In apertura: i binari all’ingresso del campo di concentramento nazista di Auschwitz (Foto dell’Autore).
1. Introduzione
Il 7 ottobre 2023 Hamas, organizzazione basata nella Striscia di Gaza, ha condotto un attacco di grandi dimensioni contro Israele. L’operazione ha causato la morte di circa 1400 persone in territorio israeliano, e il ferimento di circa 33001. La reazione israeliana, tuttora in corso, è stata come minimo altrettanto violenta, e ha sollevato la reazione dell’opinione pubblica internazionale2. Entrambe le parti del conflitto hanno ricevuto accuse di crimini di guerra3.
Il fenomeno comunicativo d’interesse per questo articolo sta nel fatto che, fin dall’inizio della guerra, numerosi soggetti hanno effettuato richiami alla Shoah e alle figure ad essa più legate per commentare e/o interpretare gli eventi legati al conflitto. Il presente paper si pone l’obiettivo di analizzare alcuni di questi riferimenti alla Shoah, soffermandosi su quelli che appaiono più importanti e controversi, lasciando a studi futuri l’eventuale compito di svolgere un’analisi sistematica di tutti i riferimenti occorsi.
2. La Shoah-metro di misura e la Shoah-monito
Nella prima settimana dopo l’attacco di Hamas, vari soggetti hanno paragonato l’azione di Hamas alla Shoah. L’ha fatto Benjamin Netanyahu, primo Ministro di Israele, quando ha affermato che l’azione di Hamas fosse «una ferocia mai vista dalla Shoah»4. L’ha fatto Noa, popolare cantante israeliana, sostenendo che l’aggressione da parte di Hamas «è la cosa peggiore che sia accaduta al popolo ebraico dai tempi dell’Olocausto»5. Sembra di vedere, in dichiarazioni di questo genere, l’utilizzo della Shoah come metro di misura della gravità delle azioni di Hamas, una modalità di utilizzo del fenomeno storico Shoah che è stato criticato anche da alcuni studiosi dell’ebraismo e da membri della comunità ebraica. Gadi Luzzatto Voghera, direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, ad esempio, ha dichiarato la propria contrarietà a paragonare l’attacco del 7 ottobre a qualsiasi altra cosa, in quanto la Shoah è «studiabile e da studiare di per sé per quello che è accaduto»6, e non deve essere il simbolo di tutti i mali accaduti dopo.
L’improprio paragone tra gli eventi del 7 ottobre 2023 e la Shoah (o tra la Shoah e qualsiasi altro fenomeno storico) indebolirebbe, insomma, la rilevanza storica della Shoah stessa. Una posizione simile è stata espressa da Marcello Pezzetti, già docente di Storia della Shoah all’Università degli Studi di Roma Tre e consulente della Fondazione museo della Shoah di Roma, per il quale la situazione scoppiata il 7 ottobre è estremamente diversa dalla Shoah e non dovrebbe essere a quest’ultima paragonata7.
D’interesse, dunque, non è solo rilevare l’utilizzo della Shoah come metro di misura delle azioni di Hamas; ma anche constatare come alcuni membri della comunità ebraica, politici o studiosi, non apprezzino questo uso del termine. Peraltro, in alcuni dei casi sopra riportati, il riferimento alla Shoah potrebbe anche essere interpretato come un monito. Quando Netanyahu parla di «una ferocia mai vista dalla Shoah» sta anche ammonendo il mondo sulla gravità della situazione. Si potrebbe dunque parlare anche della Shoah come monito. La distinzione tra Shoah metro di misura e Shoah come monito è in effetti analitica. Si potrebbe ritenere, a seconda dei casi, che ogni dichiarazione in cui si cita la Shoah veicoli entrambe le componenti identificate, o solo una di esse, o una in modo più netto rispetto all’altra. A seguire alcuni esempi in cui la componente della Shoah come monito appare molto chiara.
Si è molto dibattuto della scelta dell’ambasciatore israeliano presso l’Organizzazione delle Nazioni unite, Gilad Erdan, di appuntarsi sul petto una stella di David gialla con dentro la scritta «never again» («mai di nuovo»)8. La scelta è stata molto criticata. Il presidente dell’Ente nazionale per la memoria della Shoah di Gerusalemme (Yad vashem), ad esempio, ha sostenuto che il gesto dell’ambasciatore israeliano rappresenta un oltraggio alle vittime della Shoah e allo Stato di Israele, in quanto la stella gialla «simboleggia l’impotenza del popolo ebraico, in un’epoca in cui era alla mercé di altri»9. Situazione che, oggi, non corrisponderebbe più alla realtà, essendo Israele uno Stato indipendente con un esercito forte e, probabilmente, armi nucleari10. Nel momento in cui l’ambasciatore ha compiuto la scelta di appuntarsi la stella di David gialla con la scritta succitata, ha apparentemente voluto assegnare agli ebrei e allo Stato di Israele un ruolo da vittima unica nel conflitto, da vittima storica designata verrebbe da dire, che non trovava riscontro sul campo. Una posizione simile è stata espressa per esempio da Anna Foa, secondo la quale l’azione di Erdan è censurabile «per il vittimismo che esprime»11.
In altri casi, la Shoah è stata usata come monito in riferimento ai numerosi episodi antisemiti che si sono verificati nelle principali città dell’Occidente in risposta alle azioni israeliane a Gaza. Questi atti, che confermano gli studi sulla deterritorializzazione dei conflitti12, hanno spinto il 7 novembre 2023 Dani Dayan, segretario del già citato Yad vashem, a dichiarare:
L’Olocausto non cominciò con le squadre delle Einzatgruppen e con le camere a gas, ma iniziò con parole e gesti violenti su piccola scala. Molte persone appoggiavano le parole antisemite che portavano alle azioni, e il mondo chiuse un occhio sulla sofferenza ebraica. Oggi, assistiamo di nuovo ad apatia pubblica verso, se non addirittura la validazione di, la retorica e la violenza antisemita. Non dobbiamo permettere che il silenzio si ripeta di nuovo13.
Alcuni personaggi della cultura israeliana (tra cui lo scrittore David Grossman) hanno invece pubblicato una lettera in cui hanno lamentato una certa mancanza di empatia da parte della sinistra globalista nei confronti delle vittime israeliane del conflitto. La retorica di coloro che sostengono le azioni di Hamas, afferma la lettera, si inserisce in una «tradizione» di uccisioni di massa degli ebrei, che ha trovato il proprio apice nell’Olocausto, «la memoria del quale sta, però, in qualche modo scomparendo giorno dopo giorno»14.
I numerosi riferimenti alla Shoah da parte di politici, personaggi pop e cittadini israeliani/ebrei possono essere spiegati in vario modo. Da un lato, alcuni studi hanno mostrato come il discorso sulla Shoah sia molto radicato in tante sfere della vita in Israele15. Questo perché la memoria della Shoah rappresenterebbe «il pilastro dell’identità di ebrei e israeliani»16, soprattutto a partire dal 1967, ossia dalla guerra dei sei giorni. Prima di questo evento, la Shoah sarebbe stata marginale «nella rappresentazione dell’identità israeliana»17. Di conseguenza, dato il radicamento della Shoah nell’identità collettiva israelo-ebraica, l’immediato richiamo a quest’ultima subito dopo l’attacco del 7 ottobre può apparire come un meccanismo «naturale». Alcuni autori invece hanno affermato, in modo più critico, che politici e diplomatici israeliani effettuano strumentalmente richiami alla Shoah nei loro discorsi per giustificare le azioni del Governo israeliano, soprattutto in relazione alla questione palestinese18.
3. La reductio ad Hitlerum e la Giornata della Memoria 2024
Con riguardo alla questione palestinese, anche alcuni sostenitori della causa palestinese hanno richiamato simboli e figure storiche legate alla Shoah. Alcuni personaggi sportivi, come Wasim Haq in Regno Unito19 e Mahiedine Mekhissi-Benabbad in Francia20, hanno esplicitamente associato la figura di Netanyahu a quella di Hitler. Affermazioni come quelle di Haq e di Mekhissi-Benabbad sembrano una manifestazione dell’espediente retorico comunemente chiamato reductio ad Hitlerum, una strategia argomentativa che consiste nell’invocare «Hitler, il nazismo, o i meccanismi del regime nazista per creare o supportare una questione»21. Non si tratta, peraltro, di una tattica usata dai sostenitori della causa palestinese solo dopo la reazione israeliana all’attacco del 7 ottobre 2023. Già nel 2017, ad esempio, alcuni attivisti pro-Palestina avevano attaccato in giro per Buenos Aires dei manifesti con un fotomontaggio in cui Netanyahu veniva rappresentato con i riconoscibilissimi baffetti, e l’altrettanto noto ciuffo, di Hitler22. L’azione, peraltro, era stata condotta proprio in vista dell’arrivo di Netanyahu in visita in Argentina.
Poiché quella di Hitler è evidentemente una delle facce più associabili alla Shoah (se non la più associabile); e poiché è diffusa l’idea che a Gaza sia in corso un genocidio, simile a quello subito dagli ebrei durante la Seconda guerra mondiale23; è lecito quantomeno chiedersi se nel richiamo avvenuto a Buenos Aires possano essere lette tracce della Shoah come paragone e/o della Shoah come monito.
Un altro utilizzo comunicativamente molto potente dei simboli della Shoah si è avuto a Milano, dove il 21 ottobre 2023 è stata organizzata una manifestazione a sostegno della causa palestinese. Durante la stessa, sono apparsi dei ritratti raffiguranti Anna Frank indossante la kefiah24, copricapo tipico della cultura araba. Tale utilizzo dell’immagine di Anna Frank, uno dei simboli più noti della Shoah, durante una manifestazione pro-Palestina veicola un messaggio politico molto chiaro: i perseguitati di oggi, l’equivalente degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale, sono i palestinesi. Messaggio, quest’ultimo, che è stato lanciato in modo ancora più impattante in occasione della Giornata della Memoria 2024. Per il 27 gennaio, in diverse città italiane erano stati organizzati cortei pro-Palestina. Difficile scegliere una data più simbolica. Alcune personalità, come Giorgio Mulé, vicepresidente della camera dei Deputati25, e Gadi Schoenheit, assessore alla Cultura della Comunità Ebraica di Milano26, avevano chiesto che le manifestazioni non si svolgessero in tale data, per evitare che la solennità della giornata venisse disturbata o turbata (Mulè), e perché «di tutto si può parlare, ma non il Giorno della Memoria» (Schoenheit). I timori di una parte del mondo politico-culturale italiano per la corrispondenza fra Giornata della Memoria e manifestazioni pro-Palestina erano dunque essenzialmente due. Da un lato, che tale corrispondenza avrebbe finito per «macchiare» la sacralità della Giornata con la polemica politica. Dall’altro, che la corrispondenza avrebbe spostato l’attenzione della giornata dal genocidio passato, quello della Shoah, a quello secondo molti in atto adesso a Gaza. I cortei pro-Palestina previsti per il 27 gennaio sono infine stati vietati27. Sulla scelta ha senz’altro influito il timore «di effetti negativi sulla tenuta dell’ordine pubblico e sociale»28. Nonostante i vari divieti, le manifestazioni si sono tenute. A Milano, un manifestante ha affermato: «Noi scendiamo in piazza per ricordare, e perché oggi il nuovo genocidio è in Palestina. Dal ghetto di Varsavia a Gaza»29. Sempre a Milano, un’altra partecipante ha sostenuto: «Se rispettiamo il Giorno della Memoria, allora ricordiamo che non si devono opprimere i popoli, che ogni popolo ha diritto alla sua terra, al suo Stato, alla sua libertà»30. A Roma, una ragazza ha spiegato:
Abbiamo scelto questa giornata perché questo deve essere un simbolo. Non può essere visto solo come il ricordo di un periodo storico, ma deve essere il simbolo affinché queste cose non accadano più in generale. […] Di genocidi ce ne sono stati già troppi, e quindi il 27 gennaio deve essere il monito per ricordarsi che queste cose non devono accadere a nessuno, non solo ad alcuni31.
La permanenza del conflitto a Gaza e la sensazione che la situazione nella Striscia sia paragonabile alla Shoah o a un genocidio hanno indotto ad organizzare eventi pro-Palestina in corrispondenza della Giornata, il che ha spostato il focus della stessa dal passato (Shoah) al presente (Gaza), riattualizzando la Giornata e in un certo senso riempiendola di un significato che, a sentire certi manifestanti, sembra secondo alcuni svanito nella «vuota» e fine a sé stessa commemorazione di un singolo evento passato. Inoltre, l’attenzione a un altro possibile genocidio durante la Giornata della Memoria ha riportato a galla una rivendicazione già emersa in passato: quella di non appiattire l’opinione pubblica durante la Giornata, e anche il resto dell’anno, sulla «sola» commemorazione della Shoah, dando più spazio alla commemorazione anche di altri genocidi. Idea questa che, ad esempio, era già l’anno scorso stata avanzata da Vito Mancuso sulle pagine della Stampa, il quale ha avanzato la proposta di trasformare la Giornata della Memoria in una «Giornata della Shoah e della prevenzione dei genocidi»32. Una proposta, peraltro, volta ad uscire da quella che Anna Foa ha chiamato «una visione difensiva della memoria»33, e che rischia di portare a quanto preconizzato da Liliana Segre: la Shoa ridotta a «una riga nei libri di storia, e poi nemmeno quella»34. Ampliare la memoria dei genocidi per difendere (anche) quella della Shoah.
L’utilizzo dei simboli della Shoah, la più grande tragedia della storia ebraica, per ragioni politiche da parte di soggetti che non appartengono a quella comunità, pone anche un’altra questione. Può tale utilizzo essere definito un esempio di appropriazione culturale, definita come «l’utilizzo dei simboli, degli artefatti, dei generi, dei rituali, o delle tecnologie di una cultura da parte dei membri di un’altra cultura»?35 E se sì: può tale utilizzo essere contestato sulla base che la Shoah è stata una tragedia che appartiene primariamente al popolo ebraico?36 O, piuttosto, la Shoah è stata una tragedia che appartiene all’umanità intera, per cui i suoi simboli possono legittimamente essere usati nella comunicazione politica da parte di soggetti che non appartengono alla comunità ebraica, per il perseguimento dei loro obiettivi politici? Queste domande restano al momento senza risposta, ma è evidente che risposte diverse porteranno poi a differenti valutazioni della comunicazione in cui vengono effettuati riferimenti alla tragedia della Shoah.
4. Conclusioni
L’analisi dei riferimenti alla Shoah come metro di misura e alla Shoah come monito evidenzia due questioni principali legate al modo in cui questo fenomeno viene ricordato oggi. La prima riguarda una frizione fra la tendenza a voler usare la Shoah per valutare, in chiave comparativa, fenomeni contemporanei; e quella, invece, a non voler privare la Shoah della propria specificità storica. La seconda riguarda invece l’utilizzo della Shoah da parte di soggetti non appartenenti al popolo che essa ha subito. Possono questi usare legittimante la Shoah per descrivere le loro tragedie?
Note
1 Amnesty International, https://www.amnesty.it/schiaccianti-prove-di-crimini-di-guerra-a-gaza/, ultima consultazione di tutti i link: 16 maggio 2024.
2 Amnesty International, https://www.amnesty.it/schiaccianti-prove-di-crimini-di-guerra-a-gaza/.
3 Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite, https://unric.org/it/al-valico-di-rafah-turk-dice-che-sia-israele-sia-hamas-hanno-commesso-crimini-di-guerra/.
4 Ansa, https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/10/11/netanyahu-attacco-a-israele-ferocia-mai-vista-dalla-shoah_cf7c29fe-2c5b-4226-ad94-5f870b201e4f.html.
5 Avvenire, https://www.avvenire.it/attualita/pagine/l-escalationmedioriental-e1c659898cc34b238765d5b24bb82a68.
6 Open, https://www.open.online/2023/10/21/guerra-israele-hamas-europa-medio-oriente-intervista-gadi-luzzatto-voghera/.
7 Avvenire, https://www.avvenire.it/mondo/pagine/l-intervista-cio-che-accade-e-peggio-di-un-pogrom.
8 Ansa, https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/10/31/gli-israeliani-allonu-con-la-stella-gialla-sul-petto_1d062414-6e56-4da7-a041-aa1dc397a44e.html
9 Ibid.
10 Loius René Beres, Israel’s bomb in the basement: A revisiting of “Deliberate Ambiguity” versus “Disclosure”, in “Israel Affairs”, 1995, vol. 2, n. 1, pp. 112-136.
11 Radio Radicale, https://www.radioradicale.it/scheda/712328/lambasciatore-disraele-allonu-si-appunta-la-stella-gialla-intervista-ad-anna-foa.
12 Élise Féron, Voytiv Sofiya, Towards a theory of diaspora formation through conflict deterritorialization, in “Studies in Ethnicity and Nationalism”, 2021, vol. 21, n. 3, pp. 210-224.
13 Yad vashem, https://www.yadvashem.org/press-release/07-november-2023-21-25.html.
14 Chronicle, https://www.chronicle.com/blogs/letters/open-letter-against-lefts-lack-of-empathy-for-israeli-victims.
15 Esther Hertzog, The presence of the Shoah in daily discourse in Israel, in Martin L. Davies, Claus-Christian W. Szejnmann (eds.), How the Holocaust looks now. International perspectives, London, Palgrave Macmillan UK, 2006, pp. 60-71.
16 Anna Maria Cossiga, La memoria della Shoah è il pilastro dell’identità di ebrei e israeliani, in “Limes”, 2023, 3.
17 Daniel Navon, “We are a people, one people”: how 1967 transformed Holocaust memory and Jewish identity in Israel and the US, in “Journal of Historical Sociology”, 2014, n. 3, pp. 342-373: 28; Gulia Ne’eman Arad, Israel and the Shoah: a tale of multifarious taboos, in “New German Critique”, 2003, n. 90, pp. 5-26.
18 Gulia Ne’eman Arad, The Shoah as Israel’s political trope, in Deborah Dash Moore, S. Ilan Troen (eds.), Divergent Jewish cultures: Israel and America, New Haven, Yale University Press, 2001, pp. 192-216.
19 The Guardian, https://www.theguardian.com/football/2023/nov/23/wasim-haq-fa-council-member-resigns-after-hitler-proud-of-netanyahu-post.
20 The Jerusalem Post, https://www.jpost.com/diaspora/antisemitism/article-771174.
21 Gabriel H. Teninbaum, Reductio ad Hitlerum: trumping the judicial Nazi card, in “Michigan State Law Review”, 2009, n. 3, pp. 541-578.
22 The Jerusalem Post, https://www.jpost.com/diaspora/netanyahu-depicted-as-hitler-in-argentina-posters-ahead-of-key-visit-504768.
23 Questo da ben prima dei fatti del 7 ottobre. Già nel 2010 Steve Lendman parlava di un genocidio “slow-motion” in corso in Palestina. Si veda Steve Lendman, Israel’s slow-motion genocide in occupied Palestine, in William A. Cook (ed.), The plight of the Palestinians. A long history of destruction, New York, Palgrave MacMillan, 2010, pp. 29-38. Tuttavia, non tutti gli esperti concordano che le azioni di Israele in Palestina siano catalogabili come genocidio. Si veda a proposito “Time”, https://time.com/6334409/is-whats-happening-gaza-genocide-experts/.
24 “Adnkronos”, https://www.adnkronos.com/Archivio/cronaca/milano-corteo-per-palestina-spunta-anna-frank-con-la-kefiah_woyJFhjrQfXdot72VmTtJ.
25 “La Nuova Sardegna”, https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/manifestazione-pro-palestina-schoenheit-per-favore-no-giorno-memoria/AFr1H9TC.
26 “il Sole 24 ore”, https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/manifestazione-pro-palestina-schoenheit-per-favore-no-giorno-memoria/AFr1H9TC.
27 “Rai”, https://www.rainews.it/articoli/2024/01/giorno-della-memoria-milano-vieta-corteo-pro-palestina-meloni-manifestare-e-un-diritto-b7951fa9-5d8f-4831-b0f9-360391a780a5.html.
28 “La Stampa”, https://www.lastampa.it/cronaca/2024/01/25/news/giorno_della_memoria_circolare_ps_ai_questori_per_rinvio_delle_manifestazioni_pro-palestina_del_27_gennaio-14021332/.
29 https://www.youtube.com/watch?v=l2B20cE8xi8&t=43s.
30 Ibid.
31 https://www.youtube.com/watch?v=XejgFYr5u3g&t=23s.
32 La Stampa, https://www.lastampa.it/cronaca/2023/01/27/news/per_tenere_viva_la_memoria_della_shoah_bisogna_ricordare_tutti_gli_altri_genocidi-12607188/.
33 Ibid.
34 Ibid.
35 Richard A. Rogers, From cultural exchange to transculturation: a review and reconceptualization of cultural appropriation, in “Communication Theory”, 2006, n. 4, pp. 474-503: 16.
36 Se, e quanto, le pratiche di appropriazione culturale siano «sbagliate» è oggetto di discussione. Si veda ad esempio Patti Tamara Lenard, Peter Balint, What is (the wrong of) cultural appropriation?, in “Ethnicities”, 2020, n. 2, pp. 331-352: 20.