In Grecia è già notte quando parte il volo per l’Iman Khomeini airport di Teheran.
Quasi tutti iraniani della diaspora sull’aereo, donne con leggeri veli colorati e donne velate di nero: in fondo la dicotomia principale di questa grande nazione è già chiara prima di arrivarci, Islam e modernità convivono in maniera a volte drammatica, a volte inusuale, a volte armonica, creando una nazione-mondo unica nel suo genere.
Dopo un rapido controllo del passaporto e del visto è già un mondo altro: l’aeroporto internazionale è a sud della capitale in pieno deserto, lo straniamento è subito fortissimo: rari occidentali, scritte in farsi (la lingua dell’Iran), 30 gradi a notte fonda alla fine di maggio.
All’alba Teheran rivela il suo aspetto di enorme megalopoli congestionata da un traffico infernale e caotico, l’albergo si affaccia su un lunghissimo vialone saturo di auto: attraversare la strada è molto complicato, passaggi pedonali e semafori sono completamente ignorati!
Tutte le vie sono state rinominate dopo la rivoluzione islamica del 1979, il momento chiave della storia moderna dell’Iran: Enqelab Avenue (Viale della rivoluzione) divide in maniera orizzontale la zona centrale di Teheran, mentre Vali asr Avenue (Viale del 12° imam) taglia da nord a sud per circa 20 km la metropoli. Questo viale alberato, fino alla rivoluzione chiamato Pahlavi Street, costruito negli anni ’20 dello scorso secolo, è la vetrina consumistica di Teheran, sede dei brand internazionali della moda e di grandi centri commerciali.
Lungo il viale si incontrano la borghesia e la classe media cittadina, attente alle mode importate dall’Occidente seppur declinate secondo l’Islam (sciita): donne velate ma truccatissime, ampio uso della chirurgia estetica, uomini con camicie e jeans firmati (in Iran per gli uomini sono proibiti i calzoni corti in luoghi pubblici). Qui, in uno degli onnipresenti cambiavalute compro Rial iraniani, coloratissime banconote necessarie alla sopravvivenza dello straniero: causa embargo in Iran non esistono carte di credito o bancomat internazionali; a meno di improbabili conti in banche iraniane il turista ha solo contanti nel portafoglio.
Man mano che si sale verso Teheran nord si percepisce la differenza economica, sociale e climatica tra le zone della città: verso le colline e le montagne che dominano Teheran nord aumenta il tenore di vita, diminuiscono le donne vestite col classico chador nero e aumentano gli hejab colorati, diminuisce il caldo soffocante di Teheran sud per lasciare spazio a una piacevole frescura.
Quello che rimane uguale è il traffico, incredibile per noi occidentali: ore di ingorghi per attraversare la città nelle ore di punta, una marea umana sui marciapiedi che aumenta gradualmente fino al caos di Tajrish, l’ultima fermata a nord della stupenda metropolitana, ai piedi delle montagne con le vette innevate di Darband e del monte Tochal.
Nelle colline ai piedi delle montagne centinaia di ristoranti, chioschetti, sale da tè, caffè invasi ogni sera da famiglie che si arrampicano sui sentieri per ammirare la sterminata città sotto di loro e per gustare le delizie della cucina locale.
Teheran ancora agli inizi del ‘900 aveva una popolazione di circa 250.000 abitanti, oggi è il cuore economico e politico dell’Iran con una popolazione stimata in 15 milioni di abitanti e in crescita tumultuosa e disordinata: la linea principale della modernissima metropolitana impiega 90 minuti dall’estrema periferia sud alla stazione Tajrish, capolinea nord!
Per cercare di comprendere la dimensione della città mi dirigo verso la torre Milad, nella zona sud-occidentale: terminata nel 2008, alta 435 metri, circondata da giardini e negozi, si erge su una collina arida tra enormi stradoni. Oltrepassati negozi di gadget islamici e controlli di sicurezza si arriva alla sommità: dalla piattaforma circolare un panorama mozzafiato sui monti e sulla megalopoli: un mare infinito di palazzi che lentamente si rarefanno verso il deserto.
Fermo un taxi e mi dirigo verso il bazar di Teheran, meta obbligata per chiunque; durante gli inevitabili ingorghi il tassista prepara un tè alla menta in auto, guidando con una mano usa l’altra per farlo raffreddare fuori dal finestrino, contemporaneamente canta il Corano che risuona dall’autoradio. Qui colgo l’incredibile senso di ospitalità di questo popolo verso il turista: l’isolamento degli ultimi anni unito a una cultura millenaria dell’accoglienza verso l’ospite, codificata nei secoli nel rituale del taroof, si concretizzano in una gentilezza disarmante, che diventa esagerata quando risuona la parola “Italia”.
Ovunque, in tutto l’Iran, il fatto di essere italiano produce sorrisi, approvazione, ammirazione: “come vorrei vedere Roma e Firenze”. Questo popolo avverte una fortissima affinità culturale con l’Italia, vista come paese di tradizione millenaria e di cultura profondissima, al pari dell’Iran.
Inoltre in tutto l’Iran si avverte fortissimo il passato preislamico: l’orgoglio di un popolo che in epoche lontane creò un impero immenso dall’India al Nord Africa fino alla Grecia, prima superpotenza della storia, i cui legami antichissimi si avvertono fino a oggi.
L’Iran si distingue dal restante mondo musulmano per la sua fede sciita, in contrapposizione col predominante mondo sunnita, una spaccatura secolare che risale agli anni seguenti alla morte del Profeta Maometto. Ciò ha creato la convinzione nel popolo persiano di essere il custode dell’Islam autentico e puro, di essere il centro del variegato mondo sciita, diviso in alcune nazioni ma tutte legate o gravitanti attorno all’Iran contemporaneo.
Nei dintorni di Teheran si può visitare uno dei simboli dell’Iran contemporaneo: il santuario dell’Ayatollah Khomeini, comodamente raggiungibile con la metropolitana, strategicamente situato tra la capitale e Qom, principale centro religioso del paese. In una enorme struttura, circondata da quattro svettanti torri-minareti è situata la tomba del fondatore della Repubblica islamica, racchiusa in una enorme teca verde dove i fedeli depongono offerte e doni. Circondato da immensi parcheggi, dotato di campeggi per i pellegrini, il santuario è adiacente al Behest-e-Zahra, uno sterminato cimitero in gran parte occupato dai morti della guerra Iran-Iraq, dimenticata in Occidente ma ancora vivissima nella memoria del popolo iraniano.
Questa sanguinosa e assurda guerra, costata milioni di morti, si concluse senza vincitori ma ebbe l’effetto di rinsaldare il regime islamico di Khomeini, unendolo indissolubilmente al nazionalismo iraniano in funzione antioccidentale, dal momento che l’Occidente fu all’epoca sostenitore del regime iracheno di Saddam Hussein.
Dopo l’obbligatoria visita al bazar di Teheran, labirintico intreccio di negozi, moschee, sale da tè, ristoranti, visito il Museo nazionale dei gioielli, situato nel caveau della banca centrale dell’Iran, considerata una delle collezioni più importanti al mondo. Di sera mi dirigo a Teheran nord verso il Park-e Honar, il parco degli artisti, sede di teatri e della Casa degli artisti: qui vengo avvicinato da gruppi di giovani occidentalizzati che vogliono parlare in inglese e si lamentano della rigidezza dei costumi della Repubblica islamica; alcuni mi confidano che per poter suonare musica rock organizzano riunioni clandestine in certe baracche perse sui monti.
Il giorno seguente lascio Teheran e mi dirigo a Qom, fulcro religioso e teologico della nazione, sede della tomba di Fatemeh, sorella dell’imam Reza, ottavo dei dodici imam venerati dall’Islam sciita. Questa grande città, situata ai bordi del deserto del Kavir, è meta di pellegrinaggio da tutto il mondo sciita per visitare l’Hazrat-e masumeh, enorme santuario che contiene le spoglie della santa.
Per i non musulmani l’unico modo per accedere al santuario è essere accompagnati da un religioso locale, che in un inglese approssimativo illustra la grandezza e la magnificenza del luogo, in effetti impressionante per dimensioni, e la grandezza dell’Iran sciita. Attorno al santuario una miriade di negozi di gadget, dolciumi, abbigliamento islamico, una economia che ruota totalmente attorno al santuario e alla moltitudine dei visitatori.
Lungo la strada per Isfahan l’autobus costeggia un lunghissimo reticolato nel deserto, da cui si ergono torrette con la contraerea: la strada costeggia il sito nucleare di Natanz, luogo al centro della pluridecennale contesa tra Iran e Occidente: qui si trovano le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio.
Isfahan è la principale destinazione turistica del paese, città di una bellezza accecante, portata allo splendore dallo Scià Abbas il Grande agli inizi del XVII secolo. La stupefacente piazza Naqsh-e Jahan è la seconda al mondo per dimensioni, dopo piazza Tienanmen a Pechino, ed emana un fascino onirico al tramonto, con le fontane, le moschee, che chiamano i fedeli alla preghiera, e il brulicante bazar.
Anche qui sorrisi, inviti nelle case da tè, addirittura un anziano signore mi si avvicina e mi chiede da dove vengo: dopo la mia risposta mi invita a cena da lui, pregandomi di accettare. Di sera i leggendari ponti sul fiume Zayandeh brulicano di giovani, ovunque picnic e cene improvvisate, masse di persone si spostano in cerca di frescura verso il fiume.
Come a Teheran, dopo la chiusura dei negozi e del bazar la città in pochi minuti si svuota e si spegne: in tutto l’Iran non esistono locali notturni, le strade verso mezzanotte sono completamente deserte, solo il richiamo dei muezzin alla preghiera notturna attira persone. Mi accodo a un gruppo di fedeli ed entro in una moschea per il rito notturno: in una atmosfera di devozione totale i fedeli seguono la litania del muezzin, alla prima interruzione uno di loro si avvicina per offrirmi dolcetti e tè, invitandomi a dormire nella moschea!
Il giorno seguente mi dirigo in autobus verso Yazd, antichissima città situata tra i due più grandi deserti dell‘Iran, impreziosita da un enorme centro storico costruito interamente con mattoni di fango essiccati e molto ben preservato (a questa città si riferisce la foto di apertura dell’articolo). Qui l’atmosfera diventa fiabesca, la vita serale si svolge sui tetti delle case, riadattati a bar e ristoranti, ovunque moschee e minareti che si ergono sopra il centro città. Particolarità unica sono i badgir, le torri del vento costruite per catturare le brezze e rinfrescare l’interno delle case, un sistema di condizionamento naturale e antichissimo che disegna una selva di torrette sulla cima delle case.
Solo ora si inizia a sfruttare l’enorme potenziale turistico di questa perla dell‘Iran, turismo che potrebbe anche distruggere il fascino antico di queste zone che si stanno lentamente aprendo al mondo, con tutte le implicazioni che questo comporta.
Yazd inoltre è il centro dello zoroastrismo iraniano, la religione preislamica della Persia, substrato ancora vitale nella cultura del paese. In pieno deserto, a un’ora da Yazd, su una montagna a picco su bollenti pianure, si erge Chak Chak, luogo mitico per i fedeli zoroastriani di tutto il mondo, dove brucia la fiamma perenne del Tempio del Fuoco, rifugio-simbolo dopo l’invasione araba del 637 d.C.
Abbandono a malincuore Yazd e dopo 7 ore di viaggio in confortevole autobus raggiungo Shiraz, altra millenaria città, culla della cultura persiana. Situata su un altopiano ad oltre 1000 metri sul livello del mare, capitale della Persia fino al 1789, deve la sua fama alla sfavillante architettura e alla letteratura, essendo sede delle sepolture di Hafez e di Sa’di, due dei massimi poeti persiani di ogni tempo.
Trafficata, piena di negozi, caotica in alcune zone, la città si sviluppa attorno all’enorme e labirintico bazar e pulsa di vita nelle vie attorno all’Aramgah-e Shah-e Chaeragh, un meraviglioso santuario con moschea illuminata da migliaia di specchietti verdi, dedicato ad uno dei 17 fratelli dell’imam Reza.
Vagando di sera per il centro cittadino si avverte ovunque benevolenza verso lo straniero e il turista. Shiraz, come ogni altra città iraniana, è totalmente sicura per il visitatore, spesso si viene avvicinati da persone curiose di capire da dove vieni, spesso lo straniero viene invitato a condividere il cibo nei chioschi cittadini.
In un mercatino notturno scambio monete con alcuni collezionisti del posto, mi rendo conto che molti di loro sono afghani: il loro numero in Iran è enorme, nel corso di alcuni decenni in milioni si sono rifugiati qui, fuggendo dal paese di origine. Inoltre il dari, la lingua maggioritaria dell’odierno Afghanistan, è affine al farsi iraniano, segno della profonda affinità culturale tra i due paesi.
Da Shiraz volo verso Teheran, poi mi dirigo verso il nord-ovest del paese con un savari, sorta di taxi collettivo che parte da un desolato parcheggio alla periferia di Teheran. Oltrepassata la città di Qazvin si entra nella regione del Gilan: qui cambia completamente il panorama.
Dalle pianure desertiche dell’Iran centrale si arriva a zone collinari e montuose ricoperte di vegetazione, ovunque piantagioni di tè: questa zona è ancora totalmente fuori da ogni flusso turistico, rarissimi gli stranieri se non qualche isolato amante del trekking che si avventura nella Valle degli Assasini, impervia e affascinante zona tra Qazvin e le sponde meridionali del mar Caspio.
Raggiungo Rasht, capoluogo del Gilan, storicamente lontana dal potere centrale prima persiano e poi iraniano. Sottomessa per alcuni periodi alla Russia degli zar, la città fu sede di una rivolta di stampo filosovietico nel 1917, arrivando nel 1920 a fondare la Repubblica Socialista Sovietica dell’Iran, originale esperimento politico represso dopo pochi anni dallo Scià Reza Pahlavi.
Muovendomi per queste regioni, visitando Bandar-e Anzali sul mar Caspio, la città di Fuman e il vicino villaggio storico di Masuleh (invaso da turisti iraniani per il weekend) colgo la grande diversità regionale dell’Iran. Questo paese viene raccontato come un monolite, senza cogliere le grandi differenze tra le varie zone interne che lo compongono: basti pensare che sono almeno sei i popoli principali dell’Iran e i persiani costituiscono “solo” il 60% della popolazione. Nel nord-ovest del paese vivono 16 milioni di azeri (Armenia e Azerbaigian fino al 1834 appartenevano alla Persia) e 7 milioni di curdi; nelle zone meridionali alcuni milioni di arabi e i lur, popolazione ancora oggi in parte nomade; nella parte sudorientale i baluci, storicamente riottosi verso il potere di Teheran e affini ai pakistani.
Per la complessità che lo attraversa, l’Iran attuale, centro del mondo sciita, legato per motivi storici e culturali a numerosi altri paesi (Azerbaigian, Armenia, Afghanistan, Iraq, Yemen, Turkmenistan), risultato di un processo storico millenario, deve essere considerato una delle nazioni decisive per comprendere senza preconcetti lo stato del mondo attuale.
Tornando in autobus da Rasht a Teheran mi accorgo di aver lasciato in albergo il portafoglio con alcune centinaia di euro: telefono immediatamente spiegando la mia dimenticanza, convinto ormai di aver perso i miei soldi. Il proprietario dell’albergo mi richiama e, in uno stentato inglese, mi dice che ha trovato il portafoglio nella mia camera e lo manderà con il prossimo autobus per Teheran. Dopo alcune ore, in un ufficio postale nell’autostazione di Teheran, mi viene consegnato un pacchetto: all’interno il mio portafoglio, le banconote e un biglietto di ringraziamento per essere stato loro ospite a Rasht.
Questo toccante gesto conferma le convinzioni maturate durante il viaggio: il popolo è l’aspetto migliore di questo meraviglioso e contraddittorio paese.