La ricerca Indire tra uso didattico del patrimonio storico culturale e promozione delle buone pratiche

Premessa

Il presente contributo nasce dalle esperienze Indire maturate più ampiamente nella struttura denominata “Valorizzazione del patrimonio storico”1 (ex Pta 2021-2023), come pure trasversalmente alle altre attività di ricerca Indire più orientate verso innovazione del modello didattico2. In quest’ambito il gruppo di ricerca, si è mosso, nell’ultimo decennio, verso una riflessione generale sull’uso didattico del patrimonio storico culturale inteso nella sua accezione più ampia.

Parte degli studi e considerazioni qui riportati si riferiscono alle interazione con le scuole attivate attraverso il lavoro congiunto di Indire con la Rete Diculther – Digital Cultural Heritage, Arts and Humanities, la quale «aggrega oltre settanta organizzazioni tra università, enti di ricerca, scuole, istituti tecnici superiori, istituti di cultura, associazioni e imprese pubbliche e private, con l’obiettivo comune di far nascere un “campus diffuso” in grado di attivare l’elaborazione di un’offerta formativa coordinata con il sistema nazionale per costruire il complesso delle competenze digitali indispensabile al confronto sempre più articolato ed eterogeneo con la smart society, nel quadro di un modello scalabile a livello europeo»3.

 

1. L’uso del patrimonio storico culturale per una didattica inclusiva, laboratoriale in prospettiva di civic education4

Il progetto sviluppato, anche con la partecipazione di Indire, relativamente all’uso delle fonti storico documentarie per ricostruire il tema dell’istruzione tecnica al femminile, apre inevitabilmente il campo alla riflessione, che quale ente stiamo sviluppando da tempo, circa l’efficacia della fruizione del patrimonio culturale nella costruzione delle competenze per il XXI secolo5. Ormai, quando si parla del rapporto patrimonio culturale-sistema di istruzione, occorre inserire nel discorso la questione dell’uso del digitale e, occorre sempre tener presente che questo trinomio, “patrimonio culturale-digitale-didattica”, ci riporti a modelli pedagogici di stampo costruttivista, che si fondano sulle didattiche esperienziali che hanno ad oggetto, quale laboratorio di didattica attiva, il patrimonio culturale stesso, considerato nella sua funziona educativa6.

Proprio nello scambio tra l’oggetto e l’osservatore si crea un processo di costruzione di significati dal carattere intrinsecamente interdisciplinare7. Già nel 1921 Charles Alexander McMurry, tra i principali promotori dell’educazione interdisciplinare, scriveva: «È un’ovvietà […] che le impressioni sensoriali fondate sull’oggetto e la risposta motoria connessa, formino la prima base del pensiero nel trattare i materiali derivanti dalla conoscenza»8. Seppure l’affermare questo abbia dunque radici lontane nel tempo e seppure sia vero anche che nella scuola primaria questo tipo di educazione hands on sia attutata, via via che si sale nei gradi di istruzione il coinvolgimento sensoriale nel percorso di apprendimento diminuisce drasticamente. Solo l’ingresso massiccio della tecnologia digitale applicata al patrimonio culturale, estesamente inteso, ha ridotto nell’ultimo decennio questo limite intrinseco della didattica praticata nei gradi superiori della scuola di base.

In tale direzione le possibilità che le soluzioni tecnologiche ci stanno offrendo sono numerose e si stanno dimostrando particolarmente efficaci, nella loro facies di “modalità contemporanee” per entrare in contatto col passato (spendibili nel contesto educativo formale e informale) facilitando lo sviluppo di competenze complesse e trasversali9. Ecco che, ad esempio, da un lato, la messa a disposizione progressiva di corpora documentari da parte delle istituzioni preposte alla conservazione o, dall’altro, la possibilità di realizzare percorsi laboratoriali e partecipati in classe, come un prodotto multimediale a partire dal patrimonio culturale o una modellizzazione virtuale, ecc., hanno favorito il riemergere anche nei gradi più alti dell’istruzione della pratica hands on, con caratteristiche di marca spiccatamente attiva e transdisciplinare10.

Centrale però è adesso la necessità di individuare modelli ad hoc per un uso didattico del patrimonio, un sostegno di questa prassi in modo sistemico e una riflessione sull’uso critico delle tecnologie, attraverso l’individuazione di “buone pratiche”. Inutile dire che a tal proposito, l’uso del patrimonio culturale, con la mediazione tecnologica che crea un’integrazione maggiormente sistematica tra scuola e territorio, detta l’esigenza di nuovi modelli didattici. Occorre che dai docenti vengano ripensati modelli pedagogici nuovi, pratiche differenti sostenute dalla nuova strumentazione tecnologico-digitale e che di questi processi sia validata l’efficacia e l’uso critico. Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) del 2008, poi pilastro della Legge 107 del 2015, ha promosso la sperimentazione di nuovi modelli, l’uso di strumenti innovativi, la disseminazione di buone pratiche laboratoriali, considerati tutti elementi centrali per l’innovazione del modello didattico, questo insieme permette di tradurre il patrimonio culturale in nuovi scenari per l’apprendimento, nel quadro dello sviluppo delle competenze di base. Se, infatti, la competenza digitale è una delle otto competenze chiave identificate dal Parlamento e dal Consiglio Europeo come fondamentali in prospettiva dell’apprendimento permanente, queste non hanno a che vedere solo col digitale, ma anche per esempio con lo sviluppo delle competenze di cittadinanza e delle capacità critiche, è in tal senso che nei percorsi pensati e realizzati nell’alveo della ricerca Indire è sempre stata previsto anche lo sviluppo di queste.

Numerosi fattori socio-culturali-tecnologici hanno condotto, negli ultimi quindici anni per le nuove (e le meno nuove) generazioni, quella che potremmo definire una ristrutturazione di mentalità che ha influito molto in come sia stato percepita e recepito anche l’approccio alla memoria e al patrimonio storico culturale. Non è casuale, infatti, che negli ultimi decenni siano questa secondarietà sia stata reiterata in vari testi legislativi dal forte impatto, come le Indicazioni Nazionali, destinate a riformare profondamente, ad esempio, lo studio della storia e della storia dell’arte nelle scuole primarie e nelle secondarie di primo e secondo grado, ridimensionandone, esempio, lo spazio orario. Eppure in questo medesimo lasso cronologico, il proliferare di fonti di informazioni vastissime e alla portata di tutti nel web (che ha dato l’illusoria percezione di una conoscenza “potenzialmente illimitata” e della quale sovente non si sa assolutamente chiedersi quale origine abbia) ha posto come centrale una tra le celeberrime “competenze” che si dovrebbero acquisire a scuola: quella della “capacità critica” di saper cercare e selezionare le informazioni, capacità di cui la storia è maestra. Per cui, proprio approcciando criticamente memoria e patrimonio culturale che ad essa si lega sarebbe necessario imparare non tanto conoscenze predefinite e standard, quanto, piuttosto, quell’ “imparare a imparare”, che poi non è altro che l’acquisire mentalità critica11. Questo indebolimento drastico delle discipline più strettamente storico umanistiche è avvenuto sebbene sia evidente come il tema della memoria abbia a che fare con molte delle urgenze del nostro tempo. Sotto questo profilo c’è una forte connessione tra uso del patrimonio culturale, avvicinamento ad esso e civic education. La scuola può contribuire al superamento di questa impasse? Sì, ma servono sempre più per la storia linguaggi e percorsi nuovi, da acquisirsi sistematicamente (non episodicamente) nella pratica didattica. A questa istanza educativa l’uso del patrimonio storico culturale attraverso i linguaggi nuovi propri, ad esempio, della Public History12, con le sue modalità di coinvolgimento attivo e collettivo, ha la forza di fornire una risposta efficace, seguendo strade inedite, anche più vicine alla cultura e alle modalità comunicative contemporanee. L’accesso diretto alle fonti primarie oggi favoritissimo dal digitale e la loro interpretazione critica; il rifiuto di una metodologia puramente trasmissiva; la riconfigurazione da fruitori prevalentemente passivi (il pubblico adulto o gli alunni) a protagonisti attivi del processo di apprendimento; le nuove prospettive di collaborazione transdisciplinare (che il digitale apre); lo stimolare una conoscenza del passato non mnemonica ed episodica, ma organica e problematica, che consideri i suoi processi e le sue ricadute sui problemi del tempo presente, sono tutti fattori che hanno tanti punti in comune con le pedagogie costruttiviste alla base delle didattiche attive e laboratoriali verso le quali Indire spinge nella sua attività trasversalmente a tutte le sue progettualità di ricerca.

In tale quadro c’è un ultimo elemento su cui mi soffermo circa il digitale, di cui si son già esplicitate le potenzialità che favoriscono crescentemente il laboratorio, ma che anche consente l’operare in rete e in modo sempre più congiunto tra scuola, mondo accademico e professionisti, che (a vario titolo, sia nel settore pubblico come nel privato) si occupino a livelli diversi dei linguaggi e strumenti legati alla diffusione del sapere storico: in una sinergia che vede coinvolti in un’azione che sia sempre più sistemica e reticolare, università, musei, archivi, biblioteche, territorio, spazi pubblici e, infine, scuole.

Segnalo a riguardo due progetti che hanno molte delle caratteristiche sopra esposte e che hanno al loro centro la costruzione di percorsi rivolti al mondo della scuola con il fine di favorire, attraverso l’uso del patrimonio storico culturale, lo sviluppo di competenze varie, tra cui quelle di civic education circa le tematiche di genere. Il primo è il segmento di analisi in prospettiva diacronica del ruolo femminile nel sistema d’istruzione, internamente al progetto Gender School-Affrontare la violenza di genere. Il sito web13 (al momento in aggiornamento) rende disponibili i contenuti del progetto che nasceva da una collaborazione a tra il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri e l’Indire e che aveva l’obiettivo di realizzare un programma di educazione alla parità e al rispetto delle differenze di genere, allo scopo di superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini. Anche l’offerta di materiale d’archivio selezionato in percorsi specifici aveva lo scopo di trattare anche storicamente il tema della parità di genere e del contrasto della violenza attraverso una combinazione articolata di azioni di comunicazione didattica, di educazione e formazione, di sensibilizzazione socio-culturale. L’azione nel suo complesso si divideva in fasi e prevedeva lo sviluppo di attività di analisi e di ricerca, prevedendo un piano di formazione e la realizzazione di un portale dedicato, in cui anche l’uso di percorsi creati col patrimonio storico culturale fossero finalizzati nello specifico alla formazione del personale della scuola e dei docenti mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica a favore degli studenti di diversa età su tutto il territorio nazionale. Le immagini storiche dell’Archivio storico Indire sono state considerate quali documenti visivi che narrassero per analogia o per contrasto l’approccio passato con le dimensioni in oggetto e che volevano suggerire una riflessione sulla direzione da prendere e le azioni educative possibili da intraprendere in relazione al raggiungimento degli obiettivi.

Il secondo progetto è La Scuola allo schermo14, nel suo segmento Superotto: si tratta di una raccolta di risorse audiovisive rivolta ai docenti, ai dirigenti scolastici, a chi studia, fa ricerca o formazione nei contesti educativi propri delle piccole scuole e, più ampiamente, a chiunque nel mondo della scuola voglia approfondire, mediante le fonti audiovisive, strumenti per affrontare in classe temi sociali, culturali ed economici, grazie ad un repertorio ragionato di film, documentari, cortometraggi, interviste e altri materiali di finzione, per un viaggio tra le culture educative, i metodi e gli strumenti didattici, le innovazioni, il rapporto con i territori e con la società in Italia e non solo15. Ogni fonte filmica individuata viene accompagnata da una sinossi del film e da una presentazione del regista al fine di renderla, insieme alle proposte didattiche suggerite, una risorsa educativa creando un terzo spazio virtuale per una scuola aperta e diffusa. Nell’ambito di questo progetto, in occasione della giornata internazionale per i diritti delle donne, in collaborazione con Gender School, è stato proposto Superotto, una selezione di audiovisivi per affrontare in classe il tema delle pari opportunità. Le risorse di questa piccola rassegna trattano, sotto diverse angolature, le questioni delle differenze, delle identità di genere, dei diritti, delle discriminazioni, della violenza e dei movimenti femminili di emancipazione e liberazione, con un ampio il ventaglio di linguaggi, dal cinema neorealista alle più recenti produzioni cinematografiche internazionali, passando per i corti di animazione, il documentario e la rappresentazione teatrale16. Nell’ambito di questa iniziativa è stato proposto (nella settimana 8-14 marzo), anche, nell’ambito del progetto Genere, lavoro e cultura tecnica, il documentario Paura non abbiamo di Andrea Bacci17, che, realizzato nel 2017, racconta, con l’ausilio di immagini d’epoca, la vicenda di due operaie della Ducati di Bologna che, nel 1955, vollero celebrare l’otto marzo distribuendo all’uscita della fabbrica delle mimose: gesto che costò loro l’arresto e la condanna a un mese di detenzione. Un ritratto che, attraverso la voce delle protagoniste, contribuisce a descrivere la società italiana degli anni Cinquanta ed i suoi aspetti repressivi e patriarcali. Infine, in uno degli svariati webinar proposti ai docenti è stato presentato, sempre nell’ottica dell’uso didattico del patrimonio culturale, in anteprima un ultimo lavoro del regista, Mosche bianche18.

 

2. Fonti fotografiche sull’istruzione tecnica nell’Archivio storico Indire. Spunti di ricerca e riflessioni sulle potenzialità didattiche19

Il corpus documentale attualmente conservato presso l’Archivio storico Indire, consistente in circa 95mila documenti e 14mila fotografie sulla storia dell’Istituto e della Scuola italiana, deve la sua formazione al lavoro avviato dai suoi antecedenti istituzionali, ovvero la Mostra didattica nazionale del 1925, a cui seguirono l’istituzione del Museo nazionale della scuola, poi inglobato nel Centro didattico nazionale (CDN) nel 1941, che avrà definitiva sede in Palazzo Gerini a Firenze. Nel dopoguerra questi diviene Centro didattico nazionale di studi e documentazione, poi Biblioteca di documentazione pedagogica e Indire. In quella che è tuttora la sede centrale dell’Ente si conserva il materiale didattico, documentale e bibliografico inviato su base volontaria da tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado, raccolto, selezionato e organizzato durante i quasi 90 anni dell’istituto, per documentare lo stato dell’innovazione didattica, dei sussidi e delle architetture scolastiche del paese. Tra quella superstite è consistente la documentazione relativa agli anni Trenta e Quaranta, momento di massima attività del CDN, il quale si prefiggeva di essere rappresentativo degli esiti della Carta della Scuola (1939) che sanciva la politicizzazione scolastica al fine di creare «una cultura non fascistizzata, ma realmente e totalmente fascista»20.  

La ricerca in oggetto analizza in particolare il fondo fotografico, il quale raccoglie materiali che, seppur nella loro eterogeneità di formati, autori e provenienze, sono accomunati dal contesto di originale creazione, sempre riferito all’ambito delle istituzioni scolastiche e per finalità “pubbliche”: siano queste relative alle mostre didattiche locali o interne alle scuole da cui molto del materiale risulta provenire, o in quanto fotografie appositamente realizzate per l’invio al museo e archivio del CDN. Per un adeguata lettura di queste fonti, è inoltre utile tenere presente anche la possibile ulteriore selezione dei materiali realizzata dal Centro stesso, seguita dal loro successivo “montaggio” espositivo e dal riordino archivistico, che hanno portato a organizzare e conservare i materiali così come oggi li possiamo osservare.

Nell’ottica di possibili ricadute formative e nell’ambito della didattica della storia che valorizzi l’uso delle fonti, come da anni promossa da Indire, in questa analisi vorremmo perciò, non solo constatare la presenza di fotografie che possano “corredare” la ricerca storica sul tema oggetto di questo studio ma, oltre tale valore “denotativo”, vorremmo anche sottolineare la valenza ontologica di queste fonti, le quali veicolano messaggi “connotativi” che vanno oltre la superfice dell’immagine e raccontano delle possibili relazioni intercorse tra i soggetti coinvolti – fotografi, committenti, fruitori destinatari – e dei codici di rappresentazione, auto-rappresentazione e “montaggio”, attuati21.

Quale perciò la “narrazione” che emerge dal fondo fotografico Indire, relativamente all’istruzione tecnico-professionale, in particolare se rivolta alle donne? Le fotografie provenienti dalle scuole di avviamento professionale (anni Trenta-Quaranta) ad esempio, ci mostrano studentesse ritratte in aula, in classi miste durante le lezioni teoriche o di scrittura a macchina. Sono invece riprese in gruppi esclusivamente femminili nei corsi di stiratura, di sartoria, di “buon governo”, e durante le esercitazioni fisiche. Nel primo caso l’uso del grandangolo che riprende gli studenti da un punto di vista rialzato, sembra esser funzionale più a mostrare l’intera classe nella sua ordinata inquadratura nei banchi, quindi l’arredo stesso delle aule o gli strumenti didattici in uso (Foto 1); mentre nel secondo caso l’obiettivo abbassa il suo punto di ripresa, si avvicina ai soggetti ed evidenzia più facilmente l’individualità, l’aspetto vitale e operoso delle ragazze (Foto 2). La presenza degli studenti nelle inquadrature non è del resto sempre riscontrabile: intere serie fotografiche sono dedicate alle aule attrezzate, alle officine o ai reparti macchine, utili ad attestare l’aggiornamento delle dotazioni tecniche scolastiche.

Foto 1. “Prima Giornata della Tecnica: Sala di dattilografia”, Regia scuola secondaria di avviamento professionale commerciale Cesare Cantù, Como, 1940, Fotografia Mazzoletti, Como. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.329.001).
Foto 1. “Prima Giornata della Tecnica: Sala di dattilografia”, Regia scuola secondaria di avviamento professionale commerciale “Cesare Cantù”, Como, 1940, Fotografia Mazzoletti, Como. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.329.001).

Foto 2. “Esercitazioni di buon governo. Regia scuola di avviamento professionale Armando Diaz, Roma, anni Trenta-Quaranta. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.316.045).
Foto 2. “Esercitazioni di buon governo”. Regia scuola di avviamento professionale “Armando Diaz”, Roma, anni Trenta-Quaranta. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.316.045).

I grembiuli e vesti da lavoro svolgono un effetto “uniformante” dei soggetti e dei movimenti: ad esempio nelle riprese in cui più ragazze sono ritratte durante le attività dei laboratori pratici, queste sembrano la rappresentazione di una stessa laboriosa figura replicata in pose diverse (Foto 3). Effetto non dissimile da quello risultante dai ritratti in gruppo di ragazzi e ragazze nelle divise delle Organizzazioni giovanili del Fascismo, in cui i soggetti acquistano una loro identità solo come parte di un sistema scolastico e corporativo che così si auto-rappresenta e celebra.

Foto 3. Laboratorio per le esercitazioni pratiche di cucito e sartoria. Regia scuola di avviamento professionale A. Volta, Genova-Cornigliano, anni Trenta-Quaranta. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.319.013).
Foto 3. Laboratorio per le esercitazioni pratiche di cucito e sartoria. Regia scuola di avviamento professionale “A. Volta”, Genova-Cornigliano, anni Trenta-Quaranta. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.319.013).

Troviamo impostazioni analoghe nelle fotografie provenienti da istituti tecnici commerciali e per geometri, che ritraggono lezioni di merceologia scientifica o d’analisi chimica in laboratorio, e in cui le inquadrature non tralasciano di includere i ritratti del Re e del Duce affissi alle pareti, sotto il cui “sguardo” gli studenti lavorano con dedizione (Foto 4).

Foto 4. Lezione di chimica merceologica. Istituto tecnico commerciale e per geometri Vittorio Veneto, Littoria (ora Latina), anni Trenta-Quaranta. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.315.001).
Foto 4. Lezione di chimica merceologica. Istituto tecnico commerciale e per geometri “Vittorio Veneto”, Littoria (ora Latina), anni Trenta-Quaranta. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.315.001).

Seppur di consistenza ridotta, vogliamo infine citare le fotografie che nel dopoguerra, alla riapertura del rinnovato CDN, e fino agli anni Settanta, continuarono ad essere raccolti. Riguardo alla formazione professionale troviamo in archivio le serie fotografiche inviate dalle scuole d’avviamento industriale o commerciale, e dagli istituti tecnici statali, anche a solo indirizzo femminile, che documentano ora le nuove formazioni destinate al terziario, e l’impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro, le quali vanno quindi a integrare la didattica e a definire le attività laboratoriali. Tra queste di certo interesse è il materiale firmato dallo studio Villani di Bologna (Foto 5), relativo a più istituti professionali femminili non identificati, ad indirizzo tessile e per l’industria e l’artigianato22: documentazione in cui risulta ancora evidente un’impostazione delle inquadrature in linea con il passato, in cui le riprese con l’uso del grandangolo inquadrano aule e studenti ora, con i grembiuli al posto delle uniformi, ma sempre in posa, composte nel loro sforzo e concentrazione lavorative.

A rendere ancora così strutturata la composizione e la scelta delle pose – apparentemente “bloccate” anche quando ritraggono attività pratiche ipoteticamente più dinamiche – forse è la “necessità” di mostrare il loro composto svolgersi, che si concreta così nella “messa in scena” dell’atto lavorativo. La ripresa è inoltre in questo caso supportata dalla qualità delle strumentazioni fotografiche a disposizione e dalla professionale valutazione di luci e tempi di esposizione. Le inquadrature, realizzate da un punto di vista rialzato rispetto ai soggetti, inducono ancora ad ipotizzare che la presenza delle studentesse sia funzionale a mostrare i moderni arredi o le strumentazioni.

Emergono però nuovi elementi: volti più rilassati, tra cui si scorgono i sorrisi spontanei dei soggetti, coscienti di essere oggetto di attenzione dell’occhio fotografico, ma anche nuovi codici di comportamento. Riconosciamo pose più informali sia di docenti che studenti (Foto 6), ad esempio quando si ritraggono i momenti extra-didattici quali la ricreazione, gli incontri con i genitori e le attività ricreative del doposcuola. La maggiore diffusione di apparecchi fotografici personali, suggerisce di poter essere in presenza di scatti amatoriali, forse ad opera degli stessi studenti o docenti che realizzano fotografie identificabili adesso come al limite tra l’ambito della memoria pubblica-scolare e quella individuale: ne sono esempio le immagini delle gite scolastiche o dell’uscita da scuola.

Foto 5. Dattilografia, Istituto professionale femminile di Stato, Bologna, Foto A. Villani Bologna, anni Cinquanta. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.199.009).
Foto 5. Dattilografia, Istituto professionale femminile di Stato, Bologna, Foto A. Villani Bologna, anni Cinquanta. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.199.009).

Foto 6. Laboratorio di fisica. Istituto tecnico statale di Bari, Foto Ramosini, anni Cinquanta. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.240.004).
Foto 6. Laboratorio di fisica. Istituto tecnico statale di Bari, Foto Ramosini, anni Cinquanta. Archivio storico Indire, Fondo fotografico (02.240.004).

In conclusione, e a seguito di questo breve excursus, si conferma il potenziale educativo del patrimonio storico Indire – e non solo quello fotografico oggetto di questa presentazione – utile a creare percorsi laboratoriali su varie tematiche creando, a partire dall’analisi delle fonti, processi conoscitivi e occasioni di discussione attraverso confronti tra passato e presente, in un’ottica di dialogo aperto con gli studenti. Il gruppo di ricerca Indire, nelle più recenti esperienze di webinar, confronto coi docenti e diffusione della attività promossa riguardo l’uso delle fonti per la didattica della storia, e trasversalmente per tutta la didattica curriculare, ha sempre cercato di porre attenzione sull’importanza del processo di acquisizione di competenze quale momento propedeutico all’acquisizione finale di conoscenze da parte degli studenti.

In particolare, far lavorare gli studenti col documento fotografico è stato oggetto di riflessione riguardo alle possibilità offerte dall’apparente facilità di fruizione dell’”immagine” attraverso cui invece problematizzare i concetti di “fonte”, “documento”, “archivio” e di attendibilità e affidabilità delle informazioni veicolate dai documenti e dalle immagini, al fine di coinvolgere in modo “attivo” gli studenti verso un’indagine critica, storica e sociale nell’ambito d’azioni di natura laboratoriale, che tocchino anche l’educazione ai molteplici linguaggi dei media, quelli del passato, come quelli attuali. Questo ci ha sempre portato a suggerire attività da strutturare quali “itinerari” in più fasi, da identificare primariamente come “laboratori di storia”, che non cedano ad un uso letterario o emotivo dell’immagine fotografica osservata nella sua sola superficie visibile, ma che vadano ad esplorarla in senso storiografico, accompagnando lo studente ad analizzare, soggetti, ma anche didascalie, autori, contesti di realizzazione e materialità del documento.

La proposta sarebbe auspicabilmente da svolgere in presenza e in sede d’archivio, ma nella situazione contingente dell’ultimo anno, abbiamo iniziato a ripensarla per proporre ai docenti d’attuare tali momenti didattici anche a distanza, con l’uso di materiale digitalizzato a partire dai database archivistici Indire e integrando con quanto disponibile in rete. Le attività, che il docente potrà variare in base a età e grado scolastico, potranno così unire la didattica della storia all’educazione civica e, in relazione al tema del presente studio, permettono di affrontare in modo diacronico temi quali la femminilizzazione di alcuni ruoli, il concetto di gender mainstreaming, i linguaggi e la presenza di stereotipi di genere nei mass media. Mentre tutte le azioni realizzabili in dad possono divenire per i ragazzi occasione formativa in cui esplorare le potenzialità di ricerca e d’interazione offerte dal digitale, affinando le capacità di farne un corretto e consapevole utilizzo.

Come hanno dimostrato le attività didattiche di lettura del “documento fotografico” svolte anche con i più piccoli23, uno dei principali obiettivi di tale pratica non sarà tanto quello di «far trovare loro le giuste interpretazioni», quanto incentivare le competenze “investigative” e critiche dei ragazzi in quanto in ambito laboratoriale, l’uso diretto delle fonti, specie se queste sono di ambito scolare, accompagna lo studente ad un coinvolgimento in prima persona che lo stimola nell’analisi di contesti a cui in modo diacronico potrà rapportare la propria esperienza.


Note

1 Indire, Piano Triennale delle attività 2020-2021-2022, pp. 6-7. Reperibile in https://www.indire.it/wp-content/uploads/2017/05/PTA-2020-2022.pdf.

2 Si pensi al Movimento delle Avanguardie educative, http://innovazione.indire.it/avanguardieeducative/, e alla Rete delle Piccole Scuole, https://piccolescuole.indire.it/.

3 Diculther, Accordo di rete, 2015, in https://www.diculther.it/accordo-di-rete/.

4 La prima parte dell’articolo è stata scritta da Pamela Giorgi.

5 Pamela Giorgi, Storie della scuola: “Narrazioni” per educare al patrimonio culturale e al senso storico, in “Essere a scuola”, 2021, n. 10, pp. 83-84; Pamela Giorgi, Il Convegno Indire (15-17 dicembre 2020). Il digitale per valorizzare il patrimonio culturale: scuola, archivi, biblioteche e musei, in “Agenda digitale”, marzo 2021; Pamela Giorgi, Irene Zoppi, Didattica della storia ai tempi del COVID-19. Distanza, digitale e uso laboratoriale delle fonti, in “Essere a scuola”, fascicolo speciale La scuola a casa, marzo 2020, pp. 39-41; Pamela Giorgi, Irene Zoppi, Gianluca Gabrielli et al., Il laboratorio di storia: lo studente come lo storico alla ricerca delle fonti, in “Didattica Della Storia-Journal of Research and Didactics of History”, 2020, n. 2, pp. 715-734; Pamela Giorgi, Irene Zoppi, Scuola: Come utilizzare le fonti online per didattica e ricerca storica, in “Agenda Digitale”, 14 dicembre 2018.

6 Si segnala la riflessione di Prown circa il rilievo dell’uso patrimonio culturale come elemento materiale per la comprensione del passato, definendo una metodologia specifica dell’apprendimento attraverso gli oggetti. Metodologia strutturantesi in tre fasi: descrizione dell’oggetto; processi deduttivi e sperimentativi che si attivano a partire da questo; identificazione delle domande di ricerca. In sintesi, gli approcci di quella che oggi definiamo come la Pratica dell’Object Based Learning. Cfr. Jules David Prown, Mind in Matter: An Introductionto Materila Culture, Nex Haven, Yale University, 1982; e Jules David Prown, In Pursuit of Culture: the Formal Language of Objects, in “American Art”, 1995, n. 9, pp. 2-3.

7 Antonella Poce, Il Patrimonio culturale per lo sviluppo delle competenze nella Scuola primaria, Milano, Franco Angeli, 2020, pp. 11-21.

8 Cfr. Charles Alexander McMurry, Theaching by Projects: A Basis for Purposeful Study, New York, Macmillian, 1921, p. 3.

9 Cfr. Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero nel tempo della globalizzazione, Milano, Raffaello Cortina, 2000.

10 Si riporta a tal proposito quanto realizzato da Indire con la Rete Diculther (Digital Cultural Heritage) con gli Hackaton per l’educazione al patrimonio culturale titolarità culturale agli studenti. Indire partecipa, infatti, come partner alla Rete DiCultHer sin dalla sua costituzione nel febbraio 2015, #HackCultura è l’hackathon degli studenti per la “titolarità culturale” finalizzato allo sviluppo di progetti digitali da parte degli studenti delle scuole italiane, per favorire nei giovani, in un’ottica di “titolarità culturale”, la conoscenza e la “presa in carico” del patrimonio culturale nazionale. In tale ambito abbiamo lavorato ad una serie di azioni e riflessioni per ripensare i processi di digitalizzazione del patrimonio culturale, sia di co-creazione del digitale quale espressione sociali e culturali dell’epoca contemporanea, nella prospettiva di concorrere alla creazione delle competenze necessarie per approcci e metodi di lavoro con il Digital Cultural Heritage, basandosi su criteri chiari e omogenei per validarle e certificarle come memoria e fonte storica. Alla selezione e al vaglio delle fonti (competenza quanto mai indispensabile al giorno d’oggi) si aggiungono tra gli obbiettivi didattici da perseguire, la comprensione del significato del valore del patrimonio culturale. Al riguardo è prevista, con il contributo di Indire, una ulteriore iniziativa per supportare le scuole stesse nella fase di documentazione del percorso/progetto: lo scopo è quello di valorizzare maggiormente i progetti trasformandoli in buona pratica che possa ispirare a sua volta altre scuole.

11 Cfr. Edgar Morin, Educare gli educatori: Una riforma del pensiero per la Democrazia cognitiva, Roma, Edup, 2008.

12 Cfr. Gianfranco Bandini, Stefano Oliviero, Public history of education. Riflessioni, testimonianze, esperienze, Firenze, University Press, 2020.

13 La pagina del progetto Gender School è accessibile in https://www.indire.it/progetto/gender-school/.

14 La pagina del Progetto Scuola allo schermo – Piccole Scuole è accessibile in https://piccolescuole.indire.it/iniziative/la-scuola-allo-schermo/; e la sezione speciale dedicata al progetto da Rai Cultura in https://www.raicultura.it/speciali/lascuolaalloschermo/.

15 Cfr. Pamela Giorgi, Irene Zoppi, Piccole scuole e cinema indipendente: così valorizziamo il nostro patrimonio, in “Agenda Digitale”, 17 febbraio 2021.

16 Francesca Caprino, Superotto: risorse audiovisive per superare i pregiudizi e celebrare l’otto marzo, in “Indire Informa”, 5 marzo 2021, https://www.indire.it/2021/03/05/superotto-risorse-audiovisive-per-superare-i-pregiudizi-e-celebrare-lotto-marzo/; Sezione Superotto in https://piccolescuole.indire.it/iniziative/la-scuola-allo-schermo/#superotto.

17 Pamela Giorgi, Intervista ad Andrea Bacci, in “Speciale Scuola allo Schermo”, Rai cultura, 2021, https://www.raicultura.it/cinema/articoli/2021/03/Andrea-Bacci-regista-1332300f-4e81-4162-9802-9139bbd382b7.html.

18 I webinar sono registrati e sempre visibili nella sezione omonima sul sito Scuola allo Schermo.

19 La seconda parte dell’articolo è stata scritta da Irene Zoppi e attinge al lavoro di ricerca e valutazione delle possibili applicazioni didattiche, svolto nell’anno 2020 nell’ambito della sinergia dei gruppi di ricerca Indire per la valorizzazione del patrimonio storico e per il progetto Gender School – Affrontare la violenza di genere.

20 Renzo De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, 1929-1936, Torino, Einaudi, 1974, p. 121. La selezione di tali materiali era stata curata dal personale del Centro a partire da quanto realizzato, scelto e inviato su base volontaria delle scuole stesse, che così avevano risposta alla richiesta promossa dal Museo fin dalla sua prima istituzione (Qual è il materiale che si accoglie nel museo didattico nazionale, in “Vita scolastica”, 1929 n. 2, p. 7). Per la storia di Indire e dei fondi archivistici, cfr. Pamela Giorgi, Juri Meda (a cura di), I Fondi archivistici dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica, Firenze, Polistampa, 2009; Pamela Giorgi (a cura di), Dal Museo Nazionale della Scuola all’Indire. Storia di un Istituto al servizio della Scuola italiana (1929-2009), Firenze, Giunti, 2010.

21 Fra i molti testi di riferimento che suggeriamo come fruibile riferimento in contesti di divulgazione della ricerca e formazione rivolti ai docenti, riguardo l’uso delle immagini come prove storiche, si segnala Peter Burke, Testimoni oculari: il significato storico delle immagini, Roma, Carocci, 2013; e sull’analisi della fotografia come fonte storica, Adolfo Mignemi, Lo sguardo e l’immagine. Le fotografie come documento storico, Torino, Bollati Boringhieri, 2003; Pierre Bourdieu et al., La fotografia. Usi e funzioni sociali di un’arte media, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1971.

22 La mostra Lo Studio Villani di Bologna. Il più importante atelier fotografico italiano del XX secolo tra industria, arte e storia (11 dicembre 2014-26 aprile 2015) ospitata dal Museo del Patrimonio Industriale a cura di Fratelli Alinari è stata momento di valorizzazione del patrimonio dello studio. Fondato nel 1921, ha il primato di aver documentato le attività economiche, artistiche e culturali in particolare della città di Bologna e dell’Emilia-Romagna e, dal dopoguerra la ripresa economica ed industriale del territorio, da cui emerge anche la testimonianza della crescente occupazione femminile in ambito industriale. Per il contesto emiliano si rimanda inoltre alla Mostra fotografica Formazione professionale, lavoro femminile e industria a Bologna (ottobre-novembre 2019, Museo del Patrimonio industriale).

23 Ne sono prezioso esempio le attività didattiche documentate dagli storici Gianluca Gabrielli, Monica Di Barbora, “Partigiani alla Marelli” in una quinta di scuola primaria, in “Novecento.org. Didattica della storia in rete”, 23 dicembre 2020. Reperibile in http://www.novecento.org/didattica-in-classe/partigiani-alla-marelli-in-una-quinta-di-scuola-primaria-6843/. Cfr. anche Giorgi, Zoppi, Gabrielli et al., Il laboratorio di storia: lo studente come lo storico alla ricerca delle fonti, cit.