L’odio online: un fenomeno dai molteplici volti. Alcuni possibili antidoti

Online hatred: a phenomenon with many faces. Some possible antidotes

In apertura: immagine tratta da “osservatorio agor@”, https://www.osservatorioagora.ch/odio-online/cose-lodio-online/, un progetto che si propone di combattere l’istigazione all’odio online, diffondendo la cultura del rispetto e la protezione dei diritti umani nel mondo virtuale.

1. Introduzione

L’odio è un sentimento antichissimo1, tra le sue caratteristiche ha quelle per cui, mentre crea fratture sempre più profonde, coltiva al contempo una sensazione di (falsa) unione tra persone che si alleano. Questo secondo aspetto è stato descritto, anche in tempi recenti, mediante quelle che vengono definite “comunità di risentimento”2 o “comunità del rancore”3: nel mondo della rete – l’ambiente su cui queste pagine si soffermano – siffatto processo assume le forme del cyber-mob4, sia contro gruppi sociali portatori di una qualche diversità (assumendo in questo caso la veste di odio “tradizionale”), sia contro singoli non graditi per alcune loro specificità individuali (in tal caso, si tratta di odio “interpersonale”). Ad essere più colpiti, dalle forme di odio online5 sono, infatti, i gruppi e le persone più vulnerabili – le donne, la comunità LGBTQIA+, le persone migranti, o quelle con disabilità – vittime di un odio spesso subdolo e talvolta istituzionalizzato. Il linguaggio ostile all’interno dello spazio online è solo una nuova modalità di divulgazione d’odio; la progressiva digitalizzazione, infatti, non ha rivoluzionato la manifestazione di comportamenti odiosi, ma ha attribuito agli stessi più robuste capacità di impatto. Questo principalmente per quattro ordini di ragioni, connesse alle caratteristiche intrinseche del web: in primo luogo, la permanenza dei testi e delle immagini in rete; in secondo luogo, il ritorno imprevedibile dei contenuti, anche se precedentemente rimossi; in terzo luogo, il percepito (anche se non effettivamente reale) anonimato e la distanza fisica, che permettono di sentirsi più legittimati a veicolare messaggi d’odio, senza riflettere sulle possibili conseguenze; infine, la transnazionalità della comunicazione, che rende i messaggi accessibili a tutti e tutte in tempo reale6. A queste caratteristiche si può poi aggiungere: un’amplificazione spropositata del messaggio, che produce imminente gratificazione; l’istantaneità, che ostacola la ponderazione dei giudizi e favorisce le reazioni incontrollate; la minimizzazione dell’autorità7. Alla luce di tali premesse, si può affermare che la vita onlife8 non abbia creato una nuova forma d’odio, bensì abbia esacerbato quelle già esistenti, grazie alla diffusione e alla radicalizzazione delle stesse attraverso lo strumento della rete.

Da qui, l’esigenza di un ambiente digitale sicuro, che non sia veicolo di discorsi d’odio, ma che auspicabilmente, al contrario, permetta di divulgare consapevolezza e buone pratiche al fine di contrastarli.

2. Il peso delle parole (e non solo)

La necessità di una dimensione digitale accogliente e libera da manifestazioni d’odio è una sfida tanto sociale, quanto giuridica e politica. Su tale questione, gli operatori giuridici sono da anni alla ricerca per trovare un punto di equilibrio tra le libertà fondamentali – quali la libertà di espressione9 – da un lato e i diritti umani – quali la dignità della persona10 – dall’altro. La questione è molto controversa, poiché una polarizzazione verso la protezione delle libertà fondamentali potrebbe con ogni facilità tradursi in una diffusione incontrollata dei discorsi odiosi, mentre dall’altra parte, con la difesa dei diritti della persona, mediante strumenti troppo repressivi, il rischio è quello di un iper-controllo e iper-regolamentazione che potrebbero sfociare in forme arbitrarie di censura, il cosiddetto “collateral censorship11. A livello sociale e non solo squisitamente giuridico, un ruolo fondamentale è giocato dalle parole, dette e non dette, e dal linguaggio nel suo complesso, comprensivo di immagini. Lo strumento linguistico, infatti, molto spesso sottovalutato nella sua dimensione costitutiva, «è forse il più potente nel modificare la realtà»12.

La narrazione è un bisogno cognitivo e sociale dell’essere umano, che permette di creare legami, ricordando a tutti e tutte di essere parte di una comunità e di una tradizione che meritano di essere ricordate e tramandate, costituendo in tal modo un forte simbolo identitario: noi siamo le nostre storie e le nostre storie siamo noi. Anche i discorsi d’odio o hate speech13 rientrano nella categoria delle narrazioni e riguardano tutti gli ambiti, da quelli professionali, a quelli più intimamente relazionali, attraverso gli/le parlanti, tutti e tutte vittime, nell’ambito delle comunicazioni quotidiane, di discorsi d’odio, anche non volontari, dal momento che «possono […] anche essere stereotipi, strutture sociali, discriminanti, gerarchie e relazioni di potere fissatesi a tal punto da apparire naturali»14. Su quest’ultimo aspetto, un dato interessante è quello riportato da Vox – l’Osservatorio italiano sui Diritti che dal 2013 elabora una mappa dell’intolleranza – secondo cui, sono proprio le donne le prime destinatarie dei linguaggi d’odio15. Come accennato, non solo le parole, ma anche le immagini sono in grado di veicolare messaggi di odio, in particolare sotto due aspetti: in uno, l’immagine è l’oggetto della discriminazione, mentre nell’altro, essa costituisce il mezzo utilizzato al fine di discriminare.

Il primo profilo riguarda l’oggettivazione dei corpi (un caso paradigmatico è quello delle donne, ma potremmo certamente indicarne altri), con conseguente derisione e offesa di quelli che non rientrano nei canoni “estetici” imposti dalla società di riferimento; il secondo aspetto, invece è relativo all’utilizzo dei cosiddetti meme – la forma principale con cui vengono prodotti e diffusi, ad esempio, contenuti antifemministi16 – che nel contesto del web costituiscono immagini accompagnate da brevi parole o descrizioni, spesso ironiche, dalla grande efficacia comunicativa e dal comprovato potere discorsivo.

Nell’ambito di una riflessione sul linguaggio nel senso più ampio del termine, non si può escludere l’elemento dell’ironia, che talvolta costituisce addirittura il mezzo “cortese” per esprimere odio17.

Al contempo, tuttavia, l’ironia può essere utilizzata come un potente strumento al fine di decostruire i linguaggi d’odio, anche nelle sue forme “indirette” o “sommerse”, ossia quelle più utilizzate anche dalle istituzioni, gli stessi organi formalmente deputati a proteggere i gruppi e le persone più vulnerabili, bersaglio dei discorsi d’odio, i quali, a causa di siffatte dinamiche, finiscono per ritrovarsi nell’impossibilità di denunciare tale tipo di narrazione, poiché, come è evidente, sarebbe un paradosso affidarsi alle stesse entità che li hanno oltraggiati. Per sciogliere quest’ultimo, controverso, aspetto, si possono richiamare le considerazioni di Laura Scudieri:

Le forme indirette non esigono il ricorso ad espressioni apertamente offensive, aggressive, denigratorie, sottraendosi anche alle tassonomie algoritmiche predisposte per stanare le parole odiose. Le forme sommerse, a cui spesso si accompagnano, costituiscono invece la “cifra oscura” dell’odio, la c.d. devianza occulta, che non conosciamo perché le vittime non sono nelle condizioni materiali e/o immateriali di contestare i soprusi, magari perché gli hater sono le stesse persone o istituzioni deputate in qualche misura a proteggerle e/o a controllarle18.

3. Modalità di prevenzione e contrasto all’odio online

Tutto ciò premesso, al fine di contrastare le violenze implicite in tale genere di narrazioni, è necessario scegliere un approccio efficace di decostruzione del linguaggio d’odio, che non è possibile ravvisare solo nello strumento penale. È quindi utile opporre contro-narrazioni – ossia risposte immediate ad uno specifico discorso, volte a legittimarlo sottolineando le sue carenze argomentative – e/o narrazioni alternative. Questa seconda tipologia merita un approfondimento un poco più dettagliato: essa è

una narrazione costruita per introdurre un cambiamento a lungo termine, tramite nuove storie, nuovi racconti che offrono punti di vista altri rispetto alle narrazioni che si intende contrastare. Non si tratta di decostruire una prospettiva, ma di proporne una completamente diversa, e quindi – nel caso dell’hate speech – non oppositiva (noi vs loro), ma inclusiva (noi + loro) e basata su nuove idee. La narrazione alternativa […] cerca di lavorare su bisogni, interpretazioni, significati altri. […] Più che su singoli eventi, lavora su sistemi coerenti, con l’obiettivo di arrivare a un cambio di paradigma19.

L’efficacia di tali narrazioni alternative viene implementata se esse vengono utilizzate non in difesa di qualcuno, bensì plasmate insieme ai soggetti-bersaglio del discorso odioso e trova la sua sede naturale nell’educazione20. Infatti, se è vero che attraverso l’educazione vengono perpetrate credenze strutturate condivise, è anche vero che attraverso tale strumento le stesse si possono decostruire e sostituire con discorsi alternativi, in seno ad una scuola democratica, «chiamata a espletare in ogni suo grado un compito di educazione civica delle nuove generazioni, e in molte scuole anche a trasmettere le basi della cultura giuridica, che spetta il compito di stimolare una capacità di resistenza resiliente verso tali narrative e tali ordini immaginari della realtà sociale»21.

L’educazione civica – finalizzata alla realizzazione dell’opera di educazione alla cittadinanza online – è mai come ora fondamentale, in una società nella quale partecipare pienamente, esercitando una vasta gamma di diritti, implica, necessariamente, avere un accesso consapevole allo spazio pubblico digitale22. Si noti come nel contesto educativo l’accento viene posto su due aspetti: digital literacy, da un lato, e “alfabetizzazione”23 ai diritti (umani, fondamentali, digitali e non digitali) dall’altro: se, infatti, è sicuramente necessaria un’educazione digitale che equipaggi le persone delle cosiddette digital skills, d’altro canto non si può trascurare la dimensione dei diritti, la quale «non può che essere interculturale, non cieca rispetto alle differenze e intersezionale»24.

Muovendo da tali presupposti, è fondamentale individuare percorsi formativi in primo luogo per i docenti, al fine di porre in evidenza cosa e come insegnare, ma soprattutto per focalizzare i fini ultimi dell’insegnamento; a titolo esemplificativo e non certamente esaustivo, nell’affrontare le tematiche dei diritti umani e fondamentali dei cittadini e delle cittadine, l’attenzione non dovrà essere posta solamente su questioni nozionistiche, bensì anche sullo sviluppo della capacità di riconoscere le disuguaglianze, nonché le narrative che ne stanno alla base. Per quanto concerne i metodi educativi da seguire, in questa sede si intende porre in risalto l’educazione non-formale, con la convinzione che essa sia capace di creare uno spazio sicuro, nel quale sia possibile affrontare una discussione dialogica e non meramente frontale. Sul punto, il Consiglio d’Europa ha finanziato la compilazione di “Gender Matters25, un manuale che presenta la capacità dello story-telling di accompagnare gli studenti a riflettere criticamente sui temi presentati, aprendosi a nuovi punti di vista. Il vantaggio dello story-telling – che altro non è che una tipologia di narrazione alternativa – è la capacità della storia narrata di appassionare e coinvolgere empaticamente gli auditori e le auditrici, introducendo un’esperienza collettiva condivisa; inoltre, «i testi condivisi permettono atti performativi altrimenti impossibili, l’esito dei quali è di rinforzare, nel corso dei processi comunicativi, il senso di un «noi», di una comunità comunicativa e interpretante»26.

Oltre che nell’educazione, nel senso più ampio del termine, un “antidoto” al veleno dell’odio viene ravvisato da Barbara Giovanna Bello negli attivismi, il cui tratto caratterizzante più significativo è la capacità di catalizzare rapidamente l’interesse internazionale anche su questioni locali, grazie alle caratteristiche della rete previamente descritte – in particolare la transnazionalità e l’immediatezza della comunicazione – che da una parte creano un semplice e immediato canale per i messaggi odiosi, ma dall’altro possono essere usati a vantaggio degli attivisti, per il raggiungimento di un pubblico significativamente vasto in un tempo relativamente breve27. Il termine viene utilizzato nella sua forma plurale, in quanto vengono messi in luce dalla studiosa tre declinazioni di “attivismo”: in primo luogo, l’attivismo come “affermazione di sé”, ossia quello promosso dagli stessi soggetti bersaglio dei fenomeni d’odio, anche come autolegittimazione a conferire significato alle proprie vite attraverso la propria narrazione; in secondo luogo, l’attivismo della società civile, da parte di persone comuni, associazioni e operatori giuridici, per conto o a sostegno dei soggetti di cui sopra, così da ricordare agli haters che l’odio non è accettabile in una società democratica e per ingiungere ai decisori politici di non fomentare tali discorsi; infine, l’attivismo promosso dalle istituzioni, nazionali, sovranazionali e internazionali, con la consapevolezza, comunque, che anche le migliori legislazioni contro l’odio non sono sufficienti se non sono accompagnate da pratiche di implementazione.

4. Alcune considerazioni conclusive: uno sguardo al futuro

La progressiva digitalizzazione delle vite umane pone gli individui, la società civile e le istituzioni di fronte a nuove problematiche, nuove questioni, ma anche nuove opportunità. È dunque giunto il momento di accompagnare la transizione digitale all’acquisizione di profonde consapevolezze. In questa prospettiva, pertanto, è utile, se non necessario, restituire a cittadini e cittadine competenze e conoscenze che possano permettere di muoversi all’interno di questo “mondo”. In definitiva, la sola criminalizzazione di determinati comportamenti non basta28; è fondamentale porre maggiori attenzioni e risorse, anche attraverso lo strumento di normative europee vincolanti, all’educazione digitale e alfabetizzazione ai diritti – umani, fondamentali, digitali e non digitali – perché l’odio e la violenza devono essere contrastati, ma ancor prima evitati, agendo sulla cultura, sulla conoscenza e sulla consapevolezza dei diritti. Per concludere, mutuando le parole di Barbara G. Bello, «nel cyberspace possono essere aperte finestre che danno libertà o sorgere muri che ci imprigionano. Decidere per le une o per gli altri, espandere i raggi di luce o aumentare l’oscurità, mi pare sia una delle sfide più impegnative che ci coinvolgono»29.

Note

1 Per una ricognizione ad ampio spettro si vedano, a titolo meramente esemplificativo, Laura Fotia (a cura di), Discorso d’odio e politiche dell’odio tra passato e presente, Roma, RomaTrE-Press, 2022; Marc D. Hauser, Evilicious. Alle radici dell’odio e della crudeltà, Milano, Mondadori, 2020; Paolo Ceri, Alessandra Lorini (a cura di), La costruzione del nemico: istigazione all’odio in Occidente, Torino, Rosenberg & Sellier, 2019; Marilisa D’Amico, Marina Brambilla, Valentina Crestani, Nannerel Fiano (a cura di), Il linguaggio dell’odio. Fra memoria e attualità, Milano, Franco Angeli, 2021; Angela Maria Santangelo Cordani, Giovanni Ziccardi (a cura di), Tra odio e (dis)amore. Violenza di genere e violenza sui minori dalla prospettiva storica all’era digitale, Milano, Giuffrè, 2020; Francesca Alesse, Lorenzo Giovannetti, Pamela Barletta (a cura di), Le metamorfosi dell’odio. Percorso interdisciplinare tra storia, filosofia, letteratura, Torino, Rosenberg & Sellier, 2023.
Per alcune indagini in chiave storica, con particolare riguardo ad alcune epoche cruciali: David Constan, Anger, Hatred, and Genocide in Ancient Greece, in “Common Knowledge”, 2007, n. 13, pp. 170-187; Frédéric Chauvaud, Histoire de la haine. Une passion funeste 1830-1930, PUR – Les Presses Universitaires de Rennes, Rennes, 2014; Roberto Finzi, Breve storia della questione antisemita, Milano, Bompiani, 2019; Renato Monteleone, Le radici dell’odio. Nord e Sud a un bivio della storia, Bari, Dedalo, 2002.
Sulle molteplici forme del fenomeno in epoca contemporanea si veda Milena Santerini, La mente ostile. Forme dell’odio contemporaneo, Milano, Raffaello Cortina, 2021.

2 Si veda per una trattazione generale: Stefano Tomelleri, La società del risentimento, Milano, Meltemi, 2004.

3 Uno studio seminale, nel contesto italiano, è quello di Aldo Bonomi, Il rancore. Alle radici del malessere del Nord, Milano, Feltrinelli, 2008.

4 Pietro Meloni, Francesco Zanotelli, Contrastare l’odio. L’uso dell’antropologia nella comunicazione pubblica tra sentimenti, populismo e impegno politico. Un’introduzione, in “Antropologia pubblica”, 2020, n. 6, pp. 21-40: 34.

5 Per un’ampia ricognizione su questo fenomeno si vedano Giovanni Ziccardi, L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete, Milano, Raffaello Cortina, 2016; Marilisa D’Amico, Cecilia Siccardi (a cura di), La Costituzione non odia: conoscere, prevenire e contrastare l’hate speech on line, Torino, Giappichelli, 202; e, da ultimo, Barbara Giovanna Bello, Laura Scudieri (a cura di), L’odio online: forme, prevenzione e contrasto, Torino, Giappichelli, 2022.

6 Cfr., su questo aspetto, UNESCO, Countering Online Hate Speech, Paris, Unesco Publishing, 2015.

7John Suler, The online disinhibition effect, in “Cyberpsychology and Behavior”, 2004, n. 7, pp. 321-326.

8 Il termine è stato coniato, come è noto, da Luciano Floridi: The Onlife Manifesto: Being Human in a Hyperconnected Era, New York, Springer international, 2015.

9 Su questo aspetto si vedano i moniti contenuti in Anna Pintore, Tra parole d’odio e odio per le parole. Metamorfosi della censura, Modena, Mucchi, 2021.

10 Su questo profilo si sofferma, entro un’ampia e dettagliata ricognizione, Alessandro Di Rosa, Hate speech e discriminazione. Un’analisi performativa tra diritti umani e teorie della libertà, Modena, Mucchi, 2020.

11 Cfr. Federica Paolucci, Il digital service act: verso una nuova governance di internet?, in “Iusinitinere”, 2022 https://www.iusinitinere.it/il-digital-services-act-verso-una-nuova-governance-di-internet-34071, ove si rinvia a Felix T. Wu, Collateral Censorship and the Limits of Intermediary Immunity, in “Notre Dame Law Review”, 2011, n. 87, pp. 292-350; 293.

12 Stefania Cavagnoli, Le parole fanno male. E anche le immagini, in Bello, Scudieri (a cura di), L’odio online, cit., pp. 19-35: 19.

13 Cfr. Claudia Bianchi, Hate speech: il lato oscuro del linguaggio, Bari-Roma, Laterza, 2021.

14 Federico Falloppa, #Odio: manuale di resistenza alla violenza delle parole, Milano, UTET, 2020, p. 196.

15 Vox, Osservatorio italiano sui diritti, http://www.voxdiritti.it/discorsi-dodio-e-diritti-della-persona/, ultima consultazione: 13 ottobre 2023.

16 Sul punto, cfr. Matteo Botto, Il ruolo dei meme nella radicalizzazione misogina della manosphere, in Bello, Scudieri (a cura di), L’odio online, cit., pp. 57-73.

17 Per una più ampia ricognizione sul tema, si veda Tommaso Russo Cadorna, Le peripezie dell’ironia. Sull’arte del rovesciamento discorsivo, Milano, Meltemi, 2017, p. 21.

18Laura Scudieri, Ironia, devianza e controllo sociale, in Bello, Scudieri (a cura di), L’odio online, cit., pp. 37-55: 38.

19 Falloppa, #Odio: manuale di resistenza alla violenza delle parole, cit., p. 201; per un ulteriore approfondimento si veda Carolin Emcke, Contro l’odio, Milano, La nave di Teseo, 2017.

20 Su questo aspetto si è concentrata anche l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza nella sua Relazione al Parlamento 2022, 2023, punto 4.2.

21 Annalisa Verza, Narrative, odio di genere e Didattica del diritto, in Bello, Scudieri (a cura di), L’odio online, cit., 137-151: 141.

22 Sul punto si veda Barbara Giovanna Bello, (In)giustizie digitali. Un itinerario su tecnologie e diritti, Pisa, Pacini Giuridica, 2023, p. 87.

23 Ivi, p. 115.

24 Ivi, p. 104.

25Gender Matters, https://www.coe.int/en/web/gender-matters, ultima consultazione: 13 ottobre 2023.

26 Gianfrancesco Zanetti, Eguaglianza come prassi. Teoria dell’argomentazione normativa, Bologna, Il Mulino, 2015, p. 145.

27 Per un inquadramento: Barbara Giovanna Bello, Discorso d’odio e attivismi digitali: il veleno e i suoi antidoti, in Bello, Scudieri (a cura di), L’odio online, cit., pp. 153-175. Per le possibili implicazioni sul piano applicativo si rinvia alle Linee guida di prevenzione e contrasto all’odio online, connesse al Report del Progetto Violenza e Social Network: analisi e percorsi di educazione alla legalità, CRID, ed. 2022-2023: https://www.crid.unimore.it/site/home/attivita/laboratori-e-gruppi-di-lavoro/officina-informatica-su-147diritto-etica-tecnologie148-det.html, ultima consultazione: 13 ottobre 2023.

28 A sostegno di questa tesi, uno studio di mappatura della normativa penale in contrasto alla violenza di genere in 31 Stati europei, condotto nel 2021 per lo European network of legal experts in gender equality and non-discrimination, ha evidenziato come la sola criminalizzazione non è efficace per contrastare il fenomeno.

29 Bello, (In)giustizie digitali, cit., p. 115.