Gli “eterni iloti”: le campagne mantovane e la politica tra XIX e XX secolo

The “eternal helots”: Mantua’s peasant and politics between XIX and XX century

In apertura: immagine tratta dal periodico “Il Pellagroso” (L’Emeroteca Digitale, Biblioteca Nazionale Braidense, https://emeroteca.braidense.it).

1. Gli “eterni iloti”1. La fame contadina nelle pagine dell’“Avanti!”

Il socialismo padano ha le sue origini nella terra, e con essa nei suoi lavoratori che sono giunti ad avere una coscienza di classe e un’«opinione media», seppur tramite divulgazione che volgarizzava i principi elementari del socialismo2. Colpiti dalla miseria e dalla malattia, essi arrivano a formare le leghe, per scontrarsi con il padrone. La lega è uno strumento a due facce, celate entrambe dietro la combattività contadina, che dalla fine dell’Ottocento agisce in due poli opposti: uno di azione sul campo, organizzatore di scioperi e contestazioni, e l’altro nell’ombra del retrobottega, che prepara all’azione la classe contadina tramite l’istruzione e la propaganda, riuscendo così a rivoluzionare gli abitanti di un mondo non ancora liberato da pesanti e complessi residui feudali3.

Furono anni difficili, soprattutto per la categoria dei braccianti, assoldati solo stagionalmente, che non potevano quindi permettersi di lavorare le giornate che servivano per il sostentamento di un’intera famiglia4. Per questo inizia una stagione di lotte, tra le quali mi sento di ricordare il fenomeno de “La boje!”: essa nasce durante gli anni peggiori della crisi agraria in varie zone, tra cui nel mantovano e nel polesine, quando il divario di ricchezza tra il contadino e il proprietario diventa estremamente sproporzionato5.

L’urlo terribile che recita «la boje, la boje e de boto la va de sora»6 (bolle, bolle e poi scoppia) è stato portato in campo dagli scioperanti in diverse versioni7, a testimoniare la varietà di persone diverse che popolavano il territorio; “La boi”, che tradotto significa “sta bollendo”, metafora per una pentola che sta per strabordare, evoca la rabbia che si percepisce in azioni e rivendicazioni, come gli incendi di fienili e i tagli delle viti che dal 1882 fino al 1885 colpiscono le aziende dei principali proprietari, che spesso sono gli stessi che inviano le truppe per sedare le rivolte o per sostituire gli scioperanti8.

Gli scioperi de “La boje!” sono interpretabili come un fenomeno di dimensione poco più che regionale, ma anche il preludio di una grande stagione di movimenti, che arriva a un suo massimo storico nel 1901, con 629 scioperi e 222.985 scioperanti nell’agricoltura, sparsi per tutto il Nord Italia. Un boom che raggiunge anche Mantova e Polesine9, le zone che, tra le altre, avevano già fatto da culla per il moto iniziato nel 1882. Gli scioperi di quell’anno furono molto più duri dei precedenti, e questo è dovuto in parte anche alla carenza di lavoro per i braccianti: l’innovazione tecnica stava portando anche in Italia le macchine, oltre che il concime, togliendo mansioni agli avventizi, rimasti in questo modo privati di un modo di sopravvivere e dei momenti di socialità collettiva10. Questa fase di scioperi è particolarmente rilevante anche per la sua conseguenza: cominciano infatti i preparativi per una grande riunione, tenutasi nel 1901, dei rappresentanti leghisti di tutta Italia, per dare una facciata burocratica alle rivendicazioni contadine. Le differenze di tradizioni, istruzione, culture e di contratti e sistemi agricoli rendono difficile un coordinamento del movimento11. Nonostante poi una partecipazione veramente da tutta Italia, fine, la stragrande maggioranza dei delegati nel grande Congresso fondativo della Federazione nazionale italiana dei lavoratori della terra (Fnlt), è formata da dirigenti di leghe e federazioni padane.

Nel congresso (e già prima, ma in modo meno sistematico) ovviamente entra in gioco, a compiere un lavoro di coordinamento delle azioni e di inquadramento nei ranghi delle forze rivoluzionarie, il Partito Socialista, che nell’organo di stampa, l’“Avanti!”, esprime eccitazione per l’accadimento.

Ad esempio, nel numero del 26 novembre, due giorni dopo lo svolgimento del congresso, in seconda pagina, troviamo un’impressione a caldo rilasciata da Ivanoe Bonomi, che all’epoca era un influente socialista rivoluzionario particolarmente attivo a Mantova, sua terra d’origine:

Vi scrivo sotto una grande impressione. Lo spettacolo che offriva un’ora fa il Congresso dei contadini, questa grande assemblea rappresentante centocinquantamila lavoratori della terra che si leva come un solo uomo per acclamare il socialismo, è ancora davanti ai miei occhi12.

 

Fig. 1. Vignetta satirica, in “Avanti!”, 1 dicembre 1901, p. 1 (Senato della Repubblica – Avanti, https://avanti.senato.it).

Anche se i lavori di congresso hanno mostrato difficoltà da affrontare e differenze di situazione forti tra i diversi membri, l’entusiasmo è forte, e grande è il fermento sul giornale, che arriva anche a porre in prima pagina una vignetta satirica sul tema della socializzazione della terra, a cui i repubblicani sono fortemente ostili.

Ma, se i contadini vengono descritti in modo così positivo (seppur con qualche infantilizzazione del loro carattere nelle descrizioni date dagli esponenti del partito), allora perché, prima dell’inizio di un inquadramento, qualche mese prima del congresso, vengono usate contro di loro, nello stesso giornale, queste parole?

Questi eterni iloti hanno in sé incarnata la immoralità della religione che professano; sotto l’eterna sommissione, nelle dure fatiche covano sempre un desiderio violento di fiaccare la baldanza del padrone e l’esosità del prete che riduce ancor più magre le loro risorse e più scarsi i loro pasti. La miseria li spinge un momento ai peggiori concessi di crudeltà; ma è ancora dessa, congiunta con la più crassa ignoranza, la causa della loro poca resistenza13.

Queste dure sentenze nei confronti dei contadini di Levata, Sforzatica e Albegno14, da mesi in sciopero, mettono in risalto la condizione dei dirigenti socialisti, che, seppur militanti, falliscono nell’aver totale compassione per i contadini, le cui azioni sono dovute alla fame.

Usare come fonte l’organo di partito risulta sicuramente in voci non solo di parte (cosa che ovviamente si prende in considerazione iniziando un lavoro di ricerca di questo genere) ma anche in contrapposizione tra di loro di giorno in giorno, a seconda di cosa può risultare “comodo” per la propaganda. Quali altre fonti si possono dunque consultare per avere uno sguardo più intimo e genuino sulla vita, gli ideali e le pratiche di questi contadini?

2. Storia dal basso: oltre “La boje!” e gli scioperi del 1901

Esistono molte modalità e fonti differenti per raccontare la storia dei contadini padani di quei tempi. Proverò in questo paragrafo a sondare brevemente alcuni approcci che ho potuto esplorare, concentrandomi sulla realtà effervescente e articolata di Mantova, per poter delimitare il campo di indagine.

Una voce molto interessante proviene, ad esempio, sì dal partito, ma dai suoi organi periferici: nel mantovano era fortemente legato all’azione delle leghe il settimanale “Nuova Terra”. Seppur contenendo parole spesso critiche nei confronti delle azioni contadine, alcuni estratti risultano interessanti perché contengono il punto di vista dei rappresentanti del Partito Socialista provinciale, che spesso svelano le posizioni più genuine prese dai rappresentati. Questi votavano soprattutto tramite la conoscenza diretta dei candidati provinciali. Un esempio che mi sento di proporre è la figura di Giuseppe Bertani. La maggior parte del movimento era formata da uomini come Bertani, proveniente da una famiglia di contadini, con una giovinezza passata, come egli stesso scrive, «tra la tormenta della più squallida miseria»15. Il dato interessante che si può rilevare da Bertani e tanti come lui che scrivono sui giornali di provincia, è la durezza con cui muovono invettive contro gli intellettuali che non sfruttano la loro cultura per istruire il proletariato, ma in funzione di prediche politicheggianti che finiscono con l’esclusione dal discorso del quarto stato:

Lavoratori! […] Il partito socialista è il partito dei lavoratori, lasciate agl’intellettuali le discussioni idealiste, noi teniamoci al capo saldo della nostra emancipazione, […] non cessiamo un solo minuto di fare la propaganda minuta attraverso ai nostri fratelli, educhiamo, teniamoci ai fatti più che alle parole. E voi (intellettuali), che invece di compiere opera educatrice in mezzo ai lavoratori sprecate le vostre energie dilaniandovi a vicenda e dando spettacolo detestabile di discordia, badate a quel popolo che oggi dorme, domani si sveglierà e come terrà conto delle benemerenze dovutevi, saprà ricordarsi le vostre colpe16.

La critica che Bertani muove non si ferma al criticare la fazione a lui opposta, quella dei socialisti rivoluzionari, ma si rivolge a chiunque ponga la teoria prima della praticità della dottrina, restando fermamente convinto che le «tendenze […] fossilizzano il dibattito e lo schiacciano su questioni astruse o personali»17.

Un altro esempio di stampa lo voglio recuperare da tempi più lontani: parlo de “Il Pellagroso”. Questo settimanale locale, attivo solamente dal 1884 al 1885 ed edita a Castel D’Ario negli anni de “La boje!”, parla dei problemi vissuti dai contadini, e, soprattutto, dagli avventizi, e ricorda quali sono le motivazioni della loro vita scomoda. Il titolo del periodico è accompagnato da una vignetta raffigurante un contadino, riportata sulla copertina dell’articolo: esso ha il volto scavato dalla fame e dalla malattia, ed è circondato dagli attrezzi del mestiere, ma anche da ciò che gli provoca la pellagra stessa, acqua e polenta. Lo scopo dell’immagine è denunciare lo sfruttamento dell’avventizio, e incoraggiare la lotta contro i soprusi padronali, scaldando gli animi. Tra i vari testi sulla tematica presenti nel settimanale voglio riportare un estratto da una poesia:

Poi venuto all’età virile

Ebbi in compagni, zappa e badile

E quando la sera a casa venia

Sempre dicevo l’Ave Maria.[…]

Due son morti e sei son restati

Per fare un mucchio di disperati. […]

Oh! Cosa valse tanto pregare? […]

Piuttosto che credere che siavi un Ente

Voglio morire incandescente18.

Nella poesia appare un’altra tematica della rivista: la civiltà contadina mantovana spesso ha un rapporto problematico con la fede, passando dal parlare di un Cristo “dei proletari” al criticare i predicatori, che, come i politici, sfruttano l’ambivalenza del quarto stato nei confronti della chiesa: l’esempio folgorante di questa pratica è la famosa “Predica di Natale” di Camillo Prampolini19.

Uno degli obiettivi da darsi durante le ricerche sulla cultura popolare è riuscire a fare esprimere direttamente le classi più povere. Purtroppo, nessuno dei diretti testimoni è ancora vivo20, ma nessuno ci ferma dal raccogliere le voci di queste persone, anche senza la possibilità di udirle; le tracce di questa vivacità intellettuale diversa dalla norma convenzionale si possono osservare ancora. Basti pensare alle sagre di paese, o agli stornelli e alle canzoni che i nostri nonni intonano. Queste tracce non scritte ci riportano ai momenti liberi della gente delle campagne del Mantovano e oltre, e sono per questo una fonte preziosissima di informazioni sulla cultura e le idee in circolo all’epoca.

Vorrei soffermarmi, anche se brevemente, sull’importanza delle canzoni nella cultura contadina: esse erano politiche, talvolta giocose, e venivano cantate spesso per scandire il lavoro nei campi, diventando una delle fonti primarie di cultura politica per molti braccianti. Gode all’epoca di grande popolarità in particolare il Nuovo Canzoniere Illustrato21 dell’editore e ciarlatano di professione Arturo Frizzi, mantovano. Il libretto contiene i testi delle più famose canzoni popolari socialiste, ma, in intestazione, nella sezione superiore di ogni pagina, riporta piccoli ritratti di personaggi influenti, sia su panorama internazionale che su quello provinciale, con delle brevi biografie.

 

Fig. 2. Pagina di canzoniere con ritratto e biografia di Maria Goia, unica donna riportata nell’edizione insieme ad Argentina Altobelli; fu attiva a Mantova (Arturo Frizzi, Nuovo canzoniere illustrato, Mantova, Frizzi, 1907, p. 19).

Forse, infine, i documenti che vanno a testimoniare l’aspetto più materialistico dei moti sono i veri e propri risultati ottenuti. Essi dimostrano che ciò che sembra un piccolo traguardo è invece andato a influenzare le politiche nazionali, e ricordano quanto potere decisionale avessero i braccianti stessi nell’ambito locale.

Tra questi documenti ricordo in particolare il resoconto del Congresso per l’organizzazione economica del «proletariato campagnuolo»22, seguito da una merenda insieme, tenuto nel settembre del 1900 a Ostiglia. L’“Avanti” ha ricevuto a riguardo delle corrispondenze, sulla base delle quali possiamo ricostruire la vicenda dell’organizzazione e dell’adunata di tutte le leghe della zona, che costituiscono un nucleo fondamentale di un organismo destinato ad allargarsi23, fino ad arrivare all’evento epocale costituito dal congresso di Bologna, tenuto l’anno successivo. La parte forse più interessante di questo evento fu il fatto che un elemento altamente codificato come l’adunata iniziale, sia andata a intersecarsi con elementi tipici dell’organizzazione tradizionale campagnola. L’assemblea è seguita prima da una sfilata, poi da una merenda, che era un tipico metodo di aggregazione e socializzazione campestre.

Un altro documento che vale la pena interpellare sono le tabelle compilate da Bonomi e Vezzani per la “Critica sociale”, che ci danno un’idea di come gli scioperi del 1901 abbiano influito sui salari dei braccianti24.

3. Adottare la storia culturale per indagare il tema del rappresentante e del rappresentato

Con gli esempi che ho riportato nel secondo paragrafo ovviamente non ho ricoperto tutte le possibilità o le tipologie di fonti accessibili per poter avere un quadro più completo della cultura e della storia contadina mantovana. Ciò che spero di aver generato è curiosità nei confronti di questi frammenti di microstoria, che nel loro insieme raccontano forse una storia nuova e diversa riguardo ad argomenti che vengono sempre indagati nei quadri generali dei grandi moti storici.

 

Fig. 3. S. Rocco di Quistello: monumento al Capolega di G. Gorni (Arnaldo Maravelli, Benvenuto Guerra, Scuola museo paese, Suzzara (MN), Arti Grafiche Bottazzi e c., 1980, p. 98).

Indagando questi aspetti di cultura popolare si può infatti dare spazio e parola alla figura del rappresentato, il contadino, il bracciante avventizio, la mondina, che solitamente tende a restare sullo sfondo, senza nome o carattere. La storia delle lotte nel mantovano tra Ottocento e Novecento è quella del popolano smunto e mangiato dalle malattie e dalle fatiche, spigoloso, di cui tanti (ma non tutti) hanno ormai dimenticato il nome; è quella del capolega raffigurato nella statua di Giuseppe Gorni (1894-1975), che dal 1974 si erge a San Rocco di Quistello25. Proprio in questa piccolissima realtà, attorno al 1890 (o 1895)26, Antenore Pedrazzoli introduce nelle squadre che si formano per cercare lavoro a cottimo il principio della uguale ripartizione del guadagno e del mantenimento nella formazione dei più deboli27.

Ma la storia delle lotte sta anche in un margine che viene ignorato ancora di più: se le fonti sui contadini sono poche e spesso perse nell’oralità dei racconti, la storia delle donne di questi movimenti viene totalmente ignorata: le contadine mantovane sono vittima di misoginia da parte dei compagni maschi, e le leghe femminili non vengono ricordate. Ivanoe Bonomi afferma che le leghe maschili sono migliori rispetto a quelle femminili, perché la donna è «più debole e quindi più irritabile dell’uomo»28. L’unica vera traccia che ci rimane di queste donne sono alcuni dei loro nomi, pochissime loro parole e, soprattutto, le canzoni popolari, tra cui La lega (sebben che siamo donne)29 e Sciur padrun30 sono le più ricordate, e diventano loro testamento politico e ideale.

Proprio per evitare che le donne delle leghe femminili, o i braccianti di San Rocco, vengano dimenticati nel grande spazio vorticoso che è la storia, è importante sfruttare a pieno il potere della storia culturale e la micro-storia. Bisogna ricordare che in questi avvenimenti, che pur ci sembrano così piccoli, e in queste idee politiche, che a tratti troviamo così semplicistiche, affondano le radici di un movimento che ha cambiato per sempre le sorti dell’Italia intera.

Chiudo, quindi, dando voce a una delle tante protagoniste di questa importantissima storia:

Adesso ho 91 anni e mezzo. […] Ho lottato per fare le otto ore, come socialista ho lottato tre mesi e abbiamo anche fatto la fame, con cinquanta franchi alla settimana non si mangiava dal levante al tramonto con i compagni a combattere tutti assieme, fratelli realmente, abbiamo messo insieme tutto questo per lottare, per avere un po’ di respiro. Abbiamo lottato però la nostra lotta è stata vinta. Adesso tanti, meschini, hanno il coraggio di dire che noialtri vecchi eravamo ignoranti. Non so dire che spiegazione è questa31.

 

Fig. 4. “Zappatrici”, incisione di Giuseppe Gorni, collezione B. Guerra (Arnaldo Maravelli, Benvenuto Guerra, Scuola museo paese, Suzzara (MN), Arti Grafiche Bottazzi e c., 1980, p. 147).


Note

1 L’agitazione dei lavoratori, in “Avanti!”, 3 giugno 1901, p. 2.

2 Maurizio Degl’Innocenti, Geografia e istituzioni del socialismo italiano, Napoli, Guida, 1983, p. 57.

3 Renato Zangheri (a cura di), Lotte agrarie in Italia: la Federazione nazionale dei lavoratori della terra 1901-1926, Milano, Feltrinelli, 1960, p. XIV.

4 Guido Crainz, Padania: il mondo dei braccianti dall’Ottocento alla fuga dalle campagne, Roma, Donzelli, 1994, p. 111; qui si trovano le stime di occupazione dei braccianti nei vari mesi.

5 Luigi Cavazzoli, Rinaldo Salvadori, Storia della cooperazione mantovana dall’unità al fascismo: tradizione associativa e civiltà contadina, Venezia, Marsilio, 1984, p. 38; qui vengono riportati dati sui possedimenti fondiari di proprietari e contadini nel Mantovano, che possono tornare molto utili nel caso di una ricerca sul tema.

6 Crainz, Padania, cit., p. 60.

7 In Renato Zangheri, Storia del socialismo italiano: dalle prime lotte nella Valle Padana ai Fasci siciliani (vol. 2), Torino, Einaudi, 1997, p. 109, viene scritto nelle tre versioni di “la boje!”, “la bogie”, “la boi”; tutti sono comunque derivati dal verbo “bojar” che esiste anche prima dei moti a Mantova, e viene usato per indicare «disposizione all’ira, alla contesa e simili»; Zangheri riporta appunto anche il motto «la boje e la va de sora».

8 Crainz, Padania, cit., p. 61.

9 Zangheri (a cura di), Lotte agrarie in Italia, cit., p. XXX.

10 Crainz, Padania, cit., p. 83.

11 In “La Nuova Terra”,12-13 ottobre 1901, a. IV, n. 162.

12 Ivanoe Bonomi, Il primo Congresso dei contadini (nostri telegrammi particolari), in “Avanti!”, 26 novembre 1901, p. 2.

13 L’agitazione dei lavoratori, in “Avanti!”, 3 giugno 1901, p. 2.

14 Ibidem.

15 Carlo Longhini, …Splende il sole dell’avvenir. Giuseppe Bertani. Contadini e socialisti a Curtatone e nel Mantovano. Dalle Leghe al Fascismo (1895-1922), Mantova, Sometti, 2009, p. 21.

16 Giuseppe Bertani, Diagnosi dolorosa, in “La Nuova Terra”, 6 settembre 1903, p. 1.

17 Longhini, …Splende il sole dell’avvenir, cit., p. 109.

18 Griso, Canto d’un pellagroso ateo, in “Il Pellagroso”, 29 dicembre 1884, p. 2.

19 Degl’Innocenti, Geografia e istituzioni del socialismo italiano, cit., p. 100; per leggere la “Predica di Natale” di Prampolini vedere Circolo Rosselli Milano, https://www.circolorossellimilano.org, consultato l’ultima volta in data 25.1.2024.

20 Uno dei pochi lavori al riguardo è Gilberto Cavicchioli, Testimonianze di socialismo mantovano 1900-1950, Canneto sull’Oglio (MN), Eurograf, 1988.

21 Arturo Frizzi, Nuovo canzoniere illustrato, Mantova, Frizzi, 1907.

22 Comitato per il monumento eretto in San Rocco di Quistello (MN) il 1° maggio 1974 (a cura di), La lega di San Rocco e il movimento contadino, Mantova, Off. graf. Ceschi, 1975, p. 84.

23 Ibidem.

24 Ivanoe Bonomi, Carlo Vezzani, Il movimento proletario nel mantovano, Milano, Uffici della Critica Sociale, 1901, p. 63-64.

25 Comitato per il monumento eretto in San Rocco di Quistello (MN) il 1° maggio 1974 (a cura di), La lega di San Rocco e il movimento contadino, cit., p. 9.

26 Ivi, p. 14.

27 Zangheri, Lotte agrarie in Italia, cit., p. XLIX.

28 Bonomi, Vezzani, Il movimento proletario nel mantovano, cit., p. 52.

29 Testo della canzone in Piergiorgio Gandini, Canzoniere proletario, Mantova, Circolo Ottobre, 1972, p. 20.

30 Il Nuovo canzoniere italiano, Siur padrun, Milano, I dischi del sole, 1989.

31 Gilberto Cavicchioli, Testimonianze, Mantova, Eurograf, 1988, p. 34.