in quel lavoro agricolo da cui dipendevano le sorti di un intero anno. Vista la presenza di Oddino la foto è sicuramente scattata prima del 1927, dal momento che il 31 dicembre dell’anno precedente egli si imbarcò da Genova destinazione Buenos Aires.
Nel gennaio 1927 partirono da San Giorgio, per raggiungerlo in Sud America, gli amici Primo ed Ernesto Barbieri.3 I tre cesenati condividevano lo stesso tetto e la motocicletta ritratta con loro nella foto ci ricollega ad un aneddoto che Primo era solito raccontare: quando il proprietario di casa si presentava per riscuotere l’affitto Oddino accendeva il motociclo dentro una stanza in modo da fare un frastuono tale che il titolare si allontanava.
Primo tornò in Italia già nel 1930, visto che ad aspettarlo c’erano moglie e figli, Ernesto invece tardò ancora tre anni e durante il periodo argentino lui e Oddino iniziarono quel percorso politico che li contraddistinse per il resto della vita. Entrambi comunisti, e aderenti all’Alleanza antifascista, furono più volte arrestati per la loro attività: Montanari, a seguito di misure restrittive adottate dal governo messicano verso i comunisti, partecipò ad una sassaiola contro l’ambasciata del paese centroamericano; fu poi arrestato per l’aggressione ai danni di un fascista e fermato in occasione di uno sciopero. Nello stesso periodo pubblicò un articolo per spronare i conterranei ad iscriversi ad una Società Romagnola di cultura e divertimento di cui era anche segretario della commissione provvisoria. Sempre in Argentina, nel 1935, si sposò con Vittoria Aldama (1911), spagnola dei Paesi Baschi, e dalla loro unione nacque la figlia a cui diedero il nome della sorella: Norma. È di forte impatto emotivo la foto che ritrae i due genitori che osservano la figlia: a dominare la scena è un sentimento di amore familiare, mentre sembra momentaneamente placato l’ardore militante di Oddino.
Intanto in Europa si profilava lo scontro tra democrazie e totalitarismi. Nel 1933 Adolf Hitler era salito al potere in Germania, nel 1936 Benito Mussolini proclamò l’impero e nel luglio dello stesso anno, in Spagna, Francisco Franco guidò un golpe, di matrice fascista, per ribaltare lo Stato democratico.
Montanari attese solo pochi mesi dalla nascita della figlia e nel marzo 1937 si imbarcò per la Francia, con la famiglia al seguito, per arruolarsi nelle Brigate Internazionali formate da antifascisti di tutto il mondo accorsi nella penisola iberica per imbracciare le armi in soccorso della Repubblica. Nel giugno si trovava ad Albacete, città nella quale si erano formate le brigate e dove si concentravano i combattenti per l’arruolamento; in seguito combatté, nel terzo battaglione della Brigata Garibaldi, in Estremadura, a Caspe (promosso sergente) e sull’Ebro dove fu ferito. Nelle formazioni garibaldine ricoprì anche il ruolo di Commissario politico della compagnia di punizione. Il 21 settembre del 1938, dopo che il capo del governo spagnolo Negrin comunicò che avrebbe ritirato tutte le forze volontarie straniere, la brigata smobilitò, ma in sostegno di Franco continuarono ad arrivare aiuti da Italia e Germania e nel gennaio 1939 Oddino e molti altri garibaldini tornarono al fronte in difesa di Barcellona.
La guerra civile spagnola, persa dalle forze democratiche e preludio della Seconda guerra mondiale, fu importante sia perché riunì per la prima volta sul campo il fronte antifascista (seppur con difficoltà fra le varie componenti),4 sia perché questo terreno di battaglia fu formativo per coloro che avrebbero guidato la Resistenza in Italia. Per quanto riguarda il territorio cesenate, fra loro, si ricordano Berto Alberti, Ilario Tabarri, Luciano Caselli, Fabio Ricci e Nino Francia, ma in Spagna Oddino Montanari conobbe anche Antonio Carini, antifascista di origine piacentina, che lo accompagnò negli anni successivi fino al rientro in Italia. Terminata la guerra molti garibaldini oltrepassarono il confine franco-spagnolo per abbandonare quella terra che sarà teatro di una pluridecennale dittatura e approdare nella democratica Francia che li accolse in un modo inaspettato: l’internamento nei campi di concentramento.
Mentre Oddino combatteva in Spagna, e successivamente si trovava internato in Francia, Vittoria e Norma risiedevano a Drancy (a una decina di chilometri da Parigi). Le fotografie che rappresentano la moglie e la figlia, così piccola e tenera, fanno ben comprendere il sacrificio degli affetti familiari imposti dall’impegno politico: un padre lontano nel momento probabilmente più bello ed emozionate della vita, quello dell’infanzia dei figli.
Tra il 1939 e il 1941 Oddino fu trasferito in tre diversi campi di concentramento: Saint Ciprien, Gurs e Vernet d’Ariege. Nei campi continuò quell’intreccio di conoscenze che già si erano instaurate in Argentina, in Spagna, e che poi vennero messe a frutto nella Resistenza italiana. Significativa in tal senso la foto che raffigura Oddino Montanari e Antonio Carini assieme ad altri che diedero il loro contributo alla lotta di Liberazione.
Fu nei mesi finali del 1940 che molti italiani internati chiesero il rimpatrio in Italia e Oddino poté varcare il confine il 10 aprile 1941, quando venne consegnato alle autorità italiane a Mentone. Appena approdato in Italia fu arrestato, incarcerato a Forlì, interrogato e per la sua attività sovversiva condannato a tre anni di confino. Appena la moglie seppe dell’estradizione partì con la figlia verso la sconosciuta Romagna, ma arrivata nel Cesenate comprese che Oddino era stato trasferito da poco a Ventotene.
In quegli anni erano presenti nell’isola, oltre ai già citati Antonio Carini, Luciano Caselli e Ilario Tabarri, anche Sandro Pertini, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Riccado Bauer, Umberto Terracini, Luigi Longo, Camilla Ravera e Pietro Secchia. Proprio quest’ultimo ebbe a dire che l’arrivo dei garibaldini diede un «efficace e concreto contributo alla […] scuola militare».5 Durante la permanenza al confino, infatti, pur senza dimenticare le dure restrizioni, le persone riempivano le giornate con incontri dai temi più disparati, scambi di opinioni fra le varie anime politiche e letture di libri.
Il 19 ottobre 1941, Oddino venne punito a 5 giorni di consegna perché fu sorpreso, assieme al confinato Dino Saccenti, mentre consumava cibo in una trattoria senza la necessaria autorizzazione. Un altro episodio che fa ben comprendere la situazione dei confinati ci è tramandato dalla figlia Norma che ricorda ancora la visita che fecero lei e la madre sull’isola. Finalmente dopo molti anni di lontananza la famiglia si poté riunire, anche se in un ambiente non proprio familiare e solo per qualche giorno. Questo il ricordo di Norma:
l’isola mi parve subito molto, molto piccola, molto stretta, soffocante, solo tutti gli amici di mio padre che facevano una gran festa, però non potevano comunicare, nemmeno mio padre con loro, intanto che c’era mia madre, mentre c’eravamo noi e quindi ero io che venivo salutata abbracciata, perché potevo, anche le guardie mi permettevano di andare a salutare gli altri che erano lì. Poi l’altro ricordo orribile sono i catenacci la sera quando ci chiudevano nell’appartamento, la famiglia doveva pagare una stanza dove dormire e noi la sera dovevamo essere chiusi dentro, alle finestre c’erano le inferiate, alla porta c’era il catenaccio come in una prigione.6
Durante il periodo di confino furono varie le richieste della moglie, e degli altri familiari, per poter ottenere licenze o la commutazione della condanna in ammonizione. Le loro istanze furono sempre rifiutate visto che per le autorità Oddino non dava segno di ravvedimento nelle sue idee politiche e si accompagnava ai «peggiori elementi della colonia». Bisognerà attendere il 25 luglio 1943 per fare respirare nuovamente l’aria di libertà agli antifascisti e per far sì che Oddino si ricongiungesse alla famiglia. I comunisti furono gli ultimi a lasciare l’isola e lui venne rilasciato il 21 agosto. Per comprendere quanto siano serviti agli antifascisti, durante la Resistenza, i rapporti instaurati al confino, sono preziose le parole di Secchia:
Quando partimmo da Ventotene, […], portavamo con noi ben nascoste e cifrate alcune centinaia di indirizzi […]. Ci eravamo segnati gli indirizzi, recapiti e parole d’ordine, per rintracciare tre o quattro compagni in ogni provincia. A loro volta i compagni della stessa provincia e zona […] avevano preso accordi tra di loro per ritrovarsi non appena giunti nelle rispettive località di residenza.7
Per poche settimane la famiglia Montanari poté godere alcuni momenti di “normalità”, come documenta una fotografia che ritrae Oddino, Vittoria e Norma a Cesena dopo il ritorno da Ventotene, e prima della clandestinità partigiana.
Nella foto si nota subito il fisico molto magro di Oddino, ancora provato dal confino, ma risaltano anche i bei vestiti di Norma e Vittoria, in quella che sarà la loro ultima foto assieme. Immediatamente, il movimento antifascista si mise in moto per riorganizzarsi e Norma ci descrive come visse quei momenti:
Io non ho nessun ricordo particolare di gioia di allegria del ritorno di mio padre. Ricordo solo […] quando riuscì a tornare a casa, era sempre il periodo che ancora loro si dovevano organizzare, era sempre fuori casa, era sempre in città, finché arrivò il giorno in cui mia mamma tornò e mio padre era stato avvertito che doveva scappare perché i fascisti si erano riorganizzati e gli antifascisti correvano nelle nostre montagne e quello è stato tutto il periodo buio per me.8
Ogni antifascista mise a frutto i propri contatti: chi come Oddino aveva passato un lungo periodo all’estero, valorizzò conoscenze ed esperienze fatte in Spagna, in Francia e, infine, a Ventotene. Chi invece, come il ritrovato amico Ernesto Barbieri, era da tempo in Romagna, sfruttò i contati della rete clandestina che si era mantenuta negli ultimi anni. Oddino Montanari, con lo pseudonimo di Lino, nei mesi della Resistenza si impegnò all’interno del Partito comunista e delle brigate partigiane, nell’arruolamento dei giovani e nei compiti militari. A Cesena erano presenti la 29ª Brigata GAP “Gastone Sozzi” e l’8ª Brigata Garibaldi “Romagna” e lui si adoperò in entrambe le formazioni, inoltre fu «tra gli organizzatori del Partito [comunista] – Membro del Comitato di Zona – Membro del Comitato Militare e del Comitato di Liberazione».9
Nel dicembre 1943 arrivò in Romagna Antonio Carini che costituì il Comitato militare romagnolo con Ilario Tabarri, Luigi Fuschini e Oddino stesso come commissario politico. Montanari assunse presto un ruolo di guida nel locale movimento partigiano e questo è ben testimoniato da Sergio Flamigni, commissario politico della 29ª GAP, che, quando gli venne affidato questo compito, fu istradato proprio da Lino, che dopo una giornata di istruzioni ebbe a dirgli: «Abbiamo parlato molto ma la cosa più importante è l’azione, l’impegno nel realizzare i propri compiti. Un buon Commissario partigiano è quello che parla con l’esempio dell’azione, che sa realizzare i suoi doveri con molta attenzione».10
Il 22 agosto 1944, l’amico fraterno Ernesto Barbieri fu ucciso in un agguato fascista. Ernesto era segretario del CLN e segretario del comitato di zona del PCI, incarico che, in seguito alla sua morte, fu affidato allo stesso Montanari. La sorte volle che anche Lino non poté respirare l’aria di libertà inseguita per tutta la vita, infatti, il 3 ottobre 1944, diciassette giorni prima della Liberazione di Cesena, fu colpito da una scheggia alleata che lo ferì mortalmente.
Questa narrazione per immagini si chiude con un’ultima fotografia, nella quale Berto Alberti, dirigente dell’Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna (AICVAS), rilascia un attestato a Vittoria Aldama. Un momento di memoria pubblica in cui viene premiata colei che ha conservato con tanta cura e amore quelle memorie familiari grazie alle quali oggi possiamo ripercorre un affascinante percorso transnazionale di impegno politico e civile.
Note
1 Per una biografia completa di Oddino Montanari si veda Mattia Brighi, Ernesto Barbieri e Oddino Montanari. Due vite per un ideale: Antifascismo internazionale e Resistenza in Romagna, Forlì, Edizioni Risguardi, 2017.
2 Sulla realizzazione dei modellini di aeroplani si veda A. Poma, Come vissero gli ex combattenti delle brigate internazionali nei campi di concentramento francesi, ne “l’impegno”, a. XVII, n. 2, agosto 1997, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
3 Ernesto Barbieri (1904-1944) emigrò in Argentina nel 1927, aderì all’Alleanza antifascista e al gruppo comunista italiano, motivo per cui venne arrestato dalle autorità di Buenos Aires più volte. Nel dicembre 1933 rientra in Italia e quando sbarca a Napoli viene subito fermato dalle autorità fasciste che gli comminano un provvedimento di ammonizione. Dopo l’8 settembre 1943 fu tra gli organizzatori dei primi nuclei di resistenza a Cesena fino a ricoprire il ruolo di segretario del CLN cesenate. Per questo costantemente ricercato, il 22 agosto 1944 cade in un agguato fascista dopo una riunione clandestina a casa di Colombo Barducci, anche lui ucciso. Sia Barbieri che Barducci furono insigniti della Medaglia d’argento al Valor Militare alla memoria.
4 Si ricordano ad esempio i duri scontri fra comunisti, anarchici e trotskisti.
5 Pietro Secchia, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945. Ricordi, documenti inediti e testimonianze, Milano, Feltrinelli Editore, 1973, p. 47.
6 Intervista a Norma Montanari, 2017.
7 Secchia, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione, cit., p. 65.
8 Intervista a Norma Montanari, 2017.
9 Scheda biografica in INSMLI, Archivio Aicvas, b. 6, fasc. 34 Montanari Oddino. Si veda anche il Database dei partigiani della provincia di Forlì in: http://www.disci.unibo.it/it/biblioteca/fondi-1/partigiani.
10 In Brighi, Ernesto Barbieri e Oddino Montanari, cit., p. 210.