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1. La scuola degli anni Novanta e l’autonomia scolastica. Il Dlgs. n. 29/1993. I docenti della scuola perdono la titolarità
È nell’ottica di questa smania innovativa che verrà svolto questo lavoro analizzando quelle che sembrano di maggior rilievo in quanto hanno impresso effetti e conseguenze più incisive sia riguardo alla foga di razionalizzazione della spesa pubblica, o almeno è con questo spirito che viene propagandata al grande pubblico sia riguardo alla volontà di innovazione didattica rispondente alle esigenze delle nuove generazioni, come è stata pubblicizzata a più riprese.
La svolta politica epocale in tema di istruzione inizia a prendere corpo nei primi anni Novanta avviando una direzione quasi opposta, all’afflato di democratizzazione infuso con i decreti delegati degli anni Settanta.
Fondamentale per comprendere l’impatto e la trasformazione implicita è indubbiamente il Dlgs. n. 29/19931 attraverso cui il rapporto di lavoro dei docenti delle scuole con lo Stato cambia radicalmente, da una disciplina di diritto pubblico si passa ad una di natura privatistica; allo stesso modo viene modificato anche il loro stato giuridico, infatti è oramai improprio parlare di immissioni in ruolo in quanto il ruolo ordinario è stato trasformato in contratto a tempo indeterminato per i docenti delle scuole, mentre invece, ad esempio, lo stesso non è accaduto per i docenti universitari, né per magistrati o per le forze armate, per i quali il ruolo rimane così come non è cambiato il loro stato giuridico.
Questa modifica ha avuto un impatto notevole dal punto di vista economico, realizzando paradossalmente una scala mobile a rovescio agganciando la retribuzione dei docenti della scuola al tasso d’inflazione programmato e conseguentemente abbassando i livelli stipendiali, un bel risparmio per lo Stato. Inoltre, per i docenti della scuola, a differenza degli altri funzionari citati prima, è stato abolito lo scatto di anzianità che indicava anche uno scatto stipendiale biennale che ora invece avviene ogni sei anni; ma non è tutto perché questo provvedimento è stato il primo importante tassello che ha introdotto anche altri aspetti inediti nella tradizione della scuola, ossia un rapporto sempre più gerarchico tra docenti e dirigenti scolastici e una competizione interna tra i vari docenti che si affannano ad effettuare attività aggiuntive per arrotondare e la cui assegnazione è, nei fatti, di esclusiva competenza dei dirigenti.
Da quel momento la strada per l’autonomia scolastica è spianata e non incontra alcun ostacolo perché rientra in un preciso disegno politico molto più ampio che spinge, innanzitutto, verso una progressiva privatizzazione di tutte le istituzioni statali e passa per un decentramento amministrativo sempre più incisivo a favore delle regioni, specie quelle che rivendicano ancora oggi maggiore efficienza ed efficacia e, in terzo luogo, in direzione di un’idea di istruzione sempre più prona a soddisfare le esigenze dell’industria che convenientemente smette di fare formazione e innovazione interna2.
Similmente dirompente fu il provvedimento con cui si attribuisce personalità giuridica a tutte le scuole – non solo, quindi, agli istituti tecnici e professionali – assegnando autonomia amministrativa e di bilancio nella gestione economico-finanziaria con relativa responsabilità contabile3 che, andando ad innestarsi con le successive leggi Bassanini, avvierà il processo autonomistico che determina l’aziendalizzazione della scuola.
Dunque, da una precedente stagione progressista caratterizzata, come afferma Massimo Baldacci, da un unico cambiamento concreto, ovvero la riforma della scuola media unica nel 19624, si passa ad un periodo che si potrebbe definire di controriforma.
Infatti, l’azione di condizionamento politico che prende il via dopo il 1989 è permeato dalla paziente perseveranza delle lobby industriali quali l’Ert in Europa condotta parimenti e con grande abilità dal suo omologo italiano, ovvero l’associazione no-profit Trelle al cui interno troviamo anche un’altra associazione no-profit molto attiva per ciò che concerne l’istruzione italiana, la Fondazione Agnelli, che di fatto ha come scopo la realizzazione della scuola neoliberista e, sempre Baldacci sottolinea, che anche le relazioni sociali devono conformarsi alla competizione globale e tra i nuovi concetti introdotti con termini scelti con cura c’è quello di «capitale umano» che, Baldacci spiega, è l’insieme di conoscenze e competenze utilizzabili nel processo produttivo tecnologicamente avanzato.
Pertanto l’individuo imprenditore deve essere egli stesso il «capitale umano» capace di sviluppare le competenze funzionali al processo produttivo, e la scuola deve diventare fabbrica di capitale umano secondo il principio funzionalista e produrre nuovi produttori ben attrezzati alla concorrenza5 la scuola allora diventa, altresì, la principale agenzia attraverso cui realizzare questo progetto ambizioso, perché, secondo la visione neoliberista, è assolutamente necessario educare precocemente alla competizione sin dall’infanzia e per far sì che si possa ben introiettare il principio della concorrenza tra pari si introduce l’idea della meritocrazia che incoraggia la pratica delle differenze tra chi merita e non merita il successo. La scuola deve diventare palestra di competizione realizzando un sistema a cascata per cui gli istituti devono competere tra loro per conquistare e attirare iscritti, i docenti saranno in competizione tra loro e, a loro volta, spingeranno alla competizione i loro studenti realizzando pienamente la spinta competitiva necessaria alla produzione di capitale umano e quindi dell’individuo imprenditore di se stesso generando così massima efficienza6.
A questi fini dunque l’azione politica realizza la scuola-azienda che si rivelerà essere una trasformazione non solo strutturale, ma addirittura radicale del sistema di istruzione italiano, ovvero la realizzazione dell’autonomia scolastica7 varata nel 1997 da un governo di centro sinistra che accetta come ineludibile la cosiddetta terza via di Blair e scende a compromessi con il neoliberismo che il rapporto Delors nel 1996 sintetizza come «un compromesso tra solidarismo e competizione»8, ma che finisce per far sì che la seconda fagociti il primo perché, di fatto, la competizione è la precondizione per l’autonomia scolastica: un istituto deve togliere iscritti ad un’altra scuola per sopravvivere ed evitare il dimensionamento9.
È dunque su questa scia che si innesta la riforma dell’esame di Stato che introduce la terza prova scritta multidisciplinare, ma ancor più emblematica l’introduzione dei crediti scolastici nel secondo biennio e nell’ultimo anno della secondaria di secondo grado attribuito agli studenti dal Consiglio di Classe sulla base della media di profitto conseguito da ciascuno studente applicando una griglia di oscillazione disposta dal ministero10.
2. Autonomia scolastica. Legge Bassanini (1997). Competizione tra le scuole e la mistificazione delle parole
La concorrenza tra scuole è dunque un elemento essenziale per l’attuazione dell’autonomia scolastica e poggia su un pilastro portante, l’esistenza di ogni istituto è ancorato al numero di iscritti; lo scopo dichiarato per questo nuovo dispositivo di legge è la razionalizzazione della spesa il cui parametro principale adottato è esclusivamente quello numerico11, infatti, una scuola potrà avere una dirigenza e servizi amministrativi propri solo se si raggiunge il numero di iscritti previsto per legge (tra i 500 e 900 studenti) tagliando i costi di gestione; in pratica più studenti sono iscritti in una scuola tanti di più i fondi che lo Stato gliene assegnerà12, mentre se il numero di iscritti diminuisce quell’istituto sarà accorpato ad un altro con significative ripercussioni anche sul numero di cattedre e dunque sul personale docente, collaboratori scolastici e personale amministrativo (Ata). Ovviamente le scuole che rischiano la chiusura o l’accorpamento, in gergo tecnico che rischiano il dimensionamento sono quelle dei centri urbani più piccoli, o le scuole di montagne e delle piccole isole già fortemente penalizzati e che possono contare solo sulla popolazione scolastica locale poiché il territorio su cui insistono gode di scarsissime opportunità di crescita culturale da offrire e quindi quasi nulle le possibilità di attirare iscritti da comuni vicini. Pertanto, seppur la scuola in moltissimi contesti del nostro paese rappresenta spesso l’unico presidio di legalità, l’unica presenza tangibile dello Stato anziché valorizzarla e potenziarla, in nome dell’efficienza dell’impiego di risorse pubbliche e del taglio di sprechi, esse vengono eliminate.
In questo quadro diventa ben chiaro che il numero di iscrizioni è un elemento imprescindibile per la sopravvivenza degli istituti scolastici e dunque la competizione tra scuole vitale. Questa costruzione ad incastro determina a sua volta una mutazione profonda nel rapporto tra studente e scuola. Infatti, lo studente diventa sempre più un cliente da soddisfare e la scuola ente erogatore di servizio e non più istituzione dello Stato. La scuola azienda diventa così realtà.
Perché la trasformazione sia completa mancano ancora due tessere importanti al mosaico ben ideato da Berlinguer. La prima di queste è l’introduzione del Pof (Progetto dell’Offerta Formativa), che dà concretezza all’autonomia scolastica. La seconda è la progressiva gerarchizzazione dei rapporti di lavoro interni alla scuola.
La scuola azienda per attirare iscritti deve differenziarsi dagli altri istituti e questo è ciò a cui serve il Pof13, offrire una proposta formativa allo studente-cliente che adesso sceglie la scuola che ritiene più vantaggiosa e non quella più adatta alle proprie aspirazioni. Scelta che non di rado avviene in modo inconsapevole per tanti motivi contingenti.
Appare dunque evidente che la scuola concepita nell’ultimo scorcio del secolo scorso e nei primi anni del nuovo millennio risponde con sorprendente e cieca obbedienza ai dettami delle lobby di industriali italiane ed europee. Una scuola che fabbrica capitale umano, forma dei produttori e il buon cittadino è il buon produttore pienamente conforme al sistema capitalista neoliberista e, per dirla ancora con Massimo Baldacci, questa scuola contraddice il principio secondo cui l’istruzione deve avere come fine la crescita dell’uomo che è fine a se stessa; dunque, l’uomo ne deve essere il fine e mai deve, invece, essere usato come mezzo14.
Se, dunque, l’offerta formativa è finalizzata soprattutto ad attirare iscritti; ne deriva che non è più l’indirizzo di studio con le sue specifiche discipline e la didattica a motivare gli studenti nella scelta della scuola da frequentare, con l’autonomia scolastica serve altro. È da questa inedita esigenza che derivano le proposte spesso alquanto fantasiose di attività integrative generalmente svolte durante gli orari pomeridiani e progettate con ansia di prestazione crescente che assale tanti docenti e che purtroppo non tiene quasi mai conto della realtà dei fatti.
Per avere un’idea di quali possano essere queste attività extra curriculari o integrative è sufficiente prenderne visione sui siti di ogni istituto. Tra quelle più gettonate anche dai genitori ci sono, ad esempio, le certificazioni linguistiche, i soggiorni di studio all’estero, laboratori di teatro, laboratori di scrittura creativa; le parole chiave che fanno accendere le lucette negli occhi di genitori e studenti, sono: innovazione, digitale e competenze.
Da non dimenticare, ovviamente, il prestigio dell’istituto dato dalla reputazione di cui gode sul territorio e dallo studente-tipo iscritto, ovvero a quale ambiente di provenienza appartiene; le cronache15 sono piene di istituti che pubblicizzano la loro peculiarità citando spesso il fatto che in quella scuola gli studenti provengono da un determinato milieu, che la presenza di stranieri e di studenti diversamente abili è molto contenuta e che si tratta di una scuola molto blasonata.
Ne consegue che l’orientamento proposto, dagli istituti della secondaria di secondo grado, non fa affatto gli interessi degli studenti che devono scegliere il loro futuro percorso di studi e non aiuta i genitori a guidare al meglio i propri figli in questa che è, a tutti gli effetti, una delle scelte più importanti che gli adolescenti sono chiamati a fare. Da essa, infatti, dipende la loro disposizione d’animo nell’affrontare le sfide successive, il grado di interesse che il percorso di studio scelto suscita in loro, la loro personale motivazione che è determinata da quell’interesse e da ciò che potranno o vorranno fare in seguito.
L’orientamento, dunque, si caratterizza come un sistema perverso perché contribuisce e avalla la segregazione di classe, infatti, un siffatto sistema ghettizza chi non ha la fortuna di essere nato nell’ambiente giusto, sia dal punto di vista geografico, sia da quello socioeconomico e culturale. Un siffatto sistema agevola una svolta privatistica della scuola pubblica perché consente a chi invece quella fortuna ce l’ha di potersi scegliere l’istituto «migliore» (secondo le classifiche stilate da Eduscopio)16 e frequentare anche la gente «giusta» per continuare a tessere le «giuste» relazioni, esattamente come avviene nella rete delle Whittle School17 partita di recente negli Usa, dove la frequenza costa più di quarantamila dollari statunitense, ma con l’aggravante che in Italia questo sistema è a costo zero per i «clienti» e tutto a carico dello Stato e a discapito di chi avrebbe proprio maggiore bisogno dello Stato.
Gli open day, che oramai rappresentano degli eventi organizzati dalle scuole a caccia di potenziali clienti da sottrarre ad altre scuole, di fatto mettono in discussione ciò che è ancora il dettato costituzionale, ovvero che il diritto di istruzione è uguale per tutti, che è lo Stato che deve rimuovere gli ostacoli laddove esistono per fornire a tutti i cittadini pari opportunità, ciò significa che è lo Stato che deve incrementare i finanziamenti e gli investimenti e non certo le famiglie a versare «contributi volontari» peraltro una pratica, questa, del tutto illegittima.
Dovrebbe essere un dato acquisito da tutti che ogni singola scuola deve essere attrezzata e sicura; pertanto, nessuna scuola dovrebbe essere migliore di un’altra. Rendersi complici di siffatto sistema quindi significa rendersi complici anche di chi la scuola pubblica la critica facendo leva sui risultati delle prove Invalsi e Ocse Pisa.
3. La gerarchizzazione dei ruoli interni alla scuola e il valore utilitaristico della scuola (ovvero il merito e i livelli di apprendimenti ridotti)
La seconda tessera del mosaico cui si è accennato prima, ovvero la gerarchizzazione dei ruoli all’interno della scuola viene realizzata tramite l’iter legislativo avviato con la legge Bassanini che, appunto, con l’autonomia scolastica assegna agli istituti scolastici «personalità giuridica» e gestione finanziaria e che ha la sua attuazione pratica attraverso la qualifica dirigenziale assegnata ai capi d’istituto non più presidi, bensì dirigenti scolastici18 che hanno a disposizione uno staff di figure intermedie quali sono le funzioni strumentali, introducendo peraltro i concetti chiavi ed inediti di «valutazione e rendicontazione» con contraccolpi importanti sul piano dei rapporti interni, da un lato, e sull’ulteriore rafforzamento dell’idea di scuola azienda, dall’altro.
La gerarchizzazione dei ruoli all’interno della scuola crea così uno sbilanciamento, nocivo soprattutto per quanto riguarda il rapporto professionale tra DS e docenti e ciò perché i due ruoli spesso confliggono perseguendo obiettivi diversi e contrastanti. Infatti, se i DS sono incaricati di gestire un istituto come se si trattasse di un’azienda che sta sul mercato e quindi, sono soggetti a «far quadrare i conti», a chiudere i bilanci in attivo, a soddisfare sempre e comunque il cliente (studenti e famiglie), a rispondere del proprio operato agli stake holder, o portatori di interessi comprendenti enti locali (politici) e attività produttive del territorio (imprenditori); al contrario, il docente ha un altro e divergente obiettivo da perseguire assegnatogli dalla Costituzione19 e ribadito da altri dispostivi di legge20, ovvero, dalla funzione docente cui fa capo «l’esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla rielaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità»21, e ha anche il compito di valutare i discenti sulla base dei risultati da essi conseguiti nel loro percorso scolastico22.
Inoltre, è proprio in questi anni che avviene una costante opera di delegittimazione sociale della cultura come valore intrinseco – «con la cultura non si mangia» – ma ancor più gravi sono stati almeno i tre aspetti seguenti: il primo è sicuramente quello che ha assegnato, ad un certo punto, un valore utilitaristico alla scuola e allo studio in generale. Si è diffusa l’idea secondo cui – grazie ad una certa visione politico-economica post 1989 – lo studio e la scuola devono essere funzionali al lavoro, perciò se dopo il diploma non si trova lavoro la responsabilità non è del mondo produttivo che non crea posti di lavori, o che non attribuisce salari adeguati a fronte delle mansioni svolte o delle aspettative create dalla retorica utilitaristica, bensì è della scuola che non è in grado di fornire la formazione pratica (anche se non è affatto la scuola chiamata a fare formazione, questo è sempre bene sottolinearlo) richiesta dalle aziende e quindi incapace di incrociare richiesta/offerta23.
Il secondo aspetto, che influisce e non poco anche sull’incremento dei dati relativi alla dispersione scolastica, è il crollo pressoché totale del concetto secondo il quale la scuola rappresentava la grande possibilità di riscatto sociale offerto a tutti, questa speranza e opportunità è stata, in passato, un’enorme spinta propulsiva, ha costituito la motivazione più forte per milioni di italiani, fino all’introduzione dell’autonomia scolastica.
Infine, il terzo aspetto conseguente a quelli precedenti è la questione del «merito» che secondo la perniciosa vulgata attuale non è affatto il rispetto riconosciuto a chi, con grandi sacrifici e superando innumerevoli ostacoli e limiti di partenza, attraverso il proprio impegno, i propri sforzi e la propria tenace determinazione consegue quel riscatto sociale grazie allo studio e all’opportunità offerta dalla scuola della Costituzione; piuttosto esattamente il contrario, premiare chi, grazie a posizioni di vantaggio socioeconomico e culturale a scapito dei meno fortunati per appartenenza di classe (si ricorda a proposito l’infelice, quanto ormai celebre, battuta del ministro Poletti secondo la quale per trovare lavoro i giovani facevano meglio a tessere relazioni, magari sui campi di calcetto anziché inviare curriculum vitae), le vie preferenziali per chi gioca sporco e usufruisce di privilegi di nascita assolutamente iniqui. Pertanto più il merito riferito alla meritocrazia tanto cara agli anglofoni che produce ancor più disuguaglianze sociali.
Un ultimo aspetto da sottolineare con forza è che non è certo la scuola di massa emersa dalla rivoluzione sessantottina ad aver determinato l’abbassamento dei livelli di apprendimento come una certa versione diffusa, strumentalmente a piene mani, vuol far credere all’opinione pubblica. La preparazione scolastica è stata progressivamente depotenziata non perché gli studenti non fossero all’altezza, bensì perché lo Stato ha rinunciato, di fatto e nei fatti, all’applicazione dell’art. 324 della Costituzione attraverso scelte politiche trasversali di tagliare investimenti finanziari per l’istruzione.
4. La riforma Moratti e il trattato di Lisbona
Il consiglio europeo di Lisbona riunitosi nel marzo del 2000 per individuare obiettivi e strategie operative atte a sostenere la crescita economica, l’occupazione e la coesione sociale all’interno dell’Unione, nel contesto specifico della società dell’informazione e della conoscenza e nella prospettiva di una mobilità professionale e di studio, stabilisce che il servizio erogato dalle istituzioni scolastiche deve essere rispondente alle esigenze dell’utenza e del territorio specifico (le scuole, dunque, non più come istituzioni dello Stato che garantiscono un diritto allo studente e cittadino, ma solo un servizio come un altro e come tale deve soddisfare le esigenze dell’utente che è cosa ben diversa dal cittadino, inoltre soddisfare le esigenze del territorio e questo è un chiaro riferimento alle imprese di quel territorio) e che ciò può essere assicurato grazie all’autonomia scolastica in termini di autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo.
Inoltre, stabilisce che il sistema di istruzione dei paesi membri ha l’obbligo di raggiungere e promuovere il successo formativo garantito degli studenti entro il 2020; non di garantire mezzi e strumenti affinché gli studenti siano in grado di raggiungere gli apprendimenti come obiettivi previsti, al contrario garantire il risultato; da notare che il termine «successo» indica che l’approccio è, ancora una volta, di tipo aziendale e commerciale. Nella riunione dell’anno successivo al Consiglio europeo di Stoccolma (marzo 2001) si introduce il concetto di qualità e valutazione dei sistemi di istruzione europea in un’ottica di standardizzazione sia di contenuti sia di obiettivi finali da perseguire; attraverso il controllo incrociato dei dati acquisiti, si prefigura altresì un controllo costante attraverso indicazioni che le scuole dovrebbero seguire e che ne mortificano le peculiarità nazionali e identità culturali. È dunque in questo contesto che va letta la cosiddetta riforma Moratti e come ben si lega alla precedente Autonomia Scolastica e spiega anche l’introduzione delle prove Invalsi che, appunto, hanno come scopo la standardizzazione dei contenuti e della valutazione.
Letizia Moratti in assoluta continuità con il precedente governo di centro sinistra attua i principi di fondo dell’autonomia scolastica, come ad esempio sminuire il ruolo della conoscenza procedendo verso l’abbassamento del livello educativo25.
Tra i più importanti cambiamenti attuati si segnalano, innanzitutto l’abbassamento dell’obbligo scolastico da nove a otto anni di studio, il moltiplicarsi di indirizzi di studio, ma ben più importante il fatto che viene ridisegnato l’intero sistema della secondaria di secondo grado con i licei che rimangono di competenza dello Stato, mentre l’istruzione tecnica e professionale, insieme alla formazione professionale, diventano competenza esclusiva delle Regioni in contrasto con quanto sancito dal titolo V della Costituzione26 e l’introduzione delle Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati e il profilo di fine ciclo che stabilisce, da una parte, il profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (scuola primaria e scuola secondaria di primo grado); mentre, dall’altra assicura che ogni scuola manterrà la potestà autonoma nel perseguire gli obiettivi generali formativi e quelli specifici di apprendimento attraverso l’elaborazione dei piani di studio personalizzati dai docenti.
In buona sostanza, con questa modifica i programmi ministeriali non hanno più valore prescrittivo in quanto sono gli obiettivi generali e specifici ad essere vincolanti27 mentre, spetta ai docenti interpretare i bisogni e le aspettative dei discenti adottando i metodi didattici e i contenuti che più ritengono utili a sviluppare le potenzialità dei singoli nel contesto classe al fine di mettere gli studenti in condizione di poter raggiungere gli obiettivi prefissati e successivamente tradurli in pratica trasformando le capacità in competenze; e qui bisogna aprire una parentesi, perché con l’idea dei piani di studio personalizzati (o il famigerato Portfolio) avanza anche l’ideologia secondo la quale, come sostiene Baldacci, le doti naturali di ciascuno giustificano la selezione scolastica, pertanto soltanto alcuni dimostreranno di essere portati per lo studio mentre altri solo per il lavoro manuale e andranno «orientati» verso la formazione professionale28; come dire che solo alcuni possiedono le capacità cognitive per dedicarsi ad attività intellettuali e dunque non è grazie alle conoscenze apprese a scuola che si possono scoprire e valorizzare.
Le Indicazioni Nazionali perciò dovrebbero mantenere il principio secondo il quale i piani di studio conservano un nucleo fondamentale a livello nazionale pur nel rispetto dei bisogni e aspetti di interesse precipui alle regioni e ai territori locali, inizia così un processo di decentralizzazione dell’istruzione; dall’altro però, con l’introduzione delle prove Invalsi29 finalizzate a controllare, attraverso verifiche nazionali standardizzate, la qualità complessiva dell’offerta formativa e dei livelli di apprendimento si pretende valutare il livello culturale degli studenti fissando tra l’altro dei parametri di misurazione quale strumento tecnico, ritenuto idoneo dal decisore politico, per la valutazione del sistema e la qualità dell’istruzione il che significa che i docenti dovranno rendere conto del loro operato spingendoli surrettiziamente alla pratica del teach to test. Il tutto, come si può ben notare, in piena sintonia con le raccomandazioni espresse nel Trattato di Lisbona del 2000.
5. Diritto/dovere allo studio, obbligo scolastico e l’alternanza scuola-lavoro
La riforma Moratti introduce altri due cambiamenti importanti, forse un po’ sottovalutati a suo tempo, il primo è l’introduzione del concetto inedito di diritto-dovere all’istruzione e alla formazione30 che prevede la possibilità riservata allo studente tra i quindici e i diciotto anni di età che non intende proseguire gli studi di inserirsi nel percorso alternativo denominato Alternanza Scuola-Lavoro31 al fine di potenziare competenze utili al mercato del lavoro. Ovvero, gli studenti che abbandonano la scuola aderendo ad un percorso di formazione alternativo non vengono calcolati nella statistica relativa alla dispersione scolastica, una mossa puramente politica per evitare di prendersi cura degli adolescenti che ingrossano le fila della dispersione, altro che successo formativo garantito.
Da un lato, dunque, con questa riforma si riduce l’obbligo scolastico da nove a otto anni di frequenza scolastica e dall’altro si introduce il concetto di diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. Ma le due cose non sono affatto equiparabili, infatti, l’obbligo scolastico originariamente serviva per costringere i genitori a mandare i figli a scuola anziché al lavoro in tenera età; esso è perciò riferito ai genitori e a tutela dei discenti. Viceversa, il concetto di diritto-dovere è rivolto espressamente allo studente che ha sì il diritto allo studio ma esso si configura, secondo questa introduzione inedita, anche come dovere nei confronti della società. Un dovere però, sostiene questa riforma, che può essere espletato non necessariamente attraverso un’istruzione scolastica formale, bensì anche attraverso la formazione professionale con il preciso intento di assolvere la politica e, dunque, lo Stato dal suo preciso dovere di garantire a tutti gli studenti il diritto allo studio attraverso la rimozione degli ostacoli32, nulla di tutto ciò è volto a tutelare gli studenti. Quanto alla alternanza scuola-lavoro, ancora una volta, propagandata come l’applicazione del sistema di formazione duale alla tedesca ma che di fatto nella realtà italiana si traduce in un tentativo pasticciato che risulta in sfruttamento di lavoro minorile.
Infatti, in Germania è prevista solo per quegli studenti che scelgono la formazione professionale e non è assolutamente prevista per gli indirizzi di studio liceali. Ma ben più importante, in Germania lo studente viene regolarmente retribuito per le ore di prestazione lavorativa svolta con stringenti norme e tutele sulla sicurezza del lavoro. Al contrario il sistema italiano non prevede per lo studente alcuna retribuzione e si fonda essenzialmente sulla disponibilità delle imprese di prendersi in carico uno studente a cui fare formazione. Oltretutto l’onere di collocare gli studenti nelle aziende è lasciato interamente alle scuole che, ovviamente, fanno riferimento al territorio. Un territorio molto eterogeneo dove non sempre è facile per le scuole la collocazione degli studenti; specialmente dopo l’introduzione dell’obbligatorietà a seguito della L. 107/15 si è persino determinato un uso quasi illecito dell’alternanza scuola-lavoro33.
Infine, tra le cose che più ci interessano di questo pacchetto normativo vi è l’introduzione altresì di un nuovo requisito per l’accesso alla docenza, ovvero le laurea specialistica ed il tirocinio obbligatorio, al fine di consentire a tutti i docenti pari dignità professionale e per migliorare la qualità della funzione docente di tutti gli ordini e gradi della scuola34. Altra curiosità da segnalare è che durante questo governo Berlusconi il ministero prende il nome di Ministero dell’Istruzione e Università e Ricerca con l’accorpamento dei precedenti Ministero per la Pubblica Istruzione e Ministero per l’Università, perdendo l’aggettivo «pubblica» che è un chiaro segno della filosofia che sottende queste pratiche politiche.
Sarà poi nel 2006 il nuovo governo di centrosinistra con Fioroni ministro della Pubblica Istruzione che viene reintrodotta la denominazione originaria e che riporterà l’obbligo scolastico a 16 anni di età dello studente, rimettendo ordine anche nell’istruzione tecnica e professionale chiarendo che spetta allo Stato il rilascio dei diplomi mentre alle Regioni fa capo solo la qualifica triennale della formazione professionale, ciò fa sì che l’istruzione tecnica e professionale torni di competenza esclusiva dello Stato, infine vara nuove indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo incentrati sulla continuità e sui «traguardi di competenze»35.
6. Maria Stella Gelmini e i tagli lineari epocali
Maria Stella Gelmini, all’epoca esponente di spicco di Forza Italia, di concerto con l’allora ministro delle Finanze, Giulio Tremonti, è l’artefice del più grande taglio di finanziamenti statali alla scuola italiana. Alla fine di questa massiccia operazione, la finanziaria del 2008 con la quale si varano «disposizioni urgenti in materia di istruzione e università»36, si conteranno tagli per ben nove miliardi e mezzo di euro mai più recuperati. I nodi cruciali di questo ingentissimo risparmio di spesa pubblica, nei fatti una serie di tagli lineari, sono innanzitutto, la reintroduzione dell’insegnante unico prevalente alla scuola primaria e, quindi, l’abolizione dell’insegnamento per moduli, quale attuazione degli obiettivi di razionalizzazione37; sempre in quest’ottica il tempo pieno viene consentito solo se con congruo numero di richieste da parte delle famiglie purché le scuole siano dotate di strutture adeguate e due docenti per classi disponibili, eventualmente coadiuvati da docenti di IRC o di inglese con titoli e/o requisiti richiesti. Il progetto formativo integrato, inoltre non fa nessuna differenza tra attività svolte al mattino e quelle pomeridiane38, come invece era previsto negli anni Settanta.
In aggiunta con i decreti di riordino degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado attua una serie di tagli a discipline curricolari che porterà ad un taglio considerevole di cattedre.
Per quanto riguarda il fenomeno delle cosiddette “classi pollaio” è sempre a questa riforma che bisogna far riferimento, infatti stabilisce che vi siano, per ogni classe, un minimo di 15 alunni fino ad un massimo di 26/27, ma anche 29 alunni che salgono addirittura a 32 alunni per classe se restano studenti da collocare. Tutto ciò senza prevedere un adeguamento delle strutture scolastiche progettate a suo tempo per un numero di alunni di gran lunga inferiore e quindi in barba a qualsiasi norma sulla sicurezza39.
Riguardo al personale docente, le modifiche degli ordinamenti scolastici, ovviamente, impongono nuovi criteri da adottare per le dotazioni organiche, inoltre tutte le cattedre, degli istituti della secondaria di secondo grado, sono riportate a 18 ore e non saranno più consentite ore a disposizione, di solito utilizzate per le sostituzioni di colleghi, infine viene soppressa la salvaguardia della titolarità di cattedra per docenti della secondaria di secondo grado con cattedra con meno di 18 ore, quindi introducendo la categoria dei soprannumerari. La razionalizzazione delle risorse umane non risparmia nemmeno il personale Ata e alla fine di questa operazione il bilancio è di un taglio complessivo del personale del comparto scuola di ben il 17%, con una riduzione finanziaria che dal 2008 al 2012 si aggira al 10,4% in meno.
7. Renzi e la “Buona scuola”
Se possibile questa legge attacca in modo definitivo la scuola pubblica statale. Paradossalmente il colpo di grazia viene assestato, ancora una volta, da un sedicente governo di centro sinistra con i voti di milioni di elettori che avevano dato il loro consenso per un programma elettorale tradito clamorosamente. Nella legge in questione ricorre con insistenza un avvertimento:
All’attuazione del presente comma si provvede nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente e della dotazione organica dell’autonomia e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica40.
«Senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» ripetuto con insistenza come un mantra, così come lo è il richiamo al «lavoro», la legge 107/2015, nota anche come la “Buona scuola” o “Riforma Renzi”, è la nemesi della scuola della Costituzione e, come asserisce nel comma 1, il suo compito principale fa leva sulle «competenze» non meglio specificate, così come non chiarisce come intenda contrastare le disuguaglianze socio-culturali e territoriali senza investimenti, tuttavia riprende termini in uso e di impatto mediatico come «garantire successo formativo e di istruzione permanente dei cittadini» dando «piena attuazione alle autonomie scolastiche». In questi pochi accenni si evince la piena continuità con i precedenti governi in tema di istruzione.
Ed è, inoltre, la celebrazione della scuola neoliberista, tutta la L. 107/15 è pervasa da questa ideologia. È la scuola fondata sul lavoro, al servizio dell’impresa che deve produrre «capitale umano»41 che, secondo la definizione che ne dà l’enciclopedia Treccani, rappresenta la «qualità della prestazione erogata dal detentore, concorrendo ad aumentare la produttività di un’impresa e a qualificarla, influenzandone i risultati» e dunque […] l’insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali possedute in genere dall’individuo»42, così almeno recita la Treccani. È per formare il buon produttore conformista, come sostiene Massimo Baldacci43, un profluvio di «potenziamento delle competenze» di ogni tipo e in ogni ambito, linguistico con il Clil44, matematico-logiche e scientifiche45, pratiche, musicali, nell’arte e nella storia dell’arte, cinema, media; potenziamento delle conoscenze giuridiche ed economico-finanziarie, educazione all’auto-imprenditorialità46. C’è di tutto e di più in questa legge47, la valorizzazione della scuola come comunità aperta al territorio comprese organizzazioni del terzo settore e le imprese48 (anche questa è una dicitura ricorrente, caso mai dovessimo scordarcene dell’apertura all’ingresso dei privati e delle imprese nella scuola pubblica e statale). C’è l’apertura pomeridiana, la riduzione del numero di alunni per classe49, l’incremento delle ore dell’alternanza scuola-lavoro (nel frattempo trasformata in Pcto – Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, a proposito di mistificazione delle parole)50 resa obbligatoria per tutti gli indirizzi di studio e in netto contrasto con anni ed anni di lotte e sacrifici delle precedenti generazioni per affrancare i figli dal bisogno del lavoro e consentire loro di studiare liberamente; c’è la valorizzazione di percorsi formativi e individualizzati51, l’individuazione di percorsi formativi e sistemi funzionali alla premialità e alla valorizzazione del merito52, la definizione di un sistema di orientamento, perfettamente in linea e in continuità con la riforma Moratti e l’idea di selezione scolastica che emerge dalle cosiddette doti naturali – chi è portato allo studio e chi ai lavori manuali – è il determinismo biologico che va, dunque orientato –, come ci ricorda ancora Baldacci53. Il tutto, ovviamente: «senza ulteriori oneri per lo Stato», come da avvertenze generali.
Inoltre, con l’introduzione, al comma 5, dell’organico dell’autonomia che confluisce negli ambiti territoriali54 a cui bisogna aggiungere anche il piano straordinario di assunzione creando posti di potenziamento55, la L. 107/15 produce una sostanziale differenziazione tra docenti, da una parte ci sono quelli assunti in precedenza che, finché non fanno richiesta di trasferimento rimangono titolari su scuola56, e tutti gli altri confluiti nell’ambito territoriale che sono a disposizione delle reti di scuole e quindi dei dirigenti, con tutto ciò che da qui consegue, come ad esempio maggiore ricattabilità e minore libertà di docenza; proprio il rafforzamento dei poteri dei dirigenti scolastici è il terzo aspetto da mettere in rilievo57, sono appunto loro che gestiranno direttamente i docenti sui posti di potenziamento stabilendo quali progetti dovranno svolgere, sono anche autorizzati ad usare questi docenti per le supplenze fino a dieci giorni58. Tra l’altro i dirigenti possono attingere all’organico dell’autonomia per scegliere fino al 10% dei loro collaboratori da inserire nello staff di dirigenza59, creando un’ulteriore disparità tra docenti perché questi ultimi sono inevitabilmente sottoposti alle direttive dei dirigenti. A completamento del rafforzamento dei poteri dirigenziali si segnala, inoltre, anche l’assegnazione del cosiddetto “Bonus di merito” ai docenti in base a criteri stabiliti dal comitato di valutazione di cui sempre il dirigente scolastico è presidente.
8. Riforme minori successive e quella del docente esperto
Tra queste vi è l’ennesima riforma dell’esame di Stato per la secondaria di secondo grado che elimina la terza prova multidisciplinare introducendo variazioni anche per tutte le altre prove, quella delle tre buste per la parte orale da cui i maturandi dovevano scegliere per poter avviare il colloquio fu sicuramente la più controversa, in parte modificata successivamente. Durante l’emergenza pandemica la ministra Azzolina diede il via per la sperimentazione dell’insegnamento trasversale di educazione civica tutt’ora in essere e, infine l’ultimo provvedimento in ordine tempo e di rilievo porta la firma di Patrizio Bianchi, ministro dell’istruzione del governo Draghi.
Questi, poco prima della conclusione anticipata della legislatura, pensa bene di stilare un nuovo regolamento per la formazione permanente e continua e il reclutamento degli insegnanti. I destinatari scelti sono solo 8.000 su 800.000 docenti a tempo indeterminato, quindi appena l’1% del totale, e questo è un primo punto da evidenziare perché potrebbe configurarsi come un provvedimento di discriminazione professionale.
La formazione che alla sua conclusione darebbe il titolo di «docente esperto» ai fortunati rientranti in quell’1% si configura come un percorso di tre cicli triennali con valutazioni intermedie e una finale da svolgere fuori dall’orario di servizio e che seppure superato con valutazione positiva di per sé non offre alcuna garanzia di conseguimento né del titolo né tanto meno della retribuzione una tantum che sarebbe di 5650,00 € lordi annuali, quindi circa 400 € lordi al mese. Ad un impegno supplementare di tempo e denaro da investire in corsi di formazione per la durata di ben nove anni rimane l’incognita che pur superandoli positivamente non è detto che rientrerebbero in quell’1%. A parità di punteggio infatti potrebbero essere sottoposti ad un ulteriore percorso selettivo demandato al comitato di valutazione con l’aggiunta di un ispettore tecnico dell’Usr e/o di un dirigente scolastico esterno all’istituzione scolastica presso cui il docente presta servizio. Se si è ben compreso il meccanismo docenti eletti dal collegio dei docenti dell’istituto, quindi non “esperti” saranno coinvolti nella selezione di un/una collega che dovrebbe ottenere il titolo di “docente esperto” e conseguente beneficio economico, se le cose stessero così sembrerebbe una contraddizione in termini. Nel 2032, dopo ben nove anni questo percorso potrebbe dirsi concluso per il docente definito esperto con il vincolo triennale nell’istituto in cui presta servizio durante l’intero arco della formazione.
Note
1 Dlgs. 3 febbraio 1993, n. 29, Razionalizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego. Ministro della Pubblica Istruzione: R. Russo Jervolino, governo: Amato I.
2 Education and European Competence – ERT Study on Education and Training in Europe; European Round Table; Brussels, 1989. Cit. in N. Hirtt, «L’Europa, la scuola e il profitto», in Educazione & Scuola, https://www.edscuola.it/archivio/ped/europa_scuola_profitto.htm, ultima consultazione: 8 ottobre 2020.
3 Legge 24 dicembre 1993, n. 537, Interventi correttivi di finanza pubblica, art. 4. Ministro Pubblica Istruzione: Rosa Russo Jervolino, governo: Ciampi.
4 Massimo Baldacci, Le trasformazioni della scuola nell’epoca del capitalismo neoliberista nell’ambito degli eventi dei “Colloqui del Tonale 8 – Impugna il libro”, in Officina dei saperi, video-conferenza registrata il 23 ottobre 2018, https://www.youtube.com/watch?v=BBWIo4UhXHo, ultima consultazione: 11 ottobre 2020.
5 Ibidem.
6 Ibidem.
7 Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al governo per il conferimento per le funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, capo IV, art. 21, commi 1 e 3.
8 Baldacci, Le trasformazioni della scuola nell’epoca del capitalismo neoliberista nell’ambito degli eventi dei Colloqui del Tonale 8 – Impugna il libro, cit.
9 Legge 24 dicembre 1993, n. 537, Interventi correttivi di finanza pubblica, art. 4.
10 Legge 10 dicembre 1997, n. 425, Riforma Esame di Stato», con regolamento attuativo: D.P.R. del 23 luglio 1998, n. 323, art. 6. Ministro Pubblica Istruzione: L. Berlinguer, governo: Prodi I.
11 D.P.R 18.06.1998, n. 233, Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, a norma dell’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 2, comma 2.
12 Ivi, art. 1, note al preambolo, trascrizione del testo dell’art. 40 della L. 23.12.1997, n. 449, commi 7 e 8, [NdA] i parametri numerici per l’accorpamento delle scuole sono state ulteriormente inasprite dalla L. 15.07.2011, n. 111, art. 19, comma 15.
13 D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 3.
14 Baldacci, Le trasformazioni della scuola nell’epoca del capitalismo neoliberista nell’ambito degli eventi dei “Colloqui del Tonale 8 – Impugna il libro”, cit.
15 Fabrizio De Angelis, I licei non hanno studenti poveri e disabili?, in La Tecnica della Scuola, 8 febbraio 2018, https://www.tecnicadellascuola.it/licei-non-studenti-poveri-disabili, ultima consultazione: 11 ottobre 2020.
16 Eugenio Bruno, Claudio Tucci, Eduscopio 2019, le migliori scuole città per città. Al Nord vincono i licei paritari, al Sud gli statali, in “Il Sole 24 Ore”, 7 novembre 2019, https://www.ilsole24ore.com/art/al-nord-vincono-licei-paritari-sud-primato-resta-scuole-statali-AC0Oq8w?refresh_ce=1, ultima consultazione: 11 ottobre 2020.
17 Carolo Mamberto, Lorenza Pieri, Ecco le scuole dei ricchi: 40 mila euro l’anno per studiare solo con i potenti, in “L’Espresso”, 16 gennaio 2019, https://espresso.repubblica.it/visioni/2019/01/16/news/scuola-ricchi-40-mila-euro-1.330551, ultima consultazione: 11 ottobre 2020.
18 Dlgs. 6 marzo 1998, n. 59, Disciplina della qualifica dirigenziale dei capi di istituto delle istituzioni scolastiche autonome, a norma dell’art. 21, c. 16, della legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 25.
19 Costituzione della Repubblica Italiana, artt. 33 e 34; op. cit., Decreti Delegati degli anni Settanta; Dlgs. 16 aprile 1994, n. 297, Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione.
20 CCNL, art. 26.
21 D.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, cit.
22 L. 13 luglio 2015 n. 107, art. 1, comm. 180 e 181. Ministro dell’Istruzione dell’Università e Ricerca: S. Giannini, governo: Renzi.
23 ERT, Rapporto del 1989, cit.
24 Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
25 Smantellamento della scuola pubblica. Una cronistoria per capire quando è cominciato, in “Contropiano”, 29 aprile 2015, http://contropiano.org/documenti/2015/04/29/smantellamento-della-scuola-pubblica-una-cronistoria-per-capire-quando-e-cominciato-030480 [ultima consultazione: 13 ottobre 2020.
26 Smantellamento della scuola pubblica. Una cronistoria per capire quando è cominciato, cit.
27 Dlgs. 19 febbraio 2004, n. 59, Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53.
28 Baldacci, Le trasformazioni della scuola nell’epoca del capitalismo neoliberista nell’ambito degli eventi dei “Colloqui del Tonale 8 – Impugna il libro”, cit.
29 Dlgs. 19 novembre 2004, n. 286, Istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, nonché riordino dell’omonimo istituto, a norma degli articoli 1 e 3 della legge 28 marzo 2003, n. 53, [NdA] Tra l’altro l’Invalsi era stato già introdotto con il Dlgs. 20 luglio 1999, n. 258. Riordino del Centro europeo dell’educazione, della biblioteca di documentazione pedagogica e trasformazione in Fondazione del museo nazionale della scienza e della tecnica «Leonardo da Vinci», a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1999, n. 59, Governo D’Alema I, ministro della Pubblica Istruzione: L. Berlinguer, che trasformò l’originario, Cede (Centro Europeo dell’Educazione) istituito nei primi anni Settanta.
30 Dlgs. 15 aprile 2005, n. 76, Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, a norma dell’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 28 marzo 2003, n. 53.
31 Dlgs. 15 aprile 2005, n. 77, Definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro, a norma dell’articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53.
32 Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3.
33 Roberto Ceccarelli, Uno studente su tre paga per fare alternanza scuola-lavoro, in “Il Manifesto”, 29 maggio 2017, https://ilmanifesto.it/uno-studente-su-tre-paga-per-fare-alternanza-scuola-lavoro/, ultima consultazione: 12 ottobre 2020.
34 Dlgs. 17 ottobre 2005, n. 227, Definizione delle norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell’accesso all’insegnamento, a norma dell’articolo 5 della legge 28 marzo 2003, n. 53.
35 Legge 2 aprile 2007, n. 40, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese, art. 13.
36 Legge 6 agosto 2008, n. 133, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, art. 64.
37 Legge 30 ottobre 2008, n. 169, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università, art. 4.
38 D.P.R. 20 marzo 2009, n. 81, Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 4, comma 3.
39 D.P.R. 20 marzo 2009, n. 81, art. 5, commi 1, 2 e 3.
40 Legge 13 luglio 2015, n. 107, Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti.
41 Ivi, art. 1, comma 1 lettera a).
42 Dizionario Treccani di Economia e finanza, 2012, s.v. «capitale umano», http://www.treccani.it/enciclopedia/capitale-umano_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/, ultima consultazione: 12 ottobre 2020.
43 Baldacci, Le trasformazioni della scuola nell’epoca del capitalismo neoliberista nell’ambito degli eventi dei “Colloqui del Tonale 8 – Impugna il libro”, cit.
44 Legge 13 luglio 2015, n. 107, art. 1, comma 7 lettera a).
45 Ivi, lettera b).
46 Ivi, lettere c) e d).
47 Ivi, comma 60, «Per favorire lo sviluppo della didattica laboratoriale, le istituzioni scolastiche, anche attraverso i poli tecnico-professionali, possono dotarsi di laboratori territoriali per l’occupabilità attraverso la partecipazione, anche in qualità di soggetti co-finanziatori, di enti pubblici e locali, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, università, associazioni, fondazioni, enti di formazione professionale, istituti tecnici superiori e imprese private, per il raggiungimento dei seguenti obiettivi:
a) orientamento della didattica e della formazione ai settori strategici del made in Italy, in base alla vocazione produttiva, culturale e sociale di ciascun territorio;
b) fruibilità di servizi propedeutici al collocamento al lavoro o alla riqualificazione di giovani non occupati;
c) apertura della scuola al territorio e possibilità di utilizzo degli spazi anche al di fuori dell’orario scolastico».
48 Ivi, comma 7, lettera m).
49 Ivi, lettera n).
50 Ivi, commi 33-44.
51 Ivi, comma 7, lettera p).
52 Ivi, lettere p) e q), comma 29.
53 Baldacci, Le trasformazioni della scuola nell’epoca del capitalismo neoliberista nell’ambito degli eventi dei Colloqui del Tonale 8 – Impugna il libro, cit.
54 Legge 13 luglio 2015, n. 107, cit.
55 Ivi, comma 95.
56 Le Riforme Moratti e Gelmini abrogano la titolarità di cattedra.
57 Legge 13 luglio 2015, n. 107, commi 78-83.
58 Ivi, comma 85.
59 Ivi, comma 83.