Immagine di apertura: manifesto per lo sciopero dei bevitori (Archivio di Stato di Pesaro, Tribunale penale, Atti penali 1873).
1. L’ebbrezza della rivoluzione
Negli anni 1873-1874 l’Italia viene colpita da una grave crisi economica: forte rincaro dei prezzi e svalutazione monetaria sono i mezzi attraverso i quali le classi dominanti, negli ultimi anni di governo della Destra Storica (governi Lanza e Minghetti), fanno pagare alle masse popolari il risanamento delle finanze statali. Nella miseria generalizzata di gran parte della popolazione, l’aumento del prezzo dei viveri e dei beni di prima necessità è la scintilla che dà luogo a una serie di agitazioni, scioperi e disordini popolari in moltissime città. I moti spontanei che attraversano il Paese incrociano sulla propria strada i primi concreti tentativi di organizzazione della rivoluzione sociale da parte dell’Associazione internazionale dei lavoratori. Il congresso costitutivo delle sezioni italiane si era tenuto l’estate precedente a Rimini al grido di «Viva la rivoluzione sociale!» e aveva rappresentato l’atto fondativo del movimento anarchico organizzato in Italia. Sono gli anni in cui Bakunin, Cafiero, Costa, un giovanissimo Malatesta e tutti gli affiliati all’Internazionale tessono fitte trame insurrezionali, iniziano a mettere insieme armi, denari e consensi convinti che sia giunta l’ora di abbandonare «la propaganda pacifica delle idee rivoluzionarie», per dar corso alla «propaganda clamorosa, solenne della insurrezione e delle barricate»1. In realtà le sollevazioni popolari sono dettate più dall’esasperazione che da un piano preordinato. Le autorità ritenevano che i movimenti locali fossero provocati dalle macchinazioni dell’Internazionale, in realtà, come scrive lo storico Max Nettlau, «disgraziatamente non era così, perché non si seppe allora approfittare di tutte le opportunità che si offrivano»2.
Fano è tra le prime località marchigiane (e italiane) in cui si sviluppa, nel febbraio 1872, un nucleo organizzato del movimento operaio. Nel febbraio successivo la sezione viene sciolta in seguito all’arresto del suo principale promotore, Pompeo Masini, ma nuove leve guidate da Nazzareno Broccoli non tardano a farla risorgere. I tumulti scoppiati in città a giugno-luglio 1873 e poi di nuovo ad agosto 1874 sono una prima, buona occasione, per coniugare propaganda e azione. Le proteste scoppiate a Fano hanno però una curiosa particolarità: il loro protagonista è infatti il vino. Stanchi di pagare sempre di più per bere intrugli di qualità scadente, i bevitori si organizzano e abbassano collettivamente i gomiti. È lo «sciopero dei bevitori», un’astensione dal consumo nelle osterie per ottenere, con la lotta, vino dignitoso a prezzi onesti. La rivendicazione è serissima. Il vino non è solo un consumo voluttuario, ma nei fiaschi dei poveri diventa anche alimento apportatore di calorie e zuccheri, medicinale corroborante, tonico che infonde energie per poter sopportare le fatiche imposte dal lavoro. Le statistiche informano che dal 1884 al 1898 il consumo medio di vino in Italia è di circa 91 litri annui per abitante (il primato spetta a Roma con ben 220 litri), per arrivare a 127 litri nel 1901. L’Italia, almeno su questo aspetto, è tra i primi posti in Europa, dopo Spagna, Francia e Portogallo, ma è ultima in classifica per quanto riguarda consumo di birra e liquori. A fine Ottocento la birra è infatti su scala nazionale quasi sconosciuta, ferma a 0,56 litri (neanche un paio di medie) pro capite all’anno3.
2. Lo sciopero dei bevitori del 1873
Sui muri del corso centrale di Fano, nella seconda metà di giugno 1873, cominciano ad apparire numerosi cartelli manoscritti che invitano con frasi e slogan assai fantasiosi allo «sciopero dei bevitori»4. Il vino, dicono tutti, costa troppo. Il prezzo medio in Italia nel periodo 1871-1880 è di 65 centesimi al litro, ma la cifra non è molto indicativa in quanto il prezzo aveva ampie oscillazioni in base alla zona e alla qualità. Nella provincia marchigiana si era soliti pagarlo in osteria intorno ai 30 centesimi al litro fino a che, seguendo l’impennata generale del caro-viveri, era arrivato anche a 50-60 centesimi. Prezzo esagerato, reso ancora più intollerabile dalla disdicevole qualità. I bevitori reclamano i prezzi a cui erano abituati, ovvero non più di 12 o 16 soldi il doppio litro (il soldo indica comunemente la moneta da cinque centesimi) e che il vino «sia buono» – scrivono sui loro cartelli – non forte e «corinato» come quello rifilato dagli osti: «siamo stufi tutti brutti birbanti la volete capire si o no». «Lo vogliamo a 12 e sia buono. E guai a chi lo va a bere se è cattivo».
Che gli osti fossero dei bottegai birbanti non è un’accusa infondata, tanto che loro stessi lo riconoscono candidamente, come il rivenditore interrogato al processo in qualità di testimone che ammette di aver cercato di approfittare dell’occasione in cui «correvano per la città delle voci per uno sciopero dei bevitori» tirando fuori dalla sua cantina – «per liberarmene» – il vinaccio «di pessima qualità» da vendere a prezzo ribassato a 40 centesimi. Un altro oste, per non essere da meno, mette a 35 centesimi del vinaccio talmente tristo da diventare nero e imbevibile «un quarto d’ora dopo che era spillato». Carabinieri e guardie hanno un bel da fare per staccare i manifesti affissi nottetempo, accompagnati dai fischi e dalle invettive – lamenta il procuratore del re – «da parte di molti del basso popolo». Un giorno hanno perfino la sorpresa di trovarne uno dedicato a loro, in più copie, con un anonimo e caldo invito a lasciare la città:
Altolà Sig. maresciallo e il Sig. Biagio Giando, ambe due che siete contro il pane e il vino.
Noi poveri vi damo tempo giorni tre di partire da Fano vivo,
dopo sarai ricompensato da noi, pensa bene queste parole.
Cartelli di protesta e minaccia appaiono anche a Pesaro:
Pesaro 17 giugno 1873
Signori
Ancora non volete calare questo vino, non basta che siete inricchiti col sangue dei poveri citadini, volete inricchirvi col vino.
Brutti vigliacchi che siete, ma verà un giorno ancora per voi.
Canaglia vile
Poi in fine siete tutti
Pusilanimi.
E, ancora, la promessa di «bastonate a chi si sorprende al osteria a bere». Un altro manifestino anonimo propone di allargare la lotta su altri fronti, a partire dalle filandaie, per le quali si chiede una giornata lavorativa non superiore alle dodici ore, in modo che si possano svegliare alle cinque del mattino invece che alle tre di notte: «signori filatori, volete filare? Volete le donne? Pagateli il suo avere e il suo diritto». Non mancano, infine, le lettere anonime indirizzate direttamente agli osti profittatori Ricci e Spinacci, «bagarini da vino» che piuttosto di venderlo a 16 soldi minacciavano di svuotare le botti nelle fognature: «e ora di dirla vigliacco: non ai faccia di venderlo al pubblico, che lo vendi di nascosto […]. Chiudi l’osteria e sigilla le botti», altrimenti «beveremo del tuo sangue invece del vino». Ma lo sciopero, come ogni sciopero, ha purtroppo i suoi crumiri. A uno di questi che «ad onta del divieto» tentava di uscire furtivamente da una rivendita, una bastonata ben assestata infrange il fiasco che teneva sottobraccio5.
L’agitazione da Fano e Pesaro si diffonde in giro per la provincia. Altri cartelli anonimi contenenti minacce contro chi acquista vino a caro prezzo vengono sequestrati dai carabinieri di Fossombrone:
Cittadini! […]
Dunque finché non è ora adoperare il pugnale adoperiamo questo contegno; più nessuno vada a bere il vino al osteria, ma l’acqua alla fontana, finché non l’avranno messo a un prezzo limitato, e chi mancherà potrà incontrare inciampi.
E ancora: «Compagni cittadini non beviamo più il vino sino a che gli usurai non lo mettono a 10»6. Altre notizie di proteste giungono da Cagli, Orciano, Fratterosa, Mondolfo7. Non sappiamo quanto lo sciopero dei bevitori sia stato compatto e duraturo, fatto sta che, come scrivono i locali giornali d’ordine, «se cessò la vergogna dei cartelli anonimi e l’astinenza dal vino, sopraggiunsero manifestazioni più indecorose»8. Il riferimento è ai disordini per il caro viveri scoppiati a Fano il 1° luglio 1873 quando, alla notizia dell’imminente esportazione di 150 some di grano vendute dal possidente locale Remigio Tombari a compratori di Pesaro, una piccola folla si era riversata in strada attraversando la città al grido «vogliamo il pane e la polenta!» bloccando i carri carichi di grano presso Porta Maggiore e costringendo i carrettieri a rientrare in magazzino.
Il trasporto viene tentato pochi giorni dopo, l’8 luglio. A fronteggiare la folla, ancora più determinata della settimana precedente, sono presenti oltre un centinaio di unità tra carabinieri, guardie e truppa di fanteria della caserma di Fano, con reparti a cavallo e rinforzi richiamati persino da Urbino e Senigallia. Il capitano dei carabinieri sguaina la spada per disperdere i dimostranti ma, circondato, ha la peggio tanto che cade da cavallo ed è costretto a rifugiarsi in caserma9. Nel frattempo il delegato di polizia si presenta al magazzino per avviare il trasporto dei cereali, ma anche i facchini solidarizzano con i dimostranti e incrociano le braccia. C’è bisogno dell’esercito che con mezzi militari e altre vetture requisite a forza riesce con non poche difficoltà a condurre il grano verso la stazione ferroviaria, accompagnato dalle ingiurie della folla e da una fitta sassaiola che ferisce alcuni soldati.
I manifestanti si spostano quindi sotto le sotto le finestre del sindaco Gabriel Angelo Gabrielli, in via Montevecchio, ma a nulla valgono i suoi tentativi di mediazione. Nei giorni seguenti scattano arresti e denunce che però si risolvono in un «non luogo a procedere» per insufficienza di prove. D’altra parte i funzionari di polizia, nello stilare i loro rapporti, non mostrano dubbi che il socialista anarchico Nazzareno Broccoli sia tra i principali sobillatori, insieme ad altri «soggetti pericolosi contro le persone e appartenenti a questa sezione dell’Internazionale». Una simile lettura dei legami tra l’organizzazione sovversiva e i moti popolari la offrono i giornali: «tutti gli onesti di qualsiasi classe cittadina riconosceranno che le dolorose agitazioni avvenute erano mosse da segrete intelligenze diffuse nelle Marche per opera di individui anonimi che pescano nel torbido»10. Vista l’aria che tira, gli esponenti repubblicani si affrettano a prendere le distanze dagli autori dei cartelli anonimi e dagli organizzatori delle manifestazioni, con un pubblico manifesto di dissociazione11.
3. La seconda ondata
Tensioni sociali, protesta contro il caro-viveri e annesso sciopero dei bevitori hanno una replica una decina di anni dopo i fatti del 1873. Iniziano i bevitori di Pesaro nell’estate 1884, con qualche scaramuccia tra gli scioperanti pronti a inalberare una frasca nella fontana della piazza in segno di sciopero e le guardie decise a impedire il gesto, poi, tra ottobre e novembre 1885, sono ancora una volta i fanesi ad astenersi dal vino12. La proclamazione dello sciopero avviene durante un comizio di lavoratori, con l’approvazione per acclamazione dell’ordine del giorno presentato da un anarchico:
Il popolo di Fano convocato a Comizio generale 19 ottobre
considerando
che il vino venduto nelle osterie e nelle cantine è assolutamente artefatto; che il berlo è contro l’igiene in ispecial modo per gli operai, costretti a lavorare tutto il giorno per guadagnarsi un tozzo di pane; che è cosa ingiusta e sleale addirittura pretendere quel prezzo esorbitante (centesimi 40) per un tale pestifero miscuglio; che tutto ciò in fine avviene per opera dei così detti bagarini, farabutti e trafficanti grossi e piccoli, tutta gente ingorda che non desisterà dall’immorale monopolio, se non combattuta dal lato economico,
delibera
di astenersi assolutamente dal bere vino, fino a che i prezzi non siano più ragionevoli e la qualità migliori.
Il giornale libertario “In Marcia!…” segue lo sviluppo dell’agitazione e il 23-24 ottobre pubblica un supplemento di due pagine interamente dedicato a supportare la lotta:
il bicchiere di vino è necessario quanto il tozzo di pane per chi da mattina a sera si slomba sotto fatiche immani; per chi non à né gli estratti, né i brodi nutrienti da sopperire alla perdita diuturna delle forze muscolari e intellettuali; per chi infine è dannato a trovare nel moderato uso del bere il solo conforto di mitigare le sue afflizioni e la miseria… Non è dunque in virtù di pretesi ed immaginari sobillatori che noi ci disponiamo alla resistenza malgrado tutte le privazioni che essa ci impone; sibbene perché alla fine oltre al diritto di non morire di fame abbiamo anche quello di soddisfare tutti i bisogni della vita umana13.
Secondo i compagni internazionalisti mantovani, che si erano associati alla protesta fanese con un telegramma di solidarietà e avevano auspicato che altre città ne seguissero l’esempio, la lotta ha buone prospettive di successo quanto la fama dei vini marchigiani non è delle migliori: «siccome a Fano, così come in altri luoghi delle Marche, ci sono molte partite di vino non esportabili per la qualità, così gli osti dovranno finire col cedere»14.
Ma restare sobri e coerenti alle intenzioni non è impresa facile per tutti, nonostante la posta in palio sia riuscire a bere bene risparmiando, come traspare da un altro articolo di “In Marcia!…”: «ci spiace però di dover notare come fra tanta unanimità di intenti, alcuni di coloro che dapprima parevano più caldi si siano tralasciati trasportare dalla voglia di un bicchiere di vino! Che diamine!»15. La protesta si estende anche a Fossombrone ma non riesce a coinvolgere i lavoratori della città di Pesaro e dopo circa un mese si avvia alla conclusione senza aver ottenuto risultati significativi, a parte alcuni controlli messi in opera dal Municipio per determinare il grado alcolico dei vini in vendita16.
Ma non finisce qui. La sfida agli osti accaparratori e disonesti viene rilanciata ancora una volta nel 1887 – immaginiamo tra mugugni e scrollate di testa di qualcuno tra i meno decisi – con le rivendite invitate a chiudere e altri manifestini anonimi affissi sui muri di Fano:
Compagni operai!
Il vino unico nostro sollievo dopo le tante aspre fatiche da noi sopportate è salito ad un prezzo altissimo e minaccia di salire ancora se noi operai non vi porremo riparo.
Sì noi operai dobbiamo porci riparo unendoci tutti e facendo lo sciopero. Lo sciopero sarà l’unica nostra protesta contro l’attuale dispotismo dei nostri signori ed aguzzini.
Amici facciamo lo sciopero tutti uniti e compatti e coll’unione sapremo far la rivoluzione a suo tempo. Compagni, chi vi chiama allo sciopero non vuole che il vostro, il nostro bene, vuole che sappiamo dimostrare ai nostri vampiri di saper combattere contro la loro malvagia [sic].
Amici ascoltateci e tutti uniti e compatti facciamo lo sciopero.
I vostri amici17.
Note
1 Primo appello del Comitato italiano per la rivoluzione sociale, redatto da Andrea Costa, gennaio 1874, cit. in Pier Carlo Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, Milano, Rizzoli, 1969, p. 85.
2 Max Nettlau, Errico Malatesta, Pescara, Samizdat, 1996, p. 115 (ristampa dell’ed.: New York, Il martello, 1922).
3 I dati sono tratti da Effren Magrini, L’alcoolismo in Italia: studio statistico, Roma, Coop. Poligrafica, 1904; dati simili in Renato Monteleone, Socialisti o “ciucialiter”? Il PSI e il destino delle osterie tra socialità e alcoolismo, in Proletari in osteria, in “Movimento operaio e socialista”, 1985, a. 8, n. 1, p. 6.
4 Cfr. Cose locali, in “L’Annunziatore”, 29 giugno 1873 e numeri seguenti. Su tutta la vicenda dello “sciopero dei bevitori” si veda Federico Sora, Schede biografiche di internazionalisti fanesi: Espartero Luigi Bellabarba e Nazzareno Broccoli, in “Nuovi studi fanesi”, 2012, n. 26, pp. 77-123.
5 Archivio di Stato di Pesaro (Asp), Tribunale penale, Atti penali 1873, b. 475, proc. n. 335 contro Francesco Trebbi et al.
6 Asp, Sezione di Urbino, Tribunale penale, Atti penali 1873, b. 329, proc. n. 361 contro ignoti.
7 Su Mondolfo: Asp, Tribunale penale, Atti penali 1874, b. 464, proc. n. 349; su Fratterosa: ivi, b. 442, proc. n. 15 e 363; su Orciano: ivi, b. 443, proc. n. 688 e b. 446, proc. n. 361.
8 Cose locali, in “L’Annunziatore”, 6 luglio 1873.
9 Cfr. Corrispondenze della provincia, in “Il Popolano”, 13 luglio 1873. Per la cronaca della manifestazione riportata sul giornale, il gerente responsabile viene denunciato per diffamazione a mezzo stampa del corpo dei Regi carabinieri, cfr. ASP, Tribunale penale, Atti penali 1873, b. 433, proc. n. 393 contro Apollinaire Serafini.
10 Cose locali, in “L’Annunziatore”, 13 luglio 1873.
11 Il manifesto dei repubblicani si trova in Asp, Tribunale penale, Atti penali 1873, b. 434, proc. n. 353.
12 Cfr.: Lo sciopero dei bevitori, in “L’Adriatico”, 16 luglio 1884; Da capo lo sciopero dei bevitori, ivi, 30 luglio 1884; Serpentello, Da Fano, in “Corriere metaurense”, 1 novembre 1885; Sciopero, in “L’Annunziatore”, 25 ottobre 1885.
13 “In Marcia!…”, suppl. al n. 6, 23-24 ottobre 1885.
14 Cfr.: Spigolature: una città astemia, in “La Federazione operaia”, Mantova, 25 ottobre 1885 e Il popolo fanese, ivi, 29 ottobre 1885. Si veda anche Lo sciopero dei bevitori di vino, in “Il Messaggero”, 25 ottobre 1885.
15 “In Marcia!…”, 1 novembre 1885.
16 Si vedano le notizie nella rubrica Per Fano di “In Marcia!…”, 4 ottobre 1885; 25 ottobre 1885; 8 novembre 1885; 15 novembre 1885; 29 novembre 1885.
17 Asp, Tribunale penale, Atti penali 1887, b. 239, proc. n. 558 contro Pietro Mori et al. Si ringrazia Federico Sora dell’Archivio-Biblioteca Enrico Travaglini di Fano per la documentazione d’archivio gentilmente messa a disposizione.