In apertura: Orsola Nemi, L’Astrologo distratto, illustrato con xilografie originali di Sigfrido Bartolini, Roma, Volpe edizioni, 1971.
Gli archivi di persona, entità avvincenti nel macrocosmo della memoria documentaria, negli ultimi anni sono stati fortemente studiati sotto il profilo della consapevolezza del soggetto produttore che conserva, modifica, distrugge1. La traduzione archivistica dell’impulso egotico umano può trovarsi nei “pieni” (compresa la disposofobica presenza di copie delle fotocopie)2 tanto quanto nei “vuoti” e nelle assenze. È come se l’immagine pubblica e privata di un personaggio si annidasse nello spazio creato dalla volontà di autorappresentazione, dalla consapevolezza conservativa, ma, allo stesso tempo, trovasse ragion d’esistere anche nelle dispersioni e nelle stesse tradizioni che possono frammentare la ben nota «universitas rerum»3. L’archivio di Orsola Nemi, eclettica scrittrice del Novecento italiano, non rientra tra gli archivi privati dichiarati di interesse culturale così, seppur conservato con cura dagli eredi che hanno messo in atto alcune opere di valorizzazione dei contenuti, al momento non risulta accessibile4. Ecco, dunque, che il “vuoto” diventa particolarmente ingombrante, perché sta a significare l’assenza (almeno momentanea) della fonte e quindi se non l’impossibilità, perlomeno la difficoltà verso l’accesso all’informazione. In tal senso, parlare di «polimorfia del vincolo archivistico» può allora essere non solo una condizione teorica essenziale5, ma anche un valido approccio per la comprensione di realtà documentarie altrimenti di difficile lettura. In questa sede, è sembrato interessante riprendere la biografia personale e professionale della Nemi guardandola da una prospettiva diversa e ripercorrendo le trame lasciate dalle sue relazioni, continue e costanti con il mondo dell’arte e delle lettere6. Gli epistolari, del resto, mostrano bene come il cosiddetto soggetto produttore si muova e si esprima nei confronti del mondo esterno: testimoniano i rapporti, sedimentano le notizie, offrono informazioni che sfuggono dalla volontà di mantenerle o meno7. Le lettere di e con Orsola conservate presso Fondazione Mondadori di Milano (in particolare nei fondi archivistici di Rosa e Ballo, di Agenzia Letteraria Internazionale – ALI, di Luciano Foà, di Alba de Céspedes, nonché l’Archivio Storico il Saggiatore), presso Biblioteca del Centro APICE dell’Università Statale di Milano (Archivio Mario Soldati), alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (fondo Bellonci), alla Fondazione Longhi di Firenze (con le carte di Anna Banti), al Centro Studi Sigfrido Bartolini di Pistoia e presso il fondo Lucia Morpurgo Rodocanachi di Genova sono solo alcuni dei fili di Arianna riavvolti dentro questo labirintico mondo8.
Flora Vezzani, questo il suo vero nome, nacque a Firenze l’11 giugno 1903. Il padre, ufficiale di fanteria e medaglia d’oro, era caduto in battaglia sul Carso nel giorno di Sant’Orsola (15 ottobre 1915) e proprio a quel giorno Flora dedicherà il suo pseudonimo, dove la seconda parte (Nemi dal latino nemini, di nessuno) fu per lei simbolo del carattere schivo e indipendente: ella, così voleva dichiarare, non apparteneva ad altri che non a se stessa. Orsola respingeva ogni etichetta al femminile, al punto da rifiutare, argomentando di non riconoscere una differenza di genere nella letteratura, il Premio Femminile Bagutta, attribuitole nel 1958 per i racconti I gioielli rubati: «Sono confusa e mortificata di dover confermare che non desidero e non posso accettare il premio letterario femminile» – scrisse all’editore Bompiani che insistentemente la pregava di partecipare al premio9 . «Io non amo la letteratura femminile – dichiarò poi in un’intervista – […] Vorrei poter scrivere un libro che camminasse anonimo per il mondo»10 e ancora, alla domanda sui mondi creativi possibili in uno scrittore e in una scrittrice, rispose:
Se pensiamo a libri come Cime Tempestose, La Gita al Faro, Orgoglio e Pregiudizio, Elias Portolu o a un libro di Colette o della Mansfield, si capisce senza bisogno di argomenti che quei libri potevano essere scritti solo da donne. Naturalmente esiste la differenza a cui lei accenna come esiste fra il mondo di uno scrittore e il mondo di un altro. In tutti questi casi abbiamo nominato opere di alta qualità. Se invece si prendono in mano opere mediocri vediamo che la differenza si attenua fino a scomparire, sia fra scrittore e scrittore sia fra opere di scrittrici e scrittori. […] Riconosciuta la differenza che ho detto, non se ne deve dedurre che le opere delle donne devono essere giudicate sopra un piano diverso da quelle degli uomini. Non ne vedo la ragione11.
Orsola Nemi fu sempre incline alla vita ritirata, amante delle piante (si racconta distillasse uno squisito rosolio dalle rose del suo giardino) e dei libri (di cui riempiva la casa di Roma, a Trastevere, e poi a Recco, a Cervo, e infine nella villetta di San Bartolomeo); così riservata da intitolare il suo diario del decennio 1955-65, pubblicato poi nel ’69 per le Edizioni del Borghese, Taccuino di una donna timida12. A soli due anni, fu colta da poliomielite in una forma che le risparmiò la vita, ma la segnò per sempre, lasciandole offese le gambe e, soprattutto, allontanandola dalla madre, una donna fragile, che non riuscì mai ad accettare l’infermità della figlia. Eppure era bella, con un volto spirituale, dai lineamenti finissimi e uno sguardo che rimase limpido e attento fino agli ultimi giorni della sua vita. Tanto bella da far innamorare il celebre americano, già inviato del “New York Times”, Henry Furst che ella italianizzerà sempre, affettuosamente, con Enrico. Così scriveva di lui nel 1970 al comune amico Mario Soldati:
Conobbi Enrico il 15 dicembre del 1938, venne da me per acquistare annate arretrate della Fiera Letteraria, la mattina verso le 9 e rimase con me, con grande ira di mia madre, fino alle 12; alle 14 venne a prendermi con nuovo scandalo materno, andammo ai giardini e si rimase insieme fino alle cinque. Sempre parlando tutti e due, come gente che deve riprendere il tempo perso. Gli diedi il manoscritto delle mie poesie; lui la sera, dopo averlo letto, voleva tornare da me, ma pensando a mia madre, mise nella cassetta della posta un biglietto entusiasta che quasi mi fece svenire dalla gioia, la mattina dopo. Mi diceva che avrebbe parlato delle mie poesie a Montale, che doveva andare a passare il Natale con la Mosca da lui alla Torre e mi promise di farmelo conoscere. Infatti, dopo il Natale, non ricordo il giorno, ci incontrammo con Enrico Mosca e Montale da Unica; perché mia madre non voleva nessuno in casa13.
Questo incontro, avvenuto attraverso un annuncio sulla rivista “Fiera Letteraria” sarà decisivo per la vita e per la carriera di Orsola. Furst, infatti, dopo essersi trasferito in Italia, diventò, molto più tardi, suo marito sancendo un’unione carica di amore e devozione e permettendo a Orsola di entrare in contatto con intellettuali altissimi come Eugenio Montale (che nel 1939 pubblicò alcune sue poesie su “Letteratura” – rivista che non aveva visto mai nessuna autrice donna) e con case editrice importanti come la già citata Bompiani che stampò le stesse poesie nel 1942 e le offrì il compito di collaborare alla monumentale opera del Dizionario delle opere e dei Personaggi. Fu amica di molti intellettuali del Novecento, spesso ospiti nella sua casa in Liguria: Irene Brin, Anna Maria Ortese, Gianna Manzini, lo stesso Montale e sua moglie Drusilla Tanzi detta “Mosca”, Sibilla Aleramo, Emilio e Leonetta Cecchi, Gianfranco Contini, Giovanni Comisso, Mario Soldati, Giuseppe Ungaretti, Carlo Bo, Ennio Flaiano, Silvio Negro, Federico Fellini, Italo Calvino, Indro Montanelli, Ernst Jünger, Sigfrido Bartolini. Quest’ultimo, artista e letterato pistoiese, riteneva ogni missiva un documento non effimero, un luogo dove il pensiero poteva essere fermato ed è lì, in un nucleo di 168 lettere che incardina, cementifica e conserva viva la sua amicizia con Orsola Nemi:
Al cliché della donna intellettuale, quale prospera e si moltiplica nei nostri sciaguratissimi tempi, fa da esemplare, forse unica, eccezione la scrittrice Orsola Nemi. È una di quelle eccezioni che fanno quasi rabbia poiché impediscono di poter fare di tutt’erbe un fascio per relegare la donna, almeno col pensiero, ai suoi antichi e mirabili compiti che non sono l’arte o la letteratura. Orsola Nemi possiede certe preziose qualità elevate al massimo grado. Niente c’è in lei dell’intellettuale gemebonda, per dirla col Gozzano; niente di quell’aria da sacerdotessa di misteri eleusini, di sofisticato o di frivolo come spesso ci tocca sopportare in tante, troppe donne affaccendate ai fornelli delle frastornatissime Muse.
Ciò che subito colpisce nella Orsola Nemi è proprio la sua serena naturalezza, l’ovvietà del suo pur colto parlare, i suoi modi permeati di tanta femminile dolcezza quale è raro oggi trovarne perfino in donne non contagiate da sofisticherie letterarie. Ed è questa dolcezza, corroborata da una naturale, spontanea saggezza, a conquistare, a lasciare una traccia indelebile in chi l’ascolta rendendolo partecipe di un afflato poetico, di una interiore musicalità che incanta e commuove. Desta stupore che tante conoscenze letterarie, quali la Nemi possiede, non siano riuscite a sgualcire questo spontaneo fiore, ma, anzi, lo abbiano arricchito, come un innesto ben fatto che migliora la pianta senza alterarne la naturale trascendente bellezza. Del resto la Orsola Nemi può vantare riconoscimenti non certo facili ad ottenersi14.
Intensa e proficua fu anche la collaborazione con Leopoldo Longanesi, di cui divenne segretaria a Roma e per il quale tradusse soprattutto grandi autori francesi come Tocqueville, Balzac, Saint Simone, Baudelaire, Flaubert15, Maupassant (anche se non firmò la traduzione di Bonjour tristesse della Sagan perché lo considerava un libro «troppo stupido»), oltre al romanzo scritto in francese dallo scrittore romeno Vintila Horia, già vincitore del Premio Goncourt16. La sua attività, intensissima e molteplice, si colloca tra gli anni Trenta e Ottanta del Novecento italiano con romanzi, racconti e soprattutto favole, che amava pubblicare a puntate su “La Gazzetta dei lavoratori”, in una sezione speciale dedicata ai bambini, firmandosi come il ‘Gufo della torre’ o il ‘Gufo navigante’17. Solo per citarne alcune: Il Califfo curioso, Un naufragio tra predoni, La Nave volante o altre dedicate al regno degli animali L’orso e la capinera, La regina delle api, Il granchio d’oro, La torre dei gatti, Il gallo tramviere. Ma fu il 1944 l’anno che la consacrò a questo genere letterario, quando scrisse e pubblicò Nel paese di Gattafata (per Documento editore poi riedito da Bompiani nel 2017, con alcuni disegni di Sergio Ruzzier, a sostituire le sei tavole realizzate appositamente da Giorgio de Chirico che arricchivano la prima edizione)18. Un libro, questo, che si mise subito in controtendenza rispetto alla situazione storica e culturale coeva: per contenuto e preziosità la favola era uno di quei generi letterari che poteva ancora offrire l’occasione di evasione e di speranza. Nella Gattafata, Orsola Nemi precipita il lettore in una mise en abyme in cui il narratore si trova in una casa misteriosa dove degli strani personaggi raccontano di un’avventura accaduta a una bambola e ai suoi amici, finiti dentro il paese di Meraviglia, inseguendo un gatto saltato dentro un quadro… È la notte dell’Epifania, e la favola narra di un fiabesco viaggio della bambola Vanetta e del suo amico Gianni Feltro, il portatore di sonno, che li condurrà davanti alla grotta di Betlemme, dove la tradizione incrocia la narrazione evangelica. Andata rocambolesca e felice ritorno: è una discesa fantastica in un mondo parallelo a quello della scrittrice, un universo pieno di animali di tutti i tipi, di fiori, frutta e ricami (non possiamo dimenticare che ella fu anche autrice di ricette di cucina e articoli su pizzi e merletti), e poi teiere parlanti, ghiandaie pettegole, alberi magici, lo spirito del fuoco, i Re Magi, le personificazioni dei venti, e, ancora, sogni, incantesimi, un pesce vecchissimo che si chiamava Adamo, appunto perché era nato ai tempi di Adamo e si ricordava del Paradiso Terrestre, ma soprattutto gatti, fra cui la Gattafata Marfisia, una grossa gatta nera dal manto luccicante, istruita, dignitosa, abituata a comandare.
La scrittrice e la sua amica Anna Banti riteneva che il talento della Nemi fosse una vera vocazione alla favola, e che ciò fosse chiaro fin dal 1940 quando Bompiani le ebbe stampato quel Rococò, più favola che romanzo. «La lingua infatti che essa usa è una delle più asciutte e limpide che oggi sia dato leggere, una lingua appunto, da favola classica. Con tali mezzi le sarà agevole, non ne dubitiamo, affrontare qualunque prova»19.
Un vincolo intellettuale quanto affettivo sembra emergere, in controluce, anche dalle lettere intercorse tra Orsola e Maria Bellonci tra il 1945 e il 1965, conservate presso la Biblioteca nazionale di Roma.
Credi, la questione delle biblioteche è per me assai grave; dovrei fare una traduzione per Alvaro, e il testo, un saggio di Hobbes è all’Alessandrina; se tu potessi farmi un biglietto per la signorina Ortiz che me lo favorisse io potrei mandarlo a prendere. Devo anche finire un romanzo che Longanesi ha già in catalogo – una leggenda che si svolge nel 1660 – e mi occorrerebbe un libro dove trovare qualche schiarimento sulla procedura contro gli eretici. Forse puoi consigliarmi. Ecco quante noie ti do! Non sono più a Documento e lavoro in casa. Ho una camera abbastanza simpatica e luminosissima senza nessuna comodità. Mi manca il telefono e non potevo dirti tutto ciò da un telefono pubblico. Ciao cara, mi raccomando il mio libro leggilo per favore e dammi sinceramente il tuo parere: non credo sia né molto bene né molto male. Forse quello che uscirà da Longanesi è un poco meglio. A me dirai il giudizio vero, ma poi per gli altri, naturalmente, vorrei un giudizio di parata. Capisci!!
Mi rincresce che non ci vediamo più spesso. Tu sapessi come le mie gambe non mi servono. È un guaio col freddo, senza autobus, ecc. Ciao, saluta per me tuo marito e ringrazialo cordialmente dell’interesse dimostrato per il mio libro20.
I rapporti, tuttavia, si intiepidirono negli anni Sessanta, quando Maria Bellonci pubblicò una recensione sul “Messaggero” non proprio gratificante per Le Signore Barabbino appena date alle stampe21. Nel 1949 Orsola Nemi uscì per Longanesi con Maddalena della palude: un romanzo che, pur continuando il fecondo filone della scrittrice improntato sul genere fantastico, sollevò notevolmente gli animi della critica letteraria22. Giuseppe De Robertis, in una breve segnalazione sul “Tempo”, apprezzò la «leggerezza di tocco della scrittrice, su una materia che si sarebbe prestata (qui il pericolo) a una pittura accesa»; Lorenzo Gigli, su “La Gazzetta del Popolo”, definì il libro un «riuscito pastiche della letteratura illuministica»23; ma sarà ancora una volta Anna Banti a dedicare una lunga recensione in “Illustrazione italiana” nel marzo del 194924. La critica su Maddalena fu ripresa anche anni dopo, in altre occasioni cariche di significato, quando recensire l’ultimo lavoro della Nemi per Vallecchi, Rotta a Nord25, significava attribuire una giusta importanza al libro finalista del Premio Strega26. D’altra parte i punti di contatto tra i due titoli erano notevoli ed evidenti: il misterioso fatto di cronaca legato alla scoperta di Mary Celeste, una vecchia nave a vela, che verso la fine dell’Ottocento fu avvistata andare alla deriva senza nessuno a bordo, divenne per “L’Osservatore Romano” «un quadro suggestivo di passioni e illusioni umane e di redenzione spirituale»; per Ferdinando Virdia, su “La Fiera Letteraria”, una «cupa […] disintegrazione […] tra sensi e sentimenti», soprattutto a proposito della figura femminile, nella cui rappresentazione psicologica Orsola Nemi avrebbe eccelso; per Giorgio Bàrberi Squarotti, su “La narrativa italiana del dopoguerra”, il volto «inquietante delle cose e della mente dell’uomo e dei suoi poteri». Nella congerie di recensioni uscite negli anni persino Emilio Cecchi molto dopo, nel 1960 sul “Corriere della Sera”, rievocherà quel «senso di mistero soffuso d’angoscia, e al medesimo tempo, bizzarro, quasi stregato» di Rotta a Nord.
Orsola Nemi è però anche la scrittrice dei pensieri, degli appunti di costume; la Nemi dei diari, come fu il di lei Taccuino di una donna timida dove si lascia intravedere una forza, una combattività e fin quasi un’aggressività che avremmo ritenuto impossibile conoscendone solo la parte elegiaca e fantastica. La Nemi del conservatorismo, forse anche opinabile, dove le riflessioni poetiche si alternano a vere e proprie requisitorie contro la lascivia, la mediocrità, la falsità del tempo. Sono grida sdegnose di un animo generoso, ma fermo; gentile, ma vigoroso; uno spirito che conosce il dolore, ma che in esso trova la forza per elevarsi ogni volta più in alto. «Quelli che scelsero la lealtà» titola un capitolo dell’autobiografia inedita di Irene Brin, facendo riferimento proprio alla figura della Nemi e del marito Henry Furst, spesso e volentieri accostati come una monade27. Ecco, allora, che la troviamo riflettere «con un indistinto brusio di fatti e di pensieri» su fatti di cronaca o su eventi di rilievo nazionale, sul progresso scientifico, sulla moda, sulla condizione femminile, sul suffragio universale. Pur non sentendosi capace di far critica letteraria, ella collaborò tuttavia con moltissime testate del suo tempo, da “L’Osservatore Romano” al “Giornale di Genova”: con “La Gazzetta del Popolo”, con il quindicinale “Totalità” (di Barna Occhini e del già citato Sigfrido Bartolini), con il longanesiano “Borghese”, con “Il Tempo”, con “Il Messaggero”.
Capisco sempre meno gli uomini e le donne che vivono intorno a me; cioè, li vedo in una prospettiva da allegoria, da rappresentazione sacra; mi sembrano solo simboli, figure di un tremendo dramma che non sanno di recitare, convinti come sono di rappresentare tutt’altra cosa. Non è certamente questo un punto di vista che li interessa. Inoltre era interessante per me scrivere quando poi ricevevo un giudizio o un apprezzamento da Enrico e, su un altro piano, quello per esempio di Longanesi. Ma adesso l’apprezzamento di chi mi importa?
Faccio le collaborazioni necessarie e non sempre è facile; e questo mi è più penoso di tutto. Per esempio, al Messaggero, quando mando articoli, non dico di critica (non ho la capacità di un critico letterario) ma articoli in cui parlo delle mie letture, sempre subiscono ritardi, e qualche volta sono rimandati perché c’è il critico in carica che non li vede di buon occhio. Pensi, io collaboro con il Messaggero da circa 15 anni e questo signore forse da due o tre. Ma ha ragione lui. Non si può vivere come io voglio vivere tranquillamente in casa propria, e avere la vita facile nelle redazioni28.
Spesso, soprattutto andando avanti negli anni, sembra emergere dalle lettere che invia agli amici più stretti una sorta di stanchezza o una rassegnazione verso delle condizioni economiche per lei sempre più asfissianti (tali da scrivere a molti editori affinché le affidassero nuove traduzioni), ma anche verso un clima sociale teso. Rari i momenti di entusiasmo come quello che la coinvolse pienamente dando alle stampe L’Astrologo distratto29, che pure non fruttò alcun tipo di ritorno economico rilevante.
Caro Mario [Soldati],
Volpe ti manderà l’Astrologo Distratto, spero che ti piacerà.
Le presentazioni dei mesi le avevo in parte già scritte, il resto lo raccolsi e illustrai l’anno passato, proprio in questi mesi, quando soffrivo tanto per via di quella storia del Borghese che mi era impossibile applicarmi a un lavoro serio. Ti raccomando il libro proteggilo, e se tu potessi fargli avere una recensione sul Giorno, o tanto meglio, se volessi tu parlarne sarebbe una fortuna. Un tempo i giornali erano restii a farmi le recensioni perché collaboravo al Borghese, da un anno non collaboro più, anzi sono stata maltrattata in maniera che forse non ti ho nemmeno raccontato, allora quell’ostacolo cade. Come sta tuo figlio. Spero e ti auguro di passare felicemente le feste di Natale. E poi si capisce, ti prego di farmi avere quel denaro nella prossima settimana, […] perché contando appunto su quel denaro mi sono dedicata a finire il libro per Rusconi. Anche l’Astrologo per adesso non mi ha reso nulla, l’Editore ha speso molto nell’edizione e di anticipi né Bartolini né io se n’è parlato. Ti abbraccio Orsola30.
Così, presto, anche la scrittura cominciò a portare il peso della penna («ma allora passa la voglia di scrivere; oppure bisogna prendere l’abitudine di scrivere, ma di non pubblicare. Ci arriverò senza fatica» diceva) e nonostante l’assidua intensità di un lavoro preciso e mai superficiale, come quello pluriennale per la biografia di Caterina de’ Medici31 (Rusconi, 1980), non poté che abbandonarsi all’ineluttabile. Quando Furst morì, la Nemi seppe trovare la forza per adempiere da sola ai mesti uffici, il dolore sembrò velare la primitiva serenità del suo volto, ma la fede non le permise di soggiacervi. «Noi comunque ci rivedremo», le aveva vergato su un foglietto il marito poco prima di morire, e lei aveva la certezza che si trattava, per questo, solo di attendere con pazienza la propria ora. Quest’ora suonò nel 1985.
Note
1 Ampia è la bibliografia sul tema, ma in questo contesto pare fondamentale citare: Stefano Vitali, Io sono uno che non butta…Io faccio delle pile…: rappresentazioni, immagini e fantasmi negli archivi di persona, in “Le Carte e la Storia. Rivista di storia delle istituzioni”, 2/2022, pp. 26-34; Andrea Giorgi, Se peindre pour ne pas se perdre. Considerazioni marginali in merito all’archivio come autorappresentazione, in “JLIS.it”, 2019, vol. 10 n. 3, pp. 59-70; Giovanni Di Domenico, Fiammetta Sabba (a cura di), Il privilegio della parola scritta. Gestione, conservazione e valorizzazione di carte e libri di persona, Roma, Associazione Italiana Biblioteche (AIB), 2020; Francesca Ghersetti, Annantonia Martorano, Elisabetta Zonca (a cura di), Storie d’autore, storie di persone. Fondi speciali tra conservazione e valorizzazione, Roma, Associazione Italiana Biblioteche (AIB), 2020; Elena Gonnelli, Quella dispersione che noi siamo e facciamo: il caso dell’archivio Luciano Pera, in “Actum Luce. Rivista di studi lucchesi”, 2018, n. 47, pp. 171-179; Antonio Romiti, Gli archivi privati visti da più prospettive, in Roberto Guarasci, Erika Pasceri (a cura di), Archivi privati. Studi in onore di Giorgetta Bonfiglio Dosio, Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, 2011, pp. 7-27; Myriam Trevisan, Archivi letterari, Roma, Carocci, 2009; Giulia Barrera, Gli archivi di persone, in Claudio Pavone (a cura di), Storia d’Italia nel secolo ventesimo. Strumenti e fonti, III, Roma, Ministero per i Beni e le attività culturali, Dipartimento per i beni archivistici e librari, Direzione generale per gli archivi, 2006, pp. 678-657; Catherine Hobbs, The Character of Personal Archives: Reflections on the Value of Records of Individuals, in “Archivaria”, 2001, n. 27, pp. 126-135. Importanti anche i progetti digitali, quali (per rimanere in area toscana) quello avviato dalla Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana in SIUSA, Archivi di personalità – censimento dei fondi toscani tra Otto e Novecento, https://siusa.archivi.beniculturali.it/personalita, ultima consultazione di tutti i link: 1° novembre 2023.
2 Un interessante intervento sulla disposofobia archivistica è stato fatto da Gilda Nicolai, Il futuro non è più quello di una volta: disposofobia e decluttering archivistico, durante il Convegno internazionale in onore di Laura Giambastiani “Archivi e archivistica”, Firenze, 5-7 giugno 2023, Atti del convegno in corso di stampa.
3 Giorgio Cencetti, Sull’archivio come universitas rerum, in “Archivi”, 1937, n. 4, pp. 7-13.
4 A cura delle eredi Francesca ed Emanuela Rotta Gentile è il sito internet dedicato a Orsola Nemi che riporta molti testi e molte fotografie provenienti dall’archivio personale della scrittrice, https://orsolanemi.wordpress.com/biografie. Emanuela Rotta Gentile è autrice anche di alcune pubblicazioni a stampa, tra le quali un recente saggio in Paola Polito, Antonio Zollino (a cura di), Per Orsola Nemi ed Henry Furst: saggi e testimonianze, Sarzana, Agorà, 2021, pp. 5-15.
5 Sul vincolo quadripartito e polimorfo: Antonio Romiti, Il metodo storico e la teoria del vincolo unico ‘polimorfo’, in Raffaella Maria Zaccaria (a cura di), L’adozione del metodo storico in archivistica: origine, sviluppo, prospettive, Salerno, Laveglia & Carlone, 2009, pp. 25-47; Antonio Romiti, Archivistica generale. Primi elementi, Lucca, Civita Editoriale, 2020.
6 Una prima azione in questo senso era stata fatta da chi scrive, analizzando il solo carteggio conservato presso il Centro Studi Sigfrido Bartolini di Pistoia: Elena Gonnelli, Tra memoria e ricordo: la biografia di Orsola Nemi attraverso il carteggio con Sigfrido Bartolini, in Laura Giambastiani (a cura di), Archivi ieri e oggi, Lucca, Pacini Fazzi editore, 2019, pp. 36-49. Il bacino documentario di questo centro studi offre uno spaccato sul Novecento italiano di indubbio rilievo: tutto il complesso archivistico è stato dichiarato di interesse culturale e consultabile dal sito internet del Centro Studi Sigfrido Bartolini, https://www.sigfridobartolini.it e dal Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche (SIUSA), https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/siusa/pagina.pl?TipoPag=comparc&Chiave=397760&RicFrmRicSemplice=sigfrido%20bartolini&RicVM=ricercasemplice&RicSez=complessi. Per un’introduzione generale al Centro Studi, per notizie sulla sua Biblioteca e sugli Archivi cfr. Simonetta Bartolini, Pamela Giorgi, Elena Gonnelli (a cura di), L’Archivio Sigfrido Bartolini, Quaderni di Archimeetings, Firenze, ANAI Toscana edizioni Polistampa, 2019.
7 «La corrispondenza pone normalmente in contatto due persone – e tale legame bipolare viene di solito mantenuto nelle edizioni –, ma il consolidarsi di rapporti stabili e ramificati consente di utilizzarla quale strumento per tenere in relazione un numero più elevato d’individui», in Andrea Giorgi, Stefano Moscadelli, «Leggo sempre volentieri le lettere del vostro bravo corrispondente». Reti di persone e istituzioni nelle corrispondenze di storici ed eruditi nei decenni centrali dell’Ottocento, in Andrea Giorgi, Stefano Moscadelli, Gian Maria Varanini, Stefano Vitali (a cura di), Erudizione cittadina e fonti documentarie. Archivi e ricerca storica nell’Ottocento italiano (1840-1880), Firenze, Firenze University Press, 2019, pp. 71-165: 125. Un recente contributo sugli epistolari e la loro importanza come rete di relazione è in Francesco Zavattoni, Using Correspondence to Underline Changes in a Historiographical Network. Ideas for an Inter-Archival Analysis Starting from the Correspondence Between Armando Sapori, Gino Luzzatto, Roberto S. Lopez and Angelo Sraffa, in “JLIS.It”, 2020, n. 11, pp. 106-129.
8 Le ricerche sin qui condotte non hanno la pretesa di essere definitive, anzi, l’auspicio è quello di poter continuare a studiare la figura, la letteratura e anche le relazioni di Orsola Nemi alla luce del suo archivio personale, quando sarà possibile. Per la disponibilità e per la gentilezza dimostrata nel farmi accedere alla documentazione è doveroso ringraziare tutti gli istituti qui citati e in particolare Dott. Tiziano Chiesa (Fondazione Mondadori) e tutto il personale della sala studio, la Dott.ssa Raffaella Gobbo (Centro APICE), la Dott.ssa Eleonora Cardinale (Biblioteca Nazionale Centrale di Roma), la Prof.ssa Fausta Garavini (Fondazione Longhi), la Sig.ra Pina Bartolini e la Prof.ssa Simonetta Bartolini (Centro Studi Sigfrido Bartolini).
9 Lettera da Orsola Nemi, 16 gennaio 1958, in Biblioteca del Centro APICE – Biblioteca Statale di Milano, Archivio Valentino Bompiani. Sull’archivio Valentino Bompiani si veda anche Lodovica Braida (a cura di), Valentino Bompiani: il percorso di un editore artigiano: Atti della giornata di studi organizzata dal Dipartimento di scienze della storia e della documentazione storica dell’Università degli studi di Milano, 5 marzo 2002, Milano, Bonnard, 2003.
10 Intervista rilasciata a Giuseppe Grieco per la rivista “Grazia”, 5 novembre 1961, pp. 58-61; la notizia è riportata anche in Dizionario Biografico degli Italiani Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/flora-orsola-nemi-vezzani_%28Dizionario-Biografico%29/.
11 Sei domande a Orsola Nemi, in “La Fiera Letteraria”, 29 luglio 1962. La citazione si trova anche in Luisa Ricaldone, «Contraddire» da destra: il caso di Il Sarto stregato di Orsola Nemi (1960), in “Italies”, 2000, n. 4, pp. 387-401, http://journals.openedition.org/italies/2286. La scrittura al femminile era un tema sensibile per Orsola e viene spesso commentato all’interno del suo carteggio. Si veda in proposito anche una lettera inviata nel dicembre del 1940 a Lucia Morpurgo Rodocanachi dove si tratta proprio dell’arte delle donne. Biblioteca Universitaria di Genova, Fondo Lucia Morpurgo Rodocanachi, Serie corrispondenza, “Fasc. Nemi Orsola”, 3 dicembre 1940.
12 Orsola Nemi, Taccuino di una donna timida (1955-1965), Milano, Edizioni del Borghese, 1969, ora ripubblicato in Orsola Nemi, Taccuino di una donna timida (1955-1965), con una nota di Beatrice Masini, Milano, Bompiani, 2019. La scheda di recensione sul sito Orsola Nemi, https://orsolanemi.wordpress.com/recensioni/taccuino/.
13 Biblioteca del Centro APICE – Biblioteca Statale di Milano, Archivio Soldati, “Fasc. Corrispondenza, Orsola Nemi”, serie 14.2, u. 4, 28 febbraio 1970. Mario Soldati conosceva Henry Furst sin dalla fine degli anni Venti quando era bibliotecario alla Paternò Library della Casa Italiana, nella Columbia University: «Se penso agli altri otto o nome amici della mia vita (non credo che se ne possa avere molti di più, amici veri) devo ammettere di non ricordarmi, per quanti sforzi faccia, il primo incontro. Ma con Furst, sì». In Mario Soldati, Rami secchi, Milano, Rizzoli, 1989, pp. 126-127.
14 Sigfrido Bartolini, La gentilezza armata, in “Nuova Repubblica”, n. 47, 27 dicembre 1970.
15 Sulla traduzione di Bouvard e Pécuchet di Gustave Flaubert cfr. Biblioteca Universitaria di Genova, Fondo Lucia Morpurgo Rodocanachi, Serie corrispondenza, “Fasc. Nemi Orsola”, 23 aprile 1943.
16 «L’incontro con Leo Longanesi e gli anni di lavoro vissuti accanto a lui, avevano arricchito la sua naturale vena poetica di un estro vivace, del gusto pungente della polemica e di quell’intelligenza che fa fiutare da lontano, e scartare, ogni possibile caduta nel noioso, nel retorico e nell’artefatto. E lei riconosceva il grande vantaggio venutole dalla vicinanza con Longanesi al momento della propria formazione, e sempre citava l’amico insostituibile portandolo ad esempio contro tanto cattivo gusto imperante, in particolare nel campo delle cose religiose, e parlava di lui con venerazione esaltandone l’intelligenza, il gusto e le intuizioni che si sforzava, a sua volta, di trasportare nel proprio mondo pur così lontano dalla satira longanesiana». In Archivio Sigfrido Bartolini, Scritti editi e inediti, Ricordo di Orsola Nemi, 1985, c. 1. Sul rapporto con Longanesi e sul suo lavoro come traduttrice si veda anche Orsola Nemi, Racconti meravigliosi, 1944-1949, prefazione di Simonetta Bartolini, Firenze, Lorenzo de’ Medici Press, Firenze, 2018, pp. 5-7.
17 L’impegno della Nemi sulle favole e sulle fiabe (ella non fa distinzione di genere, chiamandole in un modo o nell’altro a discrezione) è testimoniato nel carteggio con Giulietta Veronesi, impiegata nella casa editrice Rosa e Ballo alla quale la Nostra propone diversi progetti editoriali sul tema: dalla pubblicazione del racconto per bambini Lena e il Bombo, a nuove e inedite favole dialogate, fino alla traduzione di fiabe indiane. Fondazione Mondadori, Fondo Rosa e Ballo, “Fasc. Nemi Orsola”, n. 122, cc. 32, 11 maggio 1943 – 14 settembre 1946. Interessanti anche le testimonianze conservate nel Fondo Archivio Storico Il Saggiatore, sempre presso Fondazione Mondadori, casa editrice a cui invierà nel 1952 il suo Tesoro delle galline. Fondazione Mondadori, Archivio Storico il Saggiatore, “Fasc. Orsola Nemi”, 14 marzo 1952.
18 Orsola Nemi, Nel paese della Gattafata. Fiaba, con sei disegni fuori testo di Giorgio de Chirico, Roma, Ed. Documento, 1944; Orsola Nemi, Nel paese della Gattafata, postfazione di Maurizio Rotta Gentile e illustrazioni di Sergio Ruzzier, Milano, Bompiani, 2017.
19 Anna Banti, Appunti, in “Paragone”, 1955, n. 72, p. 128.
20 Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, Fondo Maria Bellonci, Carteggio, 8 gennaio 1946, Segnatura: Arc31 1946-1. Il libro cui fa riferimento la Nemi nella lettera, che invia a Maria Bellonci per una sua recensione è Anime disabitate, uscito per l’editore Atlantica nel 1945.
21 Orsola Nemi, Le signore Barabbino, Milano, Rizzoli, 1965. «Cara Maria, ti ringrazio di esserti occupata del mio libro sul Messaggero. Tanto più apprezzo la buona volontà con cui hai affrontato questo dovere di ufficio quanto meglio intendo che il mio libro non ti piace, né in genere ti piacciono i miei libri. Infatti non te l’avevo mandato, per non mettere a disagio la tua cortesia. Grazie dunque per avere ricordato anche Maddalena e per l’attenzione dedicata alle Signore Barabbino. Spero che porti loro fortuna. Ti saluto affettuosamente e ti auguro ogni bene. Enrico si ricorda di te e ti manda i suoi ossequi. Orsola Nemi», in Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, Fondo Maria Bellonci, Carteggio, 25 ottobre 1965, Segnatura: Arc31 1965-164.
22 Orsola Nemi, Maddalena della palude, Milano, Longanesi, 1949.
23 Le recensioni in L. Ricaldone, «Contraddire» da destra: il caso di Il Sarto stregato di Orsola Nemi (1960), cit., https://journals.openedition.org/italies/2286. Su Giuseppe De Robertis si veda anche Archivio contemporaneo “Alessandro Bonsanti” Gabinetto G.P. Vieusseux, https://www.vieusseux.it/inventari/derobertiscorr.pdf dove la Nemi risulta tra i mittenti della sua corrispondenza proprio nell’anno 1949.
24 Anna Banti, Opinioni, Milano, Il Saggiatore, 1961, pp. 136- 137.
25 Orsola Nemi, Rotta a Nord, Firenze, Vallecchi, 1955, ripubblicato da Rusconi (Milano) nel 1977.
26 Rotta a Nord venne presentato nel luglio del 1953 ad Alberto Mondadori sotto consiglio dell’amica Alba de Céspedes, ma rifiutato nel dicembre dello stesso anno: «Gentile Signorina, il nostro comitato di lettura ha dato un lusinghiero parere sul manoscritto che Lei ha avuto la cortesia di inviarci, giudizio che io condivido pienamente, ma purtroppo se io lo accettassi adesso lo condannerei irrimediabilmente a una lunghissima attesa negli archivi. Corrisponderebbe questo al desiderio che ho di vedere pubblicato il libro, e ai sentimenti amichevoli che nutro per Lei? Evidentemente no. Preferisco quindi restituirle il manoscritto, augurando a Lei e alla Sua opera il miglior successo. Con molte cordialità» (Fondazione Mondadori, Archivio Storico il Saggiatore, “Fasc. Orsola Nemi”, 9 dicembre 1953). Per la corrispondenza tra Orsola e Alba a riguardo cfr. Fondazione Mondadori, Fondo Alba de Céspedes, “Fasc. corrispondenza scrittori – 1953”, 20 giugno 1953; ivi, 4 luglio 1953. Pubblicato pertanto da Vallecchi editore, con questo romanzo la Nemi riscuoterà un grandissimo successo, risultando nel 1955 anche finalista a Premio Strega.
27 Galleria nazionale d’arte moderna, fondo archivistico Irene Brin, Gaspero del Corso e L’Obelisco, sottoserie Dattiloscritti e manoscritti di Irene Brin, 2. “1952 – L’Italia che esplodè autobiografia inedita di Irene Brin”. L’amicizia tra Orsola e Irene è ampiamente testimoniata anche nel fondo archivistico Lucia Morpurgo Rodocanachi, conservato presso la Biblioteca Universitaria di Genova e reso disponibile online grazie al virtuoso progetto di Archivi del Novecento in Liguria, Carte d’autore online, https://www.cartedautore.it/archivi/unige.html.
28 Archivio Sigfrido Bartolini, Serie Carteggio per corrispondenti, “Fasc. Orsola Nemi”, 1969.
29 Orsola Nemi, L’Astrologo distratto, illustrato con xilografie originali di Sigfrido Bartolini, Roma, Volpe edizioni, 1971.
30 Biblioteca del Centro APICE – Biblioteca Statale di Milano, Archivio Soldati, “Fasc. Corrispondenza, Orsola Nemi”, serie 14.2, u. 4, 7 dicembre 1971.
31 Orsola Nemi, Henry Furst, Caterina de’ Medici, Milano, Rusconi, 1981. Orsola decise di far uscire il libro con il nome del marito, anche se era già morto da tempo (15 agosto 1967), per rispetto verso l’idea e verso il progetto che avevano avuto insieme. La scrittrice fu da sempre e per sempre molto legata alla memoria di Furst: non solo volle donare la sua biblioteca alla biblioteca dell’Istituto Britannico di Firenze con il vincolo di non smembramento, ma fu lei stessa a curare per Longanesi la raccolta degli scritti. Orsola Nemi (a cura di), Il meglio di Henry Furst, prefazione di Mario Soldati, introduzione di Ernst Jünger, Milano, Longanesi, 1970.