Guardati inizialmente con diffidenza dagli ambienti accademici, in Italia gli studi storici sullo sport sono progressivamente cresciuti mostrando come la dimensione sportiva si dispieghi in un intreccio che coinvolge le dinamiche politiche, economiche e sociali, la storia della cultura, della mentalità e del costume. Lo sviluppo qualitativo della produzione storiografica e del dibattito che l’ha accompagnata – in dialogo con altri ambiti disciplinari delle scienze umane – ha messo in luce il valore di un approccio alla storia attraverso lo sport che può offrire molteplici spunti interpretativi e letture originali dei processi storici.
In questa prospettiva, il Dossier di Clionet comprende una serie di contributi che si propongono di arricchire gli studi storici sullo sport, a partire da due interviste a “pionieri” della disciplina come Felice Fabrizio e Stefano Pivato che riflettono sulle origini della storia dello sport in Italia, i suoi sviluppi e le prospettive di ricerca.
Il Dossier prosegue con l’intervento di un altro autorevole storico dello sport italiano, Sergio Giuntini, dedicato alla storiografia sul Coni. L’accurata ricognizione critica di Giuntini procede dalle prime ricerche degli anni Settanta a quelle del decennio successivo che segnano «un deciso salto di quantità e qualità» e aprono una nuova fase di studi articolati in tre fondamentali filoni, «inerenti al Coni in età fascista; orientati a definirne meglio le complesse origini; afferenti all’inafferrabile figura di Onesti». Come osserva Giuntini, grazie a questi studi sono ormai state poste le «basi di partenza» per realizzare «una storia del Coni completa ed organica».
Il percorso del Dossier si snoda poi attraverso diverse fasi della storia italiana contemporanea. Analizzando puntualmente articoli dell’“Osservatore Romano” e del “Littoriale”, Marco Giani si sofferma sulla rovente polemica suscitata dalle gare di atletica leggera femminile, «permesse e anzi sostenute dal regime fascista», a causa dei «succinti pantaloncini» indossati dalle atlete. Come nota Giani, la disputa tra l’organo del Vaticano e il quotidiano sportivo di regime prende la forma di una “guerra verbale” sullo sport femminile che «necessitava di un campo di battaglia lessicale comune», ossia di «una lingua “dello”, o meglio “sullo” sport femminile giacché furono gli uomini a prender la parola, senza degnarsi di interpellare le dirette interessate».
Alberto Molinari ricostruisce un segmento della carriera di Giuseppe Ambrosini, una delle più importanti figure del giornalismo sportivo italiano. L’articolo si concentra sulla formazione di Ambrosini nel primo Novecento e sulla sua attività nel Ventennio fascista, rivisitando alcuni aspetti del rapporto tra stampa sportiva e regime che emergono dall’esperienza professionale al seguito delle grandi corse ciclistiche e in una serie di interventi di politica sportiva improntati ad una peculiare concezione dello sport a due ruote, tra richiami nostalgici all’epoca dei “pionieri” e istanze modernizzatrici volte a dare un indirizzo tecnico-scientifico al ciclismo.
L’intervento di Nicola Sbetti è dedicato ai “fatti dell’Aspin” del Tour de France del 1950. Utilizzando numerose fonti archivistiche e a stampa, Sbetti ricostruisce le cause e le motivazioni che portarono la squadra italiana a ritirarsi dalla competizione, allargando lo sguardo alle tensioni sociali che si erano create fra Italia e Francia negli anni precedenti e evidenziando «il ruolo svolto dalle diplomazie nell’evitare che una crisi, nata in ambito sportivo e accresciuta dall’importanza mediatica dell’evento, potesse trasformarsi in qualche cosa di più serio andando a minare il buon andamento delle relazioni tra Italia e Francia che, dopo essere state in guerra, stavano ricostruendo un percorso di reciproca fiducia».
Il contributo di Nicola Serapiglia affronta il complesso e tormentato passaggio della pallavolo nell’ambito agonistico dopo la seconda guerra mondiale. Come attestano le carte dell’archivio del Coni analizzate da Serapiglia, la Federazione italiana della pallavolo si scontrò con resistenze di carattere politico-sportivo e diffidenze verso uno sport che «era ancora considerato più importante per la sua funzione propedeutica verso altre discipline che dal punto di vista agonistico». Solo nel 1957 la Federazione venne ammessa come membro effettivo nel Comitato olimpico nazionale, grazie alla «crescita del numero di praticanti», ad «una maggiore disponibilità economica del Coni» e in vista di una possibile inclusione della pallavolo tra gli sport olimpici.
Su versanti diversi, altri due articoli del Dossier sono dedicati al calcio. Raffaele Ciccarelli si sofferma sulla vittoria dell’Italia ai Mondiali di Spagna dell’82 – avvenuta a ridosso di una fase segnata da acute e drammatiche tensioni politiche e sociali – assumendo come chiave di lettura la figura e il ruolo di Enzo Bearzot. Ciccarelli sottolinea tra l’altro l’importanza della «concezione di squadra» dell’allenatore friulano e la sua capacità di affrontare nella prima fase del mondiale le critiche spietate dell’«apparato mediatico», uscito poi «delegittimato» da una vittoria che l’autore indaga anche nei suoi risvolti simbolici e politici.
Alberto Molinari e Gioacchino Toni propongono invece un’analisi comparata dei lavori sugli ultras delle curve torinesi realizzati dal cineasta Daniele Segre alla fine degli anni Settanta e quarant’anni dopo. Come notano Molinari e Toni, dando voce ai “ragazzi di stadio” Segre riesce a far emergere le molteplici sfaccettature sociali, politiche, simboliche della sottocultura ultras e a cogliere alcune trasformazioni avvenute nel tifo organizzato in relazione ai mutamenti sociali e politici, offrendo «una preziosa documentazione e molteplici spunti di riflessione su un fenomeno nel quale si riverberano umori e tendenze che attraversano la società italiana».
Il Dossier si chiude con un saggio di Antonio Canovi dedicato ad un’originale ricerca, condotta attraverso fonti orali, sullo sport a Reggio Emilia nel secondo dopoguerra. La rinascita dello sport popolare durante la ricostruzione, le mobilitazioni per la costruzione di impianti sportivi, il ruolo dell’associazionismo capace «di strutturarsi in chiave di rappresentanza territoriale», l’impegno delle istituzioni locali in una “città rossa”, il mutamento di paradigma degli anni Sessanta, quando si afferma «la modernità sociale dello sport», e il «cambio di passo» di fine millennio quando anche nello sport si incrinano la sociabilità e le rivendicazioni collettive sono alcuni dei temi trattati in un contributo ricco di considerazioni di carattere metodologico e interpretativo.
Con questo dossier i curatori si sono proposti un duplice obiettivo. Da un lato dare spazio ad alcune ricerche, in molti casi originali, sulla storia dello sport in Italia suggerendo indirettamente come siano ancora molti, dalla storia delle istituzioni sportive a quella locale senza dimenticare le biografie, gli aspetti che dovranno essere approfonditi. Dall’altro quello di divulgare importanti ricerche al fine di stimolare ricercatori e divulgatori storici ad un’impostazione più scientifica e rigorosa rispetto ad approcci agiografici e narrativi che continuano a caratterizzare una certa pubblicistica.