Un memowalk a Cesena sulle tracce dei rifugi antiaerei: da una tesi in restauro architettonico a percorso della memoria

Al termine di una guerra ogni collettività sente spesso il bisogno di dimenticare, come se il peso di quanto accaduto fosse un ostacolo al desiderio di ricominciare: l’esigenza primaria della comunità è di proiettarsi nel futuro, rimuovendo il ricordo doloroso del passato, e tornare a una pacifica convivenza tra cittadini − i quali, in molti casi, si erano scontrati fino a un attimo prima combattendo sotto opposte bandiere.

In Italia al termine della Seconda guerra mondiale un esempio tangibile di questa necessità è rappresentato dall’ordine di smantellamento della quasi totalità dei rifugi antiaerei, non solo per il recupero dei materiali da costruzione, ma soprattutto per cercare di eliminare la testimonianza di un periodo storico in cui aleggiavano paura e sofferenza. È così che nel dopoguerra i rifugi antiaerei collocati nei sotterranei degli edifici hanno spesso trovato nuovi utilizzi cambiando la loro conformazione e identità, altri, invece, sono rimasti abbandonati perché nascosti e lontani dall’interesse pubblico, ma conservando per questo quasi inalterato il proprio impianto costruttivo. La memoria di tali siti è rimasta nascosta per svariati anni: a Cesena ad esempio, come in tante altre città, sono state cancellate dai muri persino le segnaletiche che indicavano l’ingresso dei rifugi, fatto che rende attualmente impossibile l’identificazione degli edifici che hanno permesso il riparo di migliaia di persone.

Paradossalmente, però, il passare del tempo non cancella completamente il ricordo dell’accaduto, ma anzi ciò è in qualche misura indispensabile, affinché si generi una sorta di distanza utile a consolidare la memoria collettiva senza quel coinvolgimento diretto che la rendeva intollerabile. Lo scorrere del tempo consente quindi un confronto più consapevole con quelle memorie.

Dunque anche la ricerca accademica effettuata per la tesi di laurea trae origine dal desiderio di ricordare gli anni della guerra e il passaggio del fronte a Cesena nella giusta distanza di una prospettiva storica; di riaccendere la memoria collettiva; di ricostituire un legame tra due eventi traumatici quali la Prima e la Seconda guerra mondiale.

Il Parco della Rimembranza e l’accesso solenne ad esso attraverso il Monumento ai Caduti (inaugurato per commemorare i soldati cesenati che hanno sacrificato la propria vita durante la Prima guerra mondiale) e il più grande rifugio antiaereo pubblico per la popolazione di Cesena (costruito sotto quello stesso Parco della Memoria) sono testimonianze conviventi del passaggio dei due conflitti mondiali, che tuttavia oggi costituisco solo frammenti sconnessi e quasi non più attribuibili alla comune matrice bellica. Basti pensare che, nonostante il Monumento ai Caduti e il rifugio antiaereo sotto il colle della Rocca si trovino sullo stesso livello delle mura, percorrendo viale Mazzoni si nota solo l’accesso del parco, mentre gli archi d’ingresso del ricovero, addossati alle mura del parco stesso, passano inosservati e rendono il rifugio sconosciuto alla maggior parte dei cesenati. Il passante non ha più la capacità di leggere tali manufatti, o quantomeno riconoscerli nella quotidianità, e il loro destino si riduce alla progressiva cancellazione dalla memoria della collettività. È importante dunque trovare un sistema di valorizzazione e di riutilizzo che attiri l’interesse, poiché l’abbandono di questi luoghi porterebbe alla loro perdita.

L’analisi, nata come tesi di laurea in Restauro dell’architettura dal titolo La memoria della guerra a Cesena. Strategie per la valorizzazione del Parco della Rimembranza e del sistema dei rifugi antiaerei, si mostra fin dall’inizio orientata a fornire un lascito alla città di Cesena attraverso i progetti di manutenzione e rievocazione storica del Parco della Rimembranza (oggi entrambe carenti), e un percorso teorico che vede la propria trasposizione fisica in un tracciato all’interno della città. L’obiettivo è quello di ricongiungere le parti che compongono l’insieme, creando nello specifico una connessione tra i rifugi antiaerei dislocati nel centro storico, così come tra il rifugio sotto il colle della Rocca Malatestiana e il soprastante Parco della Rimembranza, oltre alla valorizzazione di questo parco pubblico d’importanza culturale e storica. La creazione di un sistema unitario mancante all’interno della città permetterebbe di catalogare, conservare e rendere fruibili i luoghi che raccontano una storia, che non si limitano a fornirne una documentazione astratta, ma che si sommano a essa in maniera concreta tramite la redazione del censimento dei rifugi antiaerei progettati a Cesena tra il 1936 e il 1944, la compilazione delle relative schede descrittive e la comprensione della storia e dell’evoluzione del parco.

Il punto di partenza d’obbligo è, dunque, proprio il rifugio antiaereo sotto il colle della Rocca Malatestiana che rappresentava per Cesena, e rappresenta tuttora, uno dei rifugi pubblici di maggior interesse e capienza, e che, nonostante ciò, attualmente rimane sconosciuto e nascosto alla maggioranza della popolazione. L’autenticità di questo sito gli conferisce una potenzialità importante, in quanto contenitore di «tracce autentiche del passato» (Patrizia Violi, Paesaggi della memoria. Il trauma, lo spazio, la storia, Milano, Bompiani, 2014, p. 89), che può spingere la curiosità delle persone a voler conoscere il luogo fisico in cui si svolgevano determinate vicende. Questa considerazione fissa un punto importante del progetto proposto, ossia quello di intervenire marginalmente e in modo da distinguere chiaramente la storia dalla contemporaneità: il trauma viene affrontato come momento del passato che ha avuto una conclusione, attraverso un progetto di conservazione del sito e minimi interventi puntuali di consolidamento.

Per effettuare al meglio un lavoro su così vasta scala è indispensabile, però, prendere in considerazione ciascuna fonte pervenuta: ecco dunque che le ricerche nell’Archivio comunale di Cesena, negli Archivi di Stato di Cesena e di Forlì, presso la divisione antica della Biblioteca Malatestiana e la Soprintendenza di Ravenna, così come le interviste alle figure che nella loro vita si sono appassionate al tema, fino al sopralluogo vero e proprio dei siti ancora oggi visitabili, forniscono i numerosi tasselli di un vasto mosaico.

Ogni ricerca acquisisce un senso vivo e attivo quando conosce una sua diffusione ed entra in un dibattito e in processo di conoscenza e consapevolezza pubbliche. Pertanto, nella speranza che lo studio e il progetto proposti possano divenire, almeno in parte, uno strumento da cui la comunità tragga beneficio, è in fase di pubblicazione un percorso nel centro storico di Cesena volto ad accompagnare i visitatori ad addentrarsi nella città. Si inserisce nel progetto Resistenza mAPPe (http://resistenzamappe.it/), ben più ampio e rilevante a livello regionale e curato dagli Istituti Storici dell’Emilia-Romagna in Rete, che propone itinerari turistico-culturali all’interno dei capoluoghi di provincia, per ricordare e celebrare i luoghi e gli eventi della Seconda guerra mondiale e della Resistenza. Il percorso diventa motivo di attrazione per differenti interessi, offrendo la possibilità di cogliere gli aspetti della quotidianità della vita cittadina attuale attraverso una passeggiata che percorre le piazze, le strade, i viali e il “polmone verde” della città. Ma i dieci siti da visitare, differenti tra loro per proprietà, origine, funzione e storia, risultano connessi dal tema della memoria della guerra e sono uniti ancora più saldamente da un unico filo conduttore: la salvezza dei civili, le principali vittime della violenza del passaggio del conflitto bellico.

Cesena, infatti, è riuscita a custodire luoghi significativi per la memoria collettiva, e un esempio brillante di ciò è la Chiesa di Santa Cristina, prima fermata del percorso della memoria, progettata dall’architetto Giuseppe Valadier nei primi anni dell’Ottocento e voluta dal Papa cesenate Pio VII Chiaramonti. Durante la Seconda guerra mondiale la sua cripta ha offerto riparo dai bombardamenti aerei alleati a circa duecento persone e oggi risulta una delle chiese più suggestive della città, un piccolo pantheon per la sua pianta circolare sormontata da una cupola decorata a cassettoni con un occhio centrale. La chiesa si trova in Contrada Chiaramonti, viale storico quasi interamente delimitato da palazzi nobiliari, i quali custodivano ciascuno un rifugio antiaereo nello scantinato.

Anche la Chiesa dell’Osservanza è motivo di orgoglio della comunità: rimasta ben conservata fino a oggi, fu costruita nella seconda metà del Quattrocento per volere di Domenico Malatesta detto Malatesta Novello. Gli ambienti della chiesa sono stati utilizzati durante gli anni della guerra per accogliere i rifugiati in fuga dai bombardamenti, mentre le suggestive catacombe e il campanile fungevano da rifugio antiaereo per circa duecento persone in totale. In circostanza delle ultime incursioni aeree prima della liberazione di Cesena, il 20 ottobre 1944, la parrocchia fu colpita dai bombardamenti degli Alleati, così come la Chiesa di San Rocco, che aveva messo a disposizione il campanile per offrire riparo. La torre campanaria, infatti, era particolarmente adatta a questo uso, a ragione dell’elevato spessore dei muri e dell’esigua area occupata.

Nell’estate del 1944, per tentare di ostacolare la fuga delle truppe tedesche, i bombardamenti degli Alleati si concentrano sul Ponte Vecchio colpendo anche l’adiacente borgo di San Rocco e la chiesa, di cui oggi rimane solo il campanile.

Tra quelle esistenti attualmente Cesena può vantare anche la quattrocentesca Cattedrale di San Giovanni Battista, il Duomo di Cesena, che durante la guerra accoglieva circa cento persone all’interno del campanile e nell’ambiente sotto l’altare dell’allora sala capitolare, oggi demolita. La sua importanza durante gli attacchi aerei è da attribuirsi in parte alla sua campana, che veniva suonata insieme a quella di altre chiese e alle sirene delle industrie in caso di allarme, come ausilio alla sirena principale della città. Quest’ultima era posizionata sulla torre del vicino Palazzo del Ridotto, proposto appunto come una sosta all’interno del percorso, e suonava in caso di possibile incursione aerea e di cessato pericolo (la fotografia che apre questo articolo è relativa proprio alla sirena di allarme sulla torre del Palazzo del Ridotto ed è tratta da Otello Amaducci, a cura di, 1944-1945. Il passaggio del fronte a Cesena, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2007).

Tra gli obiettivi dei raid aerei annunciati dalla sirena, va menzionata l’Abbazia di Santa Maria del Monte, che ha subito gravi danni. I bombardamenti affrontati nel mese di ottobre sono stati causa di sconforto per le settecento persone rifugiate negli scantinati e nella galleria, oggi non più visitabile, scavata a diciotto metri sotto terra e con ingresso nel sotterraneo. A essere protetti nei sotterranei erano anche i libri della Biblioteca Malatestiana, lì custoditi da maggio 1944 nella convinzione che l’abbazia non avrebbe subito bombardamenti.

Preventivamente i libri più preziosi erano stati portati nel modenese all’inizio del conflitto poiché la Biblioteca Malatestiana non era in grado di custodirli tutti. I quattro ricoveri in sua prossimità, infatti, erano destinati agli studenti e al corpo docente del Liceo Ginnasio “Vincenzo Monti” e della Scuola di Avviamento commerciale, per un totale di circa cinquecento posti. È proprio per la presenza dei due istituti accademici che la Biblioteca Malatestiana, voluta da Malatesta Novello a metà del XV secolo, negli anni della guerra veniva chiamata Palazzo degli Studi.

Oltre a concentrarsi su palazzi storici, il percorso si addentra anche nei Giardini pubblici della città (che dovevano offrire riparo agli alunni della Scuola industriale professionale “Ivo Oliveti” tramite la costruzione di tre ricoveri) e concede viste panoramiche in prossimità del Foro della Diavolessa. Tale galleria urbana ospitava circa cinquecento persone grazie al ricovero costruito al suo interno, tramite la sola tamponatura delle estremità con sacchi di sabbia. In occasione dei bombardamenti del 27 settembre 1944, molti civili hanno trovato la morte al suo interno, altri sono rimasti feriti e il tunnel è stato parzialmente distrutto: sono ancora oggi visibili in cima all’arco i segni dei proiettili.

Sebbene i manufatti appena citati siano di grande valore storico-culturale, il fulcro cittadino della memoria dei due conflitti è viale Mazzoni: il ricovero che vi si affaccia è l’unico rifugio antiaereo pubblico a galleria, costruito ex-novo nel 1944 dall’ingegnere capo del Comune Mario Tellerini, e vanta una capienza maggiore di tutti gli altri, perché in grado di proteggere ottocento persone. A causa dei suoi ingressi imitativi del muro di contenimento del Parco della Rimembranza, progettati mimetici proprio con l’intento di risultare invisibili agli occhi dei bombardieri del cielo, attualmente rimane ignorato dalla maggioranza dei passanti e viene aperto solo in occasione di eventi culturali, per evitare che la memoria di un simile manufatto venga persa totalmente. La sua importanza è accentuata, come si è detto, dalla presenza del soprastante Parco della Rimembranza, manufatto della Prima guerra mondiale, all’interno del quale termina il camino di aerazione del rifugio.

Non c’è da stupirsi se parte dei siti memoriali citati risulta oggi non valorizzata o sconosciuta: nel momento in cui si parla di memoria bisogna tenere in considerazione che essa si basa sulla «stratificazione di tempi asincronici strutturati su tre piani diversi: il tempo dell’evento, quello dell’istituzionalizzazione della memoria ufficiale e quello dell’elaborazione culturale di quel passato» (Violi, Paesaggi della memoria, cit., p.78). Nonostante dunque che la comunità sia da tempo pronta a condividere il trauma, da parte dell’ente pubblico può però mancare l’accordo sulle forme rievocative. Il progetto che si propone in questo ambito, una passeggiata fuori dal tempo nel centro di Cesena, rispecchia la possibilità di realizzare un percorso concreto senza la necessità di attuare onerosi interventi, dando nuova vita al ricordo rimasto quasi sbiadito e assicurando un lascito importante per l’identità della comunità.