La Croazia e i migranti alle frontiere d’Europa

Croatia and the migrants at the frontiers of Europe

In apertura: confine croato (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ar%C5%BEano_border_crossing_Croatia-Bosnia_3.jpg).

Per la Croazia, l’estate di solito segna nuovi record nell’aumento delle presenze turistiche. Quella del 2023 ha però anche visto lievitare il numero dei migranti, ed in particolare quello dei richiedenti asilo. La Croazia occupa un posto centrale sulla cosiddetta rotta balcanica che porta dalla Turchia verso l’UE i migranti provenienti da Asia Meridionale, Medio Oriente e Maghreb. In particolare, il ramo più occidentale di questa si è stabilizzato su direttrici che dalla Serbia portano in Bosnia e attraversano Croazia e Slovenia per raggiungere Italia e Austria. A partire dall’entrata in Schengen nel gennaio 2023, il ruolo della Croazia come porta d’accesso dell’UE, o come sua barriera esterna, a seconda dei punti di vista, è aumentato ulteriormente. Il paese si trova ad affrontare un sempre maggior numero di migranti decisi ad attraversarlo, ed i migranti un crescente numero di ostacoli per riuscirvi. L’esperienza dei migranti in transito, e in particolare degli afghani, che ne costituiscono la componente più numerosa, invita a riflettere sul senso dell’assegnare alla Croazia il ruolo di antemurale dell’Unione europea1.

Quasi dieci anni fa, un ragazzo afghano appena giunto a Trieste mi raccontò di come era stato tratto in inganno dall’appartenenza della Croazia all’Unione europea. Affatto ignaro della geografia politica della regione, dopo un’odissea durata mesi tra le frontiere di Grecia, Bulgaria, Serbia e Ungheria, una notte era finalmente riuscito a passare il confine serbo-croato senza farsi scoprire e rimandare indietro dalla polizia. Il mattino seguente, con i vestiti ancora umidi dall’attraversamento di fossi e canali, aveva raggiunto il paese più vicino e domandato ai primi passanti incontrati in che paese si trovasse e, cosa più importante, se questo fosse all’interno dell’UE. “Sì, siamo in Croazia, siamo nell’Unione europea!” era stata la lievemente enfatica risposta. Convinto di essere giunto alla fine delle sue tribolazioni, egli si era affrettato a recarsi alla stazione di polizia più vicina e presentarvi domanda di asilo politico. Aveva impiegato alcune settimane a capire che le persone da lui interpellate avevano detto il vero: la Croazia era effettivamente entrata nell’UE solo pochi giorni prima, in quel fatidico luglio del 2013 – ma anche che lui aveva pochi motivi per condividere il loro entusiasmo. Il paese rimaneva separato dal resto dell’unione da svariati indicatori sociali ed economici, oltre che dai confini esterni di Schengen, ed il sistema di accoglienza per i richiedenti asilo non offriva alcuna opportunità. Dopo alcuni mesi, si decise a lasciare la Croazia e cercar miglior fortuna altrove, anche se sarebbero occorsi oltre due anni prima che riuscisse ad ottenere asilo in Italia. Da allora, la posizione della Croazia nella mappa mentale dei migranti in viaggio sulla cosiddetta rotta balcanica si è fatta più precisa: se il mio amico fosse passato di là solo alcuni anni più tardi, si sarebbe guardato dal precipitarsi a farvi domanda di asilo. Dalla fine del corridoio umanitario del 2015-2016, la Croazia è sempre più vista dai migranti in transito come un ostacolo da superare, un paese dove le forze dell’ordine si dimostrano inflessibilmente ostili.

Non è forse un caso che la percezione della Croazia da parte dei migranti sia andata peggiorando proprio negli anni in cui l’entrata del paese nella UE è andata perfezionandosi. Datano a gennaio 2023 gli ultimi due passaggi chiave, l’adozione dell’euro e l’entrata nell’area Schengen. Degli altri paesi UE sulla rotta dei flussi migratori provenienti da sud-est, Bulgaria e Romania, sebbene membri dal 2007, non rientrano nell’area Schengen; la Grecia sì, ma con un confine unicamente marittimo con altri paesi Schengen, che facilita il controllo dei movimenti. La Croazia si trova così a costituire, assieme all’Ungheria, il principale confine esterno europeo. Le priorità e le strategie degli altri paesi UE rispetto alla crisi migratoria hanno finito per influenzare le politiche messe in atto dal governo croato al riguardo più che lo stesso dibattito politico interno. Anche perché i migranti in transito attraverso la Croazia, nonostante costituiscano a tratti una presenza molto visibile, difficilmente si fermano a lungo nel paese.

Il 2023 ha finora visto un forte aumento nel numero di entrate irregolari rilevate in Croazia, cioè di migranti rintracciati dalle forze dell’ordine, passati da 50.624 nell’intero 2022 a 54.593 nel solo periodo gennaio-settembre di quest’anno2. Eppure, è il numero di richieste asilo in Croazia ad aver registrato un aumento ancor più marcato. I primi sei mesi del 2023 hanno visto già 24.367 richieste di asilo in Croazia3, rispetto alle 12.872 dell’intero 20224. Viene da chiedersi se, visto l’aumento esponenziale delle presenze turistiche sulla costa istriana e dalmata negli ultimi anni, non si stia aprendo un potenziale mercato del lavoro che invoglia i migranti a trattenersi in Croazia. Il ricorso ai richiedenti asilo come manodopera a basso costo da sfruttare anche nel settore turistico-ricettivo sarebbe un fenomeno già visto altrove e, visti i recenti rincari, non è da escludere la possibilità che qualcuno in Croazia cominci a pensare a come reperire manodopera sempre più a buon mercato, per mantenere i prezzi competitivi senza abbassare i profitti5. L’entrata del paese in Schengen, per di più, significa per i migranti la possibilità di poter viaggiare più facilmente verso altri paesi europei una volta ottenuta la residenza in Croazia, un vantaggio utilizzato spesso da richiedenti asilo in attesa di esito – anche in Italia – per visitare parenti ed amici stabilitisi altrove in Europa e cercarvi possibilità lavorative meglio retribuite, ancorché informali.

L’ipotesi “cinica” che, per questo motivo, la Croazia stia divenendo una destinazione di richiesta asilo per i migranti viene però smentita da altri fattori. I numeri dei migranti in transito per la Slovenia e di quelli in arrivo a Trieste possono servire a contestualizzare quelli croati. Nel 2022 la Slovenia ha registrato 32.024 arrivi irregolari di migranti, che nella stragrande maggioranza (31.447) hanno espresso l’intenzione di richiedere asilo, anche se solo 6.787 richieste sono state in seguito formalizzate6. Nei primi sette mesi del 2023 tali arrivi in Slovenia assommano già a 26.771, con un aumento del 150% rispetto allo stesso periodo del 20227, quindi comparabile all’incremento riscontrabile nei dati croati. Se l’aumento proporzionale coincide, la differenza nel volume totale delle persone in transito è spiegabile altrimenti. La maggioranza delle identificazioni di migranti in Slovenia avviene nell’area tra Dobova e Brežice, lungo la via di comunicazione principale che da Zagabria porta alla Slovenia centrale. Eppure, il numero reale dei transitanti in Slovenia è molto più alto, considerando che una consistente porzione dei migranti giunti a Zagabria procede invece lungo una rotta più occidentale, che li porta a Rijeka e da lì a Buzet, da dove possono attraversare il territorio sloveno nel suo punto più stretto (circa 15 chilometri), sovente senza essere rilevati dalle autorità, e giungere in Italia.

Ecco perché anche gli arrivi a Trieste possono fornire un utile riferimento: il capoluogo giuliano rappresenta il terminale principale di questo ramo della rotta balcanica – una parte dei migranti, in particolare quelli provenienti dal Pakistan, ha per destinazione l’Italia – nonché uno snodo per ulteriori spostamenti verso i paesi UE8. Nel 2022, i migranti identificati dalla polizia di Trieste o che avevano ricevuto assistenza dai volontari attivi nella zona della stazione di Trieste assommavano a oltre 13.000, secondo un report pubblicato da una rete delle associazioni cittadine attive nell’accoglienza dei richiedenti asilo e nella solidarietà ai migranti in strada9. Un aggiornamento pubblicato di recente pone a 7890 il numero di migranti giunti a Trieste nei primi sette mesi del 2023 (al numero totale degli arrivi nella regione Friuli-Venezia Giulia vanno aggiunti quelli dei migranti provenienti dalla rotta che da Zagabria attraversa la Slovenia centrale per raggiungere alternativamente l’Austria o le province di Gorizia ed Udine)10.

Anche considerando che le richieste di asilo in Croazia non rappresentano la totalità dei migranti ivi in transito (un certo numero riesce ad eludere l’identificazione), i numeri mostrano come le entrate e le uscite dal paese siano grossomodo equivalenti. Già nel 2021, ricercatori dell’Università di Zagabria avevano stimato che circa il 90% di quanti richiedevano asilo in Croazia abbandonavano il paese quasi subito, senza attendere l’esito delle loro richieste11.

D’altronde, la richiesta di asilo in Croazia non offre tutte le garanzie del caso. Prendendo il gruppo nazionale più numeroso tra i richiedenti asilo in Croazia, gli afghani, il tasso di riconoscimento nei loro confronti appare lontano da ogni parametro europeo. Secondo il Centar za Mirovne Studije (CMS – Centre for Peace Studies)12, un’organizzazione zagabrese che offre supporto ai richiedenti asilo, le richieste di asilo degli Afghani vengono di norma rigettate, anche in caso gli interessati proseguano l’iter in tutti i gradi di appello. Quanto al sistema di accoglienza croato, è senza dubbio migliorato dai primordi del 2004, ma la sua capienza, benché salita recentemente ai 600 posti dell’ex-Hotel Porin a Zagabria più i 140 di un centro per famiglie e persone vulnerabili nella cittadina di Kutina, è evidentemente insufficiente a gestire il volume degli arrivi.

Ai centri di accoglienza summenzionati andrebbero poi aggiunti due centri di transito frontalieri, a Tovarnik e Trilj, ma da questi i migranti rintracciati rischiano di venire rimandati rispettivamente in Serbia e Bosnia. Proprio i respingimenti di migranti in arrivo costituiscono da anni un pilastro dell’approccio securitario adottato dalla Croazia nei confronti della crisi migratoria. In quest’ambito si annoverano i respingimenti a catena effettuati a partire proprio da Trieste, con i malcapitati rimbalzati tra poliziotti italiani, sloveni e croati prima di finire rispediti in Bosnia, pratica interrottasi nel 2021 dopo la sentenza di un tribunale italiano13 ma la cui ripresa è ora caldeggiata da esponenti politici nazionali e regionali14. Continuano invece, nonostante una lieve flessione, i pushbacks “semplici”, che vanno dal negare ai migranti fermati in Croazia il diritto a chiedere asilo, riportandoli con la forza di là dal confine, ad abusi ed atti di violenza anche peggiori (documentati in un recente report da Human Rights Watch)15. I respingimenti sono in lieve flessione dal 2023, ma continuano ad essere una procedura molto comune. Secondo le stime del Danish Refugee Council16, nei primi sette mesi del 2023 quelli verso la Bosnia sono stati 1.744; l’anno scorso erano stati in totale 3.641 (un numero inferiore viene effettuato verso la Serbia). E non finisce qui: al momento dell’identificazione da parte delle forze dell’ordine croate, ai migranti può venire concesso di manifestare l’intenzione di chiedere asilo, ma capita loro di trovarsi di fronte anche altri scenari. Uno è il ricevere un foglio di via che presuppone lascino la Croazia entro una settimana – e può tradursi in un’espulsione immediata verso la Bosnia o nel venire lasciati proseguire verso la Slovenia – un altro consiste in una riammissione formale in Bosnia, ossia la consegna alle autorità di quel paese sulla base di accordi bilaterali. L’ultima soluzione, in particolare, si è affermata in seguito ad alcuni incontri ad alto livello tra i ministeri dei paesi coinvolti ed altri paesi europei, tra cui quello tenutosi a Roma nell’aprile 202317, probabilmente per diminuire la frequenza del ricorso ai respingimenti unilaterali.

Al di là delle problematiche legate al basso tasso di riconoscimento, alla qualità dell’accoglienza ed al rischio di espulsione, il trattamento riservato ai migranti sul territorio croato rinforza l’impressione che il governo stia facendo tutto il possibile per disincentivare una loro permanenza. Parlando con gli afghani, il gruppo più numeroso anche tra i migranti in transito, si ottiene uno spaccato dell’atteggiamento delle forze dell’ordine croate anche quando queste non optano per un respingimento.

I migranti afghani in transito sono sempre più spesso giovani e giovanissimi, partiti dopo la caduta del paese in mano ai Talebani nel 2021 o già fuggiti dalle fasi più violente del conflitto negli anni precedenti. Bloccati in Turchia per lunghi periodi per l’impossibilità di pagare ai trafficanti il resto del viaggio, molti decidono ora di tentare il tutto per tutto per raggiungere paesi dove i salari consentano loro di sostenere le famiglie rimaste a casa, nella situazione politico-economica disastrosa in cui versa l’Afghanistan18. La concorde posizione di condanna del regime dei Talebani da parte dei governi europei non sembra influenzare il trattamento ricevuto dagli afghani al loro primo ingresso nell’UE.

Gli afghani intervistati in Croazia hanno sottolineato un atteggiamento ostile quando non apertamente abusivo da parte delle forze dell’ordine. Oltre alle denunce di maltrattamenti e furti subiti al confine, molti hanno raccontato come per loro viga di fatto il divieto di utilizzare i mezzi pubblici per proseguire il viaggio una volta giunti a Zagabria:

Sono arrivato qui ieri mattina, la polizia mi ha identificato e preso le impronte, poi mi hanno mandato al campo [centro di accoglienza Porin, nda]. Poco dopo sono uscito e sono andato in stazione per prendere un treno e continuare il mio viaggio, ma prima che il treno partisse i poliziotti hanno controllato vagone per vagone. Si sono arrabbiati molto con me perché avevo lasciato il campo, e ancora di più perché ero salito sul treno. Mi hanno detto “Non hai il diritto di salire su treni o autobus qui. Potete muovervi solo come siete arrivati: a piedi”. Poi mi hanno portato alla stazione di polizia e mi ci hanno tenuto per la notte. Non appena cercavo di dormire qualcuno mi scuoteva o faceva rumore. Stamattina mi hanno rilasciato dicendomi “Continua il tuo viaggio o ti deporteremo nel posto da dove sei venuto”. Alla polizia croata non interessa delle nostre richieste di asilo, vogliono solo prenderci le impronte digitali perché più ne prendono, più soldi ricevono dall’Europa!

Quindi, le forze di polizia croate non si limitano a presidiare i confini con la Bosnia e la Serbia, ma effettuano operazioni volte al controllo dei migranti anche in zone molto lontane dal confine. Se questo porta ad un tracciamento più capillare ed all’annunciato incremento delle richieste di asilo, le pressioni esercitate sui migranti in transito appaiono però intese – o comunque funzionali – ad evitare un’eccessiva concentrazione dei flussi su singole rotte o località, più che a contrastarli in toto. L’enfasi sul divieto di utilizzare mezzi pubblici ad esempio è aumentata quando la rotta Zagabria-Rijeka ha cominciato ad assumere proporzioni eccessive. Anche per quanto riguarda la lotta ai trafficanti, i risultati annunciati dalle autorità vanno contestualizzati. In Croazia la situazione è diversa da quella sviluppatasi ad esempio in Serbia, dove le reti di trafficanti gestiscono ogni aspetto del transito dei loro clienti, dall’alloggio al cibo ai trasporti, e dove la loro presenza si traduce spesso in abusi nei confronti dei migranti più vulnerabili o in violenti regolamenti di conti tra gang rivali. Il ruolo dei trafficanti cambia spostandosi alla Bosnia ed alla Croazia, ed essi si fanno sempre meno fisicamente presenti man mano che si procede. In Croazia, fatta eccezione per una parte delle famiglie o degli individui con maggiori disponibilità economiche, il cui viaggio viene organizzato dai trafficanti su veicoli spesso guidati da locali o da cittadini di paesi limitrofi, la maggioranza dei migranti in transito si muove a piedi o, quando può, con i mezzi pubblici, seguendo le indicazioni inviate loro sotto forma di posizioni GPS da trafficanti risiedenti altrove. Così anche gli arresti di trafficanti rivendicati dalle polizie di Croazia e Slovenia riguardano spesso personaggi secondari, autisti occasionali pagati per una tratta o semplici migranti arruolati per aiutare a portare a destinazione un piccolo gruppo, oltreché se stessi, in cambio di uno sconto sulla tariffa.

Tornando al trattamento riservato ai comuni migranti, nonostante abusi e violenze risultino preoccupanti per volume e tipologie, è impensabile spiegarli solo tacciando le forze di polizia croate di maggiore xenofobia rispetto ai loro omologhi di altri paesi. Dalla descrizione che si è fatta della posizione strategica della Croazia in chiave UE, si evince come il ruolo dei poliziotti croati nella gestione dei flussi migratori trascenda le inclinazioni personali o le decisioni politiche nazionali. Dalla presunta chiusura della rotta balcanica nel 2016, la Croazia è stata sempre più impegnata in un’operazione di difesa dei confini dell’UE, volta almeno a rallentare, se non scoraggiare, flussi migratori che creano difficoltà politiche e sociali ai governi dell’Unione. Come dimostrano i finanziamenti UE ricevuti dalle sue forze di polizia tramite la missione Frontex ed i riconoscimenti politici ricevuti, in primis l’accesso all’area Schengen, la Croazia ha svolto un ruolo “da gendarme” essenzialmente per conto terzi.

Un destino ironico per il paese che, tra il XVI e XVIII secolo, ha visto buona parte del suo attuale territorio – gli stessi impenetrabili boschi della Lika, del Kordun e della Banovina che oggi assistono al brutale game in atto tra guardie e migranti – fungere da Militärgrenze, la frontiera militare tra l’Impero asburgico e quello ottomano. Nella geografia fisica ed umana della regione, se non nella memoria storica di tutta la Croazia, sono rimaste tracce di quel periodo non certo prospero, dove persino l’insediamento di gruppi umani ed i rapporti tra di essi erano subordinati alle necessità militari e soggetti a leggi speciali. L’isolamento, il sottosviluppo, lo stato di eccezione dal diritto, le linee di frattura religiose ed etniche che un confine di questo tipo ha istituito e perpetuato (ripropostesi poi proprio qui con maggior virulenza durante le guerre degli anni Novanta) dovrebbero far riflettere la Croazia sul significato odierno dell’opportunità di tornare a rappresentare una marca di frontiera militarizzata per la tranquillità dell’Europa. D’altronde, se l’obbiettivo a cui tendono molte delle procedure summenzionate è il respingimento dei migranti verso paesi non UE, la Bosnia in primis, e un’azione deterrente verso i migranti in prospettiva, è pure vero che il governo croato vi aggiunge motu proprio un significato ulteriore. I migranti in transito vengono fortemente disincentivati dal tentare di stabilirsi nel paese, anzi spronati a lasciarlo il prima possibile, continuando immediatamente verso i paesi di destinazione pena il rischio di incorrere in un respingimento. L’attraversamento della Croazia rappresenta una doccia fredda per molti migranti, convinti di aver ormai superato la parte più critica del viaggio, di essere alle porte dell’Unione europea e di trovarvi standard più elevati in termini di accoglienza e diritti. Alcuni degli afghani intervistati hanno espresso tale shock evocando una coppia di opposti concettuali ed adattandola al passaggio dal confine croato-bosniaco alla capitale, Zagabria: le parole jangal (originariamente giungla, foresta, ma ormai recepita dal vocabolario migrante ad indicare qualsiasi luogo liminale, ai confini della società, al di là delle caratteristiche vegetazionali) e paytakht (capitale, letteralmente “ciò che si trova ai piedi del trono”, a sottolinearne l’idea di ordine e sicurezza). Comuni a Persiano, Pashto ed Urdu, questi concetti sono stati impiegati dai migranti per sottolineare il paradossale rovesciamento della prospettiva vissuto:

Altrove la violenza, l’ostilità, sono confinati sulla frontiera, una volta che te ne allontani, sei in salvo: la gente non ti è ostile e la polizia ti lascia in pace. Quindi, arrivando qui a Zagabria dal confine bosniaco pensi di esserti lasciato la giungla alle spalle e di aver raggiunto la capitale, ma poi ti accorgi che il comportamento della polizia, delle autorità, qui in città è esattamente lo stesso che sul confine. Anzi, proprio qui nella capitale vige la legge della giungla, mentre là, nei campi per rifugiati in mezzo alla foresta [in Bosnia, nda], ci trattavano con civiltà e rispetto.

Ben pochi richiedenti asilo si fermerebbero in un paese che dà loro un simile benvenuto, soprattutto quando sono giunti così vicino alla meta dei loro sforzi. Ma per quanti sforzi la Croazia possa fare per disincentivare i migranti dal fermarsi, in molti casi sono le stesse regole dell’UE a farveli ritornare. Secondo la Convenzione di Dublino, l’identificazione dei migranti e l’inserimento dei loro dati biometrici nel sistema EURODAC da parte della Croazia fa del paese il luogo di pertinenza delle loro richieste asilo, e permette ai paesi dove questi chiederanno in seguito asilo di rimandarli indietro19. La riammissione in Croazia di richiedenti asilo transitativi in precedenza è un fenomeno relativamente frequente, soprattutto su richiesta di paesi come la Germania, l’Austria e la Svizzera. Nel 2022, il paese ha ricevuto quasi 12.000 richieste20 di riammissione dei richiedenti asilo giunti in altri paesi, anche se solo 167 trasferimenti sono stati effettivamente portati a termine nel corso dell’anno. Il fenomeno contribuisce a congestionare il già carente sistema di accoglienza locale, tanto che a metà giugno, una delegazione di ONG croate si è incontrata a Berna con il Segretario di Stato svizzero per la migrazione, per richiedere lo stop a tale pratica21.

Le pratiche abusive nei confronti dei migranti a cui si è assistito negli ultimi anni sembrano ormai esser entrate a far parte della routine procedurale delle forze di polizia croate e, almeno in assenza di un deciso cambio di direzione da parte dell’UE, rimarranno inalterate. La stessa cosa si può osservare per la controversa Convenzione di Dublino, sempre criticata ma mai abolita, o per altre incongruenze ed eccezioni allo stato di diritto venutesi a creare nel corso dell’ormai decennale crisi migratoria e mai più risoltesi, come la sospensione della libera circolazione in Schengen decretata dalla Francia nei confronti dell’Italia a Ventimiglia e in Val di Susa, o dall’Austria nei confronti di Ungheria e Slovenia. Dalla stesura di questo articolo, anche l’Italia ha sospeso i termini dell’accordo di Schengen, ripristinando i controlli al confine con la Slovenia il 21 ottobre 2023. https://www.ilsole24ore.com/art/migranti-trattato-schengen-sospeso-tutto-l-inverno-stretta-controlli-confine-la-slovenia-AFx0ttNB?refresh_ce=1. Di tutte queste pratiche si compone il potenziale di deterrenza messo in campo dalla UE nei confronti dei migranti. Anche l’assenza di provvedimenti di fronte ad una situazione emergenziale rientra a buon diritto tra queste: ad esempio quella che ha determinato la situazione sempre più caotica a Trieste22, dove nell’assenza delle istituzioni municipali, regionali e statali sono i volontari e le associazioni a cercare di porre argine ad una crisi che vede centinaia di richiedenti asilo costretti a vivere in strada per mesi. I trasferimenti verso progetti di accoglienza in altre regioni a lungo negati e ripresi solo a sprazzi, la guerra dichiarata dalle istituzioni alle realtà locali dell’accoglienza ed al loro modello di ospitalità diffusa, l’interminabile bagarre sull’identificazione del luogo dove posizionare il gigantesco hub che dovrebbe prendere il posto di questa – e che nessun politico locale ha il coraggio di scaricare sulla propria circoscrizione elettorale, le velleità securitarie di riprendere i già condannati respingimenti a catena23 – non fanno che replicare in piccolo i traccheggi e le misure inefficaci e contraddittorie prese dalla UE. O meglio, dai singoli paesi UE che spesso agiscono per conto proprio, se non addirittura in competizione.

Quali che siano le forme della deterrenza applicate dall’Europa nei confronti di chi desidera arrivarvi con la speranza di una vita migliore per sé e per la propria famiglia, nella maggioranza dei casi i risultati non possono che essere paradossali. Aumento dei rischi e dei tempi di viaggio per i migranti, che colpiscono soprattutto i più vulnerabili tra loro, aumento dei profitti per le reti di trafficanti che si trasformano in una criminalità sempre più organizzata, aumento della mobilità migrante inter-europea e della sua precarietà a scapito dell’integrazione. Tutto questo ha il risultato – forse dopotutto non così paradossale o indesiderato – di rendere il profilo dei migranti che riescono ad arrivare in Europa sempre più vicino allo spauracchio mediatico in cui sono già stati, preventivamente, trasformati. Giovani uomini impossibilitati a mettere nuove radici e a sviluppare in pieno gli strumenti necessari per fare parte della società ospite e che, rimanendone ai margini, possono fornirle nella migliore delle ipotesi una manodopera non specializzata, a basso costo ed alto tasso di irregolarità contrattuale.

Note

1 Questo articolo si basa su una ricerca svolta nel luglio-agosto 2023 per l’Afghanistan Analysts Network e pubblicata il 26 settembre 2023: https://www.afghanistan-analysts.org/en/reports/migration/keep-on-moving-on-the-balkan-route-no-quarter-for-afghan-asylum-seekers-in-croatia-and-serbia/, ultima consultazione dei link: 13 ottobre 2023.

2 Cfr. https://www.ansa.it/nuova_europa/en/news/sections/news/2023/09/28/strong-increase-in-irregular-entries-of-migrants-in-croatia_4ba81c30-e10f-4db7-accb-cd6b746f3b1b.html.

3Cfr. https://mup.gov.hr/UserDocsImages/2023/9/statistika%20medunarodna%20zastita%2030_6_2023.pdf.

4 Cfr. https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2023/06/AIDA-HR-2022-Update.pdf.

5 Dal 2023 la Croazia si è allineata alla maggioranza dei paesi UE anche riguardo al tempo di attesa necessario ai richiedenti asilo prima di poter lavorare legalmente, sceso da nove a tre mesi.

6 Cfr. https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2023/05/AIDA-SI_2022-Update.pdf.

7 Cfr. https://www.euractiv.com/section/politics/news/slovenia-sees-continued-rise-in-irregular-migration/.

8 Fabrizio Foschini, Trieste, 2019. La rotta balcanica e il “Decreto sicurezza”, in “Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi”, 2019, n. 3, https://rivista.clionet.it/vol3/foschini-trieste-2019-la-rotta-balcanica-e-il-decreto-sicurezza/.

9 Si veda https://www.icsufficiorifugiati.org/wp-content/uploads/2023/06/Report-Piazza-2022-Web_compressed.pdf.

10 Cfr. https://www.icsufficiorifugiati.org/aggiornamento-sulla-situazione-dei-migranti-in-arrivo-dalla-rotta-balcanica-gennaio-luglio-2023/.

11 Cfr. https://eufactcheck.eu/factcheck/mostly-true-asylum-seekers-massively-fleeing-from-croatia-just-a-little-bit-over-10-percent-remain/.

12  https://www.cms.hr/en.

13 Cfr. https://www.balcanicaucaso.org/Progetti/TraPoCo/News/Un-ordinanza-storica-illegali-i-respingimenti-dell-Italia-verso-la-Slovenia-210998.

14 https://www.repubblica.it/cronaca/2022/12/10/news/migranti_al_confine_sloveno_tornano_i_respingimenti_bocciati_dal_tribunale-378314858/.

15 Cfr. https://www.hrw.org/report/2023/05/03/we-were-just-animals/pushbacks-people-seeking-protection-croatia-bosnia-and.

16 Cfr. https://pro.drc.ngo/resources/documents/border-monitoring-factsheet/.

17 Cfr. https://www.esteri.it/en/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2023/04/a-roma-vertice-balcani-occidentali-con-albania-bosnia-ed-erzegovina-kosovo-macedonia-del-nord-montenegro-e-serbia/.

18 Sui rifugiati afghani in Turchia si vedano anche: 1) https://www.afghanistan-analysts.org/en/reports/migration/refugees-or-ghosts-afghans-in-turkey-face-growing-uncertainty/; 2) https://www.afghanistan-analysts.org/en/reports/migration/between-the-devil-and-the-deep-blue-sea-no-good-options-for-afghans-travelling-to-and-from-turkey/.

19 Le convenzioni di Dublino sono una serie di trattati tra paesi europei miranti a combattere il cosiddetto asylum-shopping, ossia il tentativo dei migranti di raggiungere determinati paesi dell’Europa settentrionale o centrale per richiedervi asilo. Istituendo il principio che la richiesta di asilo è pertinenza del paese di primo ingresso ed identificazione, le convenzioni hanno però incentivato ulteriori movimenti irregolari nell’UE, poiché i “Dublinanti”, spesso dopo lunghe e logoranti attese, optano per sfuggire al trasferimento coatto verso paesi in cui non intendono restare, e provano miglior sorte chiedendo asilo in paesi terzi. Un’ulteriore critica delle convenzioni Dublino è che, se messe in pratica in maniera capillare, scaricherebbero tutto il peso dell’accoglienza e della gestione delle richieste asilo sulle spalle di pochi paesi dell’Europa meridionale ed orientale.

20 Cfr. https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2023/06/AIDA-HR-2022-Update.pdf.

21 Cfr. https://www.letemps.ch/suisse/a-berne-des-ong-croates-denoncent-un-systeme-d-asile-au-bord-de-l-implosion.

22 Cfr. https://www.ilpost.it/2023/09/13/trieste-accoglienza-migranti-rotta-balcanica/.

23 Cfr. https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/08/09/in-friuli-il-nuovo-hotspot-per-migranti-spacca-la-destra/7256256/.