In un’epoca di conflitti, i musei acquisiscono la storia in tempo reale1, affermava perentoriamente “The New York Times” qualche anno fa. Sotto questo titolo forte trovavano posto alcune iniziative apparentemente eccentriche messe in atto in tempi recenti da società storiche e musei. L’articolo segnalava la raccolta di documentazione realizzata durante una manifestazione tenutasi a Baltimora, effettuata non da agenti delle forze dell’ordine né da attivisti bensì da un curatore del National Museum of African American History and Culture di Washington. “Dobbiamo prendere atto del fatto che la storia è ciò che accade sotto i nostri occhi” afferma Aaron Bryant, il curatore. La New-York Historical Society2, invece, inviava personale dedicato in occasione di eventi come Occupy Wall Street e la Women’s March del gennaio 2017, dimostrazioni caratterizzate da rivendicazioni e finalità ampie che interessano i diritti delle donne e delle minoranze, l’equità sociale, l’ambiente.
Questa modalità di acquisizione, che sta prendendo piede con una certa urgenza e ampiezza soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, è definita Rapid-Response Collecting. Tutt’altro che pratica celebrativa, la raccolta di documenti legati ad azioni e accadimenti locali ma di interesse nazionale e internazionale, mira a documentare momenti altrimenti effimeri di cui si intende la portata storica. Non si tratta, dunque, solo di conservazione della contemporaneità, dibattito altrimenti non nuovo3, ma di una contemporaneità conflittuale. Lonnie Bunch (National Museum of African-American History and Culture di Washington) spiega le ragioni quest’urgenza: “Il lavoro di uno studioso consiste nel rivolgersi al passato, dandone un’interpretazione tramite lenti diverse ma in un museo il suo compito è anche quello di assicurarsi che le prossime generazioni abbiano gli strumenti per interpretare la realtà odierna. Dunque, i documenti che acquisiamo oggi danno forma alla storia, al modo in cui le persone la interpretano”4.
Londra, in particolare, offre una molteplicità di azioni: il Victoria and Albert Museum ha creato un dipartimento dedicato alle pratiche di reattività immediata (Rapid-Response) mettendo a sistema la conservazione di documenti sugli accadimenti d’attualità da tutto il mondo. Nel 2012-2013, invece, il Museum of London ha avviato un progetto di ricerca e documentazione sul movimento Occupy (2011), raccogliendo testimonianze audio, video, fotografiche, nonché oggetti e documenti di ogni genere dall’occupazione. Come istituzione pubblica preposta a raccontare la storia della città dalle origini a oggi, ha dunque interpretato il proprio compito impegnandosi attivamente a preservare la memoria storica più recente; il museo ha inteso in tal modo rispondere immediatamente a quegli eventi, determinato ad affrontare gli aspetti metodologici ed etici posti dall’attività di documentazione e raccolta5. La London School of Economics ha invece creato “The Brexit Collection”, un fondo archivistico sui materiali usati nelle campagne referendarie del 1975 e del 2016 sull’adesione del Regno Unito al mercato comune e all’Unione Europea, documenti provenienti da individui, partiti e organizzazioni attivi su diversi fronti nelle due campagne6.
Quali tracce del passato conservare, dunque? E quali escludere? E con quali criteri? Il dibattito in seno ai musei e agli archivi non è nuovo e soprattutto è continuamente sfidato dalla contemporaneità, piano di relazione su cui si gioca la rilevanza delle istituzioni culturali e la loro responsabilità sociale7.
Nell’ottobre 2017 a Rio de Janeiro si è tenuto un seminario congiunto di due comitati dell’ICOM (International Council of Museums): il COMCOL (International Committee for Collecting) e il CIDOC (International Committee for Documentation). L’incontro aveva come tema Building Collections for the Future. Ma il tema era sentito da qualche tempo, visto che la quarta conferenza COMCOL del 2014, tenutasi al Muzej novejše zgodovine di Celje, in Slovenia, era dedicata proprio al tema delle acquisizioni in tempo di guerra o di rivolgimenti politici e sociali8. L’obiettivo del comitato è infatti quello di discutere gli aspetti teorici, pratici ed etici legati alle raccolte museali e al loro sviluppo; uno dei temi più rilevanti attualmente sul tavolo del COMCOL è quello del contesto sociale, anche fortemente conflittuale, in cui le raccolte crescono ed evolvono.
Anche in Italia, nonostante esistano normative e regolamenti interni che disciplinano tempi di versamento e modalità di accesso per il materiale archivistico e indirizzi per l’acquisizione e la conservazione nei musei9, le urgenze del presente interrogano archivi e musei (in particolare gli archivi locali e i musei di storia della città, gli ecomusei, i centri di documentazione locali) in merito alla selezione e salvaguardia di ciò che domani sarà storicamente rilevante.
Dal lato contro-istituzionale, invece, il paesaggio del dissenso, in Italia ma non solo, si compone di gruppi più o meno organizzati in posizione di conflittualità rispetto alle politiche economiche e sociali delle amministrazioni e alle scelte compiute sul territorio, sulla sua interpretazione e il suo utilizzo. Tali posizioni esprimono la volontà di parte della comunità di poter intervenire più direttamente nella definizione del proprio territorio. Le azioni e le riflessioni di questi movimenti più o meno duraturi producono, nel tempo, contro-memorie che solo in alcuni casi trovano posto negli archivi di istituti storici10, associazioni, sindacati e perlopiù come pratica retrospettiva. Altre volte sono portati alla luce da iniziative espositive temporanee11 che non prevedono acquisizioni sistematiche.
Significativa la recente costituzione di un fondo dedicato alla campagna referendaria per l’acqua pubblica e contro il nucleare presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso, tra i promotori dell’Osservatorio popolare sull’acqua bene comune costituito nel 2014, in collaborazione con il Forum italiano dei movimenti per l’acqua e Legambiente. Il progetto nasceva a ridosso della consultazione popolare, con l’idea di conservare la memoria dei movimenti ambientalisti, obiettivo tanto più importante in un’era, quella digitale, che tende a creare l’illusione di un “accesso totale e illimitato a dati e informazioni tuttavia sottratti a un inquadramento storico”12. Il fondo si compone prevalentemente di documentazione in formato digitale prodotta non solo durante la campagna referendaria del giugno 2011 ma anche prima e dopo, in occasione di iniziative sugli stessi temi.
Fioriscono poi esperienze intorno a eventi recenti, archivi e musei “spontanei”13, caratterizzati da una spinta propulsiva dal basso da parte di gruppi di cittadini14. Si tratta quindi di pratiche di raccolta e conservazione indipendenti che colmano una lacuna nei patrimoni pubblici. Emblematico, in questo senso, l’Interference Archive, archivio di comunità nato per la conservazione, lo studio, l’interpretazione e la condivisione, tramite gli strumenti della Public History, dei documenti prodotti dai movimenti sociali nella città di New York15.
In Italia, negli ultimi anni è nato il progetto Tracce NOTAV16, che si propone di raccogliere e rendere accessibili le ‘tracce’ del movimento NOTAV17, ormai ricco di una storia trentennale. Si tratta allora, secondo gli obiettivi dichiarati dal progetto, di “conservare le voci di chi ha lasciato un segno, per ascoltare nuove voci e lasciare nuove tracce” e cogliere il senso “di un cammino di ostinata resistenza in difesa del territorio”18.
Questa forma di attivismo così legato al territorio e alla sua lettura si inquadra nel movimento transnazionale che in Francia è noto come ZAD (Zone A Défendre): questo include, per esempio, le cause sostenute da parte della popolazione a Notre-Dame-des-Landes, Bures, Moulin. Si tratta in molti casi di movimenti di respiro locale, che caratterizzano il tempo presente, espressioni di resistenza alle innovazioni ma anche alla crescita senza limiti, che dispongono di archivi, memorie, materiali, pubblicazioni: un’esperienza rilevante, per quanto attiene al tema di questo articolo, è l’esperienza di Le Taslu, biblioteca del movimento ZAD a Notre-Dame-des-Landes, zona interessata dal progetto per la costruzione dell’Aéroport du Grand Ouest.
La consistente e duratura opposizione popolare al TAV ha caratterizzato gli ultimi trent’anni di storia della Valle di Susa, divenendo punto di riferimento per organizzazioni che si oppongono a grandi opere percepite come inutili e dannose. In molti hanno indagato in questi anni la sostanza di questa forma di resistenza, le modalità con cui si è sviluppata nel corso del tempo, le analogie e le differenze con altri movimenti. Della battaglia contro il progetto della linea ad alta-velocità Torino-Lione sostenuta dal Movimento NOTAV si è ampiamente occupata la stampa locale, nazionale ed estera, con posizioni diverse. Personalità afferenti a diverse discipline hanno nel tempo contribuito al dibattito con la produzione di studi e considerazioni sul progetto ferroviario, le sue ricadute economiche, sociali e ambientali, i suoi risvolti legislativi e la posizione della popolazione locale.
Il progetto Tracce NOTAV, a cura del Controsservatorio Valsusa, si autodefinisce “centro di documentazione” ed è nato per iniziativa di alcuni cittadini con l’intento di preservare le tracce di un’azione di “resistenza civile”. La strada era già stata segnata da Emilio Tornior, attivista del movimento che, a partire dal 2005, raccolse e catalogò in un centinaio di dossier decine di migliaia di articoli. L’archivio, donato al Controsservatorio, è depositato oggi al Centro Studi Sereno Regis di Torino, mentre una parte significativa dei documenti è stata digitalizzata, catalogata e resa accessibile online tramite una banca-dati che conta attualmente più di 12mila record ed è in continua crescita grazie all’apporto di sempre nuovi materiali. La banca-dati, di straordinaria ampiezza ma anche ontologicamente meditata, è frutto del lavoro volontario di alcuni attivisti che hanno voluto dar conto del dibattito ampio, complesso e articolato che ha avuto luogo in questi anni sui due fronti (quello a favore e quello contro il TAV)19.
Alla sezione dedicata ai periodici se ne sono aggiunte altre che hanno contribuito a definire meglio e ampliare le finalità del progetto per documentare non solo come il Movimento si sia autorappresentato ma anche come l’informazione abbia descritto eventi e tesi. La sezione Eventi presenta ogni accadimento di rilievo legato alla storia del Movimento e del TAV con un corredo di immagini, video e materiali diversi (locandine, appelli, studi, delibere ecc.). Il Controsservatorio sta valutando la possibilità di costruire sezioni (che porranno non pochi interrogativi in termini di privacy e di ecologia dell’impegno) per la filmografia, i social, i diari, la memoria orale; in quest’ultima categoria rientrano le testimonianze rilasciate nel 2015 in occasione della sessione del Tribunale Permanente dei Popoli dedicata a Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere. Dal Tav alla realtà globale20.
L’ambizione di Tracce NOTAV è consistente perché corre nella direzione non solo di un archivio ordinato e digitalizzato ma anche della costruzione di uno spazio (virtuale) relazionale, di memoria e insieme di documentazione, per l’interpretazione di momenti importanti per la storia della Valle. Tale progetto si configura, quindi, anzitutto come cause-archive ma anche come archivio di comunità, nato cioè grazie al contributo della popolazione21.
Il merito di questa esperienza risiede allora nella volontà di rendere disponibile una grande quantità di materiali prescindendo dall’orientamento del contenuto, creando uno strumento volto a preservare dalla dispersione patrimonio immateriale e memorie legati a un periodo storico ormai lungo e che continua a lasciare “tracce” di sé. Una volontà di auto-narrazione di un territorio, di uno ‘spazio conteso’.
Gli archivi indipendenti, come peraltro tutti gli archivi, costituiscono luoghi e pratiche in cui si rappresentano punti di vista diversi; individui con interessi divergenti possono incontrarsi in un unico luogo (fisico o virtuale) e fruire dello stesso materiale anche con finalità diverse. Gli archivi indipendenti hanno quindi valore collettivo, perché dilatano gli spazi democratici e di confronto22. Inoltre, “gli archivi radicali possono offrire prospettive alternative, conoscenza e ispirazione”23, garantendo un ruolo di primo piano ai cittadini nel dibattito democratico; essi sono allora luoghi di progettualità per le comunità e ‘luoghi di possibilità’, poiché il loro impatto sulla conoscenza collettiva del passato è aperta a nuove indagini e letture.
Ci sono cammini ancora poco calcati e poco osservati nelle pratiche di costruzione di raccolte e archivi. Il caso descritto forse è fra quelli. Questo breve testo altro non è che una segnalazione di un percorso non unico ma certo singolare nel panorama europeo, possibile impulso per nuove considerazioni e, forse, opportunità di sperimentazione.
Note
1 Graham Bowley, 1° ottobre 2017.
2 Questa stessa istituzione – analogamente a molti musei, archivi e biblioteche in tutto il mondo – sta raccogliendo materiali legati alla pandemia Covid-19 nell’ambito dell’iniziativa History Responds. www.nyhistory.org/history-responds.
3 Fondamentale Kylie Message, Museums and Social Activism: Engaged Protest, Routledge, London – New York, 2014, pp. 80 sgg.
4 Lonnie Bunch in Museums are Curating an Era of Social Movements in Real Time, intervista del 28 novembre 2018, www.pbs.org. Sulle ragioni e le modalità di acquisizione di manufatti contemporanei per i musei di storia si veda in particolare: Steven Miller, Collecting the Current Now and Then: a Perspective on Acquiring Contemporary Artefacts in History Museums, in Collecting the Contemporary: A Handbook for Social History Museums, a cura di Owain Rhys e Zelda Baveystock, Museumsetc, Edinburgh – Boston, 2014, pp. 144-163.
5 Jim Gledhill, Collecting Occupy London: Public Collecting Institutions and Social Protest Movements in the 21st Century, “Social Movement Studies”, 11, 2012, pp. 1-7. È invece in uscita per Routledge l’ultimo libro di Kylie Message, Curatorial Activism. Archiving Occupy, che presenta il caso-studio di un gruppo di lavoro attivo all’interno del movimento Occupy Wall Street 2011, con approcci metodologici che vanno dall’archivistica alla public history, dalla teoria dei movimenti sociali all’etnografia per descrivere le sfide poste dai movimenti alla museologia e all’archivistica.
6 digital.library.lse.ac.uk/. Si noterà inoltre il lancio da parte di alcuni attivisti euroscettici di una ‘call’ per realizzare il Museum of Brexit.
7 Rachel Winston, Archives as Activism, in “SightLines”, sightlinesmag.org.
8 Gli atti della conferenza sono editi in Collecting and Collections in Times of War or Political and Social Change, a cura di Jože Hudales e Tanja Roženbergar, University of Ljubjana, 2017.
9 In primis il d.lgs n. 42/2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio e successive modifiche.
10 Si pensi al Centro Studi Movimenti Parma, che, oltre a fondi con ampio materiale sugli anni Sessanta e Settanta, conserva anche documentazione su alcuni movimenti dell’inizio del XXI secolo ma senza tuttavia contemplare una vera e propria campagna di Rapid-Response Collecting.
11 Si ricorda per esempio la mostra Disobedience Archive (The Republic), approdata al Castello di Rivoli (Torino) nel 2013, che indagava le relazioni tra pratiche artistiche contemporanee e disobbedienza sociale.
12 Inventario del fondo, 2016. www.fondazionebasso.it.
13 Il termine Wild Museums è presente in Léontine Meijer-van Mensch, Profiling and Reflecting on Collections and Collecting, in Collecting and Collections in Times of War or Political and Social Change, cit., pp. 19-27.
14 Alcuni esempi di archivi indipendenti sono presi in considerazione da Elif Çiğdem Artan in Rethinking Museum Collections in the Face of Urban Activism and Autonomous Archives, in “Camoc News”, 1, 2016, pp. 7-8.
15 Jen Hoyer e Josh MacPhee, Interference, in “Zapruder”, 47, 2018, pp. 8-25.
16 traccenotav.org. Nell’immagine di apertura di questo articolo: “Indiani in Valle. Cartolina del 1996 per la manifestazione di Sant’Ambrogio”.
17 Sulla storia del movimento si rimanda alla bibliografia completa presente su Tracce No-tav. Si può segnalare comunque la recensione di Amalia Rossi di tre volumi abbastanza recenti in “Zapruder”, 47, 2018, pp. 152-155.
18 Ezio Bertok, Tracce NOTAV, in “Volere la luna”, 17 maggio 2018 [online].
19 Sulla possibilità di completezza di un archivio che nasce durante la vita del movimento, si accenna in Archivio Primo Moroni, Scripta manent, in “Zapruder”, 47, 2018, p. 112.
20 Sessioni e sentenze 41. permanentpeoplestribunal.org/.
21 “In democrazia ci saranno sempre conflitto e dissenso. Ci saranno sempre opportunità di conservazione, acquisizione, documentazione. Le istituzioni della public history – musei, archivi, biblioteche – faranno del proprio meglio per preservare i temi più attuali. Bisogna però riconoscere le potenzialità e le sfide poste dal crowd-collecting per facilitare la collaborazione del pubblico nella documentazione storica”.
Barbara Cohen-Stratyner, What democracy looks like: crowd-collecting protest materials, in “Museums & Social Issues”, 2017, 12, 2, pp. 83-91.
22 Shaunna Moore, Susan Pell, Autonomous archives, in “International Journal of Heritage Studies”, 16, 4, 2010, p. 265.
23 Per la disamina di questi concetti e dei rapporti tra archivi indipendenti e politica si veda Susan Pell, Radicalizing the Politics of the Archive: an Ethnographic Reading of an Activist Archive, in “Archivaria, The Journal of the Association of Canadian Archivists”, 80, 2015, pp. 33-57, in partic. p. 57.