Storia di Ruggero Rebecchi, “Al Puff”

History of Ruggero Rebecchi, known as “Al Puff”

In apertura: un ritratto fotografico di Ruggero Rebecchi, tratto dal sito della casa editrice di Mirandola “Al Barnardon” (https://www.albarnardon.it/, ringrazio il direttore Fabrizio Artioli).

 

Di sicuro esistono vite

la cui apparente disfatta è ingannevole,

perché si sono ribaltate in extremis

o perché ci è sfuggito qualcosa d’invisibile.

Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia

 

La storia di Ruggero Rebecchi rappresenta un caso piuttosto eclatante di dissonanza. Ciò che resta di quest’uomo, nato e vissuto a Mirandola (Modena) fra il 1905 e il 1981, è fatto di due immagini molto diverse e, per certi versi, irriducibili fra loro. La vita di Rebecchi è, nella memoria di tanti mirandolesi – di cui ci sono anche diverse tracce nella pubblicistica locale1 –, quella del più tipico beone di paese, sempre sfaccendato e inevitabilmente un po’ strambo. Un “originale” dunque, senza un vero mestiere (praticato), la cui condotta presenta quel tanto di “pittoresco” da renderlo a suo modo memorabile. Una figura marginale, quindi, una “macchietta” come si dice, che sa rendersi davvero visibile solo con la propria assenza. D’altra parte, lo stesso Rebecchi è entrato, e non proprio da comparsa, nelle vicende più tragiche della storia novecentesca, essendo infatti uno delle migliaia di confinati dal regime fascista, a causa di frasi pronunciate – vedremo fra breve quali – al momento sbagliato e nel posto sbagliato.

Ruggero Rebecchi di professione era elettricista (anche se a volte viene descritto come manovale): di fatto, però, si dedicava soprattutto a frequentare alcune osterie di Mirandola, suonando (ovviamente da autodidatta) la sua chitarra. Rebecchi viveva – sappiamo che era sposato, ma non se avesse figli – in uno dei quartieri popolari di Mirandola, quello di Francia Corta. Ero uno dei personaggi del quartiere, assieme a qualche altro assiduo cliente delle bettole (Al Mao, Al Nadar) o alla tenutaria della casa di tolleranza. Rebecchi era “Al Puff”, non sappiamo con certezza per quale motivo, forse perché lasciava conti da saldare nei locali o perché chiedeva prestiti in giro (essendo il “Puff” o “Buffo” un debito). Su “Al Puff” oggi possiamo addirittura leggere una poesia (in dialetto):

Quand al cumpariva in di caffè, con la chitarra in spalla, qualchun agh pagava un biccer e pò al taiava la corda… acsì lu al n’aviva più par pubblic che quei cal tuliva in gir e agh giva dal “puff”.

Dascurrend al s’incuccaiava e quand pò l’era in ciarinna an s’capiva più cus al gis. Al pariva cattiv da veddar, con chi occ stralunà, quasi fora d’la testa, mo cattiv propria an l’era minga; invecci l’era sempar pront a dàrat na man, sperand in dal tò bon cor.

Sicurament bisgnava lassaral in pas a sunar canzunetti – ormai ultma risorsa – se nò al t’curriva adrè, pur malferum sul gambi, cum’è un tavul zopp, minacciand cun l’inseparabil cacciavidi2.

Come dicevamo – e come si nota anche da queste parole che sanno tanto, mutatis mutandis, di Amarcord – quella di Rebecchi sembra una figura ben definita, per certi versi addirittura “senza storia”. Sulla rete si trovano anche alcune immagini di Rebecchi che suona la chitarra in qualche locale. Eppure c’è stato un momento, anzi un periodo della sua vita in cui anche la sua condotta gli procurò molti problemi. Ci riferiamo, ovviamente, all’epoca del fascismo e, in particolare, agli anni della Seconda guerra mondiale. Come è stato ricostruito di recente da Matteo Petracci3, i clienti di osterie e taverne cadevano facilmente preda della repressione di regime: quest’ultimo diffidava delle osterie come potenziali (anzi probabili) luoghi dove poteva covare il dissenso. Per parte loro, gli ubriachi si lasciano facilmente trascinare in discorsi, canti o soltanto a utilizzare espressioni pericolose: pensiamo soltanto alle “offese del Duce”, che rappresentavano uno specifico reato penale4. Il vino, di per sé, scioglieva le lingue e faceva cadere i freni inibitori. Inoltre, le osterie erano uno dei pochi luoghi di aggregazione non controllata direttamente dal regime.

Con la nascita dell’Ond [Opera Nazionale Dopolavoro] e l’indicazione delle pratiche corrette da seguire per vivere “fascisticamente” il tempo fuori dal lavoro, trascorrere le ore libere della giornata in osteria bevendo vino divenne un’abitudine che, di per sé, esponeva a sospetti, perché coloro che vi si intrattenevano palesavano in tal modo la loro preferenza per l’aggregazione spontanea dei locali di mescita rispetto a quella obbligata delle organizzazioni del regime. […] Conseguentemente, osterie, bettole e fiaschetterie si trasformarono in un luogo privilegiato per l’attività di delatori, informatori e spie, mentre gli osti erano obbligati a denunciare fatti, discorsi e atteggiamenti di contrarietà al regime, per evitare di essere a loro volta denunciati per omissione5.

In secondo luogo, anche per il caso di Rebecchi possiamo dire di trovarci di fronte a un tipico esempio di “antifascismo popolare” ovvero di tutte quelle forme di dissenso non militanti, non strutturate e, per così dire, “istintive”6: «accanto all’antifascismo organizzato e consapevole e alla presenza comunista nel tessuto popolare, – scrisse anni fa Gianpasquale Santomassimo – esiste pure un ribellismo generico e primitivo non direttamente riconducibile a posizioni politiche ben definite, ma che si nutre di insofferenza e di sdegno nei confronti del regime o di sue singole manifestazioni»7.

Rebecchi non era forse un sovversivo in senso proprio, ma come tale fu visto e giudicato da diversi apparati repressivi, a cominciare dal milite che lo fermò una notte dell’8 gennaio 1942. Nel Casellario Politico Centrale è conservata la scheda biografica di Rebecchi, che comprende anche il rapporto inviato dalla Prefettura di Modena al Ministero dell’Interno e dedicato proprio a quell’arresto8. Rebecchi non aveva dato in precedenza segni di militanza antifascista, anche se si era sempre mostrato indifferente verso il regime (e non era iscritto al PNF).

Viene fermato la sera dell’8 gennaio u. s. verso le ore 23:30 da un ufficiale della Milizia, perché sorpreso, a Mirandola, nelle adiacenze della Caserma della Milizia, in istato di manifesta ubbriachezza a gridare frasi incomposte e distintamente “Vigliacchi, traditori, avete venduta l’Italia, ma presto si vedrà”. All’atto del fermo, richiesti dei motivi di tale frase, rispose: “Non dico a voi, ma a quelli come voi”. Al contesto del fatto ha ammesso di aver profferito le frasi incriminate evidentemente perché in istato di ebbrezza alcoolica. Successivamente ha pure ammesso di aver preso parte ad una serenata con alcuni suoi amici in cui furono cantate, dopo alcune canzoni popolari, strofe della canzone sovversiva “Splende il sol dell’avvenire”9.

Ce n’era abbastanza per passare dei guai. Dopo la consueta segnalazione alla Commissione provinciale, che doveva decidere (ovviamente su input del Ministero) le misure amministrative di polizia adatte al caso10, Rebecchi fu assegnato al confino per due anni e giunse a Pisticci (Matera), in Basilicata, l’8 marzo 1942. Là non diede problemi alle autorità e già pochi mesi dopo, alla metà di ottobre, poté beneficiare del provvedimento di clemenza di Mussolini per il ventesimo anniversario della marcia su Roma. Rebecchi fece ritorno a Mirandola perché il provvedimento a suo carico fu commutato in semplice ammonizione (il che doveva impedirgli di frequentare le osterie).

Pochi mesi dopo, il 28 marzo del 1943, Rebecchi però fu nuovamente arrestato:

Verso le ore 0:20 del 28 detto, in evidente stato di ubbriachezza, trovandosi a transitare nei pressi della Caserma dei Milizia di Mirandola e notata la sentinella andava gridando “Io sono socialista”. Successivamente fu sentito dire “Io sono socialista, inutile che venite avanti con le baionette, tanto non mi fate paura, ero socialista e sono sempre socialista11.

Rebecchi non aveva imparato la lezione, avranno pensato quelli che – alla questura di Modena – lo proposero per un nuovo confino di polizia. L’ultima annotazione sul suo fascicolo vede Rebecchi detenuto in attesa di conoscere la propria nuova destinazione.

Il caso di Ruggero Rebecchi mostra una volta di più quanto fosse complicata e variegata la “resistenza” al regime e come sia difficile catalogare i comportamenti degli uomini. Il suo caso è un frammento di una storia dalle dimensioni incerte ma molto vaste, quella delle opposizioni “elementari” al fascismo, minuziosamente “rendicontate” nei rapporti prefettizi e nei rapporti di polizia12.

Rebecchi fu, a suo modo, fortunato. Visse ancora molti anni dopo la guerra, sempre a Mirandola, spesso cantando.


Note

1 Cfr. ad esempio Quirino Mantovani, Al Mao, Abade e il Gatto con la polenta, in “L’indicatore mirandolese”, http://www.indicatoreweb.it/al-mao-abade-e-il-gatto-con-la-polenta, ultima consultazione di tutti i link: 15 maggio 2024; Id., Il popolo di Francia Corta, in “Al Barnardon”, https://www.albarnardon.it/il-popolo-di-francia-corta.

2 Delio Bellodi, Ruggero Rebecchi – Al Puff, in “Al Barnardon”, https://www.albarnardon.it/ruggero-rebecchi-al-puff-2.

3 Cfr. Matteo Petracci, Osterie, trattorie e bettole nelle sentenze del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, in “Storia e problemi contemporanei”, 2021, n. 88, pp. 196-218; Id., I matti del Duce. Manicomi e repressione politica nell’Italia fascista, Roma, Donzelli, 2014, in part. le pp. 50-55.

4 Il reato di “offesa al Duce” «fu introdotto nel dicembre 1025 e puniva chiunque avesse offeso il Capo del Governo con la reclusione o con la detenzione da sei mesi a due anni e mezzo e con una grave multa. Il reato subì una riformulazione con l’approvazione del Codice penale del 1930 che ne aumentò la pena, stabilendo la reclusione da uno a cinque anni. Inoltre, con la riforma del diritto penale militare approvato nel 1941, esso fu inserito nel Codice militare di pace, che prevedeva la pena della reclusione da tre a dodici anni. Esso venne espunto dall’ordinamento giuridico solo dopo la caduta del Regime. La sua eliminazione dal Codice penale avvenne nel 1944, dal Codice militare di pace nel 1956», in Alberto Vacca, Duce truce. Insulti, barzellette, caricature: l’opposizione popolare al fascismo nei rapporti segreti dei prefetti (1930-1945), Roma, Castelvecchi, 2011, p. 13.

5 Petracci, Osterie, trattorie e bettole nelle sentenze del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, cit., p. 208.

6 Vanno annoverati in questo senso senza dubbio anche «le invettive contro il regime o contro il duce e il re e i canti sovversivi da parte di singoli individui all’uscita delle osterie o, più raramente, nelle ore notturne da parte di gruppi nelle piazze dei paesi o in aperta campagna, oppure alle prime luci dell’alba, recandosi al lavoro» (Claudio Natoli, L’antifascismo popolare in Italia, in Dittature, opposizioni, resistenze. Italia fascista, Germania nazionalsociasta, Spagna franchista: storiografie a confronto, a cura di Lutz Klinkhammer, Claudio Natoli, Leonardo Rapone, Milano, Unicopli, 2005, pp. 85-106: 98. Cfr. anche Giuseppe Aragno, Antifascismo popolare. I volti e le storie, Roma, Manifestolibri, 2009; Id., Antifascismo e potere. Storia di storie, Foggia, Bastogi, 2012; Luciano Casali, E se fosse dissenso di massa?, in “Italia contemporanea”, 1981, n. 144, pp. 101-120; Giovanni C. Cattini, Storie d’antifascismo popolare mantovano. Dalle Giornate rosse alla Guerra civile spagnola, Milano, Franco Angeli, 2020.

7 Gianpsquale Santomassimo, Antifascismo popolare, in “Italia contemporanea”, 1980, n. 140, pp. 39-69: 54.

8 Cfr. Archivio centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, busta 4256, Scheda biografica di Ruggero Rebecchi, 1942-1943. Ringrazio Fabio Montella per la segnalazione del dossier. Montella ha già citato il caso di Rebecchi in un saggio dedicato a Mirandola in I comuni modenesi fra fascismo e antifascismo, in “Annale dell’Istituto storico di Modena”, 2012, p. 40.

9 Ivi, Prefettura di Modena, Cenno biografico di Ruggero Rebecchi al 10 febbraio 1942.

10 Sul confino e le altre misure di sicurezza, cfr. Paola Carucci, Confino, soggiorno obbligato e internamento: sviluppo della normativa, in Costantino Di Sante (a cura di), I campi di concentramento in Italia: dall’internamento alla deportazione, Milano, Franco Angeli, 2001; Id., Dal domicilio coatto al soggiorno obbligato: confino e internamento nel sistema di prevenzione e repressione fascista e nel dopoguerra, in Ferdinando Cordova, Pantaleone Sergi (a cura di), Regione di confino. La Calabria (1927-1943), Roma, Bulzoni, 2005; Celso Ghini, Adriano Dal Pont, Gli antifascisti al confino. 1926-1943, Roma, Editori Riuniti, 1971; Leonardo Musci, L’Italia al confino. L’apparato statale di fronte al dissenso politico e sociale, in Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L’Italia al confino. 1926-1943, Roma, La Pietra, 1983; Camilla Poesio, Il confino fascista. L’arma silenziosa del regime, Roma-Bari, Laterza, 2011; Silverio Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini. Il confino da Bocchini a Berlusconi, Milano, Baldini & Castoldi, 2004.

11 Archivio centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, busta 4256, Scheda biografica di Ruggero Rebecchi, Lettera della Prefettura di Modena al Casellario Politico Centrale c/o Ministero dell’Interno, 2 aprile 1943.

12 Cfr. Pier Luigi Orsi, Una fonte seriale: i rapporti prefettizi sull’antifascismo non militante, in “Rivista di storia contemporanea”, 1990, n. 19, pp. 280-303.