In apertura: esterno dell’ecomuseo Mare Memoria Viva di Palermo.
Nel 2014 nasce negli spazi dell’Ex Deposito Locomotive di Sant’Erasmo, nella parte sud-est della costa di Palermo, uno spazio-laboratorio connotato da attività e – volendo giocare con l’etimologia – attivismo e volontà di partecipazione. Un’operazione di riqualificazione e rifunzionalizzazione di un luogo pubblico di proprietà comunale, sostenuto da istituzioni pubbliche e private. L’ecomuseo Mare Memoria Viva si apre gratuitamente a tutte e tutti e offre spazi per il dibattito e l’incontro, installazioni artistiche, laboratori educativi, angoli in cui immaginare nuovi scenari e far proprie le memorie della città che rischiano di andar perdute e che invece, qui, si fanno patrimonio a fianco di nuove progettualità e definizioni aggiornate di cittadinanza attiva. L’intervista alla presidente dell’ecomuseo Cristina Alga, esperta di progettazione e politiche culturali formatasi all’Università di Bologna, è stata realizzata da Paola E. Boccalatte.
Hugues De Varine ha definito l’“ecomuseo”, come “un patto tra cittadini che decidono di prendersi cura di un territorio”, in una sintesi che include le parole chiave del pensiero e dell’azione ecomuseale. In che termini Mare Memoria Viva si identifica in questa descrizione? E perché non si riconosce piuttosto in un “museo della città”?
Ci riconosciamo in entrambe le definizioni ma ci teniamo a usare quella di ecomuseo perché mette al centro la dimensione comunitaria e partecipativa. Il museo racconta la città del dopoguerra e la città di oggi, le sue evoluzioni urbanistiche e sociali e lo fa dal punto di vista del mare che diventa metafora collettiva. Ciò che ci distingue da un classico “museo della città” è il lavoro di ricerca e azione multidisciplinare che ha portato alla creazione del primo nucleo dell’archivio e le successive scelte di implementazione che hanno sempre prediletto la ricerca bottom up, il coinvolgimento diretto delle persone e dei testimoni, la “non-direzione artistica” a favore di un approccio da public history che mette al centro le persone e le narrazioni. In questo ci sentiamo molto ecomuseo.
Avete descritto la costa di Palermo attraverso una mappa sociale, o mappa comunitaria, noto strumento di rappresentazione partecipativa del territorio. Le tante storie emerse, più o meno recenti, sono occasione per parlare di diritti; come state sfruttando questa potenzialità?
La questione dei diritti è un po’ un filo conduttore dei tre cluster tematici in cui il percorso audiovisivo si articola. Il diritto all’orizzonte diventa diritto a tornare a essere padrone del proprio progetto di vita, di poter pensare al futuro come qualcosa di possibile, un diritto troppo spesso negato alle persone che vivono nei quartieri limitrofi all’ecomuseo. Il diritto al mare libero e pulito è il diritto di accesso ai beni comuni che porta al lavoro didattico e artistico sulle nozioni di civismo, attivismo, partecipazione. Il diritto di viaggiare ci porta ad affrontare il tema importante per la Palermo di oggi delle migrazioni e della coesistenza e/o dialogo e/o integrazione tra le diverse anime culturali della città.
Credo che ogni azione museale possieda, quanto meno in potenza, una sorta di “principio attivo”; l’elemento, cioè, proprio di quello specifico contesto e di quel coagulo di intenzioni, desideri, competenze, relazioni, che conferisce efficacia e rilevanza a quel progetto unico e irripetibile. In cosa consiste per Mare Memoria Viva questo principio attivo?
Penso che sia lo spazio e il territorio che abitiamo, la sede dell’ecomuseo piena di fascino, il mare e il fiume inquinati, la luce stupenda che illumina la sporcizia, questo richiamo costante a tirare fuori il bello che c’è. Il principio attivo, inteso come ciò che attiva tanto noi come i visitatori dell’ecomuseo è probabilmente la possibilità che noi offriamo di tornare ad abitare, ma in modo nuovo, una parte di città sul mare per anni negata.
Tra le generose metrature dell’ex-deposito trovano posto installazioni ed exhibit che si rinnovano nel tempo dando vita a un cantiere incessante di elaborazione di memorie e interpretazioni della città. Una sezione del Museo si intitola Prendere il largo. Di cosa si tratta? Come spesso accade alle sale dei musei tradizionali, è dedicata a una persona, ce ne puoi parlare?
Noureddine Adnane aveva 27 anni ed era un venditore ambulante marocchino e l’11 febbraio 2011 si è dato fuoco a Palermo per protesta davanti una pattuglia della polizia municipale che gli aveva sequestrato per l’ennesima volta la merce che costituiva la sua unica possibilità di lavoro. Abbiamo dedicato a lui, alla sua protesta disperata, la sezione dedicata alle migrazioni e alla Palermo di oggi dove si declinano diverse “voci del verbo viaggiare”, persone arrivate dall’Africa e dallo Sri Lanka, giovani nati in Sicilia che emigrano verso il Nord, turisti che cercano un Sud esotico.
È un tema importante del presente della città, un tema che ci parla di futuro dal quale non potevamo sottrarci. La sezione comprende un lavoro collettivo di interviste realizzato con un gruppo di giovani di origine straniera e alcuni studenti dell’università di Delft, un’installazione del collettivo Wu Ming e una del collettivo Forensic Oceanography oltre a diversi materiali di approfondimento. Prendere il largo nasce dal bisogno di mettere a disposizione un’area del museo allo sguardo e alle poetiche delle persone immigrate che vivono o attraversano Palermo e per creare una nuova sezione dell’archivio partecipato sul tema delle migrazioni, delle frontiere, della diversità culturale, stimolando intersezioni tra questione migrante e questione urbana e ampliando le proposte educative legate a cittadinanza, diritti umani, questioni decoloniali. Anche questo, come altri, è uno spazio dell’ecomuseo aperto e in divenire, uno spazio da scrivere e abitare collettivamente. Il nostro discorso non è neutrale, dichiariamo di essere a favore della libertà di migrare e della libertà di restare ma il nostro spazio è pieno di punti interrogativi, di domande sul presente e sul futuro.
Una sezione del Museo inaugurata da poco si intitola Come chiameremo questi anni? e ripercorre alcuni capitoli della storia della città dagli anni Quaranta agli anni Ottanta del Novecento attraverso una timeline punteggiata di testimonianze. Chi sono le persone che raccontano e con quale criterio sono state scelte le loro storie?
Chissà come chiameremo questi anni è un omaggio alla giornalista e politica palermitana de “L’ora” Giuliana Saladino, morta nel 1999, i cui scritti sono stati raccolti in un volume con questo stesso titolo. La sezione è il frutto di un lungo lavoro di ricerca condotto dall’architetta Valentina Mandalari sul “sacco edilizio”, un insieme di fatti urbanistici, economici, politici e malavitosi che portarono alla cementificazione selvaggia della città e all’inquinamento del mare tra il 1955 e il 1975 circa. Una memoria scomoda, poco raccontata e poco indagata, una ferita aperta con molti tabù. In coerenza col nostro essere museo collettivo e spazio che problematizza e connette punti di vista e pensieri abbiamo condotto anche questa ricerca in modo collaborativo, ascoltando testimonianze, facendo interviste, confrontandoci con persone di diverse provenienze disciplinari. Ne è nato un exhibit stratificato e complesso con linguaggi plurimi, voci narranti, libri, infografiche, lavori condotti con gruppi di studenti e installazioni artistiche. Penso che questa proposta ci rappresenti molto e costituisca un approccio, un modus operandi che stiamo progressivamente affinando.
Il sito web marememoriaviva.it è lineare, accogliente e usa un linguaggio spontaneo e diretto. La pagina “chi siamo” recita “Mare Memoria Viva è un gruppo di progettisti, ricercatori, educatori e artisti innamorati di Palermo e del suo mare e irremovibili dal credere e agire affinché il mondo possa essere migliore di come è”. Dietro questa affermazione si percepiscono volontà e passioni che raramente un’istituzione museale manifesta (chissà perché). Poi la missione del Museo, tratteggiata con decisione in sole 17 affilate parole. Ce ne puoi parlare?
Quello che ci muove è fondamentale. È l’innamoramento per questo spazio e questo territorio, l’obiettivo di creare nel degrado e nell’abbandono uno spazio felice e accogliente che possa offrire relazioni dense e ‘capacitazione’ [processo grazie al quale le comunità divengono “capaci” di conoscere e appropriarsi del patrimonio esprimendo modelli condivisi di sviluppo locale n.d.r.]. La missione non poteva che essere sintetica e poetica, il senso si racchiude meglio nel linguaggio poetico che permette la sospensione e la trasformazione perché la nostra missione cambia come cambia il mare e come cambia la società che ci sta intorno e dentro: la nostra missione è ridare a Palermo il suo mare. Mare vuol dire bellezza, movimento, opportunità, diritti.
Si legge regolarmente sottotraccia la centralità delle persone, delle comunità, nelle progettualità di Mare Memoria Viva, tratto, d’altra parte, peculiare della ragione ecomuseale. Quali gruppi stanno riconoscendo maggiormente nel Museo un punto di riferimento e in quali termini? E per quali invece vi sembra di dover ancora lavorare su linguaggi che favoriscano una relazione di fiducia e di collaborazione duratura?
Abbiamo fatto in questi anni un grande lavoro con scuole e famiglie della prima e della seconda circoscrizione [le due che a sud affacciano sul mare e insieme contano circa centomila abitanti n.d.r.] e credo che per molte di loro siamo punto di riferimento grazie ai servizi gratuiti che offriamo. Penso che possiamo e dobbiamo lavorare di più sulla riconnessione con altre parti della città e sul far si che l’ecomuseo diventi una “casa” (eco/oikos) anche per le ragazze e i ragazzi fra i 15 e i 30 anni.