Ci sono alcune parole tedesche intraducibili in italiano. Una è la famosa Schadenfreude, la gioia per le disgrazie altrui, un’altra è Gemütlichkeit che esprime la sensazione piacevole di trovarsi in un’atmosfera calda e accogliente in cui provare una perfetta serenità. Molti ristoranti tradizionali tedeschi sono la rappresentazione fisica della Gemütlichkeit: sedie, panche e rivestimenti in legno da locanda rustica, cuscini colorati, fiori e ghirlande, un focolare o stufa vicino a cui sedersi in inverno. Gemütlich è, naturalmente, anche la gutbürgerliche Küche, la cucina casalinga, ma di solida famiglia, che si accompagna volentieri con una buona birra o con un Moselwein, un vino della valle della Mosella, affluente del Reno celebrato già dal poeta latino Ausonio. Questa zona è perfetta per un tour enogastronomico-culturale: il paesaggio collinare e fluviale circondato da vigneti è idilliaco; villaggi e antichi castelli accompagnano il viaggio dalla frontiera lussemburghese fino a Coblenza. La vite vi è stata introdotta già dai romani che avevano fondato nella zona l’importante città di Augusta Treverorum, di cui restano la grande Porta Nigra e altri monumenti. In italiano oggi si chiama Tréviri o Trevíri (il sottoscritto vi ha abitato un anno e non ha ancora capito come si debba dire), in tedesco è Trier. Ogni città ha il suo Ristorante con la maiuscola e Trier ha il Zum Domstein (Alla pietra del Duomo, da un’antica colonna ancora visibile) collocato nella centralissima piazza Hauptmarkt. Qui il carnivoro può deliziarsi di tutte le più gustose ricette tedesche: principalmente maiale e vitello ricoperto di salse dense e squisite ai funghi o alle cipolle da raccogliere con gli Spätzle, piccoli e lunghi gnocchetti di pasta. C’è la classica Wiener Schnitzel che è poi la nostra cotoletta alla milanese, ma consiglio una Rumpsteak mit Zwiebel und Kräuterbutter, una buona bistecca di manzo con burro alle erbe e cipolle, oppure una Schweineschitzel mit Pilzsauce, bistecca di maiale con salsa ai funghi o ancora un eccellente Wildragout von Hirsch, carne di cervo con salsa al ginepro, gnocchetti all’uovo, composta di mele, pera e bacche. Il vegetariano soffrirà certamente, ma può ripiegare sull’archeologico interesse per l’antica cucina romana, tratta dall’opera del grande Apicio, servita filologicamente nella sala sotterranea del locale. Altri gustosissimi piatti germanici sono la Zigeunerschitzel, bistecca “alla zingara”, vitello cotto in farina e burro ricoperto di salsa con pomodoro, vino, funghi, paprika e prosciutto cotto e poi i vari Bratwurst, i nostri Würstel che si mangiano anche solo col panino e di cui esistono numerose varianti tra cui i Thüringer e i Nürnberger: maiale, sale e maggiorana questi ultimi, vitello o manzo, sale, pepe, cumino e maggiorana i primi. Come non parlare delle onnipresenti patate? A Trier si mangiano nella ricetta del Teerdisch, purea “invernale” con pancetta, crauti e cipolla, altrimenti si trova un po’ ovunque il Kartoffelauflauf strati di patate, formaggio, pancetta e quello che si vuole, gratinato in cima. Se siete a Trier in piena estate andate anche nei bei ristoranti sul fiume nella zona chiamata Zurlauben e mangiatevi una Forelle, una trota mosellana.
Non appesantitevi troppo, perché Trier, malgrado i pesanti bombardamenti subiti nell’ultima guerra, ha diversi luoghi interessanti da visitare oltre ai resti romani. Accanto al Domstein trovate la cattedrale di San Pietro e, a lato la bella chiesa gotica Liebfrauenkirche. Procedete un poco più oltre e vi imbatterete, nella Brückenstrasse, in una decorosa e gemütlich casa borghese di aspetto tardo settecentesco a due piani con una piccola lapide. Lì dentro, nella quiete di una famiglia relativamente benestante in una cattolicissima cittadina provinciale, governata per secoli dagli arcivescovi-principi, è nato Karl Marx. All’interno non c’è molto da vedere – i Marx che vi abitavano in affitto presto si trasferirono in fondo alla Simeonstrasse attratti dall’investimento nel mattone – e i souvenirs che vi si possono acquistare, dal marxista vino rosso alle magliette, sono piuttosto kitsch. Tuttavia, da qui si deve partire per ricostruire i primi anni a Trier del padre del socialismo scientifico: ignorato dai più, questo periodo presenta alcuni elementi di grande importanza per la successiva esistenza del filosofo. Uno di questi si trova nella vicina Neustrasse, dove si vedrà un’altra elegante casetta azzurra, un poco più grande di quella dei Marx. Là abitava la famiglia von Westphalen, di recente nobiltà, da cui nacque Jenny, l’amatissima moglie di Marx che voltò le spalle a una tranquilla e gemütlich – ancora! – esistenza provinciale per seguire ovunque, perlopiù nella cattiva sorte, il sulfureo marito. La loro lunga storia d’amore, terminata soltanto con la morte di Jenny, è una delle più romantiche che si possano leggere. Il padre di Jenny, il funzionario Ludwig von Westphalen, padre del futuro ministro degli interni della Prussia, nutriva una grande ammirazione, del tutto ricambiata, per il giovane Marx: i due amavano parlare di letteratura e in particolare degli autori dell’antichità greco-romana. Una donna bella, colta e di ottima famiglia come Jenny non poteva passare inosservata, e però, fidanzatasi a Karl, decise di aspettarlo sola per anni quando lui si allontanò da Trier per studiare prima a Bonn e poi a Berlino. Finalmente sposi, abbandonarono la Germania, ebbero diversi figli e vissero sempre uniti in povertà, talora estrema, a Parigi, Bruxelles e Londra. Il giovane Karl Marx, bel film dell’haitiano Raoul Peck del 2017, non mostra l’inizio della relazione dei coniugi Marx a Treviri, ma descrive bene la profonda passione sentimentale e politica che li univa. Un consiglio: guardate il film nella versione originale in inglese, tedesco e francese che rende meglio la dimensione internazionale della formazione e dell’attività di Marx.
Nello stesso quartiere, nella Jesuitenstrasse, vedrete l’antico Friedrich-Wilhelm Gymnasium dove Marx studiò. Oggi, curiosamente, l’edificio ospita un seminario cattolico: la chiesa accanto, un tempo gestita dalla minoranza evangelica, era frequentata dalla famiglia Marx. Nipote di rabbini per parte di padre e di madre – il nonno Marx Levi e lo zio Samuel furono i rabbini di Trier – Karl nacque protestante perché il padre Heinrich, il cui vero nome era Herschel, dovette abbandonare la religione paterna per poter conservare il proprio lavoro nell’amministrazione prussiana. In realtà, Heinrich era un illuminista liberale, fatto che spiega sia l’indolore abbandono della sua fede avita, sia l’ateismo abbracciato senza alcun rimorso dal figlio. Marx restò legatissimo al padre per tutta la vita, benché questi fosse morto quand’era ancora giovane: sappiamo che portava ovunque con sé una sua immagine che Engels addirittura pose nella sua bara quando l’amico morì. Meno affezionato era, invece, alla madre olandese Henriette Pressburg, semplice e oculata donna di casa. Dell’antica sinagoga non resta nulla, tranne una lapide all’indirizzo Weberbach 64. Cosa è rimasto in Karl – ci si potrebbe chiedere – del giudaismo degli antenati? Nulla a giudicare da uno scritto come Sulla questione ebraica che gli ha procurato addirittura accuse di antisemitismo. O qualcosa, forse, nella prospettiva messianica di un riscatto definitivo dell’umanità, in quella che Nietzsche stigmatizzava come morale del ressentiment, ostile ai valori aristocratici di potenza e affermazione terrena? Non ci addentriamo oltre in un tema così complesso. Chi vuole conoscere meglio la gioventù dell’autore del Capitale può leggerne qualcosa nella monumentale biografia di Franz Mehring, morto nel 1919 poco dopo il fallimento della rivoluzione promossa dai suoi amici Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Di più si trova nella biografia del menscevico russo Boris Nikolajevskij, che Lenin cacciò dall’Unione Sovietica in uno dei molti scontri fratricidi tra seguaci del trevirese.
Un’antica città in mezzo ai vigneti, lambita da un bel fiume dove ci si trova a proprio agio e si gusta una saporita cucina nell’opulenta Germania d’oggi: Trier sembra aver assai poco in comune con il pensiero incendiario del suo cittadino più famoso. La stessa redditiva e secolare attività del ristorante Zum Domstein pare sfidare quella caduta tendenziale del saggio di profitto in cui Marx ravvisava una delle cause del futuro crollo del capitale. Tuttavia, qualcuno dice che il numero di disoccupati a Trier sia in realtà sottostimato; che molti suoi cittadini hanno trovato un lavoro nel vicino Lussemburgo, ricco grazie a una politica fiscale assai benevola nei confronti dei grandi patrimoni; che ai bordi della città sono collocati imponenti lupanari per tedeschi e clientela transfrontaliera in cui difficilmente opereranno professioniste appartenenti ai più alti strati sociali e ai più prosperi paesi del mondo. Forse la Gemütlichkeit non è altro che una bella illusione di cui bisogna liberarsi.