Videogiochi al femminile tra stereotipi e nuove tendenze. Riflessioni sul rapporto tra media digitali, cultura e società

Female-focused videogames between stereotypes and new trends. Considerations on the Relationship between Digital Media, Culture, and Society

In apertura: foto di Warren Umoh (unsplash.com).

1. Introduzione

L’industria videoludica è quella con il maggior grado di sviluppo negli ultimi anni per quanto riguarda non solo l’intrattenimento ma anche la dimensione culturale1, arrivando a superare di gran lunga l’industria cinematografica e quella musicale con un fatturato di 183.9 biliardi di dollari nel 20232. Guardando al videogioco quale nuovo medium narrativo che, in quanto tale, richiede attenzioni particolari, nell’analisi del suo complesso bisogna porre l’accento tanto sui modelli di interazione che esso produce quanto sul contesto esperienziale di gioco3. Fino a qualche tempo addietro, i videogiochi sono stati considerati meri prodotti di intrattenimento, lontani dal mondo reale anche quando portatori di valori sociali rilevanti come il contrasto alle forme di razzismo, sessismo o omofobia. Negli ultimi anni, tuttavia, la lunga tradizione di studi scientifici sugli effetti prodotti dai media sulla società si è interessata anche dell’universo videoludico includendolo nel dialogo che unisce il mondo mediatico ed il mondo culturale, «in piena consapevolezza del [suo] valore culturale, artistico, sociologico ed economico»4. Non vi è dubbio ormai che i videogiochi, oltre a rappresentare una fetta importante del mercato dell’intrattenimento, costituiscano una risorsa rilevante per l’insegnamento scolastico. Il caso simbolo di tale funzione è dato dai cosiddetti “giochi storici”, nei quali il mondo di gioco trae diretta ispirazione dagli eventi del passato riproponendoli tali e quali al loro reale svolgimento oppure lasciando maggiori libertà al giocatore di determinare scenari alternativi o controstorici5. In tali ragionamenti, se ampio spazio è stato dedicato allo studio delle dinamiche e delle possibilità educative offerte dai videogiochi, molto meno interesse ha riguardato la presenza di genere in questi prodotti.

I primi studi sul “contenuto femminile” nei prodotti videoludici si hanno negli anni Ottanta ad opera di Sara Kiesler6, Claude Braun e Josette Giroux7. Tradizionalmente le figure femminili sono spesso raffigurate in modo altamente sessualizzato, agiscono secondo gli stereotipi sociali riguardo il mondo femminile e non si trovano quasi mai al centro della narrazione principale nel ruolo di protagoniste. Al pari di altri canali narrativi come la letteratura e il cinema8, anche il videogioco promuove infatti indirettamente modelli di genere che per diverso tempo sono stati poco analizzati. Negli ultimi anni si assiste ad una rivoluzione nel mondo videoludico che, di pari passo con le maggiori rivendicazioni lavorative femminili per un settore ancora a maggioranza maschile, attribuisce il ruolo di protagonista a ragazze o donne, autonome, forti e coraggiose tanto quanto i loro alter ego maschili. La loro presenza nei videogiochi deve quindi essere esaminata per isolare i modelli positivi o negativi che interessano la funzione educativa dell’industria videoludica9.

2.“Damigelle in pericolo” e “corpi in movimento”

Le analisi compiute sui prodotti videoludici degli anni Ottanta e Novanta mostrano la prevalenza di protagonisti maschili, solo in alcuni casi affiancati da qualche personaggio femminile che spesso è presentato in modo stereotipato ed esterno allo svolgimento della storia principale. Si tratta del modello delle cosiddette “Damigelle in pericolo”, ossia di personaggi tipicamente passivi che, trovandosi in pericolo, necessitano di essere salvate da un eroe forte e coraggioso10. In questo caso, la figura femminile rappresenta lo scopo finale del gioco, la main quest, e ciò viene reso narrativamente anche dalla presenza sfumata e sfuggente della damigella in attesa di essere salvata. Fino ai primi anni Novanta, le limitate capacità grafiche non consentono agli sviluppatori di rappresentare i corpi femminili nel modo sessualizzato che si impone invece con console più avanzate come PlayStation o XBox. Si tratta tuttavia di personaggi che rispondono comunque a canoni maschilisti sulla base dei quali si plasma il mondo di gioco11. Si pensi anzitutto alle celeberrime damigelle di casa Nintendo: Pauline di Donkey Kong (1981), la principessa Peach di <em”>Super Mario Bros (1985) e la principessa Zelda dell’omonimo titolo The Legend of Zelda (1986). Ed è proprio quest’ultima uno delle più emblematiche in quanto, nonostante il titolo rimandi espressamente alle vicende di Zelda, l’intera avventura viene affrontata dal giocatore con un personaggio maschile, Link.

Un primo cambiamento di paradigma videoludico si ha negli anni Novanta, quando sulla scia del third wave feminism e delle eroine protagoniste di film e serie tv12, si impongono anche nei videogiochi i cosiddetti “corpi in movimento”. Si tratta di personaggi femminili con caratteristiche fisiche e sessuali fortemente accentuate, spesso raffigurate in abiti succinti che lasciano scoperte ampie zone del proprio corpo magro e ben modellato. Spesso sono personaggi non giocabili che non apportano nulla alla trama se non ricercare l’apprezzamento del pubblico maschile13. Si pensi ad esempio a Quiet di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain (2015): lineamenti dolci, curve sinuose, bikini, calze a rete strappate. Come il suo ideatore Hideo Kojima ha affermato all’uscita del primo trailer e, di conseguenza, delle prime polemiche:

forse l’espressione “erotico” non era proprio quello che stavo cercando di dire. Quello che cerco di fare è creare personaggi unici. Uno di questi è, ovviamente, Quiet. È un personaggio davvero unico, volevo aggiungervi un po’ di sensualità. Non doveva essere erotico, ma sexy. […] Ve ne accorgerete, ma i dialoghi sono limitati, e per questo motivo vogliamo mostrare anche fisicamente le caratteristiche di ogni personaggio14.

Un caso particolare è quello di Samus Aran di Metroid (1986), personaggio all’apparenza maschile posto all’interno di una power suit. Solo alla fine del gioco, a condizione di riuscire a completarlo in un tempo massimo, il giocatore scopre che il protagonista è in realtà una donna, rispondente ai tradizionali canoni sessualizzati: capelli lunghi, fisico slanciato e bikini rosa.

I “corpi in movimento” giocabili rispondono a dinamiche simili a quelli non giocabili ma con risultati molto differenti. Si pensi al caso emblematico di Lara Croft, eroina del gioco Tomb Raider (1996)15. Nonostante il coraggio, la forza e l’intelligenza, tratti distintivi della nuova femminilità indipendente e fisicamente prestante16, Lara rimane fortemente sessualizzata nella sua immagine, con un aspetto fisico che sminuisce in parte il conquistato ruolo da protagonista17. Un ruolo, questo, che vede Tomb Raider essere tra i primi giochi a determinare un’identità sfumata nel tipico utente maschio. Giocando nei panni femminili di Lara, il giocatore mostra un carattere che può essere provocatoriamente definito “virtualmente transgender” in quanto i confini tra giocatore e protagonista del gioco sono indistinti. Tale identità è quindi in grado, potenzialmente, di invertire quelle distinzioni solide e fortemente difese che determinano le polarità della soggettività maschile e femminile18. In questo senso si pensi anche alle polemiche generate da Mizhena, mercante transessuale di Baldur’s Gate: Siege of Dragonspear’s (2016) nato donna ma cresciuto come uomo fino a quando scoperta la verità cambia nome e avvia un processo di ridefinizione della propria identità di genere19.

I personaggi femminili giocabili, quindi, racchiudono in sé un paradosso: contribuiscono a smantellare i tradizionali stereotipi uomo-donna ma allo stesso tempo lo fanno mantenendosi all’interno delle medesime dinamiche socio-culturali che vorrebbero superare20. Sono ancora decisamente pochi gli esempi che si dimostrano capaci di riconsiderare le norme di genere nell’industria videoludica21: si pensi ai casi positivi di Ellie in The Last of Us (2013-2022), di Aloy in Horizon Zero Dawn (2017-2023), di Claire Redfield o Jill Valentine in Resident Evil (1996-2023), di Evie Frye, Aya, Kassandra e Eivor in Assassin’s Creed (2015-2020), di Polina Petrova in Call of Duty Vanguard (2021), di Maxime in Life is Strange (2015-2024).

3. Donne mascoline

Nonostante negli ultimi anni il dibattito sorto in seno alla società, e di riflesso alla comunità digitale, abbia portato ad una riduzione complessiva della sessualizzazione femminile nei videogiochi22, permangono prodotti in cui la cristallizzazione dei modelli archetipici femminili è ancora molto presente. Si pensi anzitutto a titoli come Tekken (1995-2024) o Street Fighter (1987-2022), nei quali i personaggi femminili, giocabili, sono rappresentati con curve generose, un fisico atletico ed abiti succinti che diventano qui orgogliosamente vantati quali punti di forza del personaggio23.

D’altro canto, i prodotti che tentano di sovvertire quei modelli sono oggetto di dure critiche da parte degli utenti più polemici, che non perdono occasione per rimarcare l’aspetto troppo mascolino di alcune eroine femminili. È successo ad Aloy, protagonista di Horizon Zero Dawn che, dopo il primo episodio in cui, complice l’interfaccia grafica, viene resa rispondente ai canoni femminili più tradizionali per quanto si tratti già di una donna più “realistica”, nel secondo capitolo della serie ha generato non poche polemiche per il suo aspetto fisico. Le nuove possibilità grafiche cross-gen hanno reso infatti tutto l’ambiente di gioco molto più dettagliato, compresi i particolari dei protagonisti. Aloy ne è uscita più muscolosa del primo capitolo, senza trucco, con qualche imperfezione della pelle (es. lentiggini) ed accenni di peluria sul viso. Per quanto tale aspetto si avvicini a quello già visto per i mondi post-apocalittici, alcuni utenti hanno sottolineato come non rispecchi una “donna reale” condividendo in rete un restyling grafico di Aloy con un viso più magro, lineamenti dolci, pelle senza lentiggini, con trucco e rossetto, oltre ad un sorriso smagliante24. In tutta risposta Aloy diventa il simbolo della rivoluzione di genere e conquista rapidamente spazio pubblico, tanto con una statua (Aloy the placeholder) nel centro di Firenze25 che con la sua immagine sulla copertina di “Vanity Fair26.

Una polemica simile ha investito anche l’ultimo titolo di casa Star Wars, Outlaws (2024). Anche in questo caso, dopo i primi trailer alcuni membri della community hanno criticato l’aspetto dell’eroina femminile Kay Vess accusando gli sviluppatori di aver imbruttito la modella27 che ha prestato i propri tratti al personaggio trasformando «una bellissima modella in una scopa». Non bastano a spegnere tali critiche le motivazioni che la vedono inserita in un ambiente underground, con un aspetto fisico che riflette anche il suo passato personale. Come specificato di recente da Julian Gerighty, direttore creativo del gioco,

Kay è pensata per essere un personaggio avvicinabile, una piccola ladra che si ritrova a vivere questa storia, prendendo decisioni sbagliate e caratterizzata da molto umorismo, umiltà e forza. Questo è ciò che conta per me. E lei è bellissima, dai. Non ha senso per me, e non vale la pena di confrontarsi. Se ti confronti con persone in malafede, non c’è sfumatura e nessuna possibilità di vero dialogo28.

Tuttavia, questa è solo l’ultima (anche se non sarà di certo l’ultima) di una serie di polemiche mosse dal Gamergate ogniqualvolta si affacci all’orizzonte un titolo con una protagonista femminile e si prospettano già nuove polemiche su Naoe, l’eroina del nuovo capitolo di Assassin’s Creed Shadows (2024).

4. Conclusioni

Le nuove tendenze videoludiche rappresentano sempre più spesso personaggi femminili in molti casi adolescenti perché, se il videogioco è un medium dei propri tempi, allora anche i suoi protagonisti si devono avvicinare ai giocatori finali. Si pensi a Maxime di Life is Strange o ad Ellie di The Last of Us: giovani ragazze che si trovano catapultate in un mondo a loro ostile fatto di successi e fallimenti con prove che talvolta richiedono astuzia, altre forza bruta. Per smontare quel pacchetto di stereotipi da tempo consolidati, molti titoli soprattutto online consentono all’utente di personalizzare il proprio avatar lasciando quindi spazio a ciascun giocatore di rappresentarsi virtualmente come preferisce, creando così l’occasione in cui il sé del singolo incontra la pluralità di sé della community.

Tornando ai giochi più mainstream, il cambiamento in atto è ben visibile nel prossimo atteso titolo di casa Nintendo: The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom (2024). Contrariamente al passato, infatti, sarà proprio la principessa Zelda a dover salvare il proprio regno dal pericolo incombente dopo che il fido Link è stato inghiottito da squarci dimensionali. Si rovescia così il modello della “damigella in pericolo” ponendo al centro della trama, dopo circa quarant’anni dal primo capitolo, la saggia eroina Zelda e relegando invece il coraggioso Link nel ruolo di comprimario.

Ecco allora che il videogame nella sua trasversalità innata, sia per generazioni di utenti coinvolte che per diffusione globale, può essere il medium più adatto a sfidare le cristallizzazioni sociali sulla complessità delle rappresentazioni di genere, articolando al proprio interno questioni che sono oggi al centro del dibattito pubblico internazionale.


Note

1 Cfr. Joost Raessens, Jeffrey H. Goldstein (eds.), Handbook of Computer Game Studies, Cambridge, MIT Press, 2005.

2 Newzoo, 2023 Global Games Market Report: https://newzoo.com/resources/blog/last-looks-the-global-games-market-in-2023, ultima consultazione di tutti i link: 7 agosto 2024.

3 Cfr. James Paul Gee, What Video Games Have to Teach Us About Learning and Literacy, London, Palgrave Macmillan, 2003; Adam Chapman, Digital games as history. How Videogames Represent the Past and Offer Access to Historical Practice, London, Routledge, 2016.

4 Marco Accordi Rickards, Storia del videogioco. Dagli anni Cinquanta a oggi, Roma, Carocci, 2014, p. 12.

5 La libertà lasciata al giocatore e la sua dimensione di intrattenimento rappresentano al tempo stesso un fattore limitante nella percezione sociale del videogioco. Si pensi ad esempio all’opposizione dimostrata da alcuni studenti universitari “nativi digitali” nel riconoscere al videogioco storico la medesima valenza didattica dei manuali. Cfr. Kevin O’Neill, Bill Feenstra, ‘Honestly, I Would Stick with the Books’. Young Adults’ Ideas About a Videogame as a Source of Historical Knowledge, in “Game Studies”, 2016, vol. 16, n. 2, https://gamestudies.org/1602/articles/oneilfeenstra.

6 Sara Kiesler, Second-Class Citizens?, in “Psycology Today”, 1983, vol. 17, n. 3, pp. 41-48.

7 Claude Braun, Josette Giroux, Arcade Video Games: Proxemic, Cognitive and Content Analyses, in “Journal of Leisure Research”, 1989, vol. 21, n. 2, pp. 92-105.

8 Cfr. Irene Biemmi, Educare alla parità: proposte didattiche per orientare in ottica di genere, Roma, Edizioni Conoscenza, 2012.

9 Emiliano Chirchiano, Alessia Tuselli, Che genere di videogame? Le rappresentazioni di genere nell’universo videoludico, in “H-ermes. Journal of Communication”, 2016, vol. 7, pp. 295-320. Si vedano anche i due recenti volumi: Marco Accordi Rickards, Micaela Romanini, Donne e videogiochi. Una questione di genere, Roma, Carocci, 2023; Fabrizia Malgieri, Fiorenzo Pilla, Tiziana Pirola, Lorena Rao, Videogioco: Femminile, plurale, Milano, Ledizioni, 2024.

10 Cfr. Ward Gailey, Mediated Messages: Gender, Class, and Cosmos in Home Video Games, in “The Journal of Popular Culture”, 1993, vol. 27, n. 1, pp. 81-98.

11 Per tali dinamiche la critica cinematografica Laura Mulvey conia nel 1975 il termine «male gaze», un fenomeno che racchiude in sé il produttore, il personaggio e l’utente finale.

12 Si pensi ad esempio a Xena: principessa guerriera (1995-2001), personaggio iconico del girl power protagonista anche di un videogioco omonimo nel 1999, oppure a Buffy l’Ammazzavampiri (1997-2003).

13 Il target tradizionale è l’adolescente bianco, maschio, eterosessuale. Cfr. Adrienne Shaw, Do you identify as a gamer? Gender, race, sexuality, and gamer identity, in “New media & society”, 2012, vol. 14, n. 1, pp. 28-44.

14 Michael McWhertor, Hideo Kojima clarifies his ‘sexy’ approach to Metal Gear Solid 5’s characters, Polygon, 6 settembre 2013, https://www.polygon.com/2013/9/6/4700386/hideo-kojima-explains-his-sexy-approach-to-metal-gear-solid-5s.

15 Si tratta senza dubbio della serie videoludica al femminile di maggior successo. Conta ad oggi ben 16 titoli, oltre ai tre titoli cinematografici Lara Croft: Tomb Raider (2001), Lara Croft: Tomb Raider – la culla della vita (2003) e Tomb Raider (2018), arrivando nel 2006 ad essere dichiarata l’eroina più popolare dell’industria videoludica dal Guinness World Record. È interessante notare l’evoluzione del personaggio negli anni, passando da un focus mirato sulle forme fisiche ad uno prevalentemente orientato alle abilità di sopravvivenza.

16 Cfr. Tracy L. Dietz, An Examination of Violence and Gender Role Portrayals in Video Games. Implications for Gender Socialization and Aggressive Behavior, in “Sex Roles”, 1998, vol. 38, pp. 425-442.

17 Elizabeth Behm-Morawitz, Dana Mastro, The effects of the sexualization of female video game characters on gender stereotyping and female self-concept, in “Sex roles”, 2009, vol. 61, n. 11-12, pp. 808-823.

18 Anne-Marie Schleiner, Does Lara Croft wear fake polygons? Gender and gender-role subversion in computer adventure games, in “Leonardo Music Journal”, 2001, vol. 34, n. 3, pp. 221-226; Helen W. Kennedy, Lara Croft. Feminist icon or cyberbimbo? On the limits of textual analysis, in “Game Studies. International Journal of Computer Games Research”, 2002, vol. 2, n. 2, https://www.gamestudies.org/0202/kennedy/.

19 Cfr. Colin Campbell, Baldur’s Gate studio responds to harassment over trans character, in “Polygon”, 2016, Apr 6, https://www.polygon.com/2016/4/6/11380556/baldurs-gate-studio-responds-to-harassment-over-trans-character.

20 Sara M. Grimes, “You Shoot Like A Girl!”. The Female Protagonist in Action-Adventure Video Games, in “DiGRA Conference”, University of Utrecht, 4-6 November 2003, pp. 1-15.<

21 Teresa Lynch, Jessica E. Tompkins, Irene I. van Driel, Niki Fritz, Sexy, Strong, and Secondary. A Content Analysis of Female Characters in Video Games across 31 Years, in “Journal of Communication”, 2016, vol. 66, n. 4, pp. 564-584.

22 Salomé Lhuillery, Women’s Representation in Video Games, in “Institut du Genre en Geopolitique”, 2021, vol. 23, https://igg-geo.org/?p=2884&lang=en.

23 Cfr. Berrin Beasley, Tracy Collins Standley, Shirts vs. Skins: Clothing as an Indicator of Gender Role Stereotyping in Video Games, in “Mass Communication & Society”, 2002, vol. 5, n. 3, pp. 279-293.

24 Il post più diffuso è quello di ApexAlphaJ che, nel mostrare il paragone tra l’Aloy originale e quella che avrebbe voluto, commenta «Is it me or Sony be making their lead female protagonist look masculine as hell… barely no curves or rough non femine features… Unlike the average woman», Twitter, 30 maggio 2021.

25 La statua è stata posta da Sony per il lancio di Horizon Forbidden West, con una targa dove la stessa Sony dichiara che «un’icona di coraggio, tenacia e intraprendenza tiene il posto a tutte le donne della storia che hanno condiviso questi valori e meriterebbero una statua».

26 Mario Manca, Aloy e la rivoluzione, in “Vanity Fair”, 18 febbraio 2022, https://www.vanityfair.it/article/aloy-eroina-horizon-forbidden-west-videogioco-seconda-stagione-intervista-creatori

27 Si tratta dell’attrice venezuelana Humberly González.

28 Star Wars Outlaws’ somehow made me fall in love with Star Wars again, in “The Washington Post”, 30 luglio 2024, https://www.washingtonpost.com/entertainment/video-games/2024/07/30/star-wars-outlaws-kay-vess-preview/.