Public brickstory: laboratori partecipativi e memoria pubblica

Public brickstory: participatory workshops and public memory

In apertura: 25 aprile 1945, i partigiani liberano le città. Ricostruzione di Italian Brickhistory.

Negli ultimi anni si è sviluppato a livello internazionale il fenomeno dei lego a tema storico, un ambito in rapida espansione per quel che riguarda l’offerta commerciale, il numero dei fruitori e i progetti, più o meno strutturati e longevi, di utilizzare in maniera consapevole questo strumento per la public history. Aspetti che abbiamo già trattato nell’articolo Costruire la storia mattoncino su mattoncino1. Il panorama italiano ha visto la nascita spontanea su Flickr e Instagram di una community di lego historical builder, parte organica della più vasta comunità globale. Appassionati di storia, che trovano nei lego una forma di espressione e di interazione sociale. Tuttavia, il mondo degli storici non aveva ancora colto l’esistenza del fenomeno. Per questo abbiamo dato vita, nel 2021, al progetto Italian Brickhistory, con un sito web dedicato e due profili Facebook e Instagram, cercando di percorrere tre strade: la divulgazione di contenuti storici nella community social già esistente, verso la quale abbiamo praticato un’osservazione partecipante; la creazione di installazioni presso musei ed esposizioni temporanee (il casale mezzadrile esposto al Museo casa di Zela; la doppia installazione sul Biennio rosso – occupazione delle fabbriche e scioperi rurali – per la mostra La città del lavoro) e di diorami su richiesta di enti e riviste storiche (2 giugno per M9 di Mestre, Fare storia con i mattoncini per “HistoryLabMagazine”2); la realizzazione di una serie di laboratori didattici di tipo partecipativo, per conto di enti culturali e istituti scolastici.

Esamineremo qui di seguito i laboratori, dei quali siamo in grado di poter trarre dei primi bilanci provvisori dopo poco più di un anno di attività (il primo laboratorio risale alla fine dell’inverno 2022).

1. Temi e strumenti di lavoro

L’utilizzo dei lego nella didattica ludica della storia è una frontiera poco esplorata, nonostante i public historian abbiano da tempo rivolto la propria attenzione al gioco storico. Ciò va forse imputato alla novità del binomio lego-storia, ma va anche considerata la ritrosia ad accostare gli approcci ludici all’insegnamento della storia, per l’idea – ormai superata – che l’età per giocare coincida esclusivamente con l’infanzia3. Eppure, i mattoncini sono da tempo impiegati per insegnare le materie tecnico-scientifiche nelle scuole, così come nella formazione degli adulti, tanto di tipo sindacale (sono stati utilizzati nelle due edizioni del Festival della formazione Cgil) quanto manageriale4. I lego si prestano a favorire processi di apprendimento basati sul learning by doing, in cui il discente “pensa con le mani”, riflettendo e acquisendo consapevolezza delle sue azioni. Esperienze condotte nell’insegnamento di materie umanistiche hanno messo in evidenza che la possibilità di manipolare l’oggetto ha effetti positivi sui processi di apprendimento, agevolando il passaggio dal pensiero concreto a quello astratto.

Tra le pionieristiche esperienze laboratoriali di didattica della storia basata sui lego possiamo annoverare i progetti di Samuel Kawahara, per le scuole superiori5, e di Pat Cullum sul concetto di gender nella storia nel quadro di un corso di Storia delle idee per l’Higher Education6. Nonostante i diversi destinatari, le due attività condividevano una natura collaborativa-competitiva, suddividendosi su più sessioni.

Sulla scorta di queste esperienze abbiamo provato a costruire le nostre prime tre proposte laboratoriali: la guerra partigiana (con una variante dedicata alla fucilazione di quattro giovani da parte dell’Rsi nella fortezza medicea di Pistoia nel marzo 1944); lo squadrismo fascista; le fabbriche tessili dei primi del Novecento.

Per prima cosa c’è stata la costruzione dei kit didattici7. Otto scatole, ognuna composta dagli stessi pezzi, al cui interno si trovano dei brick grigi, marrone chiaro e marrone scuro, alcune tegole per i tetti, erba e elementi per le piante o gli alberi, parti per rappresentare l’acqua, una scala, alcune porte, un asse con due ruote, alcuni animali (una mucca, un maiale, galline), una cassa con del cibo (ortaggi, frutta, carne, pesce). Infine tre minifigure (uomini e donne, più un paio di gambe corte da bambino/a) che rappresentano personaggi civili, completi di attrezzi da lavoro (pale, forconi, accette). Vengono anche fornite due basi su cui costruire i propri scenari: una grigia, destinata a diorami urbani, e una verde, per rappresentazioni in contesti rurali.

I laboratori hanno coinvolto gli adulti ma soprattutto i bambini e gli adolescenti, che vi hanno per lo più preso parte nella veste di studenti, dalle scuole primarie fino alle superiori, e non sono mancati anche momenti intergenerazionali. I partecipanti vengono suddivisi in gruppi, dai tre ai cinque partecipanti, non omogenei dal punto di vista di genere.

Ogni gruppo riceve uno dei kit. Inizialmente viene chiesto di scegliere su quale base lavorare, ma si è notata una spontanea tendenza a utilizzare entrambe le basi per dar luogo alla costruzione di scenari “comunicanti”, talvolta semplicemente per riportare la stessa vicenda in ambienti contigui dal punto di vista spaziale (ad es. un sequestro di bestiame da parte di soldati tedeschi, che dalla campagna si spostano verso la città). Altre volte con un significato narrativo volto a presentare una situazione di evoluzione temporale dello stesso diorama, “il prima e il dopo la guerra”.

Anche se i kit sono stati implementati nel corso dell’anno, l’insieme dei pezzi a disposizione non è molto cambiato, dimostrandosi versatile e adeguato, per tutte le fasce di età, alla realizzazione di ricostruzioni esaustive nell’ora di tempo a disposizione. I materiali forniti ai partecipanti nelle tre tipologie di laboratori rimangono gli stessi, con alcuni aggiustamenti specifici per l’ambientazione storica. Per il laboratorio sulla guerra partigiana vengono aggiunti tre soldati tedeschi e uno italiano, con relative armi. In merito ai soldati italiani, dato il loro carattere non lineare nelle vicende storiche tra il 1943 e il 1945, viene prestata premura a inquadrare e chiarire la loro valenza plurale, potendo essere utilizzati tanto come collaborazionisti e “guide fasciste”, quanto come soldati sbandati rifugiati presso la popolazione o da parenti, oppure come aderenti alla Resistenza. Per realizzare i partigiani sono a disposizione dei foulard rossi, con i quali possono essere abbigliati i civili che diventano così combattenti, muniti del mitra Sten. Per lo squadrismo fascista vengono consegnate due camicie nere, con l’elmetto Adrian, manganelli, coltelli e pistole. I partecipanti al laboratorio sulle fabbriche tessili ricevono invece un telaio già montato per facilitarne l’attività, data la complessità tecnica di ricreare questo genere di macchine8.

2. Metodi

La metodologia dei laboratori riprende le tecniche collaborative-competitive sperimentate da Cullum e Kawahara. Anche se non sono mancate esperienze precedute da incontri preparatori, la maggior parte delle attività è stata di tipo “espresso”, articolate su tre fasi con una durata complessiva di circa 120 minuti. Nella prima, il “mediatore” (il docente o il public historian) introduce l’argomento e l’utilizzo dei lego. Nella seconda, della durata minima di 60 minuti, i gruppi ricevono i kit e, in alcuni casi, letture o fotografie a tema (alcuni laboratori sono stati svolti in contesti ambientali evocativi, come nella fabbrica musealizzata), elementi utili per ricostruire un contesto storico, contenente anche più scene in simultanea. Durante la fase creativa di costruzione, il mediatore limita il proprio intervento alla funzione di “facilitatore”: gira tra le postazioni, dà spunti e suggerimenti tecnici e scenici, sovrintende alle contrattazioni tra i gruppi per lo scambio di pezzi. Esaurito il tempo a disposizione le realizzazioni vengono disposte in fila su un tavolo e i gruppi sono invitati a una duplice azione: raccontare cosa hanno rappresentato – che spesso diventa un “cosa sta succedendo” – e scegliere, argomentando, quale o cosa fra i lavori degli altri gruppi apprezzano di più.

In questa fase avviene il debriefing, in cui i partecipanti riflettono collettivamente sulle creazioni, su come hanno affrontato il tema, motivano le scelte, con il docente e/o il public historian che fanno osservazioni e domande per stimolare la discussione. L’elemento di maggior novità introdotto dalla nostra proposta riguarda proprio questa fase finale: i gruppi non soltanto illustrano e spiegano le loro realizzazioni ma raccontano la “storia” dentro al diorama. L’elaborazione di una narrazione è un elemento integrato nel processo ludico-creativo: “anima” il diorama mettendo in moto la capacità di “immaginazione” e rendendo più comprensibili ed efficaci le scelte rappresentative; agevola la riflessione sull’argomento; fa emergere cosa i partecipanti osservano in chiave storica nel mondo intorno a loro e che tipo di memoria pubblica hanno già introiettato dall’esterno. Va precisato che questo momento “narrativo” è stato introdotto e sistematizzato nella fase di debriefing proprio come conseguenza di una volontà manifestatasi spontaneamente durante i primi laboratori. Peraltro questo aspetto rivela come l’attività abbia facilitato nei partecipanti la collocazione di vicende storiche anche molto specifiche su un piano più astratto, sviluppando una sorta di “visione di insieme” di questi momenti storici.

Se la metodologia alla base dei laboratori di brickhistory risulta di facile acquisizione, alcuni operatori interessati a replicarli hanno sollevato dubbi circa i costi dei materiali e le difficoltà che la progettazione dei kit richiederebbe. Il problema dei costi si pone, tuttavia nella nostra esperienza siamo riusciti a contenere le spese ricorrendo al mercato dell’usato – raggiungibile sul web dove esistono portali commerciali come Bricklink – o acquistando mattoncini non originali (come quelli della tedesca Bluebrixx). Inoltre, non si tratta di kit “a consumo”: le ricostruzioni vengono poi smontate ed il kit è pronto per un nuovo utilizzo. Al contempo, pur essendo necessaria una certa confidenza con i lego per selezionare i pezzi funzionali al laboratorio, i mattoncini facilitano l’ideazione dei kit, data la versatilità e immediatezza che ne consente un uso fantasioso e adattabile, trattandosi di strumenti a bassa tecnologia e intuitivi, ben più accessibili e longevi di videogame e giochi da tavolo9.

3. Un primo bilancio

Nel proporre alcune considerazioni preliminari, va precisato che abbiamo svolto per lo più laboratori a tema resistenziale: da un lato perché si tratta della prima tipologia proposta, dall’altro perché pervengono numerose richieste sull’argomento da parte di scuole e istituzioni culturali del territorio. Qui può essere utile accennare alle ragioni che determinano il maggior interesse riscontrato per la storia della Resistenza e, più in generale, della Seconda guerra mondiale rispetto ad altri argomenti, come la storia del lavoro o l’ascesa del fascismo. Il tornante 1939-45 va indubbiamente di moda nei prodotti di intrattenimento a sfondo storico, ma è anche percepito come un passaggio più centrale di altri e raccoglie maggiori attenzioni: si tratta dell’ultima guerra combattuta sul suolo italiano, il che comporta la presenza di memorie territoriali che intersecano il vissuto dei partecipanti per il tramite delle istituzioni locali, delle famiglie, del paesaggio (cippi, musei, sentieri, strutture con i segni della guerra). A questa storia diffusa si affianca l’attività dei soggetti associativi e l’impatto del calendario civile, in particolare le date del 27 gennaio e del 25 aprile.

Laddove c’è stato il tempo di realizzare un incontro preparatorio la prospettiva di partecipare al laboratorio ha stimolato diversi studenti a documentarsi a casa o a rivolgersi ai docenti, in maniera spontanea, per riuscire a “capire” e “immaginare” cosa ricostruire, arrivando in alcuni casi già con idee su cosa rappresentare o bozze disegnate. Inoltre, la realizzazione di diorami lego comporta la combinazione di conoscenze e competenze fino alla sintesi delle informazioni da tradurre in mattoncini, in una dimensione creativa e giocosa. Come non è insolito osservare nella didattica ludica10, si è creato un contesto di divulgazione informale che, unito all’eccitazione per la circostanza ludico-competitiva e all’attrattività dei mattoncini, agevola l’interesse e la partecipazione, coinvolgendo e motivando anche quegli alunni – come hanno notato diversi insegnanti – solitamente più isolati e passivi nelle lezioni frontali11. Gli stessi studenti hanno più volte mostrato entusiasmo, senza distinzioni di genere, suggerendo l’applicazione di tale laboratorio anche nell’insegnamento di altri argomenti storici.

In secondo luogo, tutti i laboratori hanno evidenziato la forza di questa pratica nel far emergere la “memoria storica” che i partecipanti hanno introiettato in vari modi dall’esterno, portando a confrontarci con il senso comune della storia e con le narrazioni dominanti, mettendo in luce i limiti e le storture retoriche di miti, simboli, fatti e personaggi delle storie nazionali o della storia economica. La fase di debriefing qui assume una valenza ancora maggiore proprio come momento in cui recepire con l’immaginario dei partecipanti e modulare di conseguenza il nostro lavoro. Informazioni utili in una prospettiva di public history, sia come opportunità di nuova conoscenza sia per il valore che assumono nella discussione sulla storia e sulla memoria pubblica. Uno fra gli immaginari più spesso riscontrati riguarda lo stato di conservazione degli edifici: nei diorami case, cascine, fattorie e fabbricati vari sono stati raffigurati quasi sempre come distrutti o diroccati. Molto spesso, nei loro lavori, i fautori della distruzione vengono specificamente individuati nelle truppe nazifasciste, che utilizzano “le bombe” durante razzie, retate o negli scontri con i partigiani. In altri casi, la devastazione rappresentata è associata al contesto bellico, ricondotta ad un evento imprecisato e precedente rispetto allo scenario costruito. In entrambi i casi, operano due filoni narrativi complementari. Anzitutto, la quasi assoluta inconsapevolezza dell’articolazione dei bombardamenti sul territorio italiano e, pertanto, l’istintiva associazione della devastazione ambientale e paesaggistica all’azione “del nemico” nazifascista, o comunque al normale portato della guerra. Secondariamente, il collegamento visivo che alcuni hanno compiuto tra lo stato di abbandono di alcune case coloniche extraurbane e la guerra che era stata combattuta in quelle stesse aree, scartando il successivo esodo dalle campagne. Anche rispetto alle fabbriche sono emersi elementi di questo tipo. Nel laboratorio uno dei gruppi ha ricostruito una fabbrica in stato di abbandono, segnalato dalla presenza di piante e alberi cresciuti nelle strutture in muratura, dove però sussistono spazi in cui si svolgono forme di produzione, portate avanti da migranti che vi hanno impiantato nuovamente i macchinari. Una ricostruzione frutto di quanto osservato nell’ambiente circostante come storia in corso.

Alla luce di queste indicazioni, durante i debriefing siamo intervenuti in forma dialogante e domandando da dove scaturissero questi immaginari, eventualmente indirizzando verso una miglior consapevolezza dei passaggi storici.

I laboratori si sono anche prestati a una diversa declinazione della conflittualità. Lasciandosi alle spalle gli aspetti militari che dominano la community social, sono state declinate situazioni di conflittualità che si incardinano sulla linea fascismo-antifascismo (dove resta chiaro che i nazifascisti sono i “cattivi”) acquistando anche elementi sociali nelle raffigurazioni del mondo contadino, con la difesa dalle razzie12. Oppure, rispetto alle condizioni di lavoro in quello sulle fabbriche, sono emerse ricostruzioni che puntavano sull’ambiente di lavoro e sulla vita al suo interno con conflitti orizzontali e verticali e non sull’approccio da Industrial Heritage incentrato sugli aspetti tecnologici.

Infine, dobbiamo evidenziare i riflessi “democratici” del nostro lavoro in divenire. Da una parte, offre l’opportunità di far esprimere attraverso i lego un pubblico più vasto e più giovane di quello che normalmente riusciamo a raggiungere, che viene così coinvolto nel processo di costruzione del senso del passato e della sua memoria. Dall’altra, presenta risvolti prettamente sociali. I lego rimangono, per il loro costo, giocattoli non alla portata di tutti, nonostante una progressiva maggiore accessibilità favorita dalla diffusione di prodotti non originali: appoggiandoci alle istituzioni culturali che lavorano sui territori riusciamo a mettere insieme i materiali e le relazioni necessarie a far “giocare” con i lego anche chi non può permetterseli.


Note

1 Cfr. Stefano Bartolini, Francesco Cutolo, “Costruire la storia, mattoncino su mattoncino”. La “Public Brickstory”: i Lego come strumento per raccontare la storia, in “Diacronie. Studi di Storia Contemporanea”, n. 46, 2/2021.

2 Vedi anche la sezione Scenari. Fondazione Museo storico del Trentino: https://hl.museostorico.it/historylabmagazine/numeri/nei-panni-della-storia/, ultima consultazione: 30 maggio 2023.

3 Cfr. Andrea Ligabue, Lo spazio e la legittimazione del gioco storico, in Chiara Asti (a cura di), Mettere in gioco il passato. La storia contemporanea nell’esperienza ludica, Milano, Unicopli, 2019, p. 30.

4 La LEGO ha organizzato divisioni per studiare gli usi in ambito educativo. Cfr. Alice Leber-Cook, Roy T. Cook, Glossary, in Roy T. Cook, Sondra Bacharach (eds.), LEGO® and Philosophy. Constructing reality brick by brick, Oxford, Wiley Blackwall, 2017, pp. 227-231; Jonathan Rey Lee, Deconstructing “LEGO”. The Medium and Messages of LEGO Play, Cham, Palgrave Macmillan, 2020, pp. V-XXXV, 189.

5 Samuel Kawahara, O uso de blocos de Lego: uma proposta para a construção de conhecimentos históricos, Monograph (Specialization in Innovation and Technologies in Education) – Federal Technological University of Paraná, Curitiba, 2019.

6 Pat Cullum, Play as technique for History in Higher Education, in Alexander von Lünen et al. (ed.), Historia Ludens. The playing historian, New York, Routledge, 2020, pp. 89-101. Simile al progetto di Cullum: Katherine Fennelly, Jamie Wood, Constructive play: LEGO for learning in History, Heritage and beyond, in history.blogs.lincoln.ac.uk: https://history.blogs.lincoln.ac.uk/2019/01/14/constructive-play-lego-for-learning-in-history-heritage-and-beyond/, ultima consultazione: 26 aprile 2023.

7 Realizzati grazie ai contributi economici dell’Istituto storico della Resistenza di Pistoia – che ha inserito l’attività nella sua offerta didattica – e della Fondazione Valore Lavoro.

8 Il laboratorio sulle fabbriche è stato commissionati dal Museo del Tessuto di Prato e dalla Fondazione CDSE in occasione del TIPO Festival (Turismo Industriale Prato Festival).

9 Cfr. Cullum, Play as technique for History, cit., pp. 90-91.

10 Cfr. Marco Cecalupo, E Cesare disse: “Si lanci il dado!”. I giochi di storia nella scuola e l’esperienza di Historia Ludens, in Asti (a cura di), Mettere in gioco il passato, cit., pp. 69-97.

11 Non è stato raro infatti che gli insegnanti per primi si stupissero per l’attenzione al lavoro e la partecipazione da parte dei loro studenti “più fragili” o abitualmente disinteressati alle classiche modalità di lezione frontale.

12 Bisogna sottolineare che i diorami a tema rurale e contadino, che avevano al centro della rappresentazione una cascina o una fattoria – spesso oggetto di razzie, scontri tra partigiani e tedeschi, o semplicemente come rifugio di militari disertori o partigiani – sono stati complessivamente i più numerosi.