Intervista ad Archive’s Heritage. Il podcast “L’archivio in salotto”

Interview with Archive’s Heritage. The podcast “L’archivio in salotto”

In apertura: scaffali nella sala di lettura degli archivi pubblici della sede del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) a Ginevra, Svizzera (https://commons.wikimedia.org).

Gli ultimi anni hanno visto l’inaspettato successo di una forma d’intrattenimento legato principalmente all’utilizzo degli smartphone: il podcast. Un incremento che sembra proprio non fermarsi, tanto che nell’ultimo anno sono stati più di 15 milioni gli italiani che per almeno una volta hanno avuto accesso ad una piattaforma di ascolto per usufruire di un podcast. Gli argomenti più ascoltati sono il crimine, la divulgazione scientifica, i contenuti in lingua straniera e la storia. C’è chi ha fatto anche qualcosa di apparentemente impensabile e cioè fare un podcast che parla di archivi e lo ha fatto mantenendo allo stesso tempo il rigore scientifico e la piacevolezza dell’intrattenimento. Le archiviste che lo hanno ideato e condotto sono Anna e Susanna di Archive’s Heritage (https://www.archivesheritage.com/). Abbiamo fatto una chiacchierata con loro per capire quanta passione e lavoro c’è dietro il loro podcast “L’archivio in salotto”.

Partiamo da voi. Presentatevi, come nasce Archive’s Heritage e perché nasce.

Siamo due archiviste di professione, Anna e Susanna. Nel 2019 proprio nei depositi di un archivio nasce l’idea Archive’s Heritage ovvero un luogo in cui l’archivio fosse al centro e dove le conoscenze trasversali di entrambe potessero essere messe a disposizione per affrontare svariate sfide e diversi progetti, fornendo anche servizi che si differenzino per il valore aggiunto dato dalle nostre esperienze acquisite grazie a esperienze su varie tipologie di archivio. Nel 2021 per il progetto podcast si unisce anche Francesca, anche lei archivista, dando vita all’Archivio in Salotto.

Come è nata l’idea di un podcast?

Il nostro podcast è un podcast indipendente e nasce come una proposta o, per meglio dire, una sfida che ha incontrato subito il nostro entusiasmo data l’aura che circonda la nostra professione: dopo essere state scambiate anche per alchimiste (e non archiviste) ci siamo rese conto che il tema degli archivi è spesso trattato in linguaggio quasi esoterico. Allora perché non raccontarsi? Perché non parlare di archivi e archivisti? Perché non cercare di fare luce? Per questo motivo le stagioni pubblicate rispecchiano un po’ il nostro percorso: abbiamo cercato di fornire delle basi anche teoriche che permettessero al nostro pubblico di acquisire dimestichezza rispetto ai lati più complessi e a volte più “misteriosi” e affascinanti della nostra professione per poi allargare il discorso alle interviste di chi conosce e frequenta gli archivi creando delle bellissime sinergie.

Gli argomenti di cui parlate nel podcast avrebbero potuto essere espressi tramite un altro mezzo? Per intenderci se aveste scelto una serie di articoli in formato tradizionale avreste toccato tematiche diverse?

Ci sono infiniti mezzi per parlare di archivi, per fare comunicazione o storytelling, siamo nel 2023 e avremmo potuto scegliere Instagram, YouTube o TikTok per citarne alcuni. Ma perché non provare a cambiare le carte in tavola? Siamo noi le prime persone che ascoltano podcast e che credono che questo modo di raccontare abbia delle potenzialità, perché non farlo anche con il nostro lavoro? Se avessimo scelto una serie di articoli avremmo toccato le medesime tematiche, è il linguaggio che cambia nel podcast: dobbiamo ricordarci che il nostro è un contenuto audio e che quindi deve rispettare il linguaggio parlato e non il linguaggio scritto. La sostanza non cambia: l’archivio è sempre o il punto di partenza o il punto di arrivo o lo sfondo in ogni puntata.

Il podcast “L’archivio in salotto” è già alla terza stagione, da quando avete iniziato avete modificato alcune impostazioni del vostro lavoro? Il podcast avrà una quarta stagione e se sì quali temi toccherà?

Abbiamo implementato le nostre conoscenze teoriche e pratiche sul podcast con corsi e masterclass per stare al passo con l’evoluzione che il podcast in Italia e nel mondo sta vivendo. Ci sarà una quarta stagione, abbiamo già alcune idee a riguardo.

Quali feedback avete ricevuto? Qualcosa anche di inaspettato? Ad esempio, apprezzamenti da non addetti ai lavori?

I nostri ascoltatori sono per la maggior parte non addetti ai lavori e di una fascia d’età che abbraccia tutte le generazioni dalla maggiore età in poi e questo ci ha permesso di comprendere come il nostro argomento, cioè l’archivio, sia davvero trasversale. Inoltre, i feedback che abbiamo ricevuto sono sempre stati positivi e costruttivi. Uno dei commenti più memorabili è stato “non pensavo che si potesse parlare così tanto di archivi e che fossero così interessanti, mi sono sentito tutta la prima stagione e voglio andare avanti a sentire le altre”.

Una questione che viene spesso fuori nei dibattiti sugli archivi e l’archivistica è quella della comunicazione. Senza una corretta comunicazione il lavoro d’archivista non rischia di risultare praticamente “invisibile”?

Senza una corretta comunicazione nulla sarebbe possibile. Gli archivi e gli archivisti sono per la maggior parte del tempo invisibili, lo sono sempre stati e lo saranno sempre, come lavoratori siamo nelle retrovie, tiriamo le fila di una macchina più grande. Gli archivi non urlano, non fanno rumore, eppure non può esistere un mondo senza archivi (e senza archivisti), non possiamo farne a meno, anche se neghiamo, se ci rifiutiamo di ammetterlo noi produciamo archivi. Siamo dei soggetti produttori e nel corso della nostra attività, o meglio vita, produciamo documentazione di qualsiasi natura che cresce, si sedimenta, viene scartata o diventa storica e poi può passare alle generazioni successive. Non a caso il podcast si chiama l’“Archivio in salotto”. Abbiamo giocato sui diversi piani di significato che il titolo poteva evocare e uno di questi puntava a far rendere conto che l’archivio non è qualcosa di remoto, ma è qualcosa che si trova in tutte le nostre case, dentro ai nostri personal computer o nel cassetto della credenza.

Il digitale è più un rischio o un’opportunità nel mestiere di archivista?

Il digitale è un’opportunità e come tutte le opportunità occorre saperla cogliere. La figura dell’archivista dai tempi dell’antica Roma a oggi si è evoluta, faremo lo stesso anche noi, anzi lo stiamo già facendo.

Come sarà, secondo voi, il futuro del lavoro dell’archivista?

Meno in deposito e più davanti a un computer… scherziamo ovviamente. I patrimoni da conservare e salvare sono molti, il materiale analogico non sparirà mai. Però la componente digitale sta diventando parte integrante del nostro lavoro e quindi, che ci piaccia o no, ci toccherà diventare tutti dei piccoli esperti di informatica.

Una puntata molto particolare è quella che avete fatto sugli archivi della moda, perché riguarda strettamente le vostre esperienze sul campo, volete parlarcene un po’?

Non possiamo parlare della nostra esperienza diretta nel campo degli archivi di moda senza fare tre premesse fondamentali: 1 non basta conoscere la moda per poter lavorare in un archivio di moda, occorre avere conoscenze approfondite e non superficiali di archivistica; 2 nel nostro lavoro serve passione e curiosità, che sono il vero motore per approcciarsi agli archivi di qualsiasi tipologia essi siano di moda o musicali o di qualsiasi altra natura; 3 non ci si deve far prendere dal panico quando si inizia e avere un atteggiamento zen perché ci si dovrà confrontare con un mondo, quello della moda appunto, che è immenso e frastagliato.

Parlando delle nostre esperienze sul campo diciamo che sono state delle palestre nel mondo degli archivi che non hanno eguali (per ora…) sia a livello lavorativo che umano.

Il lavoro in un archivio di moda ti fa scontrare con i documenti archivistici su supporti non solo cartacei, ma fotografici, multimediali e soprattutto tessili. Così il lavoro di un archivista diventa un lavoro che coinvolge quasi tutti i sensi perché non basta vedere, occorre soprattutto toccare e poi anche ascoltare e annusare (sì, capita che vi siano anche profumi).

È un lavoro che richiede la capacità di visualizzazione complessiva perché per cogliere cosa è l’archivio di moda nel suo insieme e non cosa ha (o peggio cosa manca) si deve collegare concettualmente la struttura in una visione globale. La difficoltà è che fisicamente la documentazione non può confluire in un unico luogo per esigenze conservative. Occorre dotarsi di mappa e buona memoria o meglio occorre essere dei bravi archivisti.

Questa tipologia di archivio è una costante sfida anche perché spesso il confronto con chi già lavora in questi archivi, o ha il compito di gestirli, fa emergere lacune profonde o completa ignoranza di nozioni di base di archivistica (sottolineiamo base).

E non basta conoscere la moda in tutte le sue sfaccettature per potersi approcciare a questo archivio.

Permetteteci di rivolgere una domanda diretta e molto provocatoria ai soggetti produttori di questi archivi: vorreste mai essere operati da una persona che ha solo conoscenze superficiali in medicina?

Crediamo di no. Allora perché affidate il vostro archivio, la vostra memoria e il vostro lavoro a chi non ha le competenze necessarie?

Sia nella seconda che nella terza stagione si parla spesso di archivi e musica un rapporto decisamente complesso e multiforme. Come mai avete scelto di concentrarvi su questo aspetto?

Semplicemente si prende spunto da ciò che si conosce. Anna collabora con il Civico Istituto Musicale G. Zelioli di Lecco come archivista e bibliotecaria e quindi ha messo sul tavolo, o potremmo anche dire in salotto, l’archivio di musica. Partendo proprio dal confronto quotidiano con questa tipologia di archivio, e con le sue delicate peculiarità, si è deciso di dedicare del tempo e dello spazio per cercare di far comprendere ciò che sta dietro alla musica.

L’archivio musicale, forse ancora di più di quello di moda, è sempre attuale, non ha una parte che si può definire storica.

Facciamo un esempio pratico di richieste che possono giungere in archivio musicale (questo magari nella stessa giornata): Notturno n. 20 di Fryderyk Chopin edizione Polskie Wydawnictwo Muzyczne di Cracovia per pianoforte, Big Island da Super Mario Bros di Kōji Kondō in riduzione per violino, la Sonata VI di Gian Battista Pescetti (1704-1766) e alcuni brani di Lazza per pianoforte.

Comprendete anche voi la varietà e l’attualità del materiale che si può incontrare e questo non è un caso isolato.

Anche in questo archivio ci sono supporti differenti come partiture su carta, su supporto digitale, registrazioni sonore dal vinile 78 giri alla chiavetta Usb e ovviamente si presentano necessità conservative diverse e di catalogazione.

Poi occorre che questi archivi suonino, letteralmente! Valorizzarli è un altro aspetto che non si può ignorare.

Mi ha colpito anche molto il rilievo che avete dato alle fonti orali, un aspetto sin troppo trascurato dagli stessi archivisti. Ritenete che in futuro anche gli addetti ai lavori se ne occuperanno con più interesse?

Le fonti orali hanno sempre rappresentato un aspetto molto interessante della sedimentazione della memoria. Sono spesso state ritenute “testimonianze laterali”, secondarie rispetto alla produzione documentaria in alcuni tipi di archivi. Per fortuna questa tendenza si è invertita e adesso possiamo dire che in alcuni contesti vengono considerate “l’archivio”, accanto a testimonianze di altro tipo. Si tratta di incisioni su vari supporti, anche magnetici. Questo tipo di materiali richiede un trattamento molto particolare dal punto di vista conservativo. Una volta recuperato ed elaborato, diventa un potentissimo mezzo di comunicazione dell’archivio, può rappresentare un modo anche inedito di raccontarsi. Il valore di queste testimonianze si sta via via collegando all’aspetto della valorizzazione, che sta assumendo sempre più importanza in un mondo interconnesso, dove le informazioni testuali vengono collegate a tutti i tipi di medium disponibili. Se vogliamo raccogliere le sfide del futuro ed imparare a valorizzare sempre meglio il nostro patrimonio archivistico, dobbiamo accettare la sfida e considerare l’archivio in senso molto ampio, come gli orientamenti attuali della disciplina e della giurisprudenza ci impongono, e collegare queste preziosissime testimonianze al resto del patrimonio che, con il nostro lavoro, contribuiamo a mettere a servizio della comunità. Ancora una volta emerge con forza come il lavoro dell’archivista non possa essere improvvisato da chiunque, ma che necessiti di formazione apposita e continuo aggiornamento per raccogliere le sfide del presente ma anche del futuro, con consapevolezza.

In conclusione…

Un archivio, di qualsiasi tipologia, non deve essere destinato a essere seppellito dalla polvere nell’oblio del dimenticatoio del tanto è roba vecchia e inutile o peggio essere buttato o bruciato in un camino (sì, accade anche questo). Gli archivi sono dei patrimoni, non solo storici e culturali, che parlino! Anche solo in un Archivio in salotto.