In apertura: i Led Zeppelin ritratti in una via di Milano sulla copertina di “Ciao 2001”, n. 28, 14 luglio 1971.
E spararono al cantautore
In una notte di gioventù
Gli spararono per amore
Per non farlo cantare più.
Gli spararono perché era bello
Ricordarselo com’era prima
Alternativo, autoridotto
Fuori dall’ottica del sistema
Roberto Vecchioni, Vaudeville, 1977
Difficile crederlo oggigiorno, con l’industria della musica dal vivo che ha in Italia una delle sue principali fonti di guadagno, spremuta a suon di eventi mediatici annunciati con mesi e mesi di anticipo (eventi ogni volta esclusivi; vedi il concerto oceanico di Vasco Rossi al Modena Park del luglio 2017, spacciato come l’ultimo prima del ritiro dalle scene, cui però ne sono seguiti e – c’è da scommetterci – ne seguiranno numerosi altri, almeno fino alla consunzione per vecchiaia del pittoresco rocker di Zocca) e di prezzi folli in continua ascesa. Eppure c’è stato un tempo in cui per i musicisti pop-rock, autoctoni o importati che fossero, frequentare i palchi del Belpaese poteva rivelarsi un’esperienza come minimo rischiosa. E non senza validi motivi, il primo dei quali aveva un nome che oggi può fare, giustamente, sorridere ma che all’epoca, altrettanto giustamente, incuteva timore: autoriduzione. Nato come costola, una della tante, della sinistra extraparlamentare post sessantottina, il movimento dei sedicenti autoriduttori, che aveva i suoi punti di forza a Roma intorno all’agenzia di controinformazione (poi casa editrice) “Stampa Alternativa” di Marcello Baraghini, e a Torino nella redazione della rivista underground “Tampax”, sosteneva che la musica, come d’altronde ogni altra forma di espressione artistica, dovesse essere accessibile a tutti e quindi assolutamente gratuita. Nella pratica questa rivendicazione di principio, che trovava sfogo anche nei cosiddetti espropri proletari (peraltro non sempre diretti verso prodotti culturali), si tradusse, tra il 1970 e il 1979, nella richiesta, spesso accompagnata da intimidazioni e vere e proprie violenze, di assistere ai concerti delle star della “musica pop” (come si diceva allora senza troppe distinzioni di generi musicali) non pagando il biglietto1. Con la pretesa che gli stessi artisti, specie se dichiaratamente di sinistra o simpatizzanti del “movimento”, accettassero di esibirsi sempre e comunque senza compenso e, magari, elargissero gratuitamente i loro dischi. Se il caso senza dubbio più noto, e più drammatico, è quello che riguardò Francesco De Gregori, “processato” da un gruppo di esagitati sul palco del Palalido di Milano il 2 aprile 1976 (l’episodio cui si riferisce la citazione di Roberto Vecchioni in esergo di questo articolo); molti altri se ne potrebbero citare, oggi per lo più dimenticati ma specchio fedele di quei tempi. Su tutti il primo tour italiano di Lou Reed, funestato da continue incursioni e conclusosi con i gravissimi disordini del 15 febbraio 1975 al Palasport di Roma, completamente devastato al grido di “prendiamoci la musica”. A maggior colpa del fondatore dei Velvet Underground il fatto che il suo tour fosse organizzato dall’impresario “ebreo” David Zard, che un volantino diffuso in occasione della precedente data milanese del 14 febbraio definiva nientemeno che «torturatore delle forze di Moshe Dayan»2.
Qui si vuole tornare brevemente sulla vicenda che in un certo senso marcò l’inizio di tutto e che, per la circostanza in cui avvenne, si può considerare un turning point, una sorta di cerniera tra due Italie, non solo musicali: l’infausta esibizione dei Led Zeppelin al Velodromo Maspes Vigorelli (per tutti semplicemente il Vigorelli) di Milano, il 5 luglio 1971.
Nell’estate del 1971 i Led Zeppelin, che di lì a qualche mese avrebbero fatto uscire il quarto lp “senza titolo”, destinato a diventare il loro best seller (quello, per intenderci, con Stairway to Heaven), erano senza ombra di dubbio il gruppo rock più famoso al mondo, con un seguito amplissimo e devoto anche in Italia. Fu molto probabilmente per questo motivo che gli organizzatori del Cantagiro, la celebre manifestazione canora itinerante nata nel 19623, desiderosi d’intercettare il pubblico della “nuova musica” e di rivitalizzare in questo modo una kermesse che già da tempo mostrava la corda, pensarono bene d’invitare la grande band britannica. Forse, chissà, nella speranza nostalgica di rivivere i fasti del bel tempo andato, quello dei leggendari concerti dei Beatles del 24 giugno 1965 sul medesimo palcoscenico. Una decisione improvvida, quanto meno. Come ha dichiarato in un’intervista a Davide Poliani di Rockol.it il critico musicale Riccardo Bertoncelli, allora diciannovenne, testimone diretto degli avvenimenti:
Quella di farli suonare dopo gli artisti del Cantagiro è stata un’idea assurda partorita dall’organizzatore, che non conosceva il pubblico. Non c’era nessuno, in platea, disposto ad accettare la varietà di musiche proposte dal cartellone della serata4.
Ma non si trattò soltanto di una scelta strampalata e fuori dal tempo sotto il profilo artistico. Fu anche un clamoroso azzardo dal punto di vista della gestione dell’ordine pubblico. Nei mesi precedenti, infatti, la Milano musicale era stata teatro di vari incidenti provocati dalle frange più irruenti della contestazione. Al Palalido, il 15 marzo, gli autoriduttori avevano più volte interrotto il concerto dei Ten Years After, replicando il 27 aprile coi Santana (comunque niente rispetto a ciò che sarebbe capitato al virtuoso chitarrista messicano sei anni più tardi, il 13 settembre 1977 al Vigorelli, dove trovò ad attenderlo lo striscione “Odio Santana servo della CIA” e, quel che è peggio, il lancio di una bomba molotov). L’8 giugno era stata la volta dell’esibizione del gruppo jazz-rock dei Chicago all’Arena civica; il 30 giugno di quella dei muscolari Grand Funk Railroad al Vigorelli. Un vero e proprio clima di guerriglia urbana. D’altra parte, come doveva proclamare il manifesto affisso fuori dal Palalido la sera del famigerato concerto di De Gregori:
Decine di migliaia di incazzati hanno capito che i Palalido sono i loro Vietnam, i loro campi di battaglia.
Questo detto, il cartellone della serata, affidata a un trio di conduttori capitanato dall’ineffabile Daniele Piombi, prevedeva, prima degli ospiti d’onore, l’esibizione di: Lucio Dalla, Mauro Lusini (l’autore di C’era una ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones), Mia Martini, Milva, Gianni Morandi, i New Trolls, i Ricchi e Poveri e i Vianella (ovvero il duo Edoardo Vianello/Wilma Goich). Insomma, come mischiare l’acqua con l’olio o, per utilizzare una metafora più in tema con l’infatuazione satanista di Jimmy Page, il diavolo con l’acqua santa. Tanto più perché degli oltre 10.000 spettatori presenti, com’era facilmente prevedibile, la quasi totalità era lì solo e soltanto per i Led Zeppelin. Così, a parte i New Trolls, in piena fase prog-rock e quindi accolti con discreto favore dagli impazienti rockettari, tutti gli altri, quanto meno quelli che ebbero il coraggio di provare a esibirsi, furono subissati di fischi e bersagliati con tutto ciò che si poteva lanciare. A farne maggiormente le spese il povero Gianni Morandi, ricacciato nei camerini a furor di popolo. Un episodio che avrebbe segnato il cantante di Monghidoro, convincendolo che il suo tempo era finito e inducendolo a ritirarsi di fatto a vita privata, fino al ritorno trionfale nel 1985 con l’autobiografica Uno su mille, preludio a una “seconda carriera” di successi inarrestabili in quasi ogni campo dell’intrattenimento, sino alla consacrazione eterno-giovanilista sul palcoscenico balneare del Jova Beach Party dell’estate 2022 (a proposito di mega raduni mediatici).
Per impedire che la situazione degenerasse i promoter convinsero gli Zeppelin a salire sul palco circa un’ora prima dell’orario previsto (la mezzanotte circa). Nel frattempo, all’esterno della struttura, 2.000 poliziotti schierati in tenuta antisommossa erano impegnati in scontri violenti con gli autoriduttori, per il quali il biglietto a 1.500 lire costituiva un’inaccettabile provocazione borghese, decisi a forzare il blocco e a conquistarsi il Vigorelli. A un certo punto partì una scarica di fumogeni sia fuori che dentro il velodromo, che costrinse gli esterrefatti e spaventati musicisti inglesi a interrompere il concerto dopo poco più di venti minuti e ad abbandonare precipitosamente il proscenio, con gli occhi irritati dai gas. Nel caos che ne seguì, un fuggi fuggi generale, il Vigorelli venne messo a soqquadro; la stessa strumentazione della band fu danneggiata e, in parte, trafugata.
La vicenda trovò larga eco sulla stampa nazionale, con tanto di copertina della “Domenica del Corriere”5. Fra tutti, mi pare emblematico il caso della rivista “Qui Giovani”, continuazione del settimanale “Giovani” (nato nel febbraio del 1966, uno dei più diffusi fra i ragazzi dell’epoca), che, pur mantenendo l’impostazione beat/canzonettara delle origini, si stava progressivamente aprendo alle nuove tendenze musicali. Quasi un compendio in cartaceo di quel Cantagiro, il numero del 22 luglio 1971 dedicava uno spensierato “speciale estate” alle vacanze dei vip del mondo dello spettacolo (da Celentano a Ugo Tognazzi, da Mina a Rita Pavone ecc.), riservando nondimeno un servizio alla “battaglia” del Vigorelli. Con un misto d’ingenuità e di orgoglio campanilistico, l’autore Carlo Tumbarello domandava a Robert Plant:
strano che il caos e la confusione vi diano tanto fastidio. In fondo siete ormai abituati a suonare davanti alle folle oceaniche degli stadi americani, e certe manifestazioni di protesta non dovrebbero più sorprendervi6.
Al che il carismatico lead singer dei Led Zeppelin replicava piccato:
noi conosciamo soltanto il fanatico ma sano entusiasmo dei nostri ammiratori, che strillano, che ci bloccano negli alberghi, che ci strappano i vestiti. Però è tutta gente giovane che ama la musica, non sono teppisti. In Inghilterra e in America il pubblico ci lancia fiori, qui a Milano, sul palcoscenico, arrivano bombe. Basta, non verrò più in Italia7.
Sarebbe stato di parola. I Led Zeppelin non tornarono più a suonare in Italia. E con loro, negli anni a venire, molti altri artisti internazionali avrebbero disertato i palchi italiani, finché l’allentarsi della tensione e il diluirsi delle passioni ideologiche nel “disimpegno” degli anni Ottanta non inaugurarono l’età dell’oro della musica live. Molto tempo è trascorso da quell’estate del ’71, la società e la politica italiane sono mutate radicalmente. Nessuno oggi si sognerebbe di reclamare la musica gratis, anche se, opinione personale, un calmiere ai prezzi da capogiro dei biglietti dei concerti non guasterebbe. In ogni caso, potrei sbagliarmi ma qualcosa mi dice che diversi di quei rivoluzionari che volevano “prendersi la musica”, ormai nostalgici settantenni, si trovavano in mezzo al pubblico dei recenti, faraonici concerti italiani dell’“ultima” (dobbiamo crederci?) tournée dell’attempato leader dei Pink Floyd Roger Waters; costo medio dei biglietti 100 euro. Non esattamente un prezzo (auto)ridotto.
Note
1 Per uno sguardo d’insieme sulla galassia della controcultura italiana degli anni Sessanta/Settanta, cfr. soprattutto Pablo Echaurren (con Claudia Salaris), Controcultura in Italia, 1966-1977. Viaggio nell’underground, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, poi anche Matteo Guarnaccia, Underground italiana. Gli anni gioiosamente ribelli della controcultura, Rimini, Shake, 2011. Una ricchissima antologia di testi e documenti del periodo (e oltre) si trova nel volume, curato da Ignazio Maria Gallino, 1965-1985 venti anni di controcultura. Frammenti storici dell’underground italiana, Milano, Ignazio Maria Gallino editore, 2016. Per un caso di studio di rilievo nazionale, quello di Milano, città dove si svolsero i fatti qui narrati, si veda Nicola Del Corno, Dai beat ai punk. Dieci anni di controcultura a Milano (1967-1977), in “Clionet”, 2017, n. 1, pp. 89-104; anche in https://rivista.clionet.it/vol1/del-corno-dai-beat-ai-punk-dieci-anni-di-controcultura-a-milano/, ultima consultazione: 4 maggio 2023.
2 Milano: guerriglia al Palalido contro un organizzatore ebreo, in “La Stampa”, 15 febbraio 1975.
3 Su quella manifestazione autenticamente nazionalpopolare, modellata in origine sul Giro d’Italia, è da pochissimo uscita una bella ed esauriente monografia: Paolo Carusi, Gioacchino Lanotte, Cantagiro! Storia e musica di un decennio fra tradizione e modernità, Milano, Mondadori Education, 2023, che fa menzione degli incidenti del Vigorelli, con interessanti richiami alle cronache apparse su “l’Unità”, pp.131-133. Un’intervista agli autori, a cura di Eloisa Betti, Intervista a Paolo Carusi e Gioacchino Lanotte. Musica, politica e cultura di massa: una storia del Cantagiro, si trova in “Clionet”, 2023, vol. 7: https://rivista.clionet.it/vol7/intervista-a-paolo-carusi-e-gioachino-lanotte/, ultima consultazione: 8 maggio 2023.
4 In https://www.rockol.it/news-688482/led-zeppelin-vigorelli-1971-50-anni-storia-riccardo-bertoncelli/, ultima consultazione: 4 maggio 2023.
5 Cfr. Musica e violenza: perché?, in “Domenica del Corriere”, n. 29, 20 luglio 1971.
6 Led Zeppelin mai più in Italia, in “Qui Giovani” n. 29, 22 luglio 1971, pp. 15, 80.
7 Ivi, p. 80.