L’archivio, da sempre, è considerato il luogo degli storici, degli specialisti e degli eruditi, lontano e quasi inaccessibile al cittadino comune. A esso si associa – molto spesso – l’immagine di un luogo stantio, polveroso e noioso. Negli ultimi decenni, tuttavia, molto si è fatto nell’ambito della promozione archivistica con l’intento di rendere comprensibile e fruibile al pubblico dei non specialisti il patrimonio dei piccoli e dei grandi archivi1. Al lavoro di conservazione, riordino e inventariazione, sempre più si associano iniziative volte a fare degli archivi delle istituzioni culturali in senso ampio. Se, quindi, è sempre più fondamentale per un archivio “portarsi fuori”, entrare in relazione con il territorio, con le scuole, lo è ancora di più per il patrimonio archivistico conservato presso gli Istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea, i quali hanno già al loro interno le competenze legate alla didattica della storia e la “mission” di interloquire con le istituzioni del territorio al fine di intrecciare memoria e ricerca.
La mostra fotografica “Forlì, anni ’70: emancipazione, solidarietà, costituzione”2, promossa dal locale Istituto storico e dal Comune di Forlì, è stata quindi concepita dai suoi curatori all’interno di una più ampia cornice che affianca all’esposizione dei materiali d’archivio un’attività culturale per il vasto pubblico, giornate di formazione e aggiornamento per docenti, laboratori didattici per le scuole. Si sta costruendo una rete di relazioni con il territorio e la scuola che mira – anche con l’apertura della mostra in orari inconsueti – a ricontestualizzare la documentazione archivistica attraverso una narrazione che ne metta in evidenza il valore di patrimonio condiviso, le potenzialità ai fini dell’educazione ai beni culturali, alla cittadinanza e all’interculturalità3.
È bene ricordare che questa apertura verso l’esterno non può prescindere da un atteggiamento di ascolto e confronto con coloro che visitano la mostra; cittadini forlivesi e non, persone provenienti da altri contesti culturali, giovani e anziani. Quest’ultimo aspetto ha trovato fin dalle giornate dell’inaugurazione, nel dicembre 2017, un primo riscontro. La voce dell’allestimento di una mostra fotografica sulle lotte degli anni Settanta a Forlì si è diffusa particolarmente fra i protagonisti dell’epoca: gli allora giovani studenti del movimento, le ragazze dell’Udi, i militanti del Pci, della Fgci, di Lotta continua, del sindacato, ecc. All’inaugurazione in tanti sono venuti per rivedersi in immagini di quarant’anni fa, riconoscere i visi di compagni persi di vista, ricordare e raccontare episodi, riprovare le sensazioni di allora, riprendere il filo del discorso interrotto da anni con gli amici ritrovati e con i più giovani. Una visita guidata alla mostra è stata poi realizzata in occasione dell’iniziativa “Women’s Rights First of All”, promossa dalla Rete WOMEN con il supporto del Comune di Forlì, che si è tenuta nei giorni 14-16 dicembre 2017 nella città romagnola: donne di diversi paesi si sono confrontate proficuamente con le immagini delle battaglie femminili degli anni Settanta nel contesto forlivese.
La mostra ha un duplice obbiettivo: da una parte, di presentare il fondo fotografico “Michele Minisci” e, dall’altra, di avviare una ricerca e una riflessione sulla città di Forlì negli anni Settanta e dintorni, attraverso l’analisi e la valorizzazione dei fondi documentali conservati presso l’Istituto storico cittadino. È noto che fra i principali compiti degli Istituti storici vi sia quello di acquisire, conservare e mettere a disposizione del pubblico gli archivi storici del territorio, con specifico riguardo per quelli che per varie ragioni rischierebbero di andare dispersi per sempre; ci riferiamo, in particolare, alle carte di privati o associazioni su cui la legislazione inerente la tutela degli archivi non ha competenza. Anche se nell’immediato il Fondo fotografico “Michele Minisci” non rischiava di andare perduto, la sua acquisizione da parte di un istituto di conservazione aperto al pubblico costituisce un buon esempio di tutela e valorizzazione archivistica, in cui i diversi soggetti coinvolti nell’operazione hanno ben operato per restituire alla città un tassello importate della sua memoria. Nella fattispecie, i soggetti coinvolti in questa operazione sono stati: il privato produttore e detentore del fondo, cioè il fotografo Michele Minisci, che ha donato l’archivio; l’Istituto storico che lo ha acquisito e ha messo a disposizione la professionalità per il suo riordino e gli spazi per aprirlo all’utenza esterna; e l’Amministrazione comunale di Forlì, con particolare riferimento all’Assessorato alla Cultura, che ha messo in relazione i primi due soggetti e ha stanziato le risorse economiche, prima per il riordino del fondo e poi per l’allestimento della mostra.
Il Fondo fotografico Michele Minisci e il suo riordino archivistico
Michele Minisci (Vaccarizzo Albanese, 1946) è stato giornalista e fotografo professionista; dal 1970 al 1985 è corrispondente della pagina locale de “L’Unità” e fotoreporter del settimanale del Pci “Il Forlivese”, di cui sarà per diversi anni direttore. Minisci è noto a Forlì anche per essere il fondatore del Naima Club, storico “tempio” cittadino del blues e del jazz. Il Fondo fotografico a lui intitolato è costituito principalmente dagli scatti realizzati per la stampa del Pci locale, e in parte è invece legato alla successiva attività di impresario musicale. A seguito della scomparsa dell’organo locale del partito e, poi, dello stesso Pci, a Minisci va riconosciuto il merito di aver messo in sicurezza l’archivio fotografico, per poi riconsegnarlo alla memoria della città di Forlì attraverso la donazione all’Istituto storico, con l’auspicio che potesse diventare patrimonio comune.
Al momento della donazione all’Istituto, nel giugno 2015, il fondo fotografico si presentava privo di un ordine archivistico e di strumenti di corredo. Le stampe fotografiche erano conservate, per lo più sparse, all’interno di diverse scatole vagamente titolate: “sport”, “politica”, “sindacato”, “spettacoli”, ecc. Il successivo lavoro di descrizione e riordino ha svelato un patrimonio di grande interesse. Le circa 7000 immagini scattate principalmente da Michele Minisci, ma anche da altri suoi colleghi, fra cui i fotografi Florio Amadori, Massimo Zattoni e Giorgio Sabatini, costituiscono una testimonianza inedita della città di Forlì dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Novanta del XX secolo. L’archivio è costituito, secondo le parole dello stesso Minisci:
da foto che riproducono tutti gli avvenimenti accaduti in città: c’è la politica, con la conquista del Comune, per la prima volta, da parte della Sinistra, c’è l’economia, ci sono le lotte sindacali, con la drammatica vicenda Mangelli che coinvolse per anni l’intera città, c’è la cronaca nera, la rosa, la bianca, la cultura, gli spettacoli, lo sport. I primi asili e scuole materne comunali, le prime vacanze anziani al mare e ai monti, i primi centri estivi per i bambini, i lavori per la Torre Civica, per Ridracoli, per San Domenico, i rifugiati cileni dopo il colpo di stato, un giovanissimo ed irriconoscibile Battiato al Ciaika di San Martino in Strada, oggi Empyre, lo sgombero delle fatiscenti baracchine-alimentari di piazza Cavour. […] Foto recuperate alcune volte per caso, altre volte per fortuna e altre volte in modo rocambolesco, prima che andassero definitivamente smarrite, dopo il trasloco della sede del Pci da piazza Cavour all’attuale sede dell’oggi Pd. […] Foto del quotidiano, del consueto, scattate con la mia YashikaElectro 35, comprata con il mio primo stipendio de l’Unità, e infatti pochissime volte abbiamo fotografato fatti eclatanti, da prima pagina […] ma quando venivano pubblicate a corredo del nostro articolo quelle immagini, quei luoghi assumevano un ulteriore valore importantissimo: quella rappresentazione dei nostri spazi, luoghi, fatti, eventi minuscoli, improvvisamente diventavano maiuscoli. L’ordinario diventava meraviglia. Perché sapevamo che poi era visto e commentato da migliaia e migliaia di persone, molte delle quali le conoscevamo bene4.
Si capisce, quindi, come il fondo rappresenti una preziosa possibilità di interrogare, da molteplici angoli visuali, la città di Forlì e i forlivesi rispetto a un complesso pezzo della loro storia. Dai fatti da prima pagina a quelli «del quotidiano, del consueto», sono numerose le chiavi di lettura del Fondo, in grado di riportare lo sguardo a quegli anni, focalizzando l’attenzione sullo sport, sugli svaghi, la crisi economica, le lotte sociali, fino alle ricorrenze pubbliche e le feste di partito. Le immagini di Minisci ci permettono anche di indagare le metamorfosi urbanistiche di una città che stava vivendo una profonda trasformazione, veloce e spesso sfuggente. Sono stati fenomeni di trasformazione di cui oggi viviamo gli esiti, ma che spesso, pur provando a guardare indietro anche a un passato relativamente recente, non riusciamo a coglierne appieno i momenti salienti. Si tratta di quei processi economici, culturali e sociali, delle scelte della politica, con i meriti e gli errori di allora, che hanno contribuito a plasmare la Forlì di oggi. Ecco, quindi, che la possibilità di “fare uno zoom” sui giovani studenti del Sessantotto forlivesi, sulle donne in lotta per i propri diritti, sugli scioperi operai in difesa del posto di lavoro, ma anche sui sorrisi del carnevale del 1982, può dirci molto su come erano i forlivesi di allora e può interrogarci su chi sono oggi.
La mostra fotografica
Terminato il riordino archivistico, l’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea, con il sostegno del Comune di Forlì, ha deciso di realizzare una mostra fotografica, la quale costituisce la prima tappa del progetto di valorizzazione del Fondo e un’occasione di confronto e dialogo con la città. Negli spazi di Casa Saffi – sede dell’Istituto – sono stati montati 19 pannelli che compongono un racconto degli anni Settanta a Forlì, attraverso i grandi temi che più caratterizzarono il decennio. Dopo un’accurata selezione, oltre 100 fotografie del fondo Minisci sono state poste in dialogo con articoli della stampa coeva e materiali documentali provenienti da fondi archivistici conservati presso l’Istituto storico (Archivio del Pci di Forlì, Archivio della Cgil di Forlì, Archivio Udi Forlì).
La mostra “Forlì, anni ’70: emancipazione, solidarietà costituzione” si apre con la mobilitazione contro l’aggressione americana al Vietnam. Già nel marzo 1963 si costituisce nella provincia di Forlì il “Comitato per la pace”, il quale svolge un’azione di denuncia dell’aggressione americana al Vietnam e porta avanti una vasta campagna di solidarietà verso il popolo vietnamita. In più di dieci anni sono organizzate numerosissime manifestazioni di piazza, veglie di protesta, tavole rotonde, marce per la pace e mostre d’arte. A favore del Vietnam vengono promosse raccolte di sangue, di medicinali, di materiali didattici, ecc. Nelle fotografie scattate da Michele Minisci si trova testimonianza anche dell’accoglienza in città riservata alle delegazioni provenienti dal Nord del Vietnam; gli incontri ufficiali, il saluto e il sostegno della gente comune.
La mostra prosegue mettendo a fuoco il Movimento studentesco forlivese. Se già nell’autunno del 1967 gli atenei delle principali città del centro-nord venivano occupati dando avvio al cosiddetto “Sessantotto”, nella città di Forlì, non ancora polo universitario, furono gli studenti degli istituti medi superiori a dare avvio al Movimento. Gli scatti di Minisci ritraggono le manifestazioni studentesche, quelle di operai, studenti e statali che sfilano nelle vie del centro cittadino, mentre la stampa coeva restituisce la cronaca di episodi come l’occupazione del Salone comunale del 20 settembre 1968, seguita a un dibattito sulla guerra in Vietnam organizzato da Movimento Studentesco Forlivese, Fgci, Fgsi e altre organizzazioni giovanili di partito. Tra il settembre e l’ottobre 1968 si svolgono numerose manifestazioni, cortei e assemblee studentesche sui temi dell’autoritarismo, della riforma della scuola e in solidarietà con i lavoratori delle fabbriche forlivesi. La mobilitazione studentesca prosegue anche nel 1969.
Gli studenti sono in primo piano anche nelle manifestazioni che scaturiscono in reazione alla violenza fascista e ai primi attentati dinamitardi che caratterizzano l’avvio della strategia della tensione in Italia. All’indomani della strage di Piazza Fontana (Milano, 12 dicembre 1969), gli studenti e la società civile forlivese si mobilitano per testimoniare la propria adesione ai valori antifascisti e alla convivenza democratica; manifestazioni diurne e serali, comizi, incontri, convegni e cortei si susseguono con un’altissima partecipazione. Fra il 1970 e il 1971 si formano nella provincia di Forlì i comitati unitari antifascisti, organismi popolari che riuniscono tutte le forze sociopolitiche che si richiamano allo spirito costituzionale e che si oppongono a una deriva illiberale e autoritaria. Nel 1971, intorno alla ricorrenza del 25 aprile (Festa della Liberazione dal nazifascismo) sale la tensione a Forlì e Predappio. L’annunciato arrivo, nella città natale del Duce, di oltre duecento pullman e migliaia di persone nella giornata del 28 aprile (ricorrenza della morte di Mussolini) mobilita i comitati antifascisti che predispongono presidi e invitano i cittadini alla vigilanza e alla mobilitazione antifascista. In questa occasione gli scontri fisici fra fascisti e antifascisti furono particolarmente duri e proseguirono nel mese di maggio.
La tensione antifascista che tiene mobilitata la società del territorio forlivese sin dalla fine degli anni ’60, si acutizza improvvisamente nel 1974, anno della strage di piazza della Loggia a Brescia e della strage del treno Italicus Roma-Brennero. Le foto di Minisci testimoniano la reazione ferma e immediata in città e nella provincia: le partecipate manifestazioni popolari esprimono i sentimenti di sdegno, cordoglio, pietà e ferma volontà di contribuire all’arginamento di un fenomeno così potenzialmente distruttivo.
Il percorso nella Forlì degli anni Settanta prosegue con la grande mobilitazione cittadina in favore dei cileni in lotta contro la dittatura di Augusto Pinochet. All’indomani della deposizione del legittimo governo del presidente socialista Salvador Allende (11 settembre 1973) viene costituito il Comitato provinciale Italia-Cile «allo scopo di stimolare, coordinare e rafforzare le iniziative di solidarietà e di lotta a fianco del popolo cileno nella resistenza contro la giunta militare fascista». Il Comitato, a cui aderiscono tutte le forze democratiche della città, per anni si mobilita in una serie di iniziative politiche e pratiche in sostegno del popolo cileno. Le foto di Minisci mostrano come Forlì fu fra le prime città a dare ospitalità agli esuli cileni giunti in Italia. L’ambasciata italiana, infatti, fu una delle poche che nei giorni successivi al colpo di stato non chiuse i propri cancelli ai tanti che scappavano dalle rappresaglie dei miliziani di Pinochet. La sede diplomatica italiana divenne approdo sicuro per ministri e militanti politici dei partiti democratici e di sinistra che trovarono in Italia, e in special modo in Emilia-Romagna, una seconda patria. La città di Forlì fu particolarmente attiva e solidale nell’accoglienza verso donne, uomini e famiglie di profughi cileni. Dal 20 al 27 maggio 1976 l’intera Forlì si mobilitò in una settimana di solidarietà con il popolo cileno in lotta contro la dittatura; in questa occasione i profughi cileni realizzano in città numerosi murales, in parte visibili ancora oggi.
In tutte le iniziative di solidarietà che segnano gli anni Settanta a Forlì, le donne sono certamente protagoniste; sono infatti questi gli anni del grande protagonismo e delle conquiste femminili in diversi ambiti. In campo lavorativo già il decennio precedente aveva visto l’emanazione di alcune importanti leggi e nel 1971 vengono approvate le misure di tutela delle lavoratrici madri e sono istituiti gli asili nido: modifiche concrete apportate dai movimenti femministi per il progresso sociale e civile di tutta la nazione.
Gli scatti presenti in mostra restituiscono la situazione di pesante crisi e la chiusura di diverse aziende del tessile e dell’abbigliamento nei primi anni Settanta, crisi che colpisce particolarmente le donne con importanti fenomeni di disoccupazione, sottoccupazione e sfruttamento. Alla mobilitazione sul tema del lavoro si affiancano le battaglie per l’autodeterminazione femminile, per un nuovo rapporto donna-uomo e famiglia-società, che portarono al Nuovo codice di famiglia e ai referendum sul divorzio e l’aborto. A Forlì fu particolarmente significativa anche l’esperienza dei Consigli scuola-città che videro genitori, insegnanti e cittadini dei quartieri lavorare insieme ai sindacati, alle associazioni femminili e all’Amministrazione comunale per una scuola democratica e una città attenta alle esigenze dei bambini e delle famiglie.
All’inizio degli anni Settanta le conquiste salariali e in ambito normativo, ottenute dai lavoratori con le lotte del 1968, furono sostanzialmente annullate, anche a Forlì, dall’inflazione, dal caro affitti e dal generale aumento dei prezzi di beni e servizi. Difesa del posto di lavoro e nuovi bisogni sociali furono posti al centro di una rinnovata stagione di lotta del movimento operaio. Le fotografie del fondo “Michele Minisci” immortalano cortei, manifestazioni, picchetti e assemblee che si svolgono dentro e fuori le fabbriche di Forlì e che coinvolgono la cittadinanza tutta: studenti, amministratori comunali, sindacati, semplici cittadini. Simbolo della crisi occupazionale e industriale di Forlì è lo stabilimento “Mangelli”: per tutti gli anni Settanta la società e le istituzioni di tutta la provincia si mobilitarono contro i licenziamenti e la chiusura dello stabilimento5.
Attraverso le fotografie del fondo Minisci è possibile fornire una lettura anche del passaggio dagli anni Settanta al decennio degli Ottanta. A emergere da alcuni scatti è, ad esempio, la comune autosufficiente del “Collettivo zappatori senza padroni” sorta nel 1977: in questa esperienza si può leggere una manifestazione di quel «riflusso» che vide l’allontanamento dalla vita politica e dall’impegno civico. Riflusso declinato, in questo caso, nella realizzazione “dal basso” di una società collettivista e autosufficiente opposta o alternativa al modello della famiglia borghese e al suo collante consumistico. Una bolla di società diversa e alternativa soffiata nei boschi dell’Appennino forlivese, con il fiato ormai corto delle lotte di piazza, spezzato dalla violenza terroristica e repressiva dello Stato, un mondo diverso in cui poter sfuggire da quell’eroina che avrebbe devastato la gioventù nelle città italiane degli anni Ottanta. Anche se la cooperativa “Collettivo zappatori senza padroni” formalmente ebbe vita breve, la comune sorta nei villaggi abbandonati di “Pian Baruccioli” e “Trafossi” vive ancora all’interno delle Foreste Casentinesi, il parco nazionale che proprio quei ragazzi degli anni Settanta hanno contribuito a istituire.
Il percorso fotografico si conclude con alcuni scatti del 1982. Apparentemente alieni al tema della mostra, e certamente non capaci di rappresentare una lettura esaustiva della società forlivese dell’epoca, queste fotografie sono però in grado di suggerire spunti interpretativi di qualche interesse. Innanzitutto gli scatti del carnevale ci riportano la gioia collettiva, condivisa e fine a se stessa di una piazza che torna a riempirsi dopo che le violenze di fine anni Settanta l’avevano progressivamente svuotata. È una piazza diversa, in cui si torna a ballare, inclusiva e omologante. Nelle foto dei festeggiamenti della vittoria della Nazionale di calcio ai mondiali disputati in Spagna nel 1982, invece, è difficile non leggerci una gioia irrazionale, che va forse oltre la nota passione calcistica degli italiani. Un gioioso urlo collettivo, forse liberatorio, che chiude i difficili anni Settanta e apre al disimpegno e all’individualismo degli Ottanta. In questo senso risulta significativa l’ultima immagine della mostra: un tifoso sfinito dalla gioia per la vittoria, immortalato in una soddisfazione piena ma isolato, anche fisicamente, dal contesto della piazza.
Nel percorso per immagini che abbiamo appena compiuto è impossibile non percepire un filo rosso che lega gran parte delle foto: è lo spazio pubblico, e cioè la piazza e la strada. È il suolo pubblico urbano che delimita i sentimenti, le lotte, le speranze vissute in modo collettivo dai giovani, lavoratori e lavoratrici uniti in un’aspirazione di progresso e liberazione collettiva. Spazio pubblico che costituiva il vero terreno del confronto e scontro politico, il luogo della parola e dell’ascolto, della rivendicazione, della rabbia e dell’atto terroristico, della violenza e della paura.
È una piazza stracolma di cittadini quella che nel 1976 assiste al concerto degli Inti Illimani al termine di una settimana di solidarietà con il popolo cileno caratterizzata dalla mobilitazione di tutta la città di Forlì, così come è una città intera quella che nel 1977 manifesta al fianco dei lavoratori dello stabilimento Mangelli, consapevole che la difesa del lavoro di quegli operai significava tutela del futuro di tutta la città. Per non parlare della piazza che si riempie, sotto una pioggia battente, per la manifestazione indetta dalla Federazione Cgil-Cisl-Uil in risposta all’assassinio di Aldo Moro.
Note
1 Roberto Cerri, Promuovere gli archivi storici: un’idea peregrina o una necessità per gli archivi di ente locale?, in “Archivi & computer”, a. VIII, fasc. 3/1998, p. 187-216.
2 Link al video della mostra: https://vimeo.com/257101050?ref=fb-share&1.
3 Su questo tema si veda, fra gli altri, Francesca Cavazzana Romanelli, Ernesto Perillo, Fra scuola e archivi. Storia e prospettive di una lunga complicità, in “Storia e Futuro. Rivista di storia e storiografia on line”, n. 36, novembre 2014.
4 Dal testo del comunicato stampa in occasione della donazione del fondo fotografico all’Istituto storico, Forlì, 23 maggio 2015.
5 Sulla vicenda dello stabilimento Mangelli, si veda Dino Mengozzi (a cura di), La Mangelli risanata: da fabbrica fascista a sito contaminato, 1925-1992, Milano, Franco Angeli, 1997.