Intervista a Eva Meran. La Casa della storia austriaca come forum

Interview with Eva Meran. The house of Austrian history as a forum

In apertura: HDGÖ, Exhibition (Photo Lorenz Paulus. © Lorenz Paulus/hdgö, CC BY-NC 4.0).

L’intervista a Eva Meran, responsabile del dipartimento di Mediazione dell’HDGÖ (Teamleitung Diskussionsforum und Kulturvermittlung), e la traduzione della stessa si devono a Paola E. Boccalatte.

Nel 2020 l’HDGÖ ha ricevuto il prestigioso premio Kenneth Hudson nell’ambito degli EMYA (European Museum of the Year Awards). Nella motivazione per il conferimento si legge: “[L’HDGÖ] ha avuto il coraggio di proporre una rappresentazione straordinariamente onesta della storia recente. Essa dimostra il potenziale dei musei nel XXI secolo nella promozione di una cittadinanza informata e critica grazie all’esplorazione e al dibattito sul passato, a prescindere da quanto difficile sia quel passato”.

Il nostro intento è quello di far emergere le storie conflittuali e metterle al centro di un dibattito costruttivo. Usiamo questo metodo in molte occasioni: per esempio nel modo in cui viviamo la nostra sede – il Neue Burg – e la piazza antistante, Heldenplatz, entrambe fortemente legate alla memoria del nazionalsocialismo e alla co-responsabilità dell’Austria nei crimini commessi.

Ricevere il premio Kenneth Hudson è stato un momento importante per tutto il personale. Facciamo il possibile per offrire programmi di qualità nonostante le risorse umane e finanziarie contenute e un team piuttosto ridotto. A giudicare dalla missione [e dalla sede imponente n.d.r.] si potrebbe pensare che la nostra sia un’istituzione più grande di quanto non sia ma otteniamo risultati notevoli pur operando in circostanze difficili. La nostra direttrice si è insediata nel febbraio 2017 ed è partita da zero, senza una collezione e senza una squadra. Nel novembre 2018 in occasione del centenario della Prima Repubblica abbiamo inaugurato un’esposizione che racconta 100 anni di storia austriaca in uno spazio di circa 800 metri quadrati. Il tempo a nostra disposizione è stato molto limitato rispetto a quanto sarebbe normalmente necessario; quindi, il fatto che sia stato riconosciuto il contesto sfidante in cui abbiamo lavorato è gratificante e conferma il valore del nostro lavoro.

Sul sito web avete riservato uno spazio significativo allo staff, con un rilievo al quale (purtroppo) non siamo abituati. All’inizio del percorso, poi, un totem risponde alla domanda “Who is speaking in this exhibition?” e, alla fine, il visitatore è invitato a scrivere suggerimenti e opinioni su di una cartolina.

Dare visibilità alla squadra ha, a mio parere, due obiettivi. Da un lato si tratta di un impegno nel garantire la trasparenza dell’istituzione: chi prende la parola in questo museo? Chi vi sta lavorando? Dietro ogni programma in un museo c’è il contributo di molte persone. Le istituzioni monolitiche, potenti e chiuse in se stesse diventano più permeabili se si rendono visibili gli individui. Dall’altro lato si tratta di un riconoscimento nei confronti del personale e di tutto il lavoro che svolge. Per noi il lavoro di squadra è importante ed è basato sulla stima reciproca.

Cerchiamo anche di essere il più accessibili possibile per il pubblico e di offrire occasioni di dialogo e scambio. All’ingresso si è accolti da una persona che opera nei servizi educativi. C’è sempre qualcuno cui rivolgersi, cui rivolgere una domanda. Anche i riscontri che arrivano anonimamente tramite le cartoline o tramite posta elettronica sono molto importanti. I feedback che riceviamo sono oggetto di discussione nelle riunioni con la direttrice, la responsabile per la Public History e altri ancora. Sono opportunità preziose per capire ciò che è apprezzato e ciò che invece non ha successo. Grazie ad alcuni progetti ci avventuriamo all’esterno, creando occasioni per entrare in contatto con i pubblici: per esempio, usciamo nella Heldenplatz con il nostro “Moving Museum”, un carretto in legno attrezzato con fogli, colori e ombrelli per ripararsi dal sole e dalla pioggia, e discutiamo con le persone in merito alla piazza, al suo significato, alla sua storia e al suo futuro. Inoltre, grazie a un progetto attualmente in corso, ci rivolgiamo ad alcune organizzazioni per raccogliere oggetti che raccontino la storia della disabilità. Queste sono tutte opportunità per imparare dall’interazione con le persone.

Il Leitbild dell’HDGÖ, cioè il documento di missione, è una dichiarazione dai toni forti e diretti, con una posizione molto chiara sui temi che hanno a che fare con l’etica del lavoro culturale. Tra l’altro, il Museo si definisce “(self)critical”.

Il documento di missione è il risultato di un lungo processo svoltosi all’interno del nostro team. Innanzitutto, i diversi sottogruppi si sono incontrati (Public History, Attività educative, Comunicazione e Gestione) e hanno dato il proprio contributo su cosa dovesse essere per loro il museo. Quindi è stato organizzato un laboratorio a seguito del quale un rappresentante di ogni dipartimento ha contribuito alla stesura di una prima bozza, poi sottoposta al team e al comitato scientifico. Questo processo si è svolto nel 2021 e 2022. Da allora la dichiarazione è stata lievemente aggiornata. Il punto che menzioni pone l’accento sul fatto che adottiamo un approccio critico nei confronti della storia e del nostro ruolo come istituzione che rappresenta – e quindi in una certa misura crea – la storia. Questo è evidente nelle mostre, nel modo in cui le realizziamo e nel nostro sguardo. Anche durante le visite guidate ricordiamo spesso che il passato e la storia sono cose diverse e che la storia è qualcosa che si crea sempre nel presente, a partire dalle domande che rivolgiamo al passato.

Naturalmente nulla è lasciato al caso: in un’era segnata da fake news e teorie complottiste è importante sottolineare e rendere evidente l’importanza della ricerca scientifica in particolare in un’istituzione culturale che deve produrre informazioni attendibili.

Per me è particolarmente importante il fatto che nel documento si sottolinei il ruolo di un’istituzione rivolta al pubblico. Operiamo al servizio del pubblico, con l’intenzione di essere un luogo accogliente per quante più persone possibili. Questo è importante in molti aspetti che riguardano il mio ruolo come responsabile dell’accoglienza, delle visite guidate e dei laboratori, dei linguaggi e dei processi con i quali vengono realizzate le esposizioni. La squadra che lavora sulle attività educative e quella di Public History lavorano a stretto contatto, cosa forse non troppo consueta.

Come Diskussionsforum, il Museo in cui lavori interroga il passato e il suo significato nel presente. Ci sono state occasioni in cui l’HDGÖ è stato sfidato, messo in difficoltà da un tema conflittuale?

L’istituzione non è mai stata contestata apertamente. Ovviamente esistono opinioni diverse su come dovrebbe essere raccontata la storia o sul modo in cui andrebbero realizzate le mostre. In generale, i riscontri che riceviamo vanno dalle critiche accese alle valutazioni molto positive. Credo sia piuttosto normale in questo settore provocare approvazione o rifiuto ma proviamo a far sì che sia proprio questo il punto di partenza della discussione.

Durante le visite guidate o i laboratori abbiamo vissuto momenti anche conflittuali. Ci sono punti di vista divergenti, ad esempio sulla dittatura in Austria nel 1933/34-1938, che esisteva ancor prima che il regime nazionalsocialista salisse al potere. Ci sono anche interpretazioni in una certa misura contrastanti sulla memoria del nazionalsocialismo e su come viene affrontato. In questo caso il nostro ruolo è quello di moderazione, con un punto di vista chiaro basato su documenti e ricerca storica: accogliamo domande e contributi personali e li affrontiamo, ma allo stesso tempo tracciamo linee nette laddove necessario.

A volte, il team educativo si confronta con affermazioni altamente problematiche, ad esempio razziste, antisemite, omofobe o misogine. Questa è una sfida estremamente impegnativa ma il personale ha gli strumenti per affrontare anche situazioni delicate. D’altra parte, il nostro lavoro è proprio questo.

Oltre allo spazio museale fisico, la Haus presenta anche un ricco museo digitale. Qui si trovano alcune mostre digitali partecipative. Tra queste, Denkmal Anders (Monumento diverso), che chiede a visitatori e visitatrici di trovare una risposta creativa al dilemma posto dalla conservazione dei monumenti; un tema attuale in molti Paesi, che tocca i temi del postcolonialismo e neocolonialismo, della rappresentanza e delle minoranze, della pace e della nonviolenza, del conflitto sociale e della sua gestione.

Lo spazio digitale per noi è stato fin dall’inizio un importante ambito d’azione. Siamo un museo che dovrebbe occuparsi di tutto il Paese ma allo stesso tempo abbiamo sede a Vienna. Non tutti possono o vogliono raggiungerci. La nostra piattaforma web è uno spazio espositivo esteso in cui si trovano molte cose diverse rispetto allo spazio museale vero e proprio (molto, soprattutto, nella parte in tedesco del sito web), e che inoltre collega lo spazio fisico e quello digitale.

Hai menzionato una delle nostre “mostre online in progress”, alla quale i visitatori e le visitatrici possono contribuire con le proprie idee o conoscenze. Questa, in particolare, nasce da un laboratorio online realizzato durante la pandemia affinché le scuole potessero dedicarvisi senza dover venire in museo. Gli studenti si sono occupati dei monumenti, facendo ricerche ed eventualmente immaginando di poterli modificare o risignificare. Gran parte delle idee visibili online sono frutto di questa attività. Tutti i temi che segnali sono proprio la ragione per la quale abbiamo voluto mettere i monumenti al centro di un’attività da affrontare con i giovani. Ci sono poi altre mostre online cui chiunque può contribuire. Secondo la nostra esperienza, più un argomento è “politico”, più le persone contribuiscono.

Lo scrittore e traduttore austriaco Martin Pollack (1944) ha introdotto il termine Kontaminierte Landschaften, per indicare i luoghi dove hanno avuto luogo massacri e violenze nei secoli passati. Il Museo sta lavorando sul Belastete Orte, e, in particolare, su di uno specifico “difficult heritage”.

L’edificio in cui ci troviamo è legato, nella memoria collettiva, a un particolare momento storico: dal suo Balkon, infatti, Adolf Hitler, il 15 marzo 1938, pronunciò il famoso discorso che segnava il completamento dell’annessione dell’Austria alla Germania nazista. Una folla enorme di circa 200.000 persone applaudì con entusiasmo. Le immagini e le registrazioni sonore di questo evento di propaganda meticolosamente organizzato mostrano un’estrema – e inquietante – esaltazione. Questo fervore smentiva la tesi vittimaria che per lungo ha tenuto banco nell’opinione pubblica, cioè l’idea secondo cui l’Austria sarebbe stata vittima involontaria del regime nazista e quindi non responsabile di alcun crimine. Solo negli anni Ottanta si è cominciato a riconoscere una responsabilità collettiva.

Heldenplatz e il balcone sono diventati un simbolo di questo passato e di questa rimozione. E in un certo senso il balcone è ancora un tabù: dal 1945 vi si è tenuto un solo discorso e tuttora non è accessibile al pubblico. All’interno dell’edificio, accanto alla porta finestra che dà sul terrazzo, abbiamo installato una postazione interattiva. Fin dall’apertura del Museo nel 2019 abbiamo offerto informazioni sugli eventi storici e sul significato del luogo e abbiamo chiesto ai visitatori e alle visitatrici di partecipare a un sondaggio: il balcone deve essere chiuso o aperto al pubblico? Poiché già a pochi mesi dall’apertura della consultazione un numero decisamente superiore di persone ha votato a favore dell’apertura, abbiamo avviato il progetto “Il balcone. Un cantiere”. Sia online sia in Museo le persone possono contribuire con idee in forma di immagine, sul possibile futuro utilizzo del balcone. Ogni idea può essere votata e commentata dalla community digitale. Nelle visite guidate e nelle attività educative utilizziamo il caso del Balkon (su cui attualmente non abbiamo facoltà di decidere) come punto di partenza per un dibattito critico sulla memoria del nazionalsocialismo e su cosa significhi oggi.

Facciamo parte di una rete di istituzioni e ricercatori/ricercatrici provenienti da tutto il Paese sul tema Belastete Orte. Ci sono molti luoghi in Austria oggetto di discussione, luoghi ed edifici legati alla propaganda o ai crimini nazisti. Ma l’edificio in cui ci troviamo è stato progettato sotto la monarchia asburgica, terminato durante la Prima Repubblica e solo in seguito vi si è sovrapposta la propaganda nazista.

Tornando alle mostre digitali, Das Lichtermeer 1993, è dedicata all’impegno civile ma anche costruita grazie al contributo dei cittadini. Come è nata l’idea di questa esposizione? Come è stata accolta?

Il 23 gennaio 1993 circa 300.000 persone si riunirono nella Heldenplatz di Vienna e in diverse città per prendere posizione contro il razzismo e l’esclusione. Il motivo scatenante fu il referendum “Austria first” indetto dall’FPÖ (Freiheitlichen Partei Österreichs) nell’autunno del 1992, che chiedeva di fermare i movimenti migratori e proponeva provvedimenti discriminatori nei confronti delle persone migranti. L’evento è stato organizzato da un piccolo gruppo di persone che è riuscito a innescare un ampio movimento della società civile sostenuto da individui e gruppi afferenti a quasi tutti i partiti politici. Questo movimento non si è limitato a manifestare contro il referendum: ha contrastato posizioni xenofobe e razziste e criticato l’inasprimento delle misure contro i migranti. Il Lichtermeer (mare di luci) a oggi resta la più grande manifestazione della Seconda Repubblica, che ha saputo inviare alla collettività un segnale importante: la massiccia partecipazione – superiore a quella dell’Anschluss del 1938 – ha infatti riconnotato in direzione democratica Heldenplatz. Volevamo ricordare questo evento in occasione del suo trentesimo anniversario ma era difficile trovare testimonianze materiali. Così, tramite una call online, è stato possibile rendere visibili ricordi e prospettive, e magari anche raccogliere – ce lo auguriamo – qualche oggetto da esporre fisicamente in museo.

Il percorso si chiude in modo inaspettato. Ci sono alcuni cartelli…

Negli ultimi anni abbiamo costituito una collezione sulla storia dell’Austria a partire dalla metà del XIX secolo, con particolare attenzione per la storia politica e sociale, per la cultura materiale e memoriale, per la storia dello sport e la storia economica. Raccogliamo reperti storici ma anche oggetti attuali: la storia accade anche in questo momento! Accettiamo donazioni ma utilizziamo anche il metodo del rapid-response collecting, ricercando attivamente oggetti presso la cittadinanza. Uno dei nostri punti focali in questo approccio è ancora Heldenplatz: è una piazza di importanza nodale, con una dimensione storica ma anche teatro della maggior parte delle grandi manifestazioni odierne. Il nostro team di Public History, ad esempio, raccoglie i cartelli che le persone portano con sé durante le manifestazioni; nella parte finale del percorso ne abbiamo esposti alcuni. È una sezione in continuo aggiornamento e a elevata “reattività”: ad esempio, è già successo che il venerdì ci fosse una grande manifestazione e il martedì successivo trovasse posto in museo un oggetto recuperato in quell’occasione.

Per noi è molto importante collegare la storia al presente, per sottolineare l’importanza del momento attuale per gli sviluppi futuri. E vogliamo rendere evidente come la democrazia sia un processo in costante negoziazione, che dipende da tutti coloro che esprimono le proprie opinioni, che discutono. Il conflitto e il dibattitto sono parte essenziale, anzi, sono la base di una democrazia vitale, che il nostro museo si impegna a sostenere.