“La Brigade juive” di Marvano. Un fumetto per ricordare la nascita dello Stato di Israele

Tra i tanti anniversari che ci attendono in questo 2018, quello del settantesimo dalla nascita dello Stato di Israele (14 maggio 1948) è senz’altro uno dei più importanti, non foss’altro per il tragico retroterra storico su cui si innesta (la Shoah) e le altrettanto drammatiche conseguenze che si protraggono fino ai nostri giorni e, non è difficile prevederlo, Trump consule, sicuramente oltre. Tra i tanti modi per raccontarne la genesi quello del fumetto, se è probabilmente uno dei meno scontati, risulta però sicuramente di grande impatto divulgativo. Stiamo parlando di La Brigade juive di Marvano, pseudonimo (ottenuto dalla contrazione del suo vero nome) di Mark Van Oppen, autore nato in Belgio, a Heusden-Zolder (provincia fiamminga del Limburgo belga), il 29 aprile 1953.

 

L’autore

Dopo aver lavorato come architetto di interni, Marvano comincia a illustrare alcuni racconti di “Orbit”, un magazine olandese di science fiction, finché nel 1982 abbandona il suo mestiere di architetto e si dedica completamente all’illustrazione e al fumetto, divenendo redattore capo del settimanale “Kuifje”, l’edizione per il pubblico olandese del giornale “Tintin”. Nel 1986 assume la direzione della sezione fumetto delle edizioni fiamminghe De Gulden Engel e contemporaneamente inizia a pubblicare le sue prime strisce nei numeri speciali di “Tintin” e nel trimestrale “Robbedoes” (la versione olandese degli albi di “Spirou”).

L’opera con cui Marvano raggiunge la celebrità è l’adattamento del romanzo La Guerre éternel, il capolavoro dello scrittore statunitense di Joe Haldeman, con cui aveva stretto amicizia dal 1980: si tratta di una trilogia pubblicata tra il 1988 e il 1989 nella collana “Aire Libre” delle Editions Dupuis. Nel 1990 appaiono Le Solitaire, sceneggiato da Bob Van Laerhoven (Ed. du Lombard), e Red knight sceneggiato da Ronald Grossey (Ed. Standaard); nel 1991, per le Editions Dupuis, Marvano inizia l’adattamento di Rourke (1991-1995), il best seller di Paul-Loup Sulitzer; intanto, fra il 1994 e il 2008, cura sia i testi sia i disegni della trilogia Berlin, la sua prima prova da autore completo; insieme ad Haldeman dà vita a Dallas Barr (1996-2005) e nel 2002-2003 al sequel a fumetti di Guerra eterna, ossia Libre à jamais (in italiano Missione eterna); nel 2009 Les petits adieux; nel 2011 PréJugés. Historie de l’antisemitisme a travers les ages (con altri); tra il 2010 e il 2012 ancora una trilogia, Gran Prix.

Nonostante la vasta produzione e la grande notorietà, in Italia ancora poco è stato pubblicato di questo autore: La guerra eterna (001 Edizioni, 2012); Missione eterna (001 Edizioni, 2013); il ciclo Berlin, che si compone di tre albi: 1943 – I sette nani (colori di Claude Legris, Les Sept Nains, 1994); 1948 – Reinhard la volpe (colori di Bertrand Denoulet, Reinhard le goupil, 2007); 1962 – I due figli del re (colori di Bertrand Denoulet, Deux enfants de roi, 2008), pubblicati nella collana mensile “Historica” (n. 7) col titolo Berlino – Una città divisa (Milano, Mondadori, 2013).

 

“La Brigade juive”

Tra il 2013 e il 2016 Marvano si è dedicato a una nuova opera, confermando da un lato la sua predilezione per le trilogie, dall’altro come la sua virata dalla science fiction alla storia sia ormai un fatto consolidato. Parliamo di La Brigade juive, un racconto che si articola in tre episodi: 1- Vigilante (2013); 2- TTG (2015); 3- Hatikvah (2016). Tutti e tre gli albi, inediti in Italia, sono stati pubblicati dall’editore franco-belga Dargaud (l’editore dei primi venticinque volumi di Asterix) e si compongono di 46 tavole, delle quali Marvano firma sceneggiatura e disegni, Bérengère Marquebreucq i colori (Marvano, infatti, è daltonico). I testi, infine, sono stati scritti in fiammingo e tradotti in francese da Monique Nagielkopf, la quale, essendo di origine ebrea, interviene anche in un prezioso lavoro di consulenza.

Questo il contesto: nel 1945 la guerra in Europa è oramai finita, ma la maggior parte dei sopravvissuti ebrei allo sterminio, a differenza di altri DPs (displaced persons), non ha più una patria dove poter tornare. Desiderano lasciare l’Europa, ma nessun paese vuole accoglierli, così che molti di loro rimangono nei campi di raccolta anche per diversi mesi, avendo quasi l’impressione che, tranne lo sterminio fisico, poco sia cambiato dalla precedente politica hitleriana. È anche per questo che in tanti aderiscono alla proposta sionista di creare uno Stato ebraico in Palestina (sotto mandato britannico dal 1920). A favorire il loro espatrio clandestino ci pensano gli uomini di una brigata dell’esercito inglese, che, nata ufficialmente nel settembre 1944 dal Palestine regiment e dalle compagnie (plugot) di soldati ebrei operanti nell’VIII Armata, dal novembre è giunta in Italia e tra marzo e aprile 1945 ha combattuto sul fronte romagnolo con insegne proprie, sotto il vessillo del Magen David, la stella (letteralmente “scudo”) di Davide. Dal maggio la Brigata ebraica è stanziata a Tarvisio, dove si incrociano le frontiere “calde” di tre paesi: Italia, Austria, Jugoslavia. E da qui prende le mosse la sua duplice missione: vendicare i sei milioni di morti e dare aiuto agli scampati.

Il primo episodio (Vigilante) inizia in Polonia, nel giugno 1945: Leslie Toliver e Tamari (Ari) Feigenb sono sulle tracce di un criminale nazista che cerca di farla franca travestito da prete cattolico. Nel portare a termine questa loro missione i due incontrano una ragazzina, Safaya Mehringer, che i genitori ebrei hanno messo in salvo dalle persecuzioni naziste affidandola a un convento di suore. I due la portano con loro e la sistemano presso un campo per DPs gestito dagli inglesi; lungo il cammino, però, mentre i tre si scambiano i rispettivi ricordi di guerra, si imbattono anche in bande di irriducibili che sono in caccia degli ebrei sopravvissuti, proseguendo l’opera non terminata dai nazisti.

Il secondo volume (TTG, acronimo per Tilhas Tizig Gesheften, che in realtà è un’espressione volgare, ma veniva usata come la sigla, ovviamente inesistente, di operazioni segrete dietro quali si mascheravano le azioni della Brigata) inizia nel luglio 1945 in una Salisburgo che farebbe da degno fondale per Germania anno zero di Rossellini: tra le macerie fisiche e morali di una nazione, dove gli ex (?) nazisti tramano per creare un corridoio di salvezza verso il sud America (l’operazione Odessa), in un’Europa in cui le frontiere reali non corrispondono a quelle disegnate dai politici, Leslie e Ari sono impegnati, questa volta separatamente, nelle loro missioni: l’uno ancora a caccia di criminali nazisti da giustiziare, l’altro tra Tarvisio e Graz a organizzare l’espatrio clandestino dei sopravvissuti verso Eretz Israel, sfidando l’occhiuta vigilanza britannica. Mentre quest’ultimo troverà una morte banale e antieroica, Leslie, inseguendo l’SS-Sturmbannfuhrer Eckhart Krause, finisce in un ex (?) lager nazista (che ha le fattezze di Bergen Belsen), che ora è diventato un campo per DPs gestito dagli inglesi, dove apprende che la sua fidanzata, Erika Pasternak, vi è morta il 13 maggio 1945. Sul finire dell’episodio sappiamo infine che Safaya si è imbarcata per immigrare in Palestina e potrebbe trovarsi in uno dei campi allestiti dagli inglesi sull’isola di Cipro, mentre arrivano le notizie di nuovi pogrom a Cracovia, Kiev, Rzeszow…

L’azione del terzo e ultimo episodio (Hatikvah, “speranza” in ebraico) inizia nell’aprile 1948 in Palestina, dove Leslie Toliver si sta recando su di un aereo carico di armi per gli ebrei in lotta con arabi ed inglesi. Qui ritrova Safaya, che è diventata una combattente dell’Haganah (“difesa”), organizzazione paramilitare ebraica in Palestina durante il Mandato britannico. Il 29 novembre 1947 l’ONU con la risoluzione 181 aveva adottato un piano per la spartizione della Palestina mandataria in due Stati: uno ebraico (comprendente il 56% del territorio), l’altro arabo (sul restante 44%); Gerusalemme sarebbe stata corpus separatum sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite. Il rifiuto da parte araba di accettare tale spartizione della Palestina costituì una delle premesse del lungo conflitto che ne conseguì: il giorno successivo la proclamazione d’indipendenza d’Israele (15 maggio 1948) gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano invasero il territorio dello Stato ebraico, ed è su questa immagine che la storia di Leslie e Safaya si conclude.

 

Complessità ed equidistanza

La vicenda abbraccia un arco di tempo di tre densissimi anni (giugno 1945 – maggio 1948), che però, con poche e rapide retrospezioni, si allarga anche a quelli immediatamente precedenti. In questo modo l’opera, come avviene per i frutti più maturi della recente produzione fumettistica, riesce a sintetizzare con grande efficacia narrativa una vicenda che invece sotto il profilo storiografico risulta molto complessa, senza per questo, però, banalizzarla né minimizzarla. Marvano, anzi, pare essersi documentato con scrupolo e attenzione sia per quel che riguarda le vicende specifiche della Brigata ebraica, sia per quanto attiene al contesto storico in cui si collocano le azioni (a cominciare dalla realizzazione di alcune vignette in cui sono riconoscibili immagini storiche oramai entrate a far parte dell’immaginario collettivo).

Un esempio a noi molto vicino di tale rigore documentario è paradossalmente visibile nella erronea rievocazione del breve ma intenso impegno militare della Brigata sul fronte del Senio, dove, per la prima volta, militari tedeschi si arresero a soldati ebrei con la stella di Davide sulle spalline della divisa. Per questo episodio specifico, infatti, Marvano si è servito senz’altro del libro di Morris Beckham (The jewish brigade, 2008, che usa fonti di storia militare anglosassoni e relative mappe) dove il luogo dello scontro è riportato come «la Giorgetta hill». In realtà si trattava di uno sbancamento di terra del canale Fosso Vetro, che però, nel piatto assoluto della campagna ravennate, costituiva un indubbio vantaggio altimetrico, sebbene di pochi metri, tale però da meritargli il pomposo titolo di “collina” (hill).

Ma più di tutto nelle tavole colpisce la sensibilità con cui l’autore guarda al fenomeno dei DPs e dei campi in cui essi vennero raccolti: spesso gli stessi dove sorgevano i lager nazisti e nei quali si perpetuavano analoghi sistemi di controllo delle persone e del territorio. Sebbene mai esplicitamente dichiarato, Marvano rivolge la sua attenzione al sistema dei campi gestiti dagli inglesi, anche quelli allestiti a Cipro, dove vennero rinchiusi gli ebrei che migravano clandestinamente verso la Palestina. Se tale tema è oggi doviziosamente ricostruito in un importante libro di Dan Stone (La liberazione dei campi. La fine della Shoah e le sue eredità, Torino, Einaudi, 2017), ciò non era altrettanto scontato in un fumetto, per giunta uscito nel 2015 (il secondo episodio), cioè lo stesso anno di questo ricco studio accademico in lingua inglese.

Altro aspetto di pregio di questo grafic novel sta nell’equilibrio con cui vi si guarda alla spinosa e annosa vicenda arabo-israeliana. Marvano infatti, pur non facendo mistero della sua simpatia per la parte ebraica, non nasconde la complessità della materia: quando ad esempio illustra le responsabilità arabe nel fallimento della risoluzione ONU n. 181, non tace, sebbene di sfuggita, analoghe responsabilità ebraiche che mette in conto all’Irgun, il nucleo terroristico ebraico formato nel 1935 da membri dissidenti della Haganah. Discorso analogo si potrebbe fare per il ruolo (che emerge nell’incipit del racconto) della Chiesa nella protezione degli ebrei durante le persecuzioni e dei loro persecutori a guerra finita.

Insomma, siamo di fronte a un lavoro di grande onestà e serietà, che dà il suo contributo alla rimozione di quella patina di sospetto con cui, soprattutto qui in Italia, si guarda ancora al fumetto come medium troppo “povero” per (se non totalmente inadatto a) poter raccontare la Storia con tutte le sue complessità e sfumature problematiche.