C’era una volta il teatro politico. Prima del teatro civile di Paolini e Celestini, prima di Dario Fo e del Living Theatre, prima di Piscator e del teatro didattico di Brecht; c’era una volta, anche in Italia, un teatro-apologo di sentimenti e lotta di classe. Non un teatro che sceglie come oggetto argomenti di attualità – come accade ancora oggi, e anzi sempre più spesso – ma la politica viva che compie un gesto teatrale. Un teatro a tesi, non privo di una sua purezza perché schiettamente popolare e idealmente rivoluzionario; un teatro, però, adolescente dal punto di vista estetico, anche perché a scriverlo non furono tanto drammaturghi di professione, quanto attivisti politici in cerca di un linguaggio diretto per rivolgersi alle masse.
Mettiamo a fuoco il contesto. Siamo a fine Ottocento: in seguito al processo di unificazione nazionale, con l’emergere della società di massa e la nascita dei partiti moderni, i lavoratori dei campi, delle fabbriche, delle risaie, delle miniere, cominciano a organizzarsi. Nell’area padana, dove il lavoro bracciantile è più diffuso, si formano le prime leghe e si fa più forte la richiesta non soltanto di migliori condizioni di lavoro ma anche dell’allargamento dei diritti di cittadinanza. All’afflato mazziniano subentra pian piano l’ideale socialista, fino alla fondazione, nel 1892, del Partito dei Lavoratori – divenuto poi, nel 1893, Partito socialista dei lavoratori italiani e nel 1895 Partito socialista italiano. Nella fervente stagione politica e sindacale dei primi anni del Novecento, si fanno strada anche diverse donne, devote al socialismo ma agguerrite pure sul fronte della “questione femminile”, avanzando richieste che vanno dal miglioramento delle condizioni di vita delle lavoratrici alla rivendicazione del diritto di voto.
La più nota attivista del tempo è certamente Anna Kuliscioff, mentre resta oscuro ancora a molti il nome di Argentina Altobelli. Come si legge nella scheda biografica redatta da Fiorenza Tarozzi per la Fondazione che prende il suo nome, Argentina è nata a Imola nel 1866, si trasferisce a Bologna nel 1873 a casa degli zii e nel 1881 a Parma, per iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza. Qui entra in contatto con gli studenti mazziniani, ma, raccontano le sue memorie: «… l’opera di Andrea Costa appariva alla mia mente più audace e complessa e più rispondente alla realtà che non la dottrina idealistica di Giuseppe Mazzini». Con la prima conferenza pubblica, pronunciata nel 1884 presso il Circolo mazziniano di Parma, inizia la sua attività sindacale. Il matrimonio non la fermerà, anzi: il marito la appoggia e si occupa dei figli, cosa che le permetterà di continuare la sua opera anche a livello internazionale.
Argentina, dunque, diviene attiva propagandista nella difesa dei diritti dei lavoratori, nella diffusione delle idee socialiste e nell’emancipazione delle donne: il problema della condizione femminile si innesta sulla questione operaia, e viceversa:
«Io sentii allora, come una missione, il dovere di contribuire alla elevazione del lavoro intendendo non solo la conquista di orari più umani, di salari più equi, di abitazioni civili, ma anche il riconoscimento di un maggiore rispetto alla vita per chi lavora. Soprattutto sentivo che il socialismo voleva dire elevazione della donna e per prima cosa della donna dei campi». Donne spesso analfabete, «non per colpa loro, ma per le tristi condizioni della loro classe, che le obbligano al lavoro fin dalla tenera età in cui, senza quella costrizione della miseria, avrebbero potuto recarsi a scuola; analfabete, per colpa della borghesia, che le sfruttò fin da fanciulle per tener bassi i salari agli uomini; analfabete, per colpa del governo e dei municipi, che mantengono troppe poche scuole rurali, e nemmeno alle poche facilitano la frequenza con la refezione scolastica» (Il voto alle donne, “La Squilla”, 1906).
Argentina Altobelli si occupò in particolare di promuovere la creazione di leghe fra i lavoratori della terra del Bolognese, attività che le fece acquisire visibilità e autorevolezza e la portò a partecipare, nel 1901, al congresso di costituzione della Federazione nazionale dei lavoratori della terra, a Bologna, in qualità di rappresentante della Lega dei contadini di Malalbergo. Della Federterra divenne poi segretaria, carica che mantenne fino allo scioglimento dell’organizzazione a opera del regime fascista.
Nel materiale d’archivio che la riguarda, tra gli appunti e i carteggi (con Andrea Costa, con il marito Abdon e altri ancora), tra i discorsi, spesso riportati da “La Difesa della Lavoratrice” – il giornale fondato dalla Kuliscioff al quale collaboravano le migliori penne del socialismo italiano –, sbuca anche qualcosa di inatteso: un piccolo testo teatrale, recentemente estratto dalla polvere degli archivi e pubblicato in appendice al libro di Elisabetta Palumbo, Se otto ore vi sembran poche… Donne nel sindacato agricolo in Italia (1904-1977).
La pièce si intitola La zappa sui piedi. Scena campestre in un atto. Il manoscritto più antico (1897) è depositato presso la Biblioteca di Imola, mentre la versione più recente delle due copie conservate nell’Archivio romano della FLAI è datata 29 marzo 1900. Le diverse stesure – divergenti solo in alcune scelte dialettali e qualche battuta – testimoniano di una certa cura riservata da Argentina a questo piccolo testo, che pure non fu mai messo in scena.
Nel 2013, la FLAI CGIL, insieme alla Fondazione Argentina Bonetti Altobelli, ha deciso di celebrare la figura della sindacalista organizzando un primo allestimento dello spettacolo e una mostra dal titolo Con il passo dei più deboli. Il 28 settembre 2013 a Imola, città natale di Argentina, La zappa è dunque andata in scena per la prima volta. Lo spettacolo è stato diretto da Donatella Allegro e interpretato da Lorenzo Ansaloni, Irene Guadagnini, Alessandro Migliucci, Claudio Tombini e la stessa Donatella Allegro. Le musiche, scelte dal repertorio della canzone popolare e politica del tempo (tra le altre, l’Inno dei lavoratori di Filippo Turati e l’Inno dei lavoratori del mare di Pietro Gori), sono state eseguite dal vivo da David Sarnelli che, novello pifferaio, ha traghettato il pubblico dalla sala in cui era allestita la mostra al luogo scelto per lo spettacolo, il parco Verziere delle Monache. Mostra e spettacolo, insieme a un’ampia documentazione iconografica, interviste e materiali altri, sono poi stati citati e parzialmente riproposti all’interno del film Formiche erranti… sulle terre di Argentina, diretto da Paolo Di Nicola e prodotto dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e dalla stessa FLAI (trailer).
Perché, tra le tante azioni e lotte compiute da Argentina, valorizzare proprio un piccolo testo teatrale? Partiamo dalla semplice trama. La zappa sui piedi racconta uno spaccato di vita nei campi: la scena si apre su Maso, mezzadro al servizio del Signor Prospero, angosciato per i magri raccolti del suo piccolo podere e sofferente per la rivalità con i vicini “del Melo”:
Maso – Senta, signor padrone, sono un ignorante ma di terra me ne intendo quanto quei del melo, e ci ho una pietra sullo stomaco a sentirmi sempre dire: quei del melo arano meglio… seminano meglio… curano meglio le viti… fanno meglio… Il diavolo che li porti.
Prospero – È vero, ed io lo voglio dire finché mi pare e piace. Avete capito? […]
Maso – Come ho detto, so io se questa terra (battendo il suolo con la zappa) è meno grassa e più cattiva di quella là (segnando), non fanno fatica… no… a dar quello che le danno, sono un galantuomo e non so darle a intendere, ho tutte le sgridate.
Prospero – Lasciate un po’ stare quei del melo e parlate per conto vostro.
Maso – Non glielo tocco, no, ma… Se li volessi toccare.
Invidioso dei suoi confinanti e convinto che questi vogliano usurpare anche il suo terreno, Maso accusa i vicini del furto di un bue. Sua moglie Rosa e la moglie del vicino sanno che il ladro è in realtà il figlio di Maso stesso, ma non riescono a impedirgli di portare fino in fondo l’accusa. E così Maso, che fa guerra ai vicini nella speranza di attirarsi la benevolenza del padrone, finisce per denunciare, indirettamente, il suo stesso figlio. Dandosi, come recita il titolo, la zappa sui piedi. «Lui ladro… io spia!» conclude il protagonista, disperato.
Lo spettacolo è stato allestito all’aperto, in modo essenziale ma realistico: abiti contadini, attrezzi di lavoro, il dialetto tipico delle campagne emiliane, sebbene sufficiente addomesticato per essere comprensibile a tutti. Il testo è stato mantenuto integro in tutte le sue parti, sfidando il rischio della naïveté: d’accordo con la FLAI, tenuto anche conto che si trattava di una prima rappresentazione assoluta e che la durata era molto contenuta, si è scelto di proporre il testo nella sua forma originaria, persino con rispetto delle (poche) didascalie.
La zappa sui piedi ritrae un mondo contadino semplice e umano, evidentemente pre-sindacalizzato, privo di strumenti materiali e intellettuali utili ad affrontare le ingiustizie padronali perché privo di coscienza di classe e incapace di solidarizzare al suo interno. Si tratta di un testo breve, spesso ingenuo ma efficace, dallo straordinario valore documentario, che testimonia l’impegno pedagogico, sfaccettato e originale, della Argentina propagandista, la stessa che scrive una veemente e persuasiva Lettera alle krumire, e che esorta le donne per prime a essere artefici della propria liberazione. Così scriverà nel 1936 nelle sue memorie, poi interrotte: «Il fuoco sacro ardeva sempre in me contro i pregiudizi e le superstizioni che incatenavano il cuore e la mente della donna, e cercavo il mezzo di manifestare il mio pensiero e fare qualcosa che poteva essere utile alla partecipazione delle donne alle opere civili, oltre a quelle famigliari».
Dai dialoghi della pièce teatrale, semplici ma accesi, con qualche sfumatura dialettale, emergono dettagli della vita mezzadrile (il cambio di podere il primo maggio, l’importanza di avere della terra di buona qualità…) e, soprattutto, il mondo che Argentina Altobelli intendeva rivoluzionare, quello che ben descriverà al Congresso Internazionale dei lavoratori della Terra ad Amsterdam, nel 1920: «non più il servo umilissimo obbediente ai valori assoluti del padrone che doveva persino dare il consenso ai matrimoni della famiglia, che imponeva lavori estranei alla agricoltura e usurpava regalie a tutto danno dei contadini ma il contraente che tratta, che discute, che esprime il proprio parere tecnico sul funzionamento della azienda agricola, in quanto in essa ha investito tutti i propri interessi e da essa trae le ragioni della propria resistenza».
Tuttavia, La zappa sui piedi non testimonia solo il grande l’impegno pedagogico della sindacalista, ma anche qualcosa di più sottile e inatteso: l’importanza del teatro come mezzo di persuasione in un tempo di grandi lotte sociali. Per Argentina La zappa fu un unicum, ma tra le carte custodite presso la Biblioteca di Imola si trova un altro prezioso indizio di interesse teatrale: l’edizione del 1902 della commedia La vispa Teresa. Bozzetto poetico in un atto, scritto da Pietro Chiesa. Scrive Andrea Costa nella prefazione:
La vispa Teresa
avea fra l’erbetta
al volo sorpresa
gentil farfalletta.
Chi non lo ricorda l’apologo gentile della nostra fanciullezza? Ma chi l’avrebbe detto, allora, che la vispa fanciulla, corrente pei campi a sorprendere le farfalle diventerebbe un giorno la giovane socialista, parlante il linguaggio della pietà e del diritto, capace di convertire il babbo conservatore e la sposa di Dio e di far scappare i preti?
Anche in questo caso si tratta dell’opera non di un letterato puro ma di un politico: organizzatore del sindacalismo genovese, tra i promotori delle Camera del Lavoro di Sampierdarena e Genova, fondatore del quotidiano “Il lavoro” e poi deputato socialista in Parlamento, Chiesa fu autore di diversi testi per il teatro, tra cui, appunto, La vispa Teresa. Contribuì anche alla fondazione di due teatri genovesi, uno dei quali, l’Arte drammatica, doveva divenire un vero e proprio “teatro socialista”. La prima stesura de La vispa Teresa risale al 1895, mentre quella posseduta da Argentina è una ristampa del 1902 (il che attesta un discreto successo dell’opera).
Se si tiene conto che la prima versione de La zappa è del 1897, pare assai probabile che Argentina avesse almeno un ispiratore nell’utilizzare il teatro per la causa della propaganda socialista. Una tradizione che anni dopo vedrà il tentativo di un’ulteriore, più sistematica applicazione nel tentativo di creare un Teatro del Popolo, auspicato per la prima volta nel corso del Congresso della Lega dei comuni socialisti, tenutosi a Milano fra il 16 e il 18 ottobre 1919 dal segretario della Lega, l’onorevole Antonio Campanozzi. L’ispirazione veniva certamente, oltre che da sporadiche edizioni come quelle citate, da esperienze come quella della tedesca Volksbüne promossa intorno a fine Ottocento dalla SPD, al cui interno si formarono, tempo dopo, Erwin Piscator e lo stesso Bertolt Brecht.
E così il cerchio si chiude, senza una vera, netta, distinzione tra il socialismo che si serve del teatro e il teatro che sposa il socialismo. A durare saranno, inevitabilmente, le forme esteticamente e formalmente più avanzate, ma per ripercorrere questa storia è stato utile, come spesso accade, un tuffo negli archivi.
Bibliografia
AA.VV., Con il passo dei più deboli, Bologna, Fondazione Argentina Bonetti Altobelli, Cgil Emilia-Romagna, Editrice Socialmente, 2010.
Argentina Altobelli, Un alito di vita nuova. Scritti 1901-1942, saggio introduttivo di Silvia Bianciardi, Roma, Ediesse, 2010.
Mario Canalini (a cura di), Argentina Altobelli. Episodi di vita di una donna battagliera, Forlì, Editrice Sindacale Romagnola, s.d. Ristampato in occasione del 3° Congresso nazionale Flai Cgil, Roma 21-23 gennaio 2002 – Centenario Federterra Flai 1901-2001.
Pietro Chiesa, La Vispa Teresa. Bozzetto poetico in un atto, con prefazione di Andrea Costa, 2a edizione, Sampierdarena, Tip. Melcon Bernardo e Figlio, 1902 (ed. digitale su: https://www.liberliber.it/online/autori/autori-c/pietro-chiesa/la-vispa-teresa/).
Nadia Ciani, Fuori da un secolare servaggio.Vita di Argentina Altobelli, Roma, Ediesse, 2011.
Gianni Isola, Teatro del popolo. La scena socialista del 20-22, “Belfagor”, vol. 41, n. 4, 31 luglio 1986, pp. 447-454.
Elisabetta Palumbo, Se otto ore vi sembran poche… Donne nel sindacato agricolo in Italia (1904-1977), Roma, Ediesse, 2012.
Fiorenza Tarozzi, “Argentina Bonetti Altobelli”, Biografie di sindacaliste emiliano-romagnole (1880-1980), http://www.fondazionealtobelli.it/?post_type=biografia&p=1621.