Il turismo tra memoria del passato e immaginazione del futuro

1. Introduzione

Riflettere sul turismo è anche un modo per riflettere sulle località (borghi, città, territori, forse anche intere nazioni) che lo ospitano e sulle comunità che le vivono. Si tratta di una riflessione che può guardare indietro, per approfondire la storia che ha portato una certa località a essere la località che è ora, o che può guardare avanti, per pensare a come sarà quella località tra 10, 20, 50 o 100 anni (o anche più). In breve: il turismo offre alle località l’occasione per assimilare il proprio passato e per immaginare il proprio futuro, e in definitiva per costruire (o ricostruire) la propria identità.

In questo scritto voglio discutere alcune questioni etiche legate a questi due tipi di riflessione. In particolare, nel secondo paragrafo, mi soffermerò sulla dimensione prospettica del turismo e cercherò di chiarire come la contesa tra turisti e abitanti che uno sviluppo turistico senza limiti favorisce ponga una questione più generale su quale sia il significato che deve essere attribuito ai luoghi. Nel terzo paragrafo mi concentrerò invece sulla dimensione retrospettiva; proverò pertanto a sviluppare alcune considerazioni su come ci si debba relazionare col passato delle singole località, soprattutto quando questo passato non è esattamente qualcosa di cui andare fieri e nonostante questo – o a volte proprio per questo – esso diventa causa prima dell’interesse e dei flussi turistici.

Il mio punto generale è che lo sviluppo turistico, se condotto all’interno di una prospettiva di turismo responsabile1, non possa prescindere da questa duplice riflessione. Anche l’esito della riflessione è duplice: da un lato, serve un’adeguata programmazione del futuro, che non deve dunque essere semplicemente lasciato accadere; dall’altro, occorre una appropriata comprensione del passato, che non deve quindi essere rimosso ma nemmeno accettato a prescindere.

 

2. Immaginarsi il futuro nell’epoca dell’overtourism

Tipicamente è il primo aspetto, il guardare avanti, che prevale nei discorsi sul turismo; il problema è però che questo accade raramente in forma riflessiva. Che si debba puntare sullo sviluppo turistico è infatti divenuto un refrain ripetuto ossessivamente quasi ovunque, e qualsiasi mezzo che – a torto o a ragione – si ritiene possa favorire questo obiettivo diventa per ciò stesso buono; la bontà del fine “sviluppo turistico”, in sostanza, si riverbera sui mezzi che si pensa consentano di perseguirlo. Insistere però sullo sviluppo turistico senza porsi un problema di “limite” significa rinunciare a misurarsi con quei problemi di sostenibilità che da tempo sono entrati nel dibattito sullo sviluppo tout court2. Nello specifico, l’arrivo di enormi quantità di persone che abitano temporaneamente certi luoghi e usufruiscono dei servizi che in quei luoghi vengono erogati genera quantomeno una competizione con gli abitanti residenti per quei luoghi e quei servizi3. Si tratta di una competizione la cui gestione è assai complicata, perché troppo diverse sono le esigenze che caratterizzano queste due diverse forme dell’abitare, quella temporanea dei turisti e quella permanente dei residenti4.

Al di là di alcuni episodi di insofferenza di cui ha dato conto la cronaca negli ultimi tempi, il problema è noto da tempo agli studi sul turismo. Possiamo al riguardo menzionare il caso di Los Santos, sull’isola di Tenerife5. Fino al secondo dopoguerra, era un piccolo paese di pescatori, completamente tagliato fuori dal mondo; poi arrivò un anziano veterinario svedese, che fu conquistato dal luogo e decise di trasferirsi lì a vivere gli anni della pensione. Dopo poco tempo, egli convinse altri svedesi a unirsi a lui, e tutti assieme nel 1957 presero in affitto una casa, che fu ribattezzata “Casa Sueca” (Casa svedese, in spagnolo). Per venire incontro alle loro richieste, alimentari e non solo, furono creati nuovi servizi e a poco a poco il paese iniziò a trasformarsi, sino a divenire un vero e proprio centro turistico. Oggi Los Santos è radicalmente cambiato: grazie anche a un’efficiente autostrada che ha sostituito le scomode strade di montagne, il posto è andato incontro a un imponente processo di cementificazione, ma, soprattutto, la popolazione locale è stata sostituita da stranieri di varia nazionalità, quasi tutti turisti, cui i residenti hanno alla fine lasciato campo libero.

Los Santos esemplifica dunque quella sequenza a quattro fasi che si compie regolarmente con l’arrivo dei turisti: una prima fase di idillio, con pochi turisti perfettamente inseriti nella società ospitante, cui segue una seconda fase di conflitto, in cui locali e turisti si dividono a fatica le infrastrutture, per arrivare a una terza fase di separazione, con locali e turisti che hanno accesso a infrastrutture distinte, e infine a una quarta fase di assimilazione/“genocidio”, in cui i turisti prevalgono sui locali che finiscono per allontanarsi6.

La novità è che oggi sono anche le nostre realtà, non più soltanto quelle dell’altrove, a doversi misurare con questi problemi: Los Santos adesso è in mezzo a noi. C’è anche l’etichetta per indicare la cosa: overtourism7. La parola sta entrando nell’uso comune per indicare, in senso molto generale, quelle situazioni in cui si verifica sovraffollamento turistico; in senso proprio, possiamo tuttavia affermare che si ha overtourism quando viene superata la capacità di carico turistica, vale a dire, secondo una nota definizione dell’Organizzazione mondiale del turismo, «il numero massimo di persone che può visitare una località, nello stesso periodo, senza compromettere le sue caratteristiche ambientali, fisiche, economiche e socio-culturali e senza ridurre la soddisfazione dei turisti»8.

Venezia è il paziente forse più noto a soffrire di questa patologia9, ma ancora più interessante risulta uno studio condotto sulla città di Bologna, dal quale è emerso che il grande lavoro svolto per favorire lo sviluppo turistico della città ha avuto alcuni effetti collaterali negativi; infatti, grazie fondamentalmente alla diffusione delle piattaforme on-line che consentono una gestione efficiente ed economica delle strutture, ai proprietari di case è divenuto più conveniente affittare a turisti anziché ai residenti, sicché i residenti che devono affittare una casa o sono disposti a pagare una cifra più alta rispetto al passato, in modo da poter competere con i turisti sul mercato degli affitti, oppure devono rassegnarsi a spostarsi in zone più periferiche e meno pregiate10.

Non voglio però dilungarmi sui costi sociali del turismo. Mi interessa piuttosto segnalare due punti, di carattere più squisitamente filosofico, strettamente collegati all’overtourism. Il primo riguarda la messa in discussione dello scopo delle città: le città sono fatte principalmente per essere abitate, non per essere visitate. In altre parole, le città sono modelli organizzativi finalizzati a servire prioritariamente le esigenze di chi vi abita con continuità (“prima i residenti!”, se di questi tempi non fosse uno slogan aperto a fraintendimenti poco gradevoli), poiché l’abitare è parte della costruzione della traiettoria esistenziale delle persone. I turisti, che per definizione stanno un periodo di tempo limitato nelle città e ne fanno un utilizzo mordi-e-fuggi, non sviluppano alcuna traiettoria esistenziale, se non quella che sviluppano quando tornano nel proprio luogo di residenza; cioè quando smettono di essere turisti. L’overtourism ribalta però la prospettiva, e questo non può non essere visto (quantomeno) come un problema etico su cui riflettere.

Il secondo punto concerne invece la trasformazione che l’overtourism produce sui luoghi. Se le località vengono a mano a mano sottratte agli abitanti-residenti per consentire agli abitanti-temporanei, cioè i turisti, di usufruirne, ecco che anche agli stessi turisti viene offerto qualcosa di diverso: non più una località con il suo tessuto esistenziale cucito assieme dai residenti, ma un palcoscenico sul quale si alternano coorti di abitanti “precari”. Le città, in altre parole, si trasformano in parchi a tema, che rinnovano in altro contesto la pionieristica lettura che diede Marc Augé dei non-luoghi11. Certo, non possiamo paragonare un borgo medioevale toscano preso d’assalto dai turisti a Disneyland, non fosse altro perché l’impianto urbanistico e la struttura architettonica dei luoghi è radicalmente diversa nella sua qualità; e tuttavia rimane pur vero che vediamo all’opera la medesima logica. Se però l’abitante che diventa nel migliore dei casi invisibile, nel peggiore assente, le conseguenze saranno pagate anche dal turista, che vivrà un’esperienza diversa, in cui i luoghi saranno ridotti a contenitori di un solo tipo di persone: i turisti stessi. Pure questo, a mio modo di vedere, è un problema etico su cui riflettere.

 

3. Fare i conti col passato

C’è però, come osservavo all’inizio, un secondo aspetto rispetto al quale la riflessione turistica appare oggi necessaria: è quello che riguarda il passato delle località che diventano oggetto di attenzione turistica. Il dato da cui partire è che la storia dell’umanità contiene anche grandi tragedie, alcune delle quali sono state deliberatamente prodotte dagli esseri umani, tipicamente attraverso regimi totalitari o dittatoriali. Il problema etico è come relazionarci con queste realtà che nascono da un passato lugubre e che sembrano perciò poco adatte per un’attività ludica quale è il turismo, ma che sono a tutti gli effetti parte della nostra storia. Un esempio può chiarire il punto.

Nel territorio del Comune di Meldola, in provincia di Forlì-Cesena, in cima alla torre del castello di Rocca delle Caminate, nel 1927 fu installato un faro che emetteva un fascio di luce tricolore visibile a oltre 60 chilometri di distanza e che era consuetudine accendere le volte in cui Benito Mussolini soggiornava in quella che era la sua residenza estiva. All’inizio del 2017 l’amministrazione comunale di Meldola si è mossa per riaccendere il faro, ottenendo il via libera dalla Provincia di Forlì, proprietaria del castello. Lo scopo? «Attrarre turisti. Sarà visibile da Imola a Rimini e richiamerà quassù un bel po’ di gente. Stiamo definendo le pratiche per affidare la gestione, ci sarà anche un ristorante» (sono parole del sindaco di Meldola, Gian Luca Zattini)12.

Il progetto si è poi arenato, anche a seguito della mobilitazione di alcune forze politiche di sinistra e di alcune associazioni, in primis l’Anpi. Ma rimane significativa la replica offerta dal primo cittadino di Meldola all’obiezione che Rocca delle Caminate possa diventare luogo di pellegrinaggio del “turismo nero”. «Nero, rosso, bianco, io non ne faccio una questione di colore. Chiunque vorrà visitare il faro sarà il benvenuto». È significativa perché testimonia la tendenza a decontestualizzare storicamente, eticamente e politicamente ogni lascito del regime fascista, ove possa essere impiegato per trarre un qualche tipo di vantaggio economico (reale o presunto); ed è appunto quel che accade col turismo nostalgico che affolla Predappio nel weekend o nelle date simbolo del fascismo.

Ma può questo tipo di turismo essere considerato una forma di turismo come le altre? E i tre o quattro negozietti che vendono souvenir apertamente fascisti (compresi i manganelli, per dire) davvero possono essere considerate attività commerciali come le altre? L’idea di sostenibilità, punto fermo del turismo responsabile, non dovrebbe essere declinata anche nei termini di una sostenibilità civile, per cui la Repubblica italiana e le sue istituzioni dovrebbero trovare il modo di scoraggiare quel turismo che va a omaggiare chi merita il nostro biasimo?

Da questo punto di vista, la risposta corretta sembra quella individuata e messa in pratica da un progetto come Atrium: valorizzare le forme, ma riflettere sul contesto storico nel quale queste forme furono realizzate, e in una prospettiva comparata e più ampia, che riguarda l’architettura dei regimi totalitari13. In questo modo si può tramandare il patrimonio materiale, depurandolo però dell’elemento immateriale che rischia una declinazione in senso assolutorio o addirittura apologetico, laddove invece è necessaria la nostra più ferma condanna. Ed è per questo che il faro della Rocca delle Caminate deve essere mantenuto spento, a meno che non si trovi un modo (ma non vedo onestamente come) per operare una ricontestualizzazione efficace.

Ovviamente più complesso è il discorso su Predappio, poiché è difficile immaginare che dall’oggi al domani i flussi nostalgici cessino e i negozi con la paccottiglia fascista chiudano14. Ma trovo interessante il discorso che si è sviluppato sulla Casa del Fascio, attualmente in stato di abbandono e che fondi ministeriali ad hoc consentirebbero di recuperare, con una sua conversione a Museo del fascismo. Non sono in grado di dire se, in concreto, questa soluzione consenta di levare a Predappio l’aurea neofascista che il turismo nero nei fatti gli ha appiccicato, ma l’impostazione del problema rimane corretta: se vogliamo sottrarre i luoghi a forme di turismo che intrattengono un rapporto eticamente problematico col passato, dobbiamo trovare il modo di cambiare loro la cornice di significato nella quale sono inquadrati15.

 

4. Conclusioni

Il turismo è un’attività collegata allo svago e al divertimento, ed è per questo che viene percepita come un’attività “leggera”. Il suo impatto è però quello tipico dell’industria pesante: per fare turismo, del resto, le persone devono spostarsi, e spostamenti di grandi quantità di persone incidono sull’ambiente (pensiamo, per fare un esempio banale, alle emissioni di COnell’atmosfera); inoltre, questi spostamenti finiscono per essere accompagnati da imponenti movimentazioni di merci che possano essere di ausilio agli spostamenti degli esseri umani (pensiamo alle derrate alimentari). Riconoscere questo punto generale, così come riconoscere situazioni più specifiche in cui il turismo – o troppo turismo – ha costi importanti, non deve naturalmente essere il primo passo per imporre a tutti di restarsene a casa propria, ma piuttosto l’occasione per comprendere che esistono degli aspetti del turismo che lo rendono un’attività eticamente problematica.

In questo scritto abbiamo visto due esempi di questa problematicità e in entrambi i casi abbiamo segnalato come la riflessione etica non possa essere aggirata con la semplice invocazione delle esigenze dello sviluppo, senza ulteriori distinguo e precisazioni. Occorre agire nella direzione opposta: favorire maggiore riflessione e sviluppare migliore consapevolezza. Conservando anche una giusta dose di sospetto e ricordando da questo punto di vista, per parafrasare un celebre detto di Proudhon ripreso e reso celebre da Carl Schmitt che «Chi dice sviluppo turistico lo fa per ingannarti».


Note

1 Definisco “turismo responsabile” il turismo che è consapevole delle conseguenze delle proprie azioni e che è disposto a modificarle se sono negative (secondo un qualche criterio opportunamente individuato). Ho sviluppato questa prospettiva in Corrado Del Bò, Etica del turismo. Responsabilità, sostenibilità, equità, Roma, Carocci, 2017.

2 Si pensi al pionieristico Rapporto Brundtland, un documento elaborato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo dell’Onu, che ha dato vita a una torrenziale letteratura sull’idea di sostenibilità.

3 Alcuni interessanti dati sull’entità del fenomeno turismo si trovano nel contributo di Vittorio Gimigliano in questo numero della Rivista.

4 E le conseguenze di questa gestione potrebbe provocare conseguenze dannose per tutti, come ricorda Patrizia Battilani nell’intervista che chiude questo Dossier.

5 La vicenda è descritta nei dettagli in Otvar Löfgren, Storia delle vacanze, Milano, BrunoMondadori, 2006.

6 Carlo Cici, Il rapporto turismo-ambiente, in Marco Alessandro Villamira (a cura di), Psicologia del viaggio e del turismo, Torino, Utet, 2001, pp. 405-17.

7 Cfr., per un quadro generale, Harold Goodwin, The Challenge of Overtourism, Responsible Tourism Partnership, Working Paper 4, October 2017.

8 Sul concetto di capacità di carico turistica, cfr. Harry Coccossis, Alexandra Mexa, The Challenge of Tourism Carrying Capacity Assessment: Theory and Practice, Aldershot, Ashgate, 2004.

9 Hugues Seraphina, Paul Sheeranb, Manuela Pilatoc, Over-tourism and the fall of Venice as a destination, in “Journal of Destination Marketing & Management”, 2018, n. 9, pp. 374-6.

10 Andrea Gentili, Filippo Tassinari, Andrea Zoboli, Indagine sul mercato degli alloggi in locazione nel comune di Bologna, Bologna, Fondazione di Ricerca Istituto Carlo Cattaneo, 2018, disponibile all’URL https://www.cattaneo.org/2018/04/19/e-book-lindagine-sul-mercato-degli-alloggi-in-locazione-nel-comune-di-bologna/.

11 Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 1993.

12 Traggo le informazioni da Gabriele Martini, La guerra sul faro di Mussolini: “Non riaccendete quella ferita”, in “La Stampa”, 24 febbraio 2017, disponibile all’URL http://www.lastampa.it/2017/02/24/italia/la-guerra-sul-faro-di-mussolini-non-riaccendete-quella-ferita-ZB6HRnKlS5d0xxJJCwSGoN/pagina.html.

13 Si veda l’articolo di Claudia Castellucci e Patrick Leech presente nel dossier.

14 Un tentativo in questo senso era stato per vero attuato nella scorsa legislatura con la presentazione, per iniziativa di Emanuele Fiano, della controversa Proposta di legge Introduzione dell’articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista, che prevedeva che “Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”. Approvata alla Camera il 12 settembre 2017, il testo è stato trasmesso al Senato, dove non è però mai stato discusso, fino al suo decadimento con la fine della legislatura. Una nuova Proposta di legge, molto simile a quella di Fiano, è stata presentata al Senato anche nell’attuale legislatura.

15 Sul punto, si veda anche l’intervista a Patrizia Battilani e Alessia Mariotti contenuta in questo Dossier.