Storia di Giovanni Succi, digiunatore

Da Cesenatico è andato in giro per l’Europa a fare la fame. Questa, però, non è la solita storia, necessariamente un po’ lacrimosa, di emigrazione proletaria1.

Giovanni Succi, romagnolo nato alla metà del diciannovesimo secolo, viene ricordato come uno dei più resistenti e popolari digiunatori che l’Italia abbia prodotto: Succi metteva in scena – ricavandone un buon profitto – la propria inedia e mostrandosi comunque sempre attivo e vigoroso. La sua vita è stata quella di uno dei tanti “mostri” (o fenomeni da baraccone) che popolavano le piazze e i teatri nella seconda parte dell’Ottocento, raggiungendo una celebrità che oggi sembrerebbe insensata. Fra l’altro, a Cesenatico c’è anche una piccola via intitolata a Succi, ma soprattutto pare che Franz Kafka si sia ispirato proprio a lui per scrivere Un artista del digiuno2, un racconto che uscì per la prima volta nel 1922, quando Succi era già morto da qualche anno.

Dunque, Giovanni Succi si inventò una ben strana professione e da digiunatore pubblico e, in un certo senso, “certificato”, la memoria del suo nome e delle sue imprese è rimasta discretamente viva. Noi qui ci concentreremo in particolare sui rapporti fra Succi ed alcuni medici (come psichiatri e fisiologi) che, in diversi momenti, si occuparono del suo caso eccezionale3.

A sua volta, uno scienziato, occupandosene, poteva cercare di sfruttare la popolarità di Succi e di altri “casi di studio” per farsi conoscere anche dal grande pubblico. I laboratori stessi diventavano così, in qualche modo, dei palcoscenici:

Hunger artists and the challenges they posed to “objective” explanations of their public fasts became an attractive tool for physicians keen to establish a physiology which embraced not just strict materialist and physico-chemical explanations but also mental, spiritual and even social factors. In addition, public fasting became a ritual of self-discipline and control which could be taken as a metaphor: the body as a machine of inputs and outputs could easily be converted into a symbol of a society requiring economic and political management and guidance4.

Di Succi si sono interessati all’epoca anche riviste e giornali e sulla sua speciale resistenza alla fame, su quanto sarebbero durati i suoi digiuni, si facevano addirittura delle scommesse; così come si sollevavano, ad ogni occasione, dibattiti e dubbi sulla genuinità di quei suoi esperimenti pubblici.

Il personaggio attraeva anche perché la sua vita ha molti tratti leggendari: Giovanni Succi apparteneva a una famiglia benestante, ma, quando aveva poco più di dieci anni, egli perse in pochi mesi sia il padre (che aveva una impresa di trasporti marittimi) sia la madre. Dopo aver iniziato a lavorare (anche come amanuense), a 17 anni Succi era a Roma, ospite di uno zio facoltoso. Nella capitale, sperperò in breve la sua eredità e finì poi per impiegarsi in una banca, anche se ben presto decise di dedicarsi in proprio agli affari e ai viaggi. Conobbe sempre a Roma un principe africano, che lo invitò a seguirlo e a mettersi nel commercio, muovendosi a lungo e avventurosamente per l’Africa sud-orientale (Zanzibar, Mozambico, Madagascar)5. In uno di questi viaggi, Succi fu colpito da una grave malattia, forse al fegato. Dopo un lungo periodo di digiuno e grazie a un elisir preparato da uno stregone, si riebbe però completamente. Succi iniziò allora a credere (o a mostrare di credere) nello spiritismo e, soprattutto, a credere che la sua guarigione fosse dipesa dal fatto che uno spirito (uno «spirito leone») fosse penetrato in lui. Si sentì forte o, meglio, invincibile e prese così a costruire la propria leggenda6. Alla fine degli anni Settanta, Succi tornò in Italia, cercando una strada per affermarsi e far conoscere il suo inaudito potere: quello di digiunare per lunghi periodi, senza deperire.

Non ebbe molta fortuna, a dire la verità, non ottenendo molto credito neppure nei circoli spiritistici, che aveva iniziato a frequentare, cercando di inserire il proprio caso in quella che, soprattutto negli ultimi decenni dell’Ottocento era una vera e propria moda – lo spiritismo appunto – in tutta Europa e anche fra tanti intellettuali e scienziati7. Egli tentò, insomma, di imporre la propria immagine di uomo dotato di poteri straordinari e, in fin dei conti, di “genio incompreso”.

In realtà, Succi finì a quell’epoca per la prima volta in manicomio, a Roma, fra il gennaio e il settembre del 1883. Gli era, infatti, stata diagnosticata una «frenosi sensoria», ma riuscì ad essere comunque dimesso perché migliorato. A detta di un medico che lo avrebbe visitato di lì a poco, Succi sarebbe riuscito a dissimulare il proprio delirio davanti agli psichiatri romani:

Credendo aver persuaso gli altri, di quel che era, non ebbe più reticenze e cominciò a scrivere ad alti personaggi, dando ordini, consigli, protezioni ecc. tanto che fu rinchiuso nel manicomio di Roma. Egli era sicuro dell’onnipotenza del suo spirito, perciò credea che nel manicomio non era possibile trattenerlo, e perciò continuava a dare ordini, comandi ecc. Ma accorgendosi ben presto che invece di essere ubbidito, dovea ubbidire ed uniformarsi alle regole nosocomiali, giudicò che il suo spirito leone commetteva una vigliaccheria abbandonandolo, e cominciò a tenere altra condotta: nascose completamente il proprio delirio, mostrandosi in tutto ragionevole presso il personale del manicomio, cosicché dopo qualche tempo venne licenziato8.

Succi ripartì quindi per l’Africa, sempre provandosi come digiunatore e ingoiando veleni per dimostrare la propria invulnerabilità. Egli era superiore agli altri uomini (considerandosi persino immortale o addirittura un “dio”) perché non sentiva i comuni bisogni:

Sortii nuovamente dall’Italia – racconta Succi in un memoriale – e ritornai in Africa nelle vicinanze del mar Rosso, e colà da me solo feci i miei esperimenti, affinché non avessi anch’io a cadere nell’inganno di palesare cose che poi non fossero. Feci varie prove di forza su me stesso, di bere veleni (350 centigrammi di morfina alla volta), restare 28 (ventotto) giorni senza nutrimento, e correre sulla montagna dell’Ataka (9 ore di cammino non interrotto). Bevvi quindi laudano più volte, giungendo ad ingoiarne un’oncia e mezza alla volta e più se ne avessi avuto9.

Al Cairo, nella primavera del 1885, il console d’Italia chiese a un medico italiano, Bruno Battaglia, una perizia per stabilire lo stato di salute psichica di Succi. Battaglia fu perentorio: Succi era chiaramente uno psicopatico, un paranoico, inadatto alla vita sociale e il suo delirio era sempre sul punto di esplodere: «il delirio arriva all’apoteosi dell’io per una successione logica di eventi. Datosi alla lettura dell’Apocalisse, il delirio trova pasto abbondante nelle strane fantasticherie ditirambiche quivi contenute, onde dà ai suoi scritti numerosi un’impronta mistica ed ambiziosa al sommo grado»10.

Un delirio di onnipotenza che avrebbe condotto Succi, rientrato in patria, a un nuovo internamento manicomiale, sempre a Roma, per altri sei mesi, fra il novembre del 1885 e la fine di maggio dell’anno successivo. La seconda dimissione fu resa possibile da un nuovo miglioramento, anche se la sua condizione fu considerata difficilmente sanabile. Da quel momento, la carriera di Succi come digiunatore fu tutta in discesa.

Da Roma Succi si spostò a Forlì, dove ritrovò gli amici d’infanzia. Proprio nella città romagnola, sempre nel 1886, egli tenne un primo digiuno “lungo”, di 14 giorni. Quella prova fu trasformata in un vero e proprio spettacolo, con guardiani sempre vigili e tanto di sanzione notarile. La stampa iniziò a interessarsi del suo caso e, soprattutto, a interessarsi di un filtro-liquore, da lui preparato durante un digiuno a Milano e che gli avrebbe permesso di fare digiuni sempre più lunghi. Succi, ovviamente, voleva far vendere l’«amaro Succi», che aveva brevettato e di cui vantava un assoluto e variopinto potere terapeutico contro il colera, il tetano, l’asma o i reumatismi11. Il nostro eroe romagnolo riuscì ad allargare via via il proprio raggio d’azione, facendo digiuni, anche lunghi un mese intero, in alcune fra le maggiori città europee e americane: si esibì a Parigi e Madrid, Lisbona e Bruxelles, Vienna e Amburgo, Boston e New York – e proprio a New York, nel 1890, Succi ottenne il record mondiale, con 45 giorni di digiuno.

I suoi periodi senza nutrirsi erano rigidamente normati, avendo sempre a disposizione un comitato di sorveglianza, formato da medici e, soprattutto, giornalisti: già l’ultima cena, prima di iniziare, era un’occasione per esibirsi. Per tutto il tempo del digiuno, ovviamente, Succi doveva essere visibile, giorno e notte. Le sue giornate passavano compiendo periodiche “dimostrazioni di forza”, con esercizi fisici e prove di abilità. Soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, Succi fu una vera celebrità, consacrata anzitutto da un digiuno di un mese, tenutosi a Parigi. Nella capitale francese, infatti, nel novembre del 1886, Succi trovò un impresario disposto a garantirgli un premio di 15.000 franchi in caso di successo. Succi avrebbe voluto ottenere anche una certificazione ufficiale da parte dell’Accademia francese, la quale, però, pose condizioni da lui considerate troppo severe. Venne formato allora un diverso comitato di sorveglianza, composto da medici sconosciuti. Succi riuscì a digiunare per 30 giorni e a guadagnare il compenso, ma il suo successo fu oscurato dal contemporaneo digiuno parigino di un altro italiano, lo sconosciuto pittore Merlatti, che riuscì ad arrivare a 40 giorni. Questa rivalità offuscò per poco la figura di Succi, che sparì per qualche tempo, spendendo il denaro ottenuto in Francia, per riapparire all’inizio del 1888 a Firenze, dove tenne il digiuno di cui abbiamo la descrizione più puntuale e scientifica, essendosi svolto sotto la direzione di un celebre fisiologo dell’epoca, Luigi Luciani12.

Luciani, laureatosi a Bologna, aveva insegnato nelle università di Parma e di Siena, prima di arrivare all’Accademia di Medicina di Firenze. Già da tempo, aveva iniziato a interessarsi del fenomeno della “inanizione”, con esperimenti svolti sui cani, volendo capire gli effetti che essa aveva sulle funzioni fisiologiche del corpo umano13. Luciani incontrò Succi nel febbraio del 1888. Ecco, in estrema sintesi, l’immagine che lo scienziato ne ricavò: Succi era un uomo ormai di mezza età, di statura media, di corporatura regolare; era il «tipico romagnolo». Durante il digiuno fiorentino, Luciani sottopose il corpo di Succi ad un esame ininterrotto e minutissimo, con tanto di misurazioni antropometriche, allora tanto in voga. In generale, fece il ritratto di un uomo sano, sicuramente eccentrico (forse un «mattoide», come si diceva lombrosianamente), ma non un vero paranoico, come l’aveva definito Battaglia anni prima:

Ad un ingegno e cultura che non supera certo il grado medio, associa però molta forza di volontà, molta intraprendenza, molta tenacità d’idee e di propositi, da toccare talora il grado di testardaggine. Del resto buon figliolo, raramente eccessivo, remissivo sempre quando sia preso pel suo verso, facilmente suggestionabile, come potete già supporre dall’essere spiritista. Sebbene non senta l’interesse scientifico, e tutte le sue mire non si elevino mai oltre allo scopo di far fortuna: tuttavia si è prestato docilmente a tutte le indagini (alcune abbastanza seccanti) che ho voluto fare su di lui. […] Infine benché eccentrico e un po’ bizzarro, io non lo credo paranoico. Dirò di più: io l’ho in maggior pregio di tante mediocrità frolle e apatiche, che seguono le vie battute dagli altri14.

Ad ogni modo, anche Luciani riconosceva l’importanza dei disturbi psichici in Succi, anche se il vero interesse riguardava il corpo di quest’ultimo, un corpo che – almeno all’apparenza – riusciva a sopravvivere senza mangiare. In altre parole, egli voleva indagare un fenomeno inspiegabile secondo le consuete leggi della fisiologia, anche perché esso – sempre apparentemente – non era legato ad alcuna patologia organica. Da quella esperienza, Luciani volle poi ricavare uno studio antropologico complessivo su Succi.

La cronaca del digiuno di Firenze vede Succi continuamente attorniato da una folla di medici, avvocati e giornalisti, tutti votati a scovare il trucco del digiunatore, ma anche i segni indubitabili di una sua malattia mentale. Luciani stesso, come abbiamo detto, non negava che l’aspetto psicologico avesse naturalmente un peso significativo nella riuscita del digiuno, ma ancor più significativa era, a suo parere, la impressionante capacità di ridurre i propri consumi; d’altra parte Succi, durante tutti i 30 giorni, non diede mai segni di sofferenza. Alla fine, Luciani si mostrò disposto a credere alla veridicità del digiuno – pensando che l’impossibilità di un digiuno fisiologico (e non patologico) fosse un semplice pregiudizio.

A Firenze, Succi poté svolgere praticamente ogni attività che voleva, compresa la redazione di una rivista, “Il Corriere Spiritico”, che faceva vendere, così come il suo elisir miracoloso, e muoversi anche fuori della sede deputata all’esperimento. Fu anche visto in una sala da ballo e fu visto andare a cavallo; tranne che nei primi giorni, Succi faceva anche movimento (almeno 300 o 400 passi). Oltre all’acqua, a Succi fu consentita l’assunzione di una bevanda alcalina e di un purgante salino. Luciani individuò tre periodi distinti nel digiuno: un primo, breve (di 3 o 4 giorni), caratterizzato da forti dolori e forse senso di fame (che Succi probabilmente teneva a bada con il famoso liquore, che pure fu analizzato dai medici fiorentini); c’era, poi, un periodo più lungo (una ventina di giorni), detto della «inanizione fisiologica»; seguiva, infine, il periodo della «inanizione morbosa», che avrebbe naturalmente portato alla morte. Quello di Succi era, in estrema sintesi, un caso notevole da diversi punti di vista e degno di essere studiato da antropologi, fisiologi e psichiatri e dal quale Luciani ricavava che Succi era realmente un digiunatore portentoso e si disse sicuro della buonafede di quest’ultimo. In generale, occorre poi sottolineare come la fame, il senso della fame per meglio dire, avesse molto a che fare con il sistema nervoso:

La fame è un fenomeno transitorio, e dipende – a così esprimermi – da una montatura speciale del sistema nervoso, che per lunga abitudine della stimolazione ritmica dell’alimentazione, sente ritmicamente questo bisogno di stimolo lungo il tubo gastro-enterico. Ma dopo un certo tempo (di durata diversa nei differenti individui) il sistema nervoso subisce una specie di adattamento; la sensazione della fame scompare, né più si ripresenta durante il prolungamento del digiuno15.

Per parte sua, Succi ottenne la “patente” a cui già da anni ambiva. Con gli inizi del Novecento, il mestiere di digiunatore andò in crisi. Anche la popolarità e i guadagni di Succi iniziarono a calare; nel 1898 si esibì in occasione dell’Esposizione Generale Italiana di Torino16, poi iniziò a digiunare in birrerie ed altri locali pubblici; per l’ultima volta – a quanto ci è dato sapere – egli tenne un digiuno pubblico di 30 giorni a Bologna, nel 1910, in occasione dell’inaugurazione di un cinematografo, rinchiuso in una gabbia di vetro nella sala d’aspetto del locale17.

Succi morì a Scandicci, vicino a Firenze, nel 1918.


Note

1 Desidero ringraziare Chiara Bombardieri, responsabile della Biblioteca scientifica “Carlo Livi” (Ausl di Reggio Emilia) per il supporto nel reperimento delle fonti, Paolo Mazzarello (Università di Pavia) e Ferdinando Cavaliere (Comune di Cesenatico) per le informazioni fornitemi. Nell’immagine di apertura: digiuno di Succi in un disegno d’epoca.

2 Cfr. Franz Kafka, Un artista del digiuno. Quattro storie, Macerata, Quodlibet, 2009; Raoul Precht, Kafka e il digiunatore. Con il racconto Un digiunatore di Franz Kafka, Roma, Nutrimenti, 2014.

3 Cfr. Domenico Priori, Il digiunatore e lo scienziato, in “Rendiconti dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL”, 135°, volume XLI, parte II, tomo II, 2017.

4 Agustí Nieto-Galan, Mr Giovanni Succi Meets Dr Luigi Luciani in Florence: Hunger Artists and Experimental Physiology in the Late Nineteenth Century, in “Social History of Medicine”, volume 28, numero 1, 2019, pp. 64-81, p. 66.

5 Cfr. Giovanni Succi, Commercio in Africa. Il Madagascar, l’Isola di Johanna, l’Arcipelago di Comoro, Zanzibar e Mozambese, Milano, Tipografia Nazionale, 1881.

6 Cfr. Luigi Luciani, Fisiologia del digiuno. Studi sull’uomo, Firenze, Le Monnier, 1889, p. 17.

7 Cfr. Clara Gallini, La sonnambula meravigliosa, Magnetismo e ipnotismo nell’Ottocento italiano, Roma, L’Asino d’oro, 2013.

8 Bruno Battaglia, Contribuzione alla casistica della paranoia. Nota clinica, in “La Psichiatria”, anno III, fascicolo III-IV, senza anno, pp. 354-367, p. 358.

9 Luciani, Fisiologia del digiuno, cit., p. 18.

10 Battaglia, Contribuzione alla casistica della paranoia, cit., p. 359.

11 Cfr. Nieto-Galan, Mr Giovanni Succi Meets Dr Luigi Luciani in Florence, cit. p. 78.

12 Oltre alla Fisiologia del digiuno di Luciani, cfr., fra i numerosi contributi, Il digiunatore Succi, in “La Riforma Medica”, volume IV, edizione 1, 1888, p. 378; Angiolo Filippi, Il Sor Giovanni Succi e l’Accademia Medico Fisica Fiorentina, in “Lo Sperimentale. Giornale italiano di scienze mediche”, anno XLII, tomo LVII, aprile 1888, pp. 407-39.

13 Cfr. Luigi Luciani, Sul decorso dell’inanizione, in “Archivio per le scienze mediche”, V, 1882, pp. 338-365, in collaborazione con G. Bufalini.

14 Luciani, Fisiologia del digiuno, cit., p. 15.

15 Luciani, Fisiologia del digiuno, cit. pp. 79-80.

16 Il 72° digiuno di Succi, in “Il Resto del Carlino”, 21 luglio 1898, p. 2.

17 Cfr. Elena Nepoti, La storia del cinema muto a Bologna attraverso la documentazione d’epoca. Protagonisti, imprese, spettacoli e luoghi per la gestione dell’immaginario della società urbana (1896-1925), Tesi di dottorato di ricerca in Cinema, Musica, Teatro, ciclo XXVII, Università degli studi di Bologna, 2015, pp. 63-64.