Il 2019 è stato un anno di bilanci sui cento anni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e tra i temi che hanno ricevuto maggiore attenzione ci sono stati la parità/non discriminazione, lo sfruttamento lavorativo e i meccanismi di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori che vengono da altre parti del mondo. Di questo e di altro abbiamo parlato con Gianni Rosas, Direttore dell’Ufficio per l’Italia e San Marino dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. L’intervista è a cura di Eloisa Betti.
Quali iniziative sono state realizzate in Italia, nel 2019, in occasione del Centenario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e quali ne sono stati i principi ispiratori?
Le iniziative per il Centenario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro si sono articolate su più filoni. Un filone ha promosso dialoghi nazionali sulla situazione del mondo del lavoro contemporaneo e le sfide per il futuro, coinvolgendo diversi attori istituzionali in diversi eventi ed è confluita in vari input per la commissione mondiale del lavoro istituita a Ginevra nel 2017. Questa ha realizzato un rapporto sul futuro del lavoro, che analizza le sfide e le prospettive future, formulando anche una serie di raccomandazione per sviluppare specifiche strategie nazionali. Un altro filone si è focalizzato sulla collaborazione universitaria nella diffusione dei principi e valori legati al lavoro. Infine, sono stati messi in campo una serie di progetti su temi specifici quali quelli sulla lotta al lavoro minorile, sulla valorizzazione del contributo fondamentale del lavoro delle donne allo sviluppo socio-economico dell’Italia, sul contrasto dello sfruttamento lavorativo e sulla prevenzione delle molestie e della violenza nel mondo del lavoro, per citarne alcuni.
Quali sono gli aspetti più significativi del rapporto mondiale sul futuro del lavoro?
Innanzitutto, il rapporto lancia un messaggio molto importante, che si ricollega al mandato dell’Organizzazione fin dalla sua costituzione nel 1919 e riaffermato con la Dichiarazione di Filadelfia del 1944: la centralità della persona. Ciò implica un bilanciamento delle strategie nazionali e delle politiche economiche in maniera che vengano adottate pensando all’impatto che hanno sulle persone. Per affrontare le sfide del futuro questo rapporto propone investimenti in tre aree principali: 1) investimenti nelle capacità delle persone; 2) investimenti nelle istituzioni del lavoro; 3) investimenti in settori economici ad alta capacità di generare lavoro dignitoso. È interessante vedere l’attualità di queste raccomandazioni. L’estensione universale del diritto alla protezione sociale, ad esempio, aiuta le lavoratrici e i lavoratori a navigare nel mercato del lavoro anche in situazioni di difficoltà e costituisce una sorta di “paracadute” perché le persone possano transitare da un lavoro all’altro senza perdere la loro dignità ma, al contrario, con una base che gli permetta di non trovarsi in situazioni di povertà nel caso in cui non trovino subito un nuovo lavoro. Il riconoscimento del diritto alla formazione continua delle persone è cruciale per gestire le transizioni, affinché l’impatto della tecnologia e della digitalizzazione non abbia effetti negativi sulle lavoratrici e sui lavoratori. Per transizione intendiamo le transizioni dalla scuola al mondo del lavoro, e sappiamo di quanta attualità sia questo tema dato il numero di ragazze e ragazzi che una volta terminati gli studi non riescono a trovare un lavoro, ma anche le transizioni tra lavori, in particolare dei lavoratori senior maggiormente esposti ai mutamenti tecnologici e che nella fase finale della loro vita lavorativa devono transitare verso il pensionamento. Gli investimenti nelle istituzioni per il mercato del lavoro sono sempre più rilevanti, soprattutto in un’economia globalizzata, perché il ruolo delle istituzioni nel mercato del lavoro è quello di assicurare che le imperfezioni, perché i mercati del lavoro sono per loro natura imperfetti, vengano attenuate e che ci sia più equità tra i diversi gruppi di lavoratrici e lavoratori, e mi riferisco soprattutto a coloro che hanno più difficoltà rispetto ad altri ad entrare e rimanere nel mondo del lavoro.
Se guardiamo alle iniziative di collaborazione universitaria che l’Ufficio italiano dell’OIL ha realizzato nel 2019 cosa ricorderesti?
Il filone più nutrito e più attivo è un progetto che abbiamo lanciato alla fine del 2018 a partire dal Centenario dell’OIL e che ha visto attivi diversi atenei distribuiti lungo tutto lo stivale in iniziative di carattere seminariali, in convegni, in simulazioni di decision making in materia di lavoro e politica sociale. Questo ha portato alla realizzazione di più di 50 eventi tra gennaio e dicembre 2019, che hanno stimolato discussioni sulle tematiche inerenti il mondo del lavoro e ripensato alla storia dell’Organizzazione al fine di identificare delle lezioni utili tanto per il presente che per il futuro. L’altro risultato è stato quello di coinvolgere, attraverso Università e Centri di ricerca, i giovani studenti e studentesse in discussioni e dibattiti che li riguardano da vicino poiché prossimi ad entrare nel mercato del lavoro. Questo filone è stato molto utile, interessante e produttivo grazie alle risposte delle varie istituzioni presenti nel territorio italiano, una importante partecipazione alle attività che ha permesso anche scambi tra docenti di diverse università italiane. Questo aspetto molto positivo per l’Ufficio dell’OIL per l’Italia e San Marino, è da perseguire in futuro; analizzando le lezioni apprese quest’anno e strutturando in maniera più stabile questa collaborazione universitaria.
Rispetto al mondo degli storici, e in particolare degli storici del lavoro, quali sono stati i punti di interesse e di contatto con l’Organizzazione qui in Italia?
Devo dire che tra storici, giuristi, sociologi ed economisti, gli storici sono stati il gruppo di studiosi e ricercatori più attivo: hanno contribuito senz’altro a ricostruire delle tappe fondamentali per collegare la storia del lavoro italiana a quella internazionale. Questa operazione di mappatura ha permesso di identificare delle aree che sarebbero meritevoli di maggiore attenzione in futuro e anche questa è una pista da sviluppare negli anni a venire in maniera da analizzare il ruolo che l’Organizzazione internazionale del lavoro ha avuto in Italia e il ruolo che l’Italia ha giocato all’interno dell’Organizzazione internazionale del lavoro.
Anche delle Società scientifiche sono state attive in questa collaborazione?
Ad esempio nel filone storico sono state molto attive la Società Italiana di Storia del Lavoro e la Società Italiana di Storia Internazionale, che hanno avuto un effetto catalizzatore raggruppando i loro membri e definendo proprie iniziative operative che si sono svolte in diversi territori italiani, mi riferisco ad esempio alla Conferenza internazionale di Bologna di metà gennaio sul lavoro femminile o alla Conferenza che si è svolta a Padova sulla storia dell’Italia nell’OIL e dell’OIL in Italia.
E quali sono i temi che tu intravedi per futuri sviluppi di questa collaborazione universitaria come Ufficio per l’Italia e San Marino, anche in termini di ricerca-azione?
Ci sono una serie di filoni che hanno una rilevanza storica, nel senso che fanno parte della storia del lavoro internazionale e italiana che meritano di essere sviluppati ulteriormente, non fosse altro perché hanno anche una rilevanza attuale. È interessante collegare quello che si è appreso in passato per sviluppare delle iniziative in futuro. In questo senso ci sono diverse aree, una senz’altro è quella relativa alla parità e non discriminazione, un’altra area è quella relativa allo sfruttamento lavorativo e un’altra ancora è quella relativa ai meccanismi di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori che vengono da altre parti del mondo.
Rispetto al primo tema che citavi, parità e non discriminazione, a marzo 2019 è uscito un importante rapporto che ha fatto il punto sulla parità di genere nel lavoro. Di che cosa parla e che impatto ha avuto in Italia?
Quest’anno è stato un anno di bilanci sui cento anni dell’Organizzazione internazionale del lavoro e il tema della parità/non discriminazione è senz’altro un tema di particolare attenzione, perché, nonostante siano stati fatti passi avanti in tanti paesi, ci sono ancora delle sfide che permangono. Se pensiamo al divario salariale di genere, ad esempio, anche oggi possiamo dire che in media nel mondo le donne lavorano 9 mesi e mezzo con retribuzione e 2 mesi e mezzo senza retribuzione. Questo è un esempio per evidenziare che le donne guadagnano il 20% in meno dei lavoratori e spesso anche per un lavoro di eguale valore. Il principio di eguale remunerazione per un lavoro di ugual valore è uno dei principi che era contenuto nella Costituzione dell’OIL che gli attribuisce la natura di diritto umano. Sono necessarie delle politiche e iniziative più decisive affinché si possa realizzare l’uguaglianza e la parità di genere che, secondo il rapporto in questione, è in una fase di stallo da circa un quarto di secolo.
Quest’anno è stato un anno importante sotto questo filone del lavoro delle donne perché è stata approvata una importante Convenzione internazionale, la Convenzione 190…
La Convezione 190 sulle molestie e violenza nel mondo del lavoro aggiunge un tassello importante agli aspetti che definiscono il lavoro che dà dignità alle lavoratrici e ai lavoratori. Un mondo del lavoro che tollera molestie e violenza di genere non garantisce il lavoro dignitoso. C’è un aspetto relativo alla dignità del lavoro, ma anche relativo al rispetto dei diritti umani: la Convenzione afferma che violenze e molestie sono un abuso e una violazione dei diritti umani. Essa affronta, a livello internazionale, un problema sentito in tutti i paesi del mondo: la necessità di introdurre meccanismi per prevenire e contrastare la violenza nel mondo del lavoro. Tutti gli aspetti relativi alle molestie e violenza devono avere una declinazione di genere, secondo la convenzione. Si parte dal presupposto, infatti, che la violenza e le molestie non colpiscono tutte/i in egual misura o non hanno lo stesso impatto su tutte le lavoratrici o su tutti i lavoratori: statistiche alla mano, in media nel mondo l’80% delle vittime di violenza e molestie sono donne. Un altro aspetto importante della Convenzione è l’universalità della sua applicazione a tutte le situazioni che si riferiscono al mondo del lavoro. Tradizionalmente, la legislazione del lavoro si occupava solo di coloro che sono all’interno del rapporto di lavoro tradizionale, cioè quello subordinato o salariato, mentre questa Convenzione include soggetti che si muovono nel mondo del lavoro e che, pur essendo particolarmente esposti a molestie/violenza, fino ad ora non venivano tutelati dalla legislazione lavoristica. Mi riferisco, ad esempio, alle tirocinanti e i tirocinanti, le volontarie e i volontari, le candidate e i candidati a un lavoro. Sono inclusi anche gli individui che esercitano le funzioni di un datore o una datrice di lavoro. Un altro aspetto interessante è l’ambito di applicazione della convenzione che si estende a tutto il “mondo del lavoro” e non più ai tradizionali “luoghi di lavoro”, perché si prende atto dei cambiamenti avvenuti nelle modalità e spazi del lavoro: la definizione di luogo di lavoro come luogo fisico, come poteva essere in passato l’ufficio o la fabbrica, è ancora rilevante, però ci sono altre tipologie di lavoro che si svolgono da casa oppure pensiamo a coloro che si recano per lavoro nelle abitazioni altrui. Queste persone sono, secondo le statistiche esistenti, le più esposte a molestie e violenze. Un aspetto innovativo è che per la prima volta si considerano violenza e molestie che vengono perpetrate da soggetti terzi, come genitori di studenti nel settore dell’istruzione, pazienti o loro parenti nel settore sanitario, clienti che utilizzano un trasporto pubblico. La Convenzione considera anche l’impatto della violenza domestica nel mondo del lavoro, con una richiesta esplicita di prendere misure adeguate anche in termini di prevenzione e di meccanismi di supporto da parte dei datori di lavoro per dipendenti vittime di violenza domestica.
Sfide e opportunità nel 2020?
Nel 2020 saranno i cento anni dell’Ufficio OIL per l’Italia che è stato inaugurato a Roma nell’agosto del 1920. Si tratta di uno dei primi uffici dell’OIL assieme a quelli di Parigi, Londra, Berlino e Washington. Le sfide sono parecchie ma noi vorremmo continuare su questo filone di mobilitazione/ coinvolgimento e informazione/sensibilizzazione; quindi proseguire il lavoro che è stato fatto quest’anno, cercando di consolidare una struttura che possa proseguire nel tempo. Questa è senz’altro un’opportunità, le sfide sono quelle di rimanere al passo con i tempi e mettere in moto iniziative operative che avvicinino l’Organizzazione alle persone, ma anche che diano un supporto nel risolvere alcuni dei problemi cogenti.
E in un mondo sempre più globale, che ruolo credi debba avere la formazione, l’alfabetizzazione sui diritti fondamentali del lavoro che un’organizzazione come questa porta avanti in modo statutario?
L’informazione e la formazione sui diritti del lavoro considerati dalle norme internazionali del lavoro è senz’altro un aspetto che assume sempre più rilevanza nel mondo globalizzato e le iniziative di sensibilizzazione sono importanti perché noi dobbiamo essere consapevoli dei diritti che sono stati acquisiti, dei quali possiamo godere ovunque noi lavoriamo, sia in Italia che all’estero e per gli stranieri che vengono a lavorare in Italia. Questa piattaforma rappresenta uno zoccolo duro di diritti che sono stati sviluppati a livello internazionale nell’ultimo secolo e che hanno una diretta applicabilità. Una funzione importante delle istituzioni educative è quella di formare i giovani affinché siano consapevoli dei loro diritti nel mondo del lavoro, perché se si è consapevoli si hanno anche gli strumenti per agire nel caso in cui questi diritti non vengano riconosciuti o siano addirittura violati.