In apertura: i giornali del 1991 raccontano la nascita di Studio Aperto.
1. Dal TG del palazzo a quello della gente
I moduli televisivi cambiano profondamente dagli anni Ottanta. Nascono le televisioni commerciali a vocazione nazionale, dopo che – nel decennio precedente – era fiorita una miriade di emittenti locali. Nel 1980, Berlusconi lancia Canale 5. Nell’82, Rusconi fonda Italia1, Mondadori Rete4. Queste ultime, finiscono presto assorbite dalla Fininvest1. Nessuno ha l’autorizzazione a trasmettere sull’intero territorio nazionale né a fare dirette. Un limite superato con l’escamotage della cosiddetta “interconnessione funzionale”. Dal centro di produzione, si fanno arrivare alle emittenti locali collegate le cassette con i programmi registrati che, poi, vengono mandate in onda simultaneamente, dando il senso fittizio di una televisione nazionale.
Fininvest impone una trasformazione epocale. È una modernizzazione che guarda all’America, da cui si importano serie Tv e film, e su cui si modellano show e programmi di intrattenimento. Finisce la Tv didattico-pedagogica e comincia quella del consumo. Se lo scopo della televisione commerciale è fare ascolti da poter «vendere» agli inserzionisti pubblicitari2, bisogna proporre una programmazione che parli alla gente in modo accattivante, semplice e attraente. Questa rivoluzione riguarda l’intero palinsesto, tranne i Tg perché, senza la possibilità della diretta, è impossibile produrli. La svolta arriva con l’approvazione, nel 1990, della legge Mammì, che regolamenta il sistema radiotelevisivo e consente la diretta anche alle Tv private, obbligandole, anzi, a mandare in onda Tg autoprodotti. Nel 1992, arriva il Tg5 di Mentana, punto di svolta per il modello di informazione e per il consenso, che lo rendono un vero concorrente della Rai.
Il pioniere dell’informazione delle Tv commerciali e dell’innovazione dell’informazione popolare, tuttavia, è Emilio Fede, che inizia a trasmettere il suo telegiornale, Studio Aperto, a metà gennaio del 19913. Con Studio Aperto, muta la grammatica del Tg. Inizia il notiziario «dalla parte della gente». Cifra fondamentale è l’attenzione agli eventi della cronaca quotidiana, raccontata in diretta, attraverso le testimonianze della gente comune, con un tono informale e drammatizzante. Il piano della comunicazione è orizzontale, postulando l’identificazione tra chi racconta (giornalista o testimone) e il telespettatore, di cui si sollecita l’emotività. Il racconto è costruito secondo modelli narrativi accessibili e mediante uno studiato accompagnamento alla comprensione. La spiegazione è semplificata, offerta agevolmente a tutti. Il linguaggio semplice, pedestre ma non sciatto, anzi ponderato. L’idea di interpretare il nuovo contro il vecchio seduce: i moderni paradigmi informativi veicolano la rappresentazione del progresso – la propaggine degli Ottanta – ottimismo, edonismo, leggerezza.
I temi attraggono l’uditorio più esteso: politica esigua, abbondante cronaca, gossip, spettacoli, sport. Nel luglio del 1991, Sandro Bolchi – regista, sceneggiatore, esperto di televisione – coglie, tra i primi, il senso di questa mutazione. Nella sua rubrica Occhio alla Tv, sul “Corriere della Sera”, descrive il nuovo modello di Tg: «Un po’ di cronaca formato famiglia, ce la offre Emilio Fede con il suo “Studio Aperto” (Italia1): quattro chiacchiere, servizi semplici, un tono affabile da conversazione continuamente interrotta dalle voci degli inviati. La politica sembra assente, non assistiamo né a inaugurazioni né a proclami in questa mezz’ora d’intrattenimento sui fatti, grandi e piccoli, del giorno»4.
2. La nascita in una notte di gennaio
p>Nei primi giorni del 1991, alla Fininvest, non c’è ancora un’idea chiara su quando partire con i Tg. Si confrontano due linee: una vorrebbe il debutto al più presto, l’altra desidererebbe rimandare tutto all’autunno. Fede sembra parteggiare per quest’ultima. È un «progetto da svolgere con calma – dice il 5 gennaio – pensandoci bene, con tutto il tempo necessario»5. Il progetto è di fare un Tg «che privilegia gli interessi reali della gente, lontana dal palazzo, dall’ufficialità dalle beghe politiche». Starà probabilmente qui – sottolineano i giornali – il tratto distintivo dei notiziari Fininvest.
Dopo una decina di giorni, la prospettiva cambia radicalmente. La guerra del Golfo impone un’accelerazione: si parte subito con l’informazione. Dal 14 gennaio 1991, su Italia1, Emilio Fede è in onda per raccontare la crisi, con uno Studio Aperto. L’Iraq sta per essere attaccato dagli Stati Uniti e dall’Alleanza creata per liberare il Kuwait, invaso nell’estate del ’90 da Saddam Hussein. È l’atto di nascita dei Tg Fininvest6, anche se, in quel momento, nessuno lo sa, nemmeno Fede né i dirigenti dell’azienda. A far venire alla luce quello che, nelle intenzioni, sarebbe dovuto essere solo un embrione di notiziario, è quanto accade nella notte tra il 16 e il 17. Alle 2:38, ora di Baghdad, comincia il bombardamento. In Italia, è mezzanotte e 38 minuti e il primo ad annunciare l’attacco è Emilio Fede. Quei minuti sono un pezzo di storia della Tv.
Le Tv commerciali ancora non possono trasmettere in diretta. La legge Mammì lo consente solo da quando saranno assegnate le frequenze. Questo problema viene superato con uno stratagemma. Studio Aperto va in onda in semi differita: qualche minuto di ritardo, a volte, solo qualche istante. Un escamotage che consente a Fede di mettere a segno il suo scoop. L’effetto sull’opinione pubblica è positivo. Oreste del Buono, nel suo Diario Tv, sulla “Stampa”, è perentorio: «Lui [Fede ndr] dice, per modestia, che è stato un caso se a comunicare per primo la notizia dell’inizio delle operazioni dell’armata Onu contro Saddam Hussein è stato “Studio Aperto”. La comunicazione è arrivata da New York da Silvia Kramar, e la Fininvest ha così preceduto la Rai. Le tre testate giornalistiche della Rai dispongono di 300 unità, Fede può contare appena su una trentina. E la superiorità dell’audience dei Tg della Rai è schiacciante sull’esperimento Fininvest. Ma i riti della burocrazia della Rai non guastano ancora l’aggressività della diretta di “Studio Aperto”. Più aperto senz’altro e nello stesso tempo più ordinato, ossia meno trascurato. Così il telespettatore può seguire il farsi delle informazioni»7.
Anche il “Corriere della Sera” sottolinea la novità: Emilio Fede – scrive Corrado Ruggeri8 – «ha conquistato due primati: è riuscito a dare per primo in Italia la notizia dell’inizio della guerra ed è rimasto per 72 ore nella redazione “Videonews” senza dormire: “Lo sforzo del gruppo è stato fortissimo – afferma – in energie umane, tecniche ed economiche. Ma i risultati parlano chiaro”».
Il primo Tg Fininvest arriva, dunque, per l’urgenza della storia: «Studio Aperto è già il Tg»9 annuncia Fede a fine gennaio. Gianni Letta, vicepresidente Fininvest Comunicazioni, conferma: «Con Studio Aperto il gruppo della Tv commerciale ha certamente trovato e collaudato la formula del suo notiziario». Con il Tg di Fede – garantisce Letta – «l’informazione quotidiana è entrata nella nostra programmazione e non ne uscirà più»10. Un notiziario che si differenzia dal Tg1 e dal Tg2 – scrive “l’Unità”, apprezzandone lo stile ma contestandone la linea politica – per «il suo piglio meno formale e simpaticamente improvvisato ma sostanzialmente è un ennesimo notiziario filogovernativo»11.
3. La direttiva Pasquarelli
In quei giorni, c’è una grande voglia di informazione. Volano le vendite dei giornali e l’auditel segna risultati eccezionali per i Tg. Le edizioni serali dei tre telegiornali della Rai, lunedì 14 gennaio, totalizzano 26 milioni di telespettatori: 12 milioni e mezzo il Tg1, 7 e mezzo il Tg2 e 6 il Tg3, che ha raddoppiato il suo pubblico, interpretando una linea di opposizione netta al conflitto12.
Il vicedirettore di “Repubblica”, Gianni Rocca, racconta che martedì 15 gennaio, le copie vendute sono state 900 mila. 850 mila quelle del “Corriere della sera”. La tiratura della “Stampa” è arrivata a 585 mila copie. “La Notte” e il “Giorno” hanno accresciuto le copie tirate del 20 e 15%. “Il Mattino” ha venduto 20 mila copie in più, “l’Unità” – su posizioni pacifiste – il 30%, con 220 mila copie distribuite13.
In Rai regna la cautela. Una direttiva del direttore generale, Gianni Pasquarelli, ordina alle testate giornalistiche radiofoniche e televisive di «sospendere i “filidiretti” e le no-stop». Le edizioni speciali dei telegiornali sono autorizzate solo per «notizie davvero rilevanti e significativi aggiornamenti». Protestano le redazioni e l’ordine dei giornalisti. Sul piede di guerra i giornali dell’opposizione. “L’Unità” scrive che «è scattata l’operazione per porre l’informazione Rai sotto la tutela di Palazzo Chigi». Il governo è un pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) guidato da Giulio Andreotti. L’obiettivo della direttiva, scrive il giornale del Pci è «non allarmare», «sopire e minimizzare»14. Ma anche gli altri quotidiani criticano la disposizione: «i battaglioni della Rai sono invitati alla prudenza mentre le pattuglie della Fininvest e anche di Telemontecarlo si muovono con agilità» scrive il Corriere della sera, che si chiede: «chi vincerà la battaglia dell’informazione televisiva, l’elefante (pubblico) o la gazzella (privata)?»15
4. Doppio colpo
Nell’estate dello stesso anno, Studio Aperto mette a segno un secondo colpo. Tra il 19 e il 21 agosto, una cerchia di gerarchi conservatori, contrari alla politica riformatrice di Gorbaciov, tenta un golpe16. È un fatto enorme. In Italia, il primo a dare la notizia, alle 8.30 di lunedì 21 agosto, è, ancora una volta, il Tg di Italia1. Come era avvenuto sette mesi prima, questo primato suscita clamore, diventando esso stesso notizia e certificando il consolidamento di un nuovo modo di fare informazione, fondato sulla diretta (o quasi), sulla drammatizzazione degli eventi, sulla capacità di raccontare con enfasi e pathos, cogliendo le aspettative del pubblico, e su una narrazione intessuta su un linguaggio semplice e comprensibile, sebbene la forma sia spoglia e parca di strumenti (collegamenti telefonici e immagini di circuiti internazionali). Solo il Gr1, riesce a dare la notizia, alle 7 del mattino, prima di Fede. Bruno Vespa, allora direttore del Tg1 e in quelle ore in vacanza a Capri, racconta come sia venuto a sapere del golpe: «sono stato avvertito da un signore mattiniero e molto autorevole, che per discrezione non cito, alle 7.20. Aveva appena sentito il Gr»17.
Le tre reti televisive pubbliche faticano a mettere in moto la macchina produttiva, scontrandosi con una serie incredibile di mancanze che ne impediscono la partenza. Il corrispondente da Mosca, Demetrio Volcic, è in ferie e nessuno lo ha sostituito. «Noi volevamo mandare un giovane inviato per sostituire Volcic – dice Vespa – L’abbiamo fatto per Bonn, Londra e New York. Ma a Mosca non è stato possibile per motivi burocratici. Ci è stato detto che il corrispondente è unico per tutte le testate della Rai e che non si poteva rompere quest’accordo per il mese di agosto. Così ieri mi sono mangiato le mani»18. Regge il Tg2, conquistando la piazza d’onore. In onda, con un’edizione, mezz’ora dopo Fede. Il racconto del direttore, Alberto La Volpe, rivela, però, una situazione organizzativa dilettantesca. «Io ero al mare, alle isole Eolie – racconta –, il mio vice, Alfano, intanto, ha requisito lo studio delle annunciatrici. Poi ha fermato una troupe che casualmente passava di lì: dovevano andare allo stadio Olimpico, sono finiti a montare le immagini di Mosca»19. Ancora più surreale, quel che accade al Tg3. «Io – dice il direttore, Sandro Curzi – sono stato avvisato alle cinque del mattino dagli Usa, da Lucio Manisco. Ho avuto tutto il tempo per dare l’allarme. Ma quando sono arrivato in via Teulada, non c’era niente da fare. Non c’erano i tecnici, né gli studi. La prima straordinaria siamo riusciti a farla alle 11.10»20.
Difficile per il colosso pubblico modificare il palinsesto. I direttori dei telegiornali per chiedere una straordinaria – rivelano le cronache di quei giorni – devono mettersi in contatto con il direttore generale, Gianni Pasquarelli, in vacanza a Gualdo Tadino, in Umbria21. Tutto molto più semplice per Telemontecarlo e Finivest. «Che alla Rai convenga riprendersi in carico Emilio Fede? – si chiede Oreste del Buono – Purtroppo, credo che anche lui, se tornato a casa, finirebbe per arrivare in ritardo. È qualcosa di tenacemente connesso al funzionamento dell’Azienda di Stato»22. Fede lo sa e spiega il segreto della formula del suo Tg: «Conosco bene i danni del gigantismo e allora, nel telegiornale della Fininvest, ho formato una redazione piccola ma ben allenata. Il nostro inviato Gigi Moncalvo è partito da due giorni. E ho risolto alla radice il problema degli studi portando la telecamera in redazione, sempre pronta».
5. Due TG ugualmente pop
Al primo Tg Fininvest, si affianca una seconda testata giornalistica. La rete principale del gruppo si appresta a lanciare il proprio Tg. Su Canale 5, arriva dalla Rai Enrico Mentana. A Fede, che fino ad allora era il responsabile dell’intera informazione dell’azienda, viene sfilato il pezzo pregiato, nonostante i successi messi a segno in quell’anno. Nell’estate del 1991, si progettano le linee del nuovo telegiornale. Un altro Tg pop, distante dall’informazione tradizionale dell’azienda pubblica. Fede e Mentana, fanno a gara nel teorizzare un notiziario snello e veloce, lontano dal Palazzo, sebbene entrambi – fanno notare maliziosamente i giornali in quei giorni – provengano dalla stessa area politica, socialdemocratico il primo, socialista il secondo23. È il momento per Fede della spiegazione ex post della sua linea editoriale. Il direttore di Studio Aperto racconta: «Ho discusso della filosofia del giornale al momento dell’assunzione. Berlusconi vuole che si parli della gente. Dobbiamo aiutare la gente quando si scontra con i problemi di ogni giorno ed è schiacciata dalla burocrazia. Spiegare cosa vuol dire ammalarsi in Italia […] dobbiamo aiutare chi chiede aiuto»24.
«Un Tg breve, semplice, dedicato alla gente e con poca attenzione al palazzo»25, ripete. Un telegiornale in cui il telespettatore possa identificarsi. Il direttore-conduttore, Fede, non è in cattedra a impartire lezioni ma si colloca sullo stesso piano di chi lo guarda, sta dalla stessa sua parte, sulla riva opposta dei potenti, parla la stessa sua lingua e può essere maldestro come l’uomo della strada posto davanti a una telecamera. Il modello è Mike Bongiorno, che Fede confessa di imitare anche nelle gaffes fatte apposta26, secondo il modello spiegato, anni prima, da Umberto Eco27. La sede milanese aiuta a stare lontano dalle pressioni politiche, sostiene Fede, il vero padrone è il telespettatore28. Sull’influenza di Berlusconi, afferma: «Conta di più l’Auditel, lo giuro». Ribadisce le sue idee sul linguaggio: «Semplice, rapido, chiaro»29. Domenica primo settembre, alle 11.45, è ancora Fede a essere, per la prima volta, ufficialmente, in diretta. Il ministro delle comunicazioni, il socialdemocratico Vizzini, è d’accordo nell’interpretazione estensiva della legge Mammì. L’autorizzazione alla diretta sarebbe dovuta arrivare solo in autunno, con l’assegnazione delle concessioni, ma la legge imponeva a tutti, dal 23 agosto, di mandare in onda Tg quotidiani. Inimmaginabile fare un notiziario in differita30.
6. Il mercato dell’emotività
Con la diretta, i Tg Fininvest sono completi. La linea editoriale del primo notiziario è quella realizzata da Fede, in quel ١٩٩١, e che Sandro Bolchi – lo si è visto – definisce icasticamente «Un po’ di cronaca formato famiglia». Lo svecchiamento dei canoni tradizionali della Tv didattico-pedagogica italiana è iniziato. Manca una parallela riflessione sulla mutazione. Ciò aprirà a non imprevedibili esiti culturali e sociali. Si avvia un processo ineluttabile di disarticolazione della sintassi narrativa e di “shackeramento” dei generi, prodromi di un’informazione ibrida, nella quale i moduli dell’intrattenimento assorbiranno i contenuti giornalistici, sia all’interno della forma Tg che nelle più variegate trasmissioni in palinsesto. Le emozioni costruiranno il sottofondo del racconto, in quello che il Censis – rapporto 2023 – definirà, un trentennio dopo, fotografando il panorama socio-culturale italiano, «il mercato dell’emotività»31. La maturazione della crisi politica degli anni Novanta troverà sostegno e amplificazione morale nei canoni del nuovo Tg popolare. La rivoluzione accesa dalla Procura di Milano scorrerà sui condotti informativi posizionati sulla trincea anticasta. I notiziari istituzionali si uniformeranno ai nuovi modelli.
Note
1 Ornella Rota, Da domani «Italia Uno» nell’impero Berlusconi, in “La Stampa”, 31 dicembre 1982, p. 18.
2 Si veda l’intervista a Giorgio Gori, direttore di Canale 5, pubblicata da “la Repubblica”, il 2 settembre 1992: «Nostro compito è dare al pubblico ciò che vuole perché vendiamo telespettatori agli inserzionisti pubblicitari».
3 Fede, ex direttore del Tg1, dopo un biennio passato a dirigere il telegiornale di ReteA (1987-89), approda alla Fininvest per creare l’informazione della Tv commerciale. Sulle reti di Berlusconi, ci sono già stati alcuni esperimenti. Dal 1983 al 1984, va in onda Italia1 Flash, quotidiano di 10 minuti, trasmesso alle 19:45, nella sola Lombardia, curato dalla redazione del Giornale. Dal 1985 al 1987, la redazione del Giornale realizza, sempre per Italia 1, un approfondimento giornalistico settimanale, Controcorrente, condotto da Paolo Granzotto, Indro Montanelli e Mario Cervi. Dal 1987, tutti i programmi giornalistici vengono cancellati.
4 Sandro Bolchi, Totò da antologia e l’afa resta fuori dall’uscio, in “Corriere della Sera”, 14 luglio 1991.
5 Maria Novella Oppo, Fede: L’intervista a Saddam? Io l’ho trasmessa a novembre, in “L’Unità”, 5 gennaio 1991, p. 22.
6 Fede lo rivendicherà ex post, si veda l’intervista rilasciata a Maria Novella Oppo, A ciascuno il suo ma gli auguri non glieli faccio, in “L’Unità”, 10 gennaio 1992, p. 6. Nel giorno della presentazione del Tg5, diretto da Mentana, Fede sottolinea la primazia del suo telegiornale: «Noi siamo una macchina che viaggia. Se anche cambiamo qualche bullone, non se ne accorge nessuno, non fa notizia. Abbiamo iniziato il 14 gennaio di un anno fa».
7 Oreste del Buono, Fede, Cesara e verità, in “La Stampa”, 20 gennaio 1991, p. 8.
8 Corrado Ruggeri, Anche sui nostri video implacabile «bombardamento» USA, in “Corriere della Sera”, 18 gennaio 1991, p. 14.
9 Maria Novella Oppo, La diretta e un po’ di Fede, in “L’Unità”, 31 gennaio 1991, p. 20.
10 Paolo Calcagno, Enzo Biagi in Rai per 5 anni, Alba fedele a Tmc, in “Corriere della Sera”, 19 febbraio 1991, p. 33.
11 Maria Novella Oppo, Fede esulta, Berlusconi tace, in “L’Unità”, 19 febbraio 1991, p. 20.
12 Durissima la polemica tra il segretario del Partito repubblicano, Giorgio La Malfa, e il direttore del Tg3, Sandro Curzi. Il leader politico accusa l’informazione Rai di essere «un sistema perverso, una tripartizione che porta a un uso politico delle notizie che è uno scandalo nazionale». In particolare, se la prende con Botteghe oscure: «Il Pci può dire quello che vuole ma non da una Tv di Stato». Curzi risponde sbandierando «gli 8 milioni di spettatori che in questi giorni seguono quotidianamente il Tg3». La polemica arriva anche in onda, con Maurizio Mannoni che, durante l’edizione serale del notiziario, a nome del Cdr, replica aspramente, criticando La Malfa e il sistema dei partiti: «Ai partiti che si credono padroni della Rai e dei giornalisti, diciamo che della loro arroganza non se ne può più». Cfr. Maria Grazia Bruzzone, La Malfa al Tg3: siete caricature, in “La Stampa”, 20 gennaio 1991, p. 8. Il Tg3 mostra anch’esso così la sua novità di pop Tg, aumentando il profilo emotivo e la drammatizzazione della sua offerta, rivolta a un pubblico culturalmente e politicamente definito, molto diverso dalla platea televisiva di Studio Aperto ma con il comune obiettivo di proporre un’alternativa informativa allo standard istituzionalizzato degli altri Tg Rai.
13 Silvia Garambois, I mass media fanno affari: tirature record «Straordinarie» e no-stop per l’ora X, in “L’Unità”, 16 gennaio, 1991, p. 13.
14 Antonio Zollo, I tg e la Rai non allarmino gli italiani Palazzo Chigi ha paura dell’informazione, in “L’Unità”, 17 gennaio 1991.
15 Valerio Cappelli, Pasquarelli «censura» la guerra, e alla Rai è di nuovo polemica, in “Corriere della Sera”, 19 gennaio 1991.
16 Nell’agosto del 1991 Mosca, a quel tempo capitale ancora dell’Unione Sovietica, visse tre giorni drammatici con il fallito colpo di Stato da parte di ultraconservatori nazionalcomunisti per deporre il leader del Cremlino Mikhail Gorbaciov e prendere il controllo del Paese. Il fallimento del putsch rafforzò la figura di Boris Eltsin, che si era opposto al golpe e si fece, poi, promotore del processo di dissoluzione dell’Unione Sovietica, che avvenne il 26 dicembre dello stesso anno.
17 Francesco Grignetti, Rai ancora battuta, in “La Stampa”, 21 agosto 1991, p. 10.
18 Ibid.
19 Ibid.
20 Ibid.
21 Corrado Ruggeri, E la Rai scivola sul golpe, in “Corriere della Sera”, 22 agosto 1991.
22 Oreste del Buono, Il golpe in Tv. L’azienda di Stato salvata dalla radio, in “La Stampa”, 21 agosto 1991, p. 10.
23 Vito D’Angelo, Due «rivali» nei Tg Fininvest, in “Corriere della Sera”, 23 agosto 1991.
24 Maurizio Chierici, Siamo privati, lontano dal Palazzo, in “Corriere della Sera”, 26 settembre 1991.
25 Maria Novella Oppo, A ciascuno il suo ma gli auguri non glieli faccio, in “L’Unità”, 10 gennaio 1992, p. 6.
26 Ibid.
27 Umberto Eco, Fenomenologia di Mike Bongiorno, in “Pirelli. Rivista di informazione e ti tecnica”, 1961; il saggio confluirà nella raccolta Diario minimo, Milano, Bompiani, 1963.
28 Pino Corrias, Fede, Le memorie di un lottizzato, in “La Stampa”, 7 settembre 1991, p. 8.
29 Chierici, Siamo privati, lontano dal Palazzo, cit.
30 Roberta Chiti, Fininvest, è il giorno della diretta, in “L’Unità”, 1 settembre 1991, p. 18.
31 https://www.censis.it/rapporto-annuale/i-sonnambuli.