Nel blu dipinto di blu. L’ottimismo dei cinegiornali per un’Italia che vuole volare

A voler descrivere la lunga e difficile transizione degli italiani dagli stenti e dalle miserie dell’immediato dopoguerra sino agli anni del cosiddetto miracolo economico, potremmo certamente riempire pagine su pagine, realizzando corposi volumi, oppure potremmo semplicemente, con fulminea sintesi, accostare le immagini di un notiziario Nuova Luce del 1945 – la cui sigla proponeva un panorama di macerie, di abitazioni distrutte dalle bombe – col servizio a colori dell’inchiesta Incom, “Stato e petrolio” (1957)1, nella quale lo speaker sottolinea come la scoperta e lo sfruttamento di giacimenti metaniferi nella pianura padana abbia cominciato a liberare gli italiani «dal complesso di inferiorità e di povertà che faceva dell’Italia un paese proletario»; il servizio alimenta anche i sogni dei “cafoni” abruzzesi, per decenni costretti ad emigrare in cerca di lavoro, dacché il petrolio si comincia a estrarre anche in quella terra; così «le incastellature dei pozzi evocano il mito dell’America, il mito disperato dei pastori d’Abruzzo». Realtà e sogno si confondono dunque, si compenetrano. Sono passati meno di dodici anni dalla fine della guerra, ma sembra trascorso almeno un secolo e i tanti italiani che continuano a frequentare con assiduità il cinematografo possono ora percepire visivamente la ripresa economica del paese.

 

L’anomalia italiana. Ascesa e declino dei cinegiornali

Fra la metà degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, cioè nel periodo nel quale la crescita economica del paese mostra le maggiori percentuali di incremento, sul fronte dei cinegiornali si possono rilevare fenomeni che offrono letture discordanti, se non addirittura antitetiche. Il primo dato, quello più evidente, è senz’altro rappresentato dalla proliferazione delle testate cinegiornalistiche. Maria Adelaide Frabotta, rilevando con scrupolo la crescita delle cineattualità, osserva che «il numero è destinato a salire almeno a 48 nel 1957»2. Solo per dare un’idea, nel periodo considerato si affacciano sugli schermi Attualità Fulmine, Orizzonte Cinematografico, Cronache del Mondo, Cinecorriere, Ieri Oggi Domani, L’Europeo Ciac, Caleidoscopio Ciac, Cinecronaca, SEDI, Settimanale Ciac; né l’“ubriacatura” cinegiornalistica sembra arrestarsi col rallentamento dell’economia italiana: nel 1965 compaiono Radar e Panorama Cinematografico, nel 1966 Sette G e Cinemondo, e l’elenco è senz’altro incompleto. A una prima impressione si può credere che il mercato offra margini di crescita e di guadagno per tutti coloro che si avventurano in questo tipo di produzione cinematografica.

Nel panorama dei paesi occidentali il caso italiano costituisce una vistosa anomalia. Se in linea generale in questi paesi la frequenza dei cinegiornali è di una cineattualità alla settimana (52 uscite annuali), in Italia La Settimana Incom compare con una cadenza di circa quattro numeri settimanali. Non solo. Se all’estero la proiezione dei cinegiornali è facoltativa, la condizione italiana mostra inquietanti analogie con quella di tanti paesi non democratici (Bulgaria, Spagna, Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Repubblica Democratica Tedesca) ove la proiezione è obbligatoria e pagata dallo Stato3. È vero, in Italia la produzione di attualità cinematografiche, dopo l’esperienza di Stato del Giornale Luce durante il regime fascista, è affidata all’iniziativa privata, ma la L. n. 958 del 29 dicembre 1949 è così prodiga di sovvenzioni per i produttori di cinegiornali che il mercato finisce per conformarsene su misura al fine di giovarsi del ricco piatto di provvidenze pubbliche elargite dalla legge. Ne risulta una sorta di mercato “drogato”, poiché la legge dispone: a) che gli esercenti di sale cinematografiche sono tenuti a programmare in ciascun spettacolo, per almeno metà dell’anno, film nazionali a cortometraggio e, per l’altra metà, film nazionali di attualità (art. 18); b) che per il film di attualità possa essere disposto un contributo pari al tre per cento dell’introito lordo degli spettacoli nei quali il film stesso è stato proiettato per un periodo di cinque mesi dalla prima proiezione in pubblico; inoltre, su conforme parere del Comitato tecnico, nei casi di eccezionale valore tecnico o artistico, alla cineattualità può essere concesso un ulteriore contributo pari al due per cento dell’introito lordo degli spettacoli nei quali il film è stato proiettato (art. 15). Dunque, programmazione obbligatoria (in abbinamento al lungometraggio) e contributi commisurati all’incasso del lungometraggio cui l’attualità è abbinata.

Si comprende facilmente che un tale regime, se da un lato persegue lo scopo di difendere l’informazione cinematografica nazionale, dall’altro svilisce il giornalismo cinematografico, poiché gli introiti non dipendono dal valore intrinseco delle cineattualità (e dal gradimento degli spettatori), ma sono commisurati agli incassi dei lungometraggi ai quali sono abbinati. I più avveduti produttori di cinegiornali si muovono perciò per stringere accordi con le principali organizzazioni di esercenti e di distributori. La parte del leone spetta alla Incom, società guidata dal senatore democristiano Teresio Guglielmone (con Sandro Pallavicini quale direttore generale), che in virtù degli accordi col Consorzio esercenti cinematografici italiani (Cei) assume una posizione di dominio sul mercato. L’accordo diventa così stretto «che poi sfocerà in una specie di fusione del consorzio esercenti con la società di Guglielmone in una nuova società denominata Cei-Incom per la distribuzione di pellicole cinematografiche»4

Malgrado il tentativo di isolare la concorrenza, per la Incom (come per le altre case produttrici di cinegiornali), due fattori intervengono a mettere in crisi la remunerativa attività. Il primo è di carattere legislativo. Il nuovo provvedimento sulla cinematografia, la L. 31 luglio 1956, n. 897, all’art. 15 dispone che il contributo per il film d’attualità passi dal 3% dell’incasso lordo all’1,75%: una decurtazione significativa. Tuttavia questo può considerarsi il male minore, perché a partire dal gennaio 1954 cominciano le regolari trasmissioni del Programma nazionale della Rai, che peraltro propone un telegiornale quotidiano in orario serale, che raddoppia nel 1962, allorché nasce il Secondo programma. Con l’apparizione della televisione, nel campo dell’informazione cinematografica nulla sarà più come prima5. Certo, gli effetti saranno alquanto blandi nei primissimi anni, ma col passare del tempo ogni testata cinegiornalistica dovrà necessariamente tener conto della novità che, ogni giorno, informa gli italiani, forse non arrivando direttamente nelle loro case, dato il costo dei primi apparecchi televisivi, ma animando i bar, i circoli e i vari luoghi di ritrovo.

Così, negli anni del boom economico i cinegiornali sono costretti a rinnovarsi radicalmente, poiché non sono in grado di contrastare il telegiornale sul terreno della rapidità dell’informazione, dacché la televisione può, sin da subito, riferire e mostrare avvenimenti in leggera differita rispetto al loro svolgimento. La velocità è della televisione e il cinegiornale appare uno strumento improvvisamente vecchio. Urge cambiare. Lo riconosce Pallavicini quando scrive che «il telegiornale, con le sue tre e più edizioni quotidiane, di mezz’ora ciascuna, “inflaziona” le informazioni, allineandole in modo talmente freddo che esse finiscono per assumere, agli occhi dello spettatore, un identico valore, cioè un valore mediocre»6. La salvezza per il cinegiornale – sostiene – risiede «nella sua attuale evoluzione, che sarà ancor più marcata nel prossimo avvenire, equivale ad un vero e proprio rotocalco in celluloide, cioè ad una selezione degli avvenimenti più importanti della settimana, e non della giornata, e alla interpretazione critica del loro contenuto, che costituisce spesso il tema di una inchiesta giornalistica»7. Nel 1962 anche l’assemblea dell’International Newsreel Association rileva la necessità «di dare alla produzione dei Cinegiornali un contenuto più vicino al settimanale che al quotidiano», orientando la produzione «sulle “inchieste” e i “numeri unici”, che trattino un solo argomento alla volta, sia esso d’informazione, di documentazione o di costume»8. Dopo il 1965 il cinegiornale entra in una crisi lenta ma irreversibile e la sua capacità di presa sugli italiani va via via scemando.

 

Tante sigle di cinegiornali, un solo coro

Se, come pare, non fu la stampa italiana a coniare per prima l’espressione “miracolo economico” – «era stato un giornale inglese, il “Daily Mail”, in una corrispondenza del 25 maggio 1959 da Roma»9 – i cinegiornali italiani seppero tuttavia dimostrarsi straordinarie casse di risonanza della fase di espansione economica e industriale del paese. Nella pur ricca presenza di testate di cineattualità sarebbe nondimeno vano ricercare voci che non fossero pienamente in linea con le politiche dei governi a maggioranza democristiana. Se è possibile talora rilevare differenze d’accenti, originalità nei toni – e in quest’ultimo caso si distinse L’Europeo Ciac (1956-1958), sorto sotto la guida di Sandro Pallavicini, dopo che questi aveva abbandonato la Incom, e vivacizzato dai commenti dell’irriverente e pungente giornalista Gualtiero Jacopetti – la sostanza non cambia: tante voci, ma un solo coro, poiché non è dato scorgere alcuna linea critica o di dissenso rispetto alle scelte dei vertici di governo, com’ebbe a scrivere Libero Bizzarri:

il rapporto Stato-cinegiornale si precisa e scopre la sua vera natura: si è trattato sinora di un rapporto che non ha nella “sostanza” mai messo in discussione il principio della libertà di espressione, soltanto perché contrasti non ve ne sono stati e non ve ne potevano essere dal momento che i “privati” produttori di cinegiornali non sono sorti da tutta la complessa area politica, ma da quella che con le forze di governo si identifica, o si intende. (…) nella loro area non vi è dialettica, non vi è opposizione, in poche parole non vi è quella sostanziale libertà creatrice di una obiettiva espressione delle diverse opinioni10.

I cinegiornali insomma, in primo luogo La Settimana Incom, definiscono e al contempo delimitano, per lo spettatore, il quadro politico ed economico entro il quale interpretare le trasformazioni del paese. Le grandi scelte di campo sono chiare e ribadite con assiduità. Netta e precisa è l’adesione ai valori del Patto Atlantico e all’alleanza con gli Stati Uniti. Nel 1956 la Incom torna a più riprese sul saldo legame italo-americano, coronato dal viaggio del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi negli Usa. Come rileva il servizio del cinegiornale, alla visita del Presidente italiano si attribuisce un forte valore simbolico, poiché – riferisce lo speaker – «coincide con la conclusione del processo di reinserimento, nella comunità internazionale, del nostro paese. […] È un po’ il simbolo del meraviglioso cammino compiuto dalla nazione nei dieci anni del dopoguerra. Un avvenimento del genere non può non servire a rinsaldare ed accrescere il nostro prestigio internazionale»11. Lo stesso cinegiornale si incarica di sottolineare la saldezza del legame Italia-Usa rilevando che «una porzione di sangue italiano è stata travasata nelle vene d’America. L’operosa Italia dei nostri giorni trova un’eco, un terreno fertile, nel gusto, nelle tradizioni dell’America moderna. […] Fra gli Stati Uniti e l’Italia, più che correnti di scambio, è una continua osmosi che si svolge»12.

 

Tribolazioni addio!

Nei cinegiornali italiani la fase di forte espansione economica ed industriale del paese sembra farsi annunciare, prima ancora che dall’esposizione dei dati di crescita dei vari settori dell’economia, da un’eccitazione che appare come una sorta di acquisito diritto alla leggerezza, alla normalità, come un insopprimibile bisogno di trattare senza riserve o pudori – dopo anni trascorsi nella rappresentazione della faticosa risalita dal baratro del dopoguerra – argomenti finalmente non legati alla necessità per gli italiani di procurarsi il pane quotidiano o un tetto sulla testa. A partire dal 1955 circa, si compie dunque, cinegiornale dopo cinegiornale, quasi impercettibilmente, un progressivo spostamento del numero dei servizi dai temi strettamente legati alla fatica di vivere a quelli sulla moda femminile, sulla mondanità, sullo sport, sui concorsi di bellezza, sul mondo del cinema, sulle stravaganti invenzioni d’oltreoceano, sulle località di villeggiatura delle personalità in vista. Aleggia in questi servizi un diffuso bisogno di svago e l’idea che il lavoro non sia più il solo orizzonte possibile per gli individui. È dallo stile e dal tono complessivo dei servizi che si può efficacemente considerare come le diverse testate cinegiornalistiche costruiscano, a favore dello spettatore, una precisa e particolare chiave di lettura sull’Italia del miracolo economico. Come ha osservato Augusto Sainati per La Settimana Incom – ma il discorso può sostanzialmente essere esteso anche alle altre cineattualità –

lo stile e il formato della Settimana Incom sembrano in effetti delineare nell’insieme un vero e proprio programma “politico”, basato su una fondamentale “euforizzazione” della rappresentazione, cioè sulla messa in scena di uno spazio praticabile e riconoscibile, uno spazio del contatto sociale, reso positivo non soltanto dalla selezione dei contenuti mostrati, ma anche dalle scelte stilistiche operate […]. Un tale lavoro di ordinamento del reale, funzionale alla resa di un’immagine rampante dell’Italia, un’Italia da rivista illustrata che il cinegiornale sembra sfogliare con curiosità un po’ turistica, sostituisce di fatto a un atteggiamento analitico una pratica sostanzialmente mistificatoria che tende più che a documentare a documentire il reale13.

Nel senso di una mistificazione del reale si esprime anche Maria Adelaide Frabotta, allorché scrive che «in realtà si continua a propagandare e non comunicare con un popolo che finalmente sta conoscendo i valori della democrazia»14. L’euforizzazione descritta da Sainati trova nei cinegiornali un’applicazione sul piano formale con un uso pervasivo della musica, impiegata in funzione ritmica, in combinazione con un montaggio cadenzato, atto a ritmare l’inesorabilità di un progresso che non può essere arrestato. Sul finire degli anni Cinquanta le musiche della tradizione classica e le melodie dei cantanti italiani della “vecchia scuola” finiscono per essere via via soppiantate, nelle cineattualità, dagli incalzanti ritmi del jazz americano, oppure, in una variante autoctona, dalle canzoni degli urlatori. Le colonne sonore di questi cinegiornali sembrano sorgere da uno dei tanti juke-box disseminati nei bar delle spiagge italiane e ben rappresentano l’esprit du temps, l’ottimistica baldanza che segna questa fase di crescita economica. Parimenti, anche la voce off dello speaker si distingue per i toni eccitati e ottimistici, tesa a celebrare le «magnifiche sorti e progressive» di una nazione in cammino verso un miglioramento generale delle condizioni di vita degli italiani. L’entusiasmo esibito delle musiche e delle voci risulta dunque funzionale ad una visione della società che fa dell’ottimismo il requisito, la premessa indispensabile per l’affermazione di una moderna società votata ai consumi. Se ne avvede Pierre Sorlin, quando a proposito de La Settimana Incom annota: «sono stato immediatamente colpito dal fatto che quel cinegiornale costituisce una vera e propria vetrina dell’Italia in cammino, una perfetta rassegna di attività, prodotti, progetti e speranze del paese […]. La mia ipotesi è forse discutibile, ma ritengo che la Settimana sia stata meno un portavoce del Governo che uno strumento di comunicazione per il capitalismo»15.

Ancora sul piano formale, lo stesso uso di pellicole a colori per numeri monografici dei cinegiornali dedicati ai vari aspetti della crescita economica ed industriale italiana – Le grandi inchieste della Incom, che possono a buon diritto essere considerate dei veri e propri editoriali della testata – sospinge lo spettatore ad attribuire, per ciò stesso, una sorta di patente di modernità e di progresso tecnologico a quanto appare sullo schermo. Inaugurate dal citato “Stato e petrolio” e continuate con “Italiani in America”, le Inchieste Incom a colori in seguito si concentrano, ad esempio, sull’Acquedotto campano (n. 1536), sulle nuove Strade d’Italia (n. 1640), sulla Funzione dei grassi nell’alimentazione moderna, sui Giovani e il lavoro (n. 1643), sulla Donna in Italia (n. 1650), sul 600° lago artificiale in Italia (n. 1657), ecc.

Per quanto concerne l’azione dello Stato, la Settimana Incom concentra la propria attenzione in particolare: sugli interventi delle società pubbliche per limitare la dipendenza italiana dagli approvvigionamenti di fonti combustibili importate dall’estero; sulla costruzione di reti infrastrutturali in grado di collegare le diverse aree del paese, al fine di ridurre i divari fra zone ricche e zone povere (strade e autostrade, ferrovie, ma anche acquedotti e bacini artificiali d’irrigazione); sul sostegno a favore di scuole professionali capaci di rispondere alle richieste del mercato del lavoro, come sollecitato in quegli anni dalle associazioni degli industriali; sugli interventi a favore di aree svantaggiate del paese, con un’attenzione  particolare per la Sicilia e la Sardegna, con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno; sulle politiche di edilizia pubblica che favoriscono l’espansione delle periferie dei grandi centri urbani, specie quelli a vocazione industriale; sullo sviluppo della cantieristica.

I cinegiornali riservano un ruolo di primo piano all’azione dell’Eni e delle società ad essa collegate (Snam, Agip e Nuovo Pignone); del resto, negli anni del boom economico la società diretta da Enrico Mattei, in un quadro internazionale caratterizzato dalle forti tensioni suscitate dalla crisi di Suez, ha l’arduo compito di limitare, per quanto possibile, la dipendenza dell’Italia dalle forniture di petrolio e di gas naturale dall’estero, diversificando anche le fonti di approvvigionamento. Se l’adesione dell’Italia alla Comunità economica del carbone e dell’acciaio (Ceca) aiutava a garantire adeguati rifornimenti di coke per le industrie siderurgiche nazionali, per il petrolio e per il gas il discorso si faceva più complicato. Fu così che in quegli anni l’Eni si impegnò massicciamente alla ricerca di fonti combustibili nel sottosuolo italiano16. Si può ben dire che i cinegiornali seguirono passo passo l’azione dell’ente statale, con un’assiduità che oggi può apparire, talvolta, per lo meno sospetta17. A partire dal 1956 si moltiplicano i servizi sull’Eni. Le trivelle in Basilicata e in pianura padana, i poli petrolchimici di Gela e di Porto Marghera e l’avvio dei lavori per il grande oleodotto che da Pegli porterà il greggio in Svizzera, Austria e Germania alimentano l’idea che l’Italia possa svolgere un ruolo da protagonista nel mercato degli idrocarburi. La ricerca e lo sfruttamento dell’oro nero modificano il paesaggio italiano e le cineprese registrano puntualmente la nascita di grandi aree industriali realizzate dall’Eni: Cortemaggiore, San Donato Milanese (dove ha sede il Centro Ricerche dell’Eni e dove sorge Metanopoli), Val Basento in Basilicata e Gela sono nomi di località che gli spettatori imparano rapidamente a riconoscere. Gli impianti petroliferi conferiscono al centro siciliano un «aspetto modernissimo, alla Texas […]. Il futuro è finalmente incominciato» scandisce lo speaker di Settimanale CIAC n. 590 del 31 marzo 1960, ma in tutti i servizi non mancano i richiami alle opportunità occupazionali offerte dalle industrie estrattive. Tra i cinegiornali più solerti nel riferire dell’Eni c’è Orizzonte Cinematografico18, che tra l’altro documenta l’inizio dei lavori per la costruzione della centrale nucleare di Latina, da parte dell’Agip.

Il piccolo comune di San Donato Milanese, che fra l’inizio e la fine degli anni Sessanta vide quasi triplicare la sua popolazione, finì ancora davanti agli obbiettivi delle macchine da presa perché vi si avviarono i lavori di uno dei primi tratti dell’Autostrada del Sole (Orizzonte Cinematografico n. 120 dell’8 ottobre 1958). La nascita dell’Autosole aveva richiesto otto anni di lavori – fra la posa della prima pietra il 19 maggio 1956 e l’inaugurazione ufficiale da parte del presidente del consiglio Aldo Moro il 4 ottobre 196419 – e la sua apertura prometteva non solo importanti ricadute sul piano economico, ma implicava profonde trasformazioni sul piano della percezione dell’unità del paese: «grande anello di congiunzione tra il Settentrione e il Meridione, destinato a trasformare profondamente sul piano economico, e quindi sociale, tutte le zone che attraversa»20; e, ancora, asse viario che «vuol dire più lavoro, più benessere, più sicurezza. Tre termini dello stesso valore che lo Stato democratico appende oggi all’albero di Natale di ogni cittadino»21. Il nastro d’asfalto di quasi 800 chilometri trasforma radicalmente il paesaggio con le sue grandi uscite a quadrifoglio e le innovative architetture che paiono riprese da qualche film americano. Così il celebre Autogrill Pavesi di Fiorenzuola d’Arda, «costruito in ferro e cristallo […], il più moderno autogrill d’Europa […], come una piccola nave sospesa sul fiume del traffico»22.

L’incremento della rete viaria è, del resto, l’altro aspetto del fenomeno più vistoso di quegli anni: la motorizzazione di massa del paese. I motocicli e le automobili rappresentano il nuovo sogno degli italiani. Le cifre indicano che le «motociclette, che erano circa un milione nel 1955, raggiungono nel 1960 i 4 milioni e nel 1963 il tetto di 4.300.000, subendo l’anno successivo il “sorpasso” da parte delle automobili […]. Le automobili erano un milione nel 1956 e 2 milioni nel 1960: sono 5 milioni e mezzo nel 1965»23. La crescita dei mezzi sulle strade è talmente repentina che alcuni cinegiornali decidono di inaugurare rubriche di educazione stradale. Lo fanno sia Mondo Libero nel 1955 con la rubrica Occhi aperti sulle strade che La Settimana Incom nel 1962 con la serie di servizi dal titolo Edizione speciale per gli automobilisti di oggi e di domani, curati della rivista “Quattroruote”. Nei sogni della maggioranza degli italiani, che non possono permettersi auto di lusso, ci sono soprattutto le piccole vetture prodotte dalla Fiat, la 500 e la 600. La casa automobilistica italiana è onnipresente nei cinegiornali: non vi è modello che non abbia una presentazione sullo schermo, e come sempre è facile scorgere una forma, nemmeno troppo velata, di pubblicità, seppure mascherata da esposizione delle novità presenti nei vari saloni dell’auto24. È un’attrazione fatale quella tra il cinema e l’automobile, una relazione di cui si possono cogliere le forti valenze simboliche: «L’automobile è per il cinema della modernità ciò che il treno rappresenta per il cinema delle origini: perché l’auto – come il treno – diventa un’icona straordinaria della conquista di spazi industriali, geografici, sociali»25.

Negli anni del boom calano considerevolmente gli occupati nell’agricoltura, mentre aumentano gli addetti ai servizi e all’industria, e il risultato è un progressivo spopolamento delle campagne a favore dei grandi centri urbani26. I grandi poli industriali, come Torino e Milano, grazie alle opportunità di lavoro, attraggono i giovani dalle regioni del Sud, in fuga dalla miseria e dalla mancanza di qualsiasi prospettiva di miglioramento delle condizioni di vita: il loro è Il viaggio della speranza – come dal titolo di un bel servizio firmato dagli inviati Remo Grisanti e Luigi Codazzi per La Settimana Incom (n. 2497 del 31/07/1964) – dove, pur fra qualche scena ricostruita ad uso dell’obbiettivo e qualche scivolamento in toni paternalistici, le speranze e le difficoltà di inserimento in un realtà del tutto diversa emergono con chiarezza, specialmente nelle immagini. Come riporta lo speaker:

Milano li affascina. È la città dell’industria, è un immenso cantiere che può dar lavoro a chiunque abbia buone braccia e una gran voglia di lavorare. E loro, i meridionali, ne hanno tanta di voglia di lavorare, e tanto bisogno hanno di trovare un lavoro. Li attira con le sue luci Milano, come fossero falene. Ne arrivano ogni giorno a decine, da ogni paese del Sud arrivano. Soli e a gruppi. Qualcuno ha già un lavoro che lo aspetta, i più hanno soltanto un gran coraggio e il cuore pieno di speranza. […] E sognano una casa. Per molti il sogno diventa realtà, e allora fan venire su a Milano la famiglia. E così un intero quartiere, come il quartiere Comasina, si trasforma in una piccola città del Sud. […] Si adattano a tutto, pur di lavorare.

Le riprese girate nei mercati rionali, o fra i grandi caseggiati della Comasina, o, ancora, nella pizzeria napoletana col bambino in età scolare al lavoro come cameriere, relegano finalmente in secondo piano la retorica del commento. Il servizio si conclude con un’intervista a Renato Carosone, il quale afferma: «Fanno bene i settentrionali ad incoraggiare questo esodo dal Sud, perché loro [i meridionali] non desiderano altro che lavorare, e dare del loro meglio […]. In definitiva chiamerei questa emigrazione dal Sud, l’oro del Nord».

 

Tu vuò fa l’americano

La canzone di Carosone, con la sua divertita ironia, restituisce assai bene il clima di ottimismo, di esuberanza, di fervore vitalistico che contraddistingue gli anni del boom economico, fase di forte espansione che decolla fra due olimpiadi, vetrine ideali per mostrare al mondo i progressi conseguiti dall’Italia: i Giochi olimpici invernali di Cortina d’Ampezzo (1956) e le Olimpiadi di Roma (1960). Del resto, la trasformazione del paese si legge bene nelle cifre: «Fra i primi anni cinquanta e i primi anni sessanta gli investimenti nell’industria manifatturiera passano dal 4,5 al 6,3 del reddito nazionale lordo, la produttività industriale aumenta dell’84%»27.

Nei fatti, i cinegiornali assecondano le istanze e le prese di posizione degli industriali e, nello stesso tempo, garantiscono il sostegno ai vari governi che si succedono, sebbene la nascita della coalizione di centro-sinistra provochi qualche vistoso mal di pancia in alcune cineattualità, più vicine a posizioni conservatrici e cattoliche. 

Su di un punto concordano tutti i cinegiornali: bisogna perseverare nel mantenere un clima di eccitazione dell’opinione pubblica, eccitazione idonea sia a sostenere l’idea di un costante attenzione dei settori imprenditoriali e politici a favore della popolazione sia a favorire una ripresa dei consumi interni. E accade così che quanto si scosta dal modello politico ed economico affermato diventa oggetto di un attacco frontale. Nel servizio “Carpi: strana città”28, se da un lato si elogiano i carpigiani per avere sviluppato un settore, quello della maglieria, che produce ricavi per 25 miliardi – «gente attiva, che ha saputo creare con la tenacia e la personale iniziativa un notevole benessere» – dall’altro si evince chiaramente che il vero scopo del servizio è quello di additare l’anomalia del centro emiliano, che «ha votato comunista al 56%». La lavorante (comunista) del maglificio, di ritorno da una visita in Urss e in sciopero per ottenere il rinnovo del contratto nazionale, è incalzata di domande: «La radio, il televisore, la lavatrice sono suoi? E anche la cucina? E anche il frigorifero? Un operaio in Russia potrebbe avere tutte queste cose?».

Tuttavia servizi di così esplicita virulenza politica rappresentano un’eccezione, perché i cinegiornali preferiscono mostrare i vantaggi del modello di vita capitalistico, declinato soprattutto, come si è visto, quale opportunità di disporre di beni di consumo di massa in grado di agevolare la vita quotidiana e di far godere al meglio il tempo libero. E appunto radio, televisione, lavatrice, frigorifero e cucina a gas sono i nuovi oggetto del desiderio che trasformano sensibilmente lo spazio domestico e, aspetto importante, alleviano la fatica delle donne, perché, per quanta strada sia stata percorsa verso l’emancipazione femminile, la società continua a confinarla fra le mura di casa. E quando a Montecatini si indice un concorso per trovare la donna ideale29, le prove cui vengono sottoposte le giovani sono quelle di cucito e di cucina, mentre come premi finali vi sono batterie di pentole e servizi da toilette; la vincitrice assoluta si aggiudica una macchina per cucire e una lavatrice, perché, dichiara il commento «il destino di una donna ideale non può essere che in casa, anche con una moderna lavatrice. Beh, è un po’ più comodo essere donne ideali nell’ora delle macchine che ai tempi della nonna!». Con buona pace per le battaglie delle femministe, i cinegiornali si fanno promotori dei moderni stili di vita indotti dal nascente consumismo, ma stanno bene attenti a non derogare da una concezione del ruolo della donna come “madre e sposa esemplare”:

È il tempo dei divorzi a catena, dei matrimoni che naufragano nella buffonata dei comunicati stampa. […] In questo clima di spappolamento, il Premio “La sposa d’Italia”, nato dall’umano mecenatismo di un industriale lombardo, vuole portare alla ribalta di una notorietà esemplare quelle donne che hanno servito per costante dedizione l’ideale della famiglia, e che hanno pagato con un duro sacrificio la loro fedeltà ai principi cristiani del matrimonio»30.   

A credere ai cinegiornali, si può pensare che il più grande traguardo raggiunto col miracolo economico sia la “conquista del tempo libero”, quel tempo che gli italiani, grazie al loro salario e alla propensione al risparmio, possono ora dedicare agli svaghi e al piacere; risalgono infatti agli anni del boom i primi servizi cinematografici sui cosiddetti “esodi” verso le località turistiche. Le automobili e i motocicli, nuovi status symbol da esibire, si incolonnano su strade e autostrade dirette verso le spiagge o i laghi. I cinegiornali, così come i film del periodo – pensiamo soltanto a I motorizzati (1962) di Camillo Mastrocinque, Le motorizzate (1963) di Marino Girolami, Il boom (1963) di Vittorio De Sica e soprattutto Il sorpasso (1962) di Dino Risi – osservano, ora con ironia ora con sarcasmo, l’infatuazione collettiva degli italiani per auto e motorette. Sugli schermi cinematografici, automobili, spiagge e canzoni leggere e romantiche (Nel blu dipinto di blu, Tintarella di luna, Il tuo bacio è come un rock, Il cielo in una stanza, Come prima) ci consegnano il ritratto audiovisivo di un boom economico che solo ad uno sguardo superficiale può definirsi privo di contraddizioni e di inquietudini più o meno nascoste.

 

… ma si nato in Italy

La canzone del 1956 di Carosone è il divertente ritratto di un giovane che vorrebbe vivere sopra le righe, secondo lo stile di vita americano, ma che deve ricorrere alla «borsetta di mammà» per ogni minima esigenza. Sembra un po’ la condizione degli italiani vista attraverso i cinegiornali che, per quanto si sforzino di documentire, lasciano trasparire fra le pieghe dei servizi frammenti di realtà che contraddicono la narrazione corrente secondo la quale il miracolo economico italiano reca i suoi benefici effetti su ogni strato della popolazione. Squilibri e arretratezze del paese affiorano persino nei servizi apparentemente neutri a carattere scientifico, come “La funzione dei grassi nell’alimentazione moderna”31, laddove si rileva che il consumo di grassi alimentari in Italia è il più basso in Europa, dopo la Grecia32. Il prof. Sabato Visco, direttore dell’Istituto della nutrizione, nella sua dichiarazione illustra con chiarezza il fondamento economico di questa disparità nei consumi: «questi consumi diversificano molto tra zona e zona d’Italia e tra classe e classe sociale. Così, di fronte ai 31-40 grammi di grassi consumati in alcuni centri della Sardegna, stanno i 118 grammi di grassi consumati in alcuni paesi del modenese». È passato più di un decennio dalla fine della guerra, ma olio e carne scarseggiano ancora sulle tavole di troppi italiani. Il miracolo non è per tutti.

La mera e reiterata esposizione delle cifre relative agli incrementi della produzione e all’esportazione delle merci nazionali non comporta alcuna lettura aggiuntiva, da parte dei cinegiornali, in merito ai fattori che favoriscono l’aumento della produttività e alle ricadute sociali del cosiddetto benessere. La classe operaia, in verità, beneficiò in minimo grado dell’aumento del Pil33, perché il forte bacino di disoccupati da cui l’imprenditoria italiana poteva attingere favorì una politica di contenimento dei salari34. In definitiva, la classe operaia produceva merci, spesso destinate all’esportazione, di cui raramente poteva permettersi l’acquisto. La tragedia mineraria di Marcinelle dell’agosto 1956 rese evidente a tutti come l’emigrazione rappresentasse ancora, pur in anni di sviluppo economico impetuoso, una valvola di sfogo indispensabile per masse rimaste ai margini del miracolo economico.


Note

1 “Stato e petrolio”, diretto da Ubaldo Magnaghi, è il numero monografico a colori de La Settimana Incom n. 1503 del 30/01/1957 che inaugura la serie “Grandi inchieste della Incom”.

2 Maria Adelaide Frabotta, Il cammino dei cinegiornali, in “Cinema & Cinema”, 1993, n. 67, p. 59.

3 Sandro Pallavicini, I cinegiornali di attualità in Italia e nel mondo. Relazione di Sandro Pallavicini, Roma, Olimpia, 1962, pp. 5 e succ. La relazione di Pallavicini è una fonte autorevole, poiché nel 1962 egli è presidente sia dell’Unione Nazionale Produttori Cortometraggi che dell’I.N.A. – International Newsreel Association.

4 Le vicende politiche ed economiche relative alla lauta distribuzione di fondi pubblici al settore dei cinegiornali sono state ben ricostruite in: Lorenzo Quaglietti, Storia economico-politica del cinema italiano 1945-1980, Roma, Editori Riuniti, pp. 122-142.

5 Maria Adelaide Frabotta, Il cammino dei cinegiornali italiani nel paese e in Europa, in Gian Piero Brunetta (a cura di), Identità italiana e identità europea nel cinema italiano dal 1945 al miracolo economico, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1996, pp. 183-184.

6  Pallavicini, I cinegiornali di attualità in Italia e nel mondo. Relazione di Sandro Pallavicini, cit., p. 3.

7 Ibid.

8 Ivi, p. 13.

9 Valerio Castronovo, L’Italia del miracolo economico, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. 6.

10 Libero Bizzarri, Il cinegiornale miliardario, in “Filmselezione”, 18 agosto 1963; ora in Giorgio De Vincenti (a cura di), Storia del cinema italiano. Volume X. 1960-1964, Venezia, Marsilio – Edizioni di Bianco & Nero, 2001, p. 631.

11 Il viaggio di Gronchi negli Stati Uniti, in La settimana Incom n. 1368 del 29/02/1956.

12 Le grandi inchieste della Incom. Inchiesta N. 2. Italiani in America. Servizio unico a colori, diretto dal regista Vittorio Gallo, de La Settimana Incom n. 1507 del 7 febbraio 1957.

13 Augusto Sainati, Introduzione, in Augusto Sainati (a cura di), La Settimana Incom. Cinegiornali e informazione negli anni ’50, Torino, Lindau, 2001, p. 13.

14 Frabotta, Il cammino dei cinegiornali italiani nel paese e in Europa, cit., p. 179.

15 Pierre Sorlin, “La Settimana Incom” messaggera del futuro: verso la società dei consumi, in Sainati (a cura di), La Settimana Incom. Cinegiornali e informazione negli anni ’50, cit., p. 72.

16 Castronovo, L’Italia del miracolo economico, cit., pp. 32-33.

17 Al delicato nodo delle relazioni fra la stampa cinematografica e gli enti di Stato non è mai stato dedicato uno studio specifico. Si consideri altresì che alcune testate cinegiornalistiche, come ad esempio la Incom, uscivano pure nelle edicole con un proprio periodico. Il sottotitolo de La Settimana Incom illustrata è significativo dell’ampio spettro di interessi degli editori: Settimanale di politica attualità e cultura.

18 Orizzonte Cinematografico (n. 332 dell’ottobre 1962), in occasione dei funerali del presidente dell’Eni, rimarcò come Mattei fosse «affiancato nel ricordo a De Gasperi e Vanoni, i maggiori artefici della rinascita nazionale».

19 Orizzonte Cinematografico (n. 429 dell’ottobre 1964), con un’insolita quanto esplicita scelta di campo, osservava come l’Autostrada rappresentasse «la più bella e vistosa eredità lasciata, al nostro paese, dai governi centristi».

20 Ibid.

21 Caleidoscopio Ciac n. 1270 del 09/12/1960.

22 Caleidoscopio Ciac n. 1194 del 29/12/1959.

23 Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Roma, Donzelli, 2003, p. 16.

24 A proposito de La Settimana Incom Pierre Sorlin rileva: «vedendo certi reportage, sembra in effetti impossibile che non siano stati ordinati (e pagati?) dall’impresa che fanno visitare» (Sorlin, “La Settimana Incom” messaggera del futuro: verso la società dei consumi, cit., p. 75).

25 Mariapia Comand, L’automobile e la spiaggia, in Scuola Nazionale di Cinema, Storia del cinema italiano. Volume X. 1960-1964, a cura di Giorgio De Vincenti, Venezia, Marsilio – Edizioni di Bianco & Nero, 2001, p. 238.

26 Fra il 1954 e il 1964 «gli occupati in agricoltura sono passati dal 40% al 25% del totale degli attivi (una perdita netta di 3 milioni di persone), nell’industria dal 32% al 40%, nei servizi dal 28% al 35%» (Crainz, Il paese mancato, cit. p. 13).

27 Guido Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta, Roma, Donzelli, 2003, p. 83.

28 La Settimana Incom n. 2247 del 7 febbraio 1964, a cura degli inviati Paolo Fabbri, Pino Marchi e Marino Marchi.

29 Caleidoscopio Ciac n. 1716 del 7 settembre 1965.

30 Caledoscopio Ciac n. 1132 del 23 ottobre 1958. Anche per questa testata cinegiornalistica vale quanto osservò Sainati a proposito de La Settimana Incom: «conservazione e modernità convivono in questo cinegiornale che in questo senso riflette bene l’anima divisa del paese»; Augusto Sainati, Introduzione, in Sainati (a cura di), La Settimana Incom. Cinegiornali e informazione negli anni ’50, cit., p. 14.

31 La Settimana Incom n. 1604 del 13 dicembre 1957. Si tratta di un numero monografico a colori della durata di quasi otto minuti.

32 Le cifre esposte sono impietose: a fronte del dato italiano per il biennio 1955-56 di 66 g. pro capite (di poco superiore ai 59 g. del periodo prebellico), il consumo di grassi, in grammi, in Francia è di 92, in Svizzera di 118, in Germania di 119, in Inghilterra di 137 e in Danimarca e Norvegia di oltre 140.

33 «Per l’intero periodo fra il 1958 e il 1963 il Pil, che era aumentato nel precedente triennio del 7,5 per cento, in media, continuò a crescere con un livello elevato, del 6,5 per cento l’anno, e giunse a sfiorare l’8 per cento nel 1961» (Castronovo, L’Italia del miracolo economico, cit., p. 29).

34 Ivi, pp. 29-30.