Guerra contemporanea, sviluppo tecnologico-comunicativo e immaginario visuale

Contemporary warfare, technological-communicative development and visual imagery

Immagine di apertura: soldati del 187° Battaglione Ordigni si preparano a liberare una stanza durante l’addestramento al combattimento urbano presso il sito di esercitazione sul campo del battaglione (https://commons.wikimedia.org).

1. L’eredità visiva della Grande Guerra

Proprio nel momento in cui le tecnologie visive venivano accolte con entusiasmo, la Prima guerra mondiale rivelava paradossalmente la sua «cecità»1 facendo dell’occultamento e della dissimulazione armi strategiche al fronte, oltre che mezzo di orientamento dell’opinione pubblica. Per certi versi si può dire risiedere nell’inganno l’eredità visiva lasciata da quel conflitto, preoccupato com’era a falsificare la visione sui campi di battaglia e a inventare una diversa realtà della guerra da raccontare sul fronte interno. Nel periodo della Grande Guerra fotografia e cinema avevano ormai affinato le loro tecniche e sperimentato l’impiego in ambito bellico. Gli scatti fotografici e le riprese cinematografiche avevano così potuto palesare il loro potenziale rivelandosi in grado tanto di «mostrare oggettivamente la realtà», quanto di «dimostrare oggettivamente il falso»2. È attorno a tale guerra che si è andata ad inaugurare quella lotta tra visibilità e invisibilità che finirà per caratterizzare tutti i conflitti successivi contribuendo a dare il via a quella trasformazione dell’immaginario visuale giunta sino ai giorni nostri.

La stessa “visione verticale”, consentita dagli aerei nella Grande Guerra, nel suo proporsi come “occhio vedente” della “guerra cieca”, può essere vista come una prima anticipazione di quella strategia della visione globale e ubiqua non più umana ma automatizzata propria dei conflitti contemporanei.

2. Guerra, media e tecnologie del visibile

A proposito dell’assorbimento di tecnologie mediali da parte dell’industria militare, Paul Virilio ha insistito in particolare sul ricorso nelle guerre novecentesche a tecniche cinematografiche3. Rispetto alla «logistica della percezione» su cui si è concentrato il francese, Friedrich Kittler ha preferito spostare l’attenzione sulla «logistica dell’informazione», convinto che siano le esigenze belliche a determinare lo sviluppo e la logica dei media4.

La questione posta da Virilio circa la progressiva smaterializzazione della guerra è stata affrontata anche da Jean Baudrillard, autore che ha insistito sull’autoreferenzialità dei media e sulla cancellazione del loro referente “reale”, dunque sull’indistinguibilità tra realtà e sua rappresentazione mediata5. Se Virilio, nel prendere in esame le tecnologie di svolgimento del combattimento, ha sottolineato l’accresciuta importanza del momento scopico di sorveglianza rispetto a quello pratico del combattimento, Baudrillard si è invece focalizzato sulle strategie di rappresentazione mediale della guerra sottolineandone la progressiva derealizzazione.

Seppure in maniera differente, entrambi gli studiosi hanno messo in luce il processo di smaterializzazione subito dai conflitti nel momento in cui questi hanno iniziato a rapportarsi con tecnologie visuali sia panottiche che rappresentative, evidenziando come queste abbiano finito per sottrarre il soggetto da un confronto diretto e pratico con la realtà isolandolo in una dimensione simulacrale o impersonale. Più recentemente, alla luce dei moderni sistemi di visione notturna e aumentata, Ruggero Eugeni ha invece evidenziato come le più avanzate tecnologie visuali si siano poste al servizio di «una relazione situata e incarnata del soggetto con il mondo», finalizzate come sono «ad accrescere la sua “consapevolezza situazionale” al fine di una gestione ottimale del suo agire. Non si assisterebbe dunque a una assolutizzazione autoreferenziale del visibile, quanto piuttosto a una negoziazione dei suoi limiti rispetto all’invisibile»6. Esaminando alcuni combat video girati da membri dell’esercito all’interno di reali situazioni di combattimento diffusi via Internet, Eugeni ha messo in luce come vi sia un «legame metonimico fortemente esibito tra appropriazione visiva e appropriazione fisica del territorio»7; non a caso la conquista dei differenti spazi, nel corso delle operazioni belliche riprese, viene da un lato esaltata dalla natura embedded della videocamera (al contempo testimone impersonale e parte integrante del movimento di conquista) e dall’altro resa possibile e visibile dal ricorso a dispositivi di visione notturna.

A riprova di come videogames e combat video si rimandino a vicenda, lo studioso ha evidenziato come numerosi combat video siano girati in prima persona secondo modalità stilistiche proprie dei videogiochi del genere first person shooters di guerra. Nei videogames di ambientazione bellica più avanzati si ha una «sovrapposizione metonimica tra superiorità visiva garantita dalle tecnologie di visione notturna, e superiorità tattica espressa in atti di conquista e di “bonifica” del territorio mediante un sistematico sterminio dei nemici impossibilitati ad agire nel buio»8. La struttura del videogioco in prima persona, oltre a esprimere la conquista visuale, sensomotoria e militare di un territorio, permette al giocatore di vivere ciò attraverso un’esperienza di simulazione incorporata. Inoltre, sottolinea lo studioso, nei paratesti che hanno accompagnato il lancio di questo tipo di videogames

la superiorità tecnologica e militare della visione notturna viene fatta rimare metaforicamente con la superiorità tecnologica del videogioco stesso (e quindi, ancora metonimicamente, con la fluidità dell’esperienza di gioco e il relativo piacere), la cui costruzione assume tutti i connotati di una delle operazioni belliche che vengono epicamente narrate9.

Nei combattimenti al buio simulati dai videogiochi, lo spettatore viene calato nella medesima situazione di vantaggio scopico di cui si avvalgono i veri combattenti armati di visori. Opere cinematografiche hollywoodiane, come Zero Dark Thirty (2012) di Kathryn Bigelow, e video di propaganda dell’Isis diffusi in Internet, come Flames of War. Fighting Just Begun (settembre 2014), adottano analoghe strategie espressive ed emotive costruite sull’alternanza di immagini a luce naturale scarsamente visibili e immagini realizzate attraverso visori notturni, mettendo così lo spettatore di fronte a una situazione in cui si alternano sollecitazione e deprivazione visuale e sensomotoria.

3. La guerra come esperienza videoludica

Sconfinando il territorio del mero intrattenimento ludico, lo sviluppo creativo e tecnologico del videogioco10 ha investito, tra gli altri, l’ambito militare; basti pensare alla sempre più diffusa gestione di strumenti militari attraverso schermi e controller di derivazione videoludica11. L’intera storia dei videogiochi ha uno stretto legame con le tematiche belliche avendo privilegiato tematiche quali l’espulsione degli “alieni”, la difesa dei confini, la conquista colonialista e la costruzione di imperi. Inoltre, i videogame, così come si sono evoluti, incitano il giocatore ad agire istintivamente aderendo acriticamente alle ideologie da essi veicolate. Nell’ambito videoludico l’immedesimazione è rafforzata dal fatto che il giocatore impugna materialmente il controller e ciò tende a fargli percepire i desideri del videogioco come propri12. Le ibridazioni tra l’universo videoludico e quello militare se da un lato hanno reso l’esperienza di gioco più reale, dall’altro hanno contribuito al disumanizzarsi dei conflitti reali permettendo la loro conduzione da comfort zone che preservano dai rischi di uno scontro diretto con il nemico, sempre più percepito come un’incorporea immagine sullo schermo su cui si può agire senza eccessive remore morali13.

Nonostante i propositi di moratoria espressi dalle Nazioni Unite e una risoluzione per la loro messa al bando internazionale votata dal Parlamento europeo14, i cosiddetti robot killer, sofisticati sistemi d’arma autonomi in grado di agire anche senza intervento umano che riprendono logiche e tecnologie proprie dell’universo videoludico, continuano a essere sviluppati in diversi paesi.

L’Israel Aerospace Industries, ad esempio, sta da tempo sviluppando un particolare tipo di carro armato – denominato Carmel – dotato di sensori e telecamere che permettono l’osservazione dell’ambiente circostante grazie a un monitor panoramico attraverso cui regolare i movimenti e la gestione dell’armamento a partire dai dati che compaiono sullo schermo in costante aggiornamento, proprio come nei videogiochi. Si tratta di un sistema espressamente pensato per essere utilizzato da militari giovani che non necessitano di un lungo processo di addestramento essendo abituati alla logica dei videogame.

Il Carmel non guarda ai videogiochi solo per l’interfaccia o per quanto riguarda il controllo ma anche per quanto concerne l’implementazione di un’intelligenza artificiale che è stata allenata in larga parte con StarCraft II e che è stata integrata nel carro armato con l’Engine Unity e la piattaforma VBS. StarCraft II viene considerato un allenamento ideale per una IA perché propone situazioni competitive molto varie, in tempo reale e caratterizzate anche da tempi di scontro piuttosto lunghi. […] Per migliorare ulteriormente l’IA sono anche stati sfruttati titoli che come DOOM insegnano strategie diverse per gli spostamenti, l’individuazione degli obiettivi, la selezione delle armi e altre capacità autonome. Grazie a queste implementazioni si dà vita a un mezzo corazzato che ha modalità completamente autonome, semiautonome e completamente manuali15.

Altri esempi di sconfinamento dell’universo videoludico in ambito militare riguardano il sistema di gestione dei sottomarini nucleari della U.S. Navy elaborato da Microsoft sull’onda della sua esperienza relativa al controller Xbox dei videogiochi16 e lo sviluppo da parte dell’esercito statunitense e dell’Idaho National Laboratory di robot militari gestiti attraverso il controller del popolare sistema di gioco Nintendo Wii (Wiimote), rivelatosi particolarmente efficace nel ridurre il carico di lavoro dell’operatore e permettere un allargamento dei domini d’impiego17.

Come ha argomentato Matteo Bittanti18, al di là del ricorso dell’apparato militare a tecnologie sviluppate nell’industria videoludica, lo scambio tra i due ambiti sembra avvenire all’interno di un immaginario condiviso accentuato da quella condizione che Luciano Floridi ha efficacemente definito onlife, in cui diviene sempre più arduo distinguere tra esperienza online e offline19, che sta contribuendo al disincarnarsi e disumanizzarsi del conflitto contemporaneo essendo, in diversi casi, condotto a distanza di sicurezza nei confronti di un nemico sempre più incorporeo, agendo sulla realtà come si trattasse di un videogioco.

4. Conclusioni

Si è visto come la Prima guerra mondiale, nel suo rapportarsi alle tecnologie visive cine-fotografiche, introduca una tensione tra visibilità e invisibilità che caratterizza tutti i conflitti successivi. Dopo aver tratteggiato i convincimenti di Virilio e Baudrillard circa il processo di smaterializzazione della guerra nel momento in cui questa ha iniziato a rapportarsi con tecnologie visuali sia panottiche che rappresentative, si è visto, con Eugeni, come le tecnologie visuali più avanzate sembrino invece instaurare una relazione situata e incarnata del soggetto con il mondo volta a riscrivere i suoi limiti rispetto all’invisibile. Dunque, in chiusura, ci si è soffermati sull’incidenza sulla guerra contemporanea delle trasformazioni tecnologico-comunicative che hanno condotto a una condizione di sempre più difficile distinzione tra esperienza online e offline che, oltre a incidere sulle modalità con cui oggi si guarda, o si evita di farlo20, ai conflitti bellici, non manca di influire anche sulla loro conduzione.

Per essere resa “accettabile” in età contemporanea, la guerra tende a essere negata: espulsa dai media nei suoi effetti più raccapriccianti o spettacolarizzata, mascherata da intervento umanitario o di polizia, magari ludicizzata, così da rendere più sopportabile combatterla. Al di là delle sofisticate tecniche mimetiche adottate, la guerra contemporanea, invisibile e fantasmagorica al tempo stesso, si rivela pervasiva, tanto da estendersi alla cybersfera. Il ruolo delle cyber wars nei conflitti a venire merita di essere indagato anche alla luce del fatto che, a differenza di quanto accadeva nelle guerre tradizionali, in cui per raggiungere gli obbiettivi occorreva avere la meglio sull’esercito nemico per poi prendere possesso del territorio concentrandosi soprattutto sulle infrastrutture chiave, nel conflitto cibernetico si tratta piuttosto di colpire queste ultime agendo sui sistemi informatici che le gestiscono. Paradossalmente, in questo caso, più un paese è tecnologicamente avanzato, più si rivela vulnerabile21.


Note

1 Con riferimento al primo conflitto mondiale si è parlato di “guerra cieca” per diversi motivi: perché le tecnologie ottiche impiegate risultarono incapaci di mostrarla e raccontarla; perché il nemico finì con l’essere sempre meno visibile; perché attraverso la propaganda e la censura visive al fronte interno si restituì una visione parziale o immaginaria della guerra; perché si tentò di non riconoscere l’orrore e di preservarne il ricordo; perché i signori della guerra guardarono più al passato che al presente o al futuro; perché alla cultura visuale dell’epoca mancavano gli strumenti utili a capire e interpretare la guerra moderna. Cfr. Gabriele D’Autilia, La guerra cieca. Esperienze ottiche e cultura visuale nella Grande guerra, Milano, Meltemi, 2018.

2 Cfr. Ivi, p. 13.

3 Cfr.: Paul Virilio, Guerre et cinéma. Logistique de la perception, Paris, Éditions de l’Étoile, 1984, tr. it. di Dario Buzzolan, Guerra e cinema. Logistica della percezione, Torino, Lindau, 1996: Id., La machine de vision, Paris, Galilée, 1988, tr. it. di Giancarlo Pavanello, La macchina che vede. L’automazione della percezione, Milano, SugarCo, 1989.

4 Cfr.: Friedrich Kittler, Grammophon Film Typewriter, Berlin, Brinkmann & Bose, 1986, tr. ingl. Gramophone, Film, Typewriter, translated and with an introduction by Geoffrey Winthrop-Young and Michael Wutz, Stanford, Stanford University Press, 1999; Id., Media Wars: Trenches, Lightning, Stars (1987), in Id., Literature Media Information Systems, edited and introduced by John Johnston, London-New York, Routledge, 1997, pp. 117-129.

5 Cfr.: Jean Baudrillard, Pour une critique de l’économie politique du signe, Paris, Galilée, 1972, tr. it. Per una critica dell’economia politica del segno, ed. it. a cura di Pierre Dalla Vigna, Milano-Udine, Mimesis, 2010; Id., Simulacres et simulations, Paris, Galilée, 1981, tr. it. parz. Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, a cura di Matteo G. Brega, Milano, Pgreco, 2008; La Guerre du Golfe n’a pas eu lieu, Paris, Galilée, 1991, tr. it. parz. Guerra virtuale e guerra reale: riflessioni sul conflitto del golfo, tr. it. di Tiziana Villani, Milano, Mimesis, 1991.

6 Ruggero Eugeni, Le negoziazioni del visibile. Visioni aumentate tra guerra, media e tecnologia, in Maurizio Guerri (a cura di), Le immagini delle guerre contemporanee, Milano, Meltemi, 2018, p. 341.

7 Ivi, p. 326.

8 Ivi, p. 328.

9 Ibidem.

10 Quando si parla di videogioco ci si riferisce a un’opera multimediale interattiva richiedente l’immersione in un mondo simulato e regolato da leggi tecniche volte a orientare teleologicamente le azioni del gamer, la cui analisi non può prescindere dallo specifico contesto in cui questo è pensato, prodotto e fruito. Per una ricostruzione storica dell’ambito videoludico si veda, ad esempio, Marco Accordi Rickards, Storia del videogioco. Dagli anni Cinquanta a oggi, Roma, Carocci, 2020.

11 Cfr. Gioacchino Toni, Guerrevisioni. Il sangue oltre gli schermi. Uccidere così, come in un videogioco, in “Carmilla online”, 22 aprile 2021, https://www.carmillaonline.com/2021/04/22/guerrevisioni-il-sangue-oltre-gli-schermi-uccidere-cosi-come-in-un-videogioco/, ultima consultazione: 23 gennaio 2023.

12 Cfr. Alfie Bown, How video games are fuelling the rise of the far right, in “The Guardian”, 12 marzo 2018. https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/mar/12/video-games-fuel-rise-far-right-violent-misogynist, ultima consultazione: 23 gennaio 2023.

13 Cfr. Maurizio Guerri, Il drone e il kamikaze. Due immagini della guerra contemporanea, in Maurizio Guerri (a cura di), Le immagini delle guerre contemporanee, cit., pp. 365-390.

14 Risoluzione approvata dal Parlamento europeo con 566 voti a favore, 47 contrari e 73 astensioni il 12 settembre 2018: European Parliament resolution of 12 September 2018 on autonomous weapon systems, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2018-0341_EN.html, ultima consultazione: 23 gennaio 2023.

15 Alessandro Baravalle, Xbox controller, StarCraft II e Doom. Non è una console ma Carmel, un carro armato israeliano, in “Eurogamer.it”, 31 luglio 2020, https://www.eurogamer.it/articles/2020-07-31-news-videogiochi-carmel-carro-armato-israele-xbox-controller-ia-starcraft-2-doom, ultima consultazione: 23 gennaio 2023. Si veda anche Noah Smith, Leore Dayan, A new Israeli tank features Xbox controllers, AI honed by “StarCraft II” and “Doom”, in “The Washington Post”, 28 luglio 2020, https://www.washingtonpost.com/video-games/2020/07/28/new-israeli-tank-features-xbox-controllers-ai-honed-by-starcraft-ii-doom/, ultima consultazione: 23 gennaio 2023.

16 Cfr. Travis M. Andrews, The Navy’s adding a new piece of equipment to nuclear submarines: Xbox controllers, in “The Washington Post”, 25 settembre 2017, https://www.washingtonpost.com/news/morning-mix/wp/2017/09/25/the-navys-adding-a-new-piece-of-a-equipment-to-nuclear-submarines-xbox-controllers/, ultima consultazione: 23 gennaio 2023.

17 Cfr. Eric Bland, Wii-controlled robots made for combat, in “Nbc News”, 19 dicembre 2008, https://www.nbcnews.com/id/wbna28314991, ultima consultazione: 23 gennaio 2023.

18 Cfr. Matteo Bittanti, Introduzione: Make Videogame Great Again, in Id. (a cura di), Game over. Critica della ragione videoludica, Milano-Udine, Mimesis, 2020, pp. 7-70.

19 Cfr. Luciano Floridi (ed.), The Onlife Manifesto. Being Human in a Hyperconnected Era, London, Springer, 2015, disponibile in open access: https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-319-04093-6_2, 16 novembre 2014, ultima consultazione: 3 gennaio 2023.

20 Cfr. Maurizio Guerri (a cura di), Le immagini delle guerre contemporanee, cit. In particolare, per approfondire come le immagini televisive dell’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre 2001, dopo essersi impresse nella memoria collettiva a livello planetario, siano divenute oggetto di una vera e propria strategia di rimozione, si vedano: William J.T. Mitchell, Cloning Terror: The War of Images, 9/11 to the Present, Chicago, University of Chicago Press, 2010, cura e tr. it. di Francesco Gori, Cloning Terror. La guerra delle immagini dall’11 settembre a oggi, Firenze-Lucca, La casa Usher, 2012; Mauro Carbone, Essere morti insieme. L’evento dell’11 settembre 2001, Torino, Bollati Boringhieri, 2007.

21 Cfr. Aldo Giannuli, Alessandro Curioni, Cyber war. La guerra prossima ventura, Milano-Udine, Mimesis, 2019.