“Uniti si vince”: storia della mensa nella fabbrica Bondioli & Pavesi di Mantova

“Uniti si vince”: history of Bondioli & Pavesi’s company Canteen in Mantua

In apertura: autunno 1969, corteo per le vie di Suzzara (da Siamo partiti con la tuta blu, Fondazione Arti e Mestieri “F. Bertazzoni” Editore, San Rocco di Guastalla, 2021, p. 196).

 

1. Introduzione

L’articolo qui presentato è frutto di un lavoro di ricerca più ampio, di cui pensiamo sia importante riportare lo stimolo. Tramite interviste, alcune svolte da noi, altre riportate nella preziosa opera di Paolo Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, abbiamo tentato di riportare una storia il più possibilmente fedele dei rapporti tra sindacato e azienda in Bondioli & Pavesi. L’industria di Suzzara, in provincia di Mantova, produce alberi cardanici, la componente che permette la trasmissione di energia dalla componente motrice a quella operatrice, per le macchine agricole. La fabbrica, che è piccola ma in piena crescita a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta1, è piena di vitalità, grazie alla presenza di due energie che spesso si scontrano e combattono tra loro. Da una parte abbiamo il fondatore, Edi Bondioli, che fonda la ByPy nel 1950 insieme all’ex-collega Guido Pavesi, con cui aveva condiviso un’esperienza di lavoro sotto padrone2: egli, partendo dall’esperienza da operaio, riesce in breve tempo a trovare successo nel settore della meccanica agricola. Carlo Bondioli, attuale dirigente e figlio di Edi Bondioli, si è reso disponibile insieme a Paolo Cenna, responsabile delle relazioni sindacali, a lasciare una testimonianza. Dall’altra parte, a fine anni Settanta, ad animare l’azienda è il nuovo Consiglio di fabbrica della Bypy: in una fabbrica formata da più del 90% da persone vicine alla Cgil3, la giovane commissione interna della fine degli anni Settanta è causa di difficoltà e arricchimenti per la direzione. Siamo riusciti nella nostra ricerca a contattare tre ex-membri, che hanno condiviso con noi le loro importanti storie e le loro opinioni: Alberto Montani, Vittorio Erlindo e Vanni Dian. In questo articolo abbiamo deciso di presentare in particolare il caso della mensa in Bondioli & Pavesi, come rappresentativo della volontà di quegli anni.

2. Uniti si vince

All’inizio in ByPy non c’era la mensa, ma una saletta, che si risolveva con alcuni tavoli e sedie, disadorna; due vasche con un fondo d’acqua portato ad ebollizione con dei trasformatori elettrici, riscaldavano a bagnomaria i contenitori del pasto4. Vittorio Erlindo, operaio in ByPy, nello spiegarci aneddoti riguardo alla nascita della mensa, cita un dipinto, di Tettamanti: gli operai escono dalla fabbrica con delle cartelline di cuoio. Era proprio in queste ultime che gli operai tenevano il pranzo, dentro alla “schiscetta”. A riempire le gavette di solito erano le madri, le mogli, che si alzavano la mattina presto, all’alba, per cucinare ciò che mariti e figli avrebbero mangiato dopo sei o sette ore di lavoro5. Per togliere questo compito alle mogli alcuni si recavano a pranzo in alcuni locali suzzaresi: il Vaticano, una piccola osteria/bar6, o il Cavallino Bianco, ristorante7, o, ancora, in riferimento ai primi anni Sessanta, si parla di un grande ambiente vicino alla Om, dove le suore laiche cucinavano piatti semplici8. La maggior parte non se lo poteva permettere.

Questo spinge gli operai ad iniziare il percorso che avrebbe fatto diventare quella saletta una vera mensa. L’ampliamento della fabbrica, a metà degli anni Settanta, permette di ricavare due ampi locali: uno di questi sarà la sala riunioni dell’Rsu, l’altro ambiente la mensa9. Essa è stata aperta il 2 gennaio del 1975, dopo lotte iniziate l’anno precedente10.

La decisione di mettere negli accordi sindacali aziendali la mensa arriva nel 1974. Molti operai della Bondioli & Pavesi non rimanevano in azienda a pranzare, perché, abitando a Suzzara, potevano permettersi di utilizzare la pausa per pranzare a casa. Il problema dei pasti era dei pendolari: per questo gli operai del consiglio di fabbrica si preoccuparono di dare il giusto peso all’esigenza di una mensa aziendale. «Il tema era all’ordine del giorno, ma c’erano sempre altre priorità e questa invece riguardava solo i turnisti, anche se i più svantaggiati», racconta Vittorio Erlindo11. Si trovò presto un accordo tra tutti gli operai: la mensa venne presentata come improcrastinabile12, un “risarcimento” per chi faceva i turni, o l’orario normale ma abitando lontano, e alle mogli e madri di questi ultimi13. «Non si può trattare tutti in maniera uguale quando non tutti sono uguali nelle loro condizioni sociali, culturali e materiali»14 ricorda Vittorio Erlindo, citando Don Milani.

Sono state fatte quattro assemblee retribuite: due per i turnisti, una per gli operai del turno normale e una per gli impiegati, e un gruppo di lavoro che si doveva relazionare con il Consiglio di fabbrica per capire a quale tipo di mensa ispirarsi15. Del gruppo facevano parte Mario Bacchi, Fausto Bosi, Gilberto Saltini e Vittorio Erlindo16.

Alberto Montani17 e Vanni Dian parlano dell’esperienza come di una vertenza vera e propria. Dian la descrive come una delle vertenze storiche, difficile e complicata, una sfida vera e propria nei confronti dell’impresa, nella quale gli operai hanno dimostrato di avere capacità di governo18. Erlindo dà una versione della vicenda più unita alle altre cronache di quegli anni, come un’importante parte di un grande tutt’uno.

La particolarità della mensa di Bondioli & Pavesi nasce proprio da questo gruppo di lavoro. Visitando le concorrenti e consumando al loro interno persisteva un problema in particolare: il gestore.

Il gestore della mensa tendeva a fare reddito per la propria azienda. Il datore di lavoro tendeva a pagare il meno possibile il costo del pasto. Chi ci rimetteva? I lavoratori! Allora mi dissi che quella roba lì non andava praticata, solo che tutte le mense italiane (non di Suzzara, non di Mantova, non della Regione, ma dell’Italia intera) erano gestite o direttamente dalle aziende o da gestori di mense!19

Nella vicinissima Om non fu possibile svolgere la visita, ma «bastarono i giudizi raccolti tra gli operai»20. Si diceva che lì «si speculava anche sui tovaglioli, […] sul ragù per prendere più soldi, perché l’azienda alla fine te la dava in gestione, ma ti faceva i calcoli sui grammi di zucchero, di formaggio che tu usavi e i dipendenti tutti dicevano che “a s’magna mal”21.

I membri del comitato quindi arrivarono a una soluzione fuori dagli schemi: «Questa mensa qui la gestiamo noi…»22. Montani racconta della decisione: se fossero stati loro stessi a commettere errori nella gestione, sarebbero riusciti a migliorarsi. Riuscirono nell’intento, tanto che la mensa della ByPy è ancora gestita dai suoi lavoratori.

Avevamo un buon personale, un bravo cuoco, e noi abbiamo detto “sa ghom da far da magnà com i fo magnar chi àtar… L’è mei ca serema. Bisogna ca fema quel an poctin püsè…23”. Facendo tre conti ho visto che il contratto era buono, che avevamo 750 lire a pasto disponibile, fuori tutte le spese erano della Bondioli. […] La Bondioli l’abbiamo smontata quando loro volevano l’esterno perché gli abbiamo detto: “bene, viene la CIR? La prima volta che mangiamo male su un primo o un secondo… Si ferma la fabbrica!”. Allora al dìs: E sa fe ad magnar vuatar, a firmer?” “Sa fom da magnar mal nuantar sem nuantar24, e allora ne parleremo tra noi e vediamo dove abbiamo sbagliato!” E invece è stata fortuna, è stata bravura, siamo diventati un ristorante alla B&P!25

La direzione e i sindacati appresero la volontà positivamente26, seppure con qualche riserva scaturita dalla preoccupazione. Si faticava a comprendere l’utilità di una mensa per un’impresa di medie dimensioni rispetto alla vicina Om, e Vanni Dian riporta che agli inizi un titubante Edi Bondioli affermò: «Io faccio l’imprenditore, sun bon ad far dì albar, non sun mia bon da preparar, anzi, a ca’ mia l’è mia muier ch’al fa da magnar, […] e vualtar volè che mi faghia la mensa par vualtar?»27. La vertenza per la mensa, data ad un certo punto in gestione a Giacomo Giordani da parte della proprietà28, fu di media durata, ma alquanto intensa: dopo all’incirca tre o quattro mesi di scioperi a scacchiera, Bondioli mette i locali a disposizione, e anche il personale che serve, ma senza voler sapere della gestione, impaurito da un possibile buco nell’acqua29. Prima di essere percepita come il fiore all’occhiello dell’azienda, per via della serietà dei dipendenti nei confronti di quest’ultima30, la mensa dovette passare oltre lo scrutinio attento del sindacato. Bondioli & Pavesi era un punto di riferimento per il sindacalismo di tutta la provincia, e, se qualcosa fosse andato storto, l’effetto di quella sconfitta si sarebbe avvertito in tutte le fabbriche del mantovano. Erlindo racconta:

Non volevano che noi la gestissimo perché noi eravamo una fabbrica, un’azienda unita, eravamo lavoratori e [dissero] “Se la gestite voi” – Era questa la paura [del sindacato], una cosa incredibile – “Siccome dalle altre parti c’è sempre conflitto, è meglio che il conflitto i lavoratori ce l’abbiano con il datore di lavoro e non coi lavoratori che gestiscono la mensa, che siete voi” [ride]. […] Quindi feci un lavoro di cucitura…feci finta di niente, parlai con Ivano Ballotta e Enore Motta che era il segretario provinciale della Cgil e dissi loro “Guardate, tienimeli lontani perché non li voglio in fabbrica questi qui a discutere della mensa”31.

Come dice Vittorio Erlindo, citando L’arte della guerra di Sun Tzu, avevano preferito «non avere dei nemici o dei fianchi scoperti»32.

Dopo aver ricevuto il benestare di sindacato e proprietà, gli operai iniziarono a preoccuparsi di come gestire l’operazione. Venne così istituito il Cral, “Uniti si vince”33, nome che ricorda il famoso striscione delle manifestazioni del ’6834. “Cral” sta per Circolo ricreativo aziendale lavoratori e fu fondato il 26 novembre 1974, data della sottoscrizione dello statuto da parte di Fausto Bosi, Alberto Montani, Amilcare Savi, Luigi Salardi, Mario Bacchi e Vittorio Erlindo, con lo scopo principale di amministrare e gestire la mensa interna35. Per poter mangiare in mensa bisognava essere iscritti, per rispettare quella che era la ragione sociale del circolo. Ora serviva qualcuno a cui far gestire la mensa. Si elesse in consiglio di fabbrica Alberto Montani:

Un sabato andammo a casa di Alberto Montani per dirgli che avevamo pensato a lui come direttore della mensa. All’azienda facemmo il nome di un cuoco, Paride Scioscia, e di sua moglie Alberta come vicecuoco, conosciuti durante le visite alle mense aziendali. La mensa inaugurò il 2 gennaio 1975 con la soddisfazione di tutti36.

Montani era a casa in malattia, con entrambe le anche lussate, quel sabato. Ricorda così la visita del Consiglio di fabbrica a casa sua:

Facevo fatica a stare in piedi… Mi vengono a trovare a casa un sabato mattina Erlindo, Dian, insomma in tre o quattro del consiglio di fabbrica. Credevo fossero venuti a trovarmi perché ero a casa, ahahah. E invece, mi avevano portato la bozza del contratto “guarda che abbiamo firmato!” “Bene, benissimo!” “Eh, adesso c’è da fare la gestione!” “Eh, va bene, catarema un qual d’ün37, “ma l’abbiamo già trovato, […] abbiamo ventilato all’azienda anche il nome, l’azienda ha detto va bene, se va bene a voi io non ho problemi” […] “Devi fare tu il gestore!”. Me s’era metalmecanic38, di studi avevo avviamento professionale di tipo agrario… Me a n’saeva gnint!39

Montani si reinventa tuttofare, e riesce a tenere la mensa a standard elevati, tenendo i conti, facendo i biglietti per il pagamento ai dipendenti, e gestendo le relazioni con l’azienda40. Il Cral si ritrova così a gestire fondi con cui riesce ad allargare le sue attività: con più di trecento pasti al giorno, organizzati in tre turni (alle 11 circa 70-80, 160-200 a mezzogiorno e la sera altri 70-80)41 arriva ad avere il controllo di tutte le macchinette degli spuntini in azienda42. Con i ricavati si bloccano i prezzi a un quantitativo politico, e con i margini di guadagno si arriva, ad esempio, a prendere i pacchi di Natale, oltre che a comprare un’ambulanza43.

Questi successi solidificarono l’esperienza della mensa come una delle più riuscite in Bondioli & Pavesi. Dopo le titubanze iniziali, il primo ad essere orgoglioso della riuscita della mensa aziendale fu lo stesso Edi Bondioli, che spesso la mostrava ai suoi acquirenti, anche esteri, come la New Holland44, mentre prima li faceva pranzare al Cavallino Bianco45. Anche se Bondioli padre non mangiò mai in mensa, i figli spesso furono ospitati nei tavoli, tra gli operai46. Uno degli orgogli della mensa di Bondioli & Pavesi fu quello di ospitare Nilde Iotti come commensale:

La Nilde Iotti […] ha saputo di questa gestione, […] è venuta a mangiare con il sindaco […] Salardi47 o Giroldi48, non ricordo. E lei ci ha fatto i complimenti! Mi ricordo era lì, si è seduta lì, e le ho detto “siamo arrivati al livello della mensa del parlamento o no?” […] è rimasta molto contenta, ha detto. Per lei è stata anche un’esperienza di qualcosa che ha funzionato…49.

Fig. 1. Ampia vista della mensa come appariva nel 1975, dalle due pagine dedicatevi in Siamo partiti con la tuta blu, Fondazione Arti e Mestieri “F. Bertazzoni” Editore, San Rocco di Guastalla, 2021, pp. 246-247.

Il traguardo della mensa fu il risultato di uno sforzo collettivo, e di un programma in cui si credeva. La mensa negli anni ha aiutato molti turnisti ed ospiti e, più o meno consapevolmente, tante mogli e madri. «Se tu dici una cosa, non solo devi crederci tu, ma devi fare in modo che gli altri ci credano, se no tu non hai fatto niente»50 Erlindo giustamente dice durante un’intervista. E la mensa è qualcosa in cui tutti hanno creduto.

3. “Questa è casa nostra”

Tornati da una riunione, i lavoratori trovano le porte dello stabilimento sbarrate e i cancelli chiusi. Una delegazione chiede urgentemente un incontro con la direzione: la richiesta viene accolta, ma saranno ammessi nella proprietà solo i membri del Consiglio di fabbrica.

Siamo andati su nel salone delle riunioni e là ci ha detto: “Alora, me adès a discuti51, ma quando vi dico basta perché non siamo d’accordo, “cla lè è la porta, ndè föra eh? Ndè a cà vostra52. Io, Berni, Erlindo e un altro “sèn vardà in facia e gho dèt: ‘Beh ma s’è sempar det ca questa è una famiglia… Cla che l’è cà nostar!’53.

Che la fabbrica sia una grande casa condivisa con la direzione è una nozione che informerà il rapporto tra lavoratori e proprietà in quegli anni e in quelli a venire. La mensa è il terreno più importante su cui questa idea verrà portata alla pratica, ma non si tratta di un caso isolato. Da un lato è Bondioli stesso a scegliere di impegnarsi nel campo del benessere operaio, a dichiararsi «primo sindacalista della [sua] azienda»54. Mentre si tratteneva dopo pranzo al circolo cittadino di Suzzara, non era raro che, tra amici, la conversazione vertesse sulla sua azienda: «io ho fatto la fortuna, il merito è dei miei dipendenti». Allo stesso circolo, doveva anche affrontare l’opinione cittadina ogni qualvolta gli stessi dipendenti decidevano di esporre cartelli in piazza per denunciare questa o quella vertenza in corso55.

Fig. 2. Lo stabilimento B&P in via 23 Aprile. Sullo sfondo, la torre idrica dell’OM, 1995 (da Bruno Melli, Il mio paese, Suzzara, Noi2, 2008, p. 229).

Persino nel picco delle mobilitazioni gli operai continuano però a trattare lo stabilimento come una loro co-proprietà. Ricordiamo l’occupazione della fabbrica per organizzarvi una Festa dell’unità, ma anche uno dei primi conflitti di Montani con un collega sulla linea56. Già parte del Consiglio di Fabbrica, interrompe il lavoro dopo aver segnalato alcune parti difettose al suo capo reparto ed essersi sentito comandare di usare della colla comune per simularne l’integrità. Chiamati in direzione per chiarire la situazione, questa volta Montani trova sponda proprio in Edi Bondioli. La mattina successiva, è spostato dalla catena alla piccola serie: «vist ca ti at controli töt, ades at ve’ a fa i campiòn!»57. Erlindo è tra i primi promotori di una delle chiavi del successo di Bondioli & Pavesi: i mercati esteri, e non esita a incoraggiare la direzione a sperimentare nuove direttrici di esportazione58. La prospettiva di Erlindo parte dalla necessità di rendere meno stagionale e quindi più stabile il lavoro degli operai, tramite l’apertura verso mercati in cui il lavoro agricolo segue tempi diversi.

Non troviamo nessuna contraddizione tra questa volontà di agire «pro domo padronalis» e l’azione sindacale, anzi: non è sorprendente trovare proprio tra i sindacalisti più attivi e tra le iniziative e le idee più d’avanguardia proprio questo sentimento. La massima che guida il sindacato in quegli anni sarà riassunta tempo dopo da Vanni Dian in risposta proprio a Edi Bondioli durante uno degli anniversari di B&P. Non a caso, a essere citata sarà proprio la mensa, Uniti si vince:

Poi le ricordo l’esempio della mensa. […] Noi abbiamo dimostrato che siamo in grado di produrre un servizio, sappiamo avere dei benefici, e reinvestirli all’interno dell’azienda in questi modi, ci sono dei profitti e siamo in grado di mantenerli. Allora non è mica vero che i lavoratori non sanno fare i conti, fare economia e via dicendo, anzi, è esattamente l’opposto. E quante volte noi le abbiamo suggerito, anzi, volevamo quasi imporle di diversificare la produzione, quando c’era la cassa integrazione? […] Ecco. Fare sindacato significa anche saper fare azienda. […] Sapendo che l’azienda non è solo del padrone, è anche tua59.

Il progetto della mensa rappresenta il picco di una sintesi tra le forze che muovono in quegli anni le politiche di Bondioli & Pavesi nei confronti dei lavoratori: un padrone che si propone sindacalista e un sindacato che fa azienda.


Note

1 Alda Ferrari, Dinamiche dell’Apparato Produttivo e Manifatturiero, in Storia di Mantova Vol. III, tra presente e futuro 1960-2005, Mantova, Fondazione Banca Agricola Mantovana, Tre Lune Edizioni, 2012, p. 238.

2 Paolo Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, nascita e sviluppo della Bondioli & Pavesi da Suzzara al mondo, San Rocco di Guastalla, Fondazione Arti e Mestieri “F. Bertazzoni” Editore, 2021, pp. 41-51.

3 Intervista a Vittorio Erlindo del 27 maggio 2024.

4 Erlindo, in Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 99.

5 Intervista a Erlindo del 27 maggio 2024.

6 Erlindo, in Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 98.

7 Ivi, p. 217.

8 Enos Gandolfi, in Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 71.

9 Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 101.

10 Ivi, p. 201.

11 Erlindo, in Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 217.

12 Intervista a Erlindo del 27 maggio 2024.

13 Ibid.

14 Ibid.

15 Erlindo, in Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 218.

16 Ibid.

17 Intervista ad Alberto Montani del 18 maggio 2024.

18 Intervista a Vanni Dian del 3 giugno 2024.

19 Ibid.

20 Erlindo, in Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 218.

21 Intervista a Montani del 18 maggio 2024.

22 Intervista a Erlindo del 27 maggio 2024.

23 “Se dobbiamo fare da mangiare come fanno mangiare gli altri… È meglio che chiudiamo. Bisogna che facciamo qualcosina di più…”.

24 …dice: “e se fate da mangiare voi, firmate?” “Se facciamo d mangiare noi, siamo noi…”.

25 Intervista a Montani del 18 maggio 2024.

26 Giacomo Giordani, in Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 114.

27 “Io faccio l’imprenditore, sono bravo a fare gli alberi [cardanici]. non sono mica bravo a prepararmi [da mangiare], anzi, a casa è mia moglie che fa da mangiare […] e voi volete che io faccia la mensa per voi?”. Intervista a Dian del 3 giugno 2024.

28 Giordani, in Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 114.

29 Ibid.

30 Luigi Salardi, in Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 212.

31 Intervista a Erlindo del 27 maggio 2024.

32 V. Erlindo, in Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 219.

33 Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 101.

34 Intervista a Erlindo del 27 maggio 2024.

35 Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., p. 101.

36 Intervista a Erlindo del 27 maggio 2024.

37 “Troveremo qualcuno”.

38 “Io ero metalmeccanico…”.

39 “Io non sapevo nulla!”. Intervista a Montani del 18 maggio 2024.

40 Ibid.

41 Ibid.

42 Intervista a Dian del 3 giugno 2024.

43 Intervista a Erlindo del 27 maggio 2024.

44 Ibid.

45 Intervista a Montani del 18 maggio 2024.

46 Intervista a Dian del 3 giugno 2024.

47 Sindaco dal 1988 al 1993, e poi dal 1993 al 1999.

48 Mario Giroldi, sindaco di Suzzara tra il 1976 e il 1988.

49 Intervista a Montani del 18 maggio 2024.

50 Intervista a Erlindo del 27 maggio 2024.

51 “Allora, io adesso discuto…”.

52 “… quella è la porta, andate fuori, capito? Andate a casa vostra”.

53 “… ci siamo guardati in faccia e io gli ho detto ‘Beh ma se si è sempre detto che siamo una famiglia… Questa è casa nostra!…’”.

54 Intervista a Dian del 3 giugno 2024.

55 Intervista a Montani del 18 maggio 2024.

56 Ibid. e Montani, in Bianchi, Siamo partiti con la tuta blu, cit., pp. 213-216.

57 “Visto che tu controlli tutto, ora vai a fare i campioni!”.

58 Intervista a Erlindo del 27 maggio 2024.

59 Intervista a Dian del 3 giugno 2024.