L’uso delle parole non è […] mai innocente ed è bene prestarvi attenzione. La parola «periferia» ha senso solo in relazione all’idea di «centro». Noi associamo la parola alle immagini della miseria e delle difficoltà urbane, ma la mettiamo quasi sempre al plurale (le «periferie urbane»), quasi a rendere conto del fatto che in questo modo si designa tutto il tessuto urbano, come se, per dirla al contrario di Pascal, la circonferenza fosse ovunque e il centro da nessuna parte (Marc Augé, 2009).
Quando mi è stato chiesto di scrivere del rapporto tra arte urbana, città e periferie ho pensato in che modo usiamo, noi di Serendippo, il termine “periferie”; in che modo ci relazioniamo alla città e all’arte, come possa l’arte fatta in strada diventare mezzo di reale riqualificazione delle aree periferiche.
Periferie sono le strade e gli spazi esclusi dalle dinamiche di sviluppo e di vita che caratterizzano il resto della città, indipendentemente da dove si trovano. Strade e vicoli cui si associa abbandono delle norme di vita sociale, marginalità, microcriminalità, disoccupazione, assenza di luoghi dedicati alla cultura e alla bellezza. Strade e aree le cui dinamiche economiche, sociali e di sviluppo sono il risultato di un intreccio di processi involutivi di cui è difficile identificare la causa e l’evoluzione.
Sono aree della città, non necessariamente lontane dal centro, costituite da un complesso sistema di limiti urbanistici, strutturali e sociali, per varcare i quali è indispensabile creare una relazione di fiducia e collaborazione con chi le vive e le frequenta. D’altra parte le periferie sono luoghi dove nascono spesso fenomeni artistici, dell’underground, di aggregazione spontanea che in alcuni casi sono bacini di energia da osservare per immaginare nuove tendenze dell’arte e dell’urbanistica.
Un esempio di quest’affermazione è il fenomeno dell’arte in strada. Nato nelle periferie per comunicare attraverso i muri – mescolando bisogno d’identità e denuncia a creatività e a forte volontà di affermarsi in un dato luogo e in un dato momento storico – il fenomeno del writing e quello dell’arte in strada poco alla volta sono divenuti “centrali”. La causa di questa evoluzione verso il centro è da ritrovarsi nell’attenta osservazione delle periferie e dell’underground da parte di artisti affermati, di critici d’arte, di mercanti che percependone la forte innovazione e rottura con il sistema dell’arte l’hanno portata fino ai musei.
Negli ultimi anni gli urbanisti hanno cominciato a utilizzare l’arte in strada come strumento per la “riqualificazione urbana”. Gli amministratori delle grandi città italiane, seguendo l’esempio di Parigi, Londra e Berlino hanno individuato nell’arte in strada una strategia di marketing per migliorare l’aspetto delle città, per riqualificare il territorio, per creare nuovi poli di attrazione turistica.
L’arte in strada ha così in parte perso la sua anima iniziale di arte transitoria, effimera, genuina nata in contrapposizione ai prodotti destinati alla vendita e ai musei, per declinarsi in arte urbana e partecipare alla trasformazione dell’immagine della città. In molte città italiane sono stati realizzati progetti di arte urbana, festival di street art, interventi istituzionali volti alla creazione di un’immagine “migliore” di determinati quartieri. Il risultato, dal punto di vista visivo è stato certamente positivo. Se si considera l’esempio di “Frontier” a Bologna, i grandi muri risultanti dalle edizioni del festival, oltre ad aver cambiato l’immagine della città in quartieri di periferia, hanno aperto un dibattito tra cittadini e avvicinato all’arte persone che senza questo tipo di interventi non lo avrebbero fatto.
Rimane il dubbio se si tratti davvero di progetti di “riqualificazione” delle periferie o si tratti, invece, di un modo per “mettere al centro” un fenomeno nato in periferia che ormai attira l’attenzione di galleristi e mercanti d’arte. Siamo, cioè, di fronte a un fenomeno di marketing urbano fine a se stesso?
Riqualificazione è innanzitutto relazione tra la città e i suoi abitanti. Riqualificare significa attivare politiche di condivisione e di ascolto, creare luoghi d’incontro e scambio, programmare politiche di trasformazione condivisa tra cittadini e istituzioni. Osservando in quest’ottica il problema delle periferie e i processi di riqualificazione, l’arte in strada può diventare uno strumento molto forte. Può essere vista al tempo stesso come arte e come partecipazione attiva dei cittadini alla trasformazione del proprio quartiere, della propria strada attraverso un processo complesso che va affrontato ponendosi sempre nuove domande.
Qual è il confine tra pubblico e privato? In che modo l’arte può compiere un atto politico e sociale di riavvicinamento del singolo alla collettività? Qual è quella linea che trasforma i luoghi pubblici e privati in luoghi sociali, intesi come spazi di condivisione, collaborazione, laboratori sociali di fruizione collettiva?
L’idea di R.U.S.co (recupero urbano spazi comuni) nasce non per “riqualificare” tout court aree periferiche attraverso l’arte diffusa, ma per rigenerare spazi, anche temporaneamente in disuso, con interventi che partono dall’osservazione e dall’ascolto dei luoghi e di chi li vive.
A partire dal 2011 Serendippo detiene i diritti sull’Archivio fotografico di Maria Paola Landini, un archivio molto grande e complesso che mappa le scritte e i graffiti sui muri della città di Bologna e non solo. Da questo archivio è nato il volume GraffinBO edito da SerendippoPrint nel novembre 2014. Una guida completa di Bologna, senza parole, che tenta di aprire un dialogo pubblico tra i muri scritti della città e i cittadini.
Con il carrello dei libri vagabondi, dal giugno 2013, l’associazione visita strade e quartieri, fa laboratori per bambini, legge fiabe ad alta voce, organizza piccole mostre gratuite di opere d’arte dipinte dagli artisti di strada e fa da biblioteca itinerante per tutti i cittadini. Nel luglio 2015, presso la sede di via Mascarella 14, abbiamo aperto una casa che nasce dall’idea di dare vita a un piccolo nucleo culturale e artistico collocato all’interno della zona universitaria di Bologna con il contributo fondamentale di chi la vive e la abita. Una casa, una biblioteca, una galleria, un laboratorio.
Il risultato delle nostre esperienze ha dimostrato che l’arte in strada davvero interagisce con la gente, segue i ritmi frenetici della città, ne coglie le trasformazioni, si fa portatrice di messaggi che raccontano un preciso momento storico, una precisa situazione politica, una determinata strada, specifici problemi di un determinato quartiere o di uno spazio. Come qualsiasi altra forma d’intervento di recupero urbano degli spazi comuni, vista e fatta da vicino, attiva processi e intesse relazioni di reciprocità con gli abitanti, con le risorse e i problemi di un determinato luogo.
L’esperienza di “Embodied” (vicolo de’ facchini, Bologna 2009) – un intervento che mirava a inserire in questa zona liminale del centro storico di Bologna l’arte contemporanea, intesa non soltanto come strumento per valorizzare lo spazio pubblico, ma come elemento che dialogasse con esso, ridiscutendolo e stabilendo un rapporto con i suoi abitanti – ci ha dato la misura del forte potenziale di cambiamento di un luogo attraverso un intervento apparentemente effimero e transitorio. Gli interventi artistici in vicolo de’ Facchini, completati poi nel 2011 con “Bologna al muro”, hanno cambiato completamente il volto del vicolo, dimostrando un potenziale di trasformazione molto maggiore rispetto a interventi di tipo più tradizionale.
Sia nel caso di “Embodied”, che nel caso di “Bologna al muro” e in quello dell’intervento all’ex Zincaturificio di via Stalingrado del marzo 2016 abbiamo coinvolto attivamente gli abitanti mettendoli in relazione con gli artisti. Usare l’arte come strumento per creare una forte relazione tra la città e chi la abita è quello che ci sembra l’aspetto più interessante e innovativo dell’arte fatta in strada. È proprio questo, forse, l’elemento che permette di innescare processi di trasformazione reale delle periferie e delle città.
La questione importante che dobbiamo affrontare è se e come sia possibile gestire questi processi di cambiamento in modo da andare a vantaggio totale dei residenti. Per metterci alla prova in questo senso abbiamo ideato un percorso partecipato nel quartiere Navile zona Corticella – Zona NG 6.16 – che si realizzerà tra 8 e il 15 ottobre 2017.
Negli anni Settanta Corticella era un quartiere all’avanguardia, nel quale l’immaginazione civica era un fatto: qui venne costruito un centro civico (progettato dall’architetto Carlo Salomoni tra 1972 e il 1973 e realizzato nel 1978), dove si potevano trovare una scuola immersa nel verde pubblico, un Day Hospital, un poliambulatorio, un centro commerciale, una sala polivalente, una sala per le proiezioni, una sala per l’ascolto e la produzione della musica, una biblioteca, una palestra. E ancora un consultorio, un punto d’ascolto per le tossicodipendenze, sale da ping-pong e laboratori di artigianato, di falegnameria, di fotografia e di teatro.
Il centro civico venne progettato senza barriere architettoniche per permettere a tutti l’accesso ai servizi e alle attività ricreative, luogo che favorisse i rapporti umani oltre a fornire i servizi fondamentali per il benessere della collettività. Il progetto Zona NG 6.16 vorrebbe recuperare quell’idea di partecipazione civica e di attivismo da parte dei cittadini, ridisegnando per una settimana i muri del centro civico (recentemente intitolato al partigiano William Michelini) con l’aiuto di artisti provenienti da tutta Europa.
Un’occasione per scoprire che il mito di una città viva e consapevole non è solo racconto mitologico o biglietto da visita ormai sbiadito, ma che si può rifare vero e vivo, tangibile e visibile. Il progetto si chiama Zona NG=NAVILE GORKI 6.16= i civici sui quali verrà realizzato l’intervento artistico. Non sono stati richiesti patrocini onerosi al Comune di Bologna o al Quartiere Navile ma si sta procedendo con una raccolta fondi attraverso una campagna di crowd-funding. ll progetto sarà co-partecipato, con incontri, workshop e conferenze nell’intera settimana, durante la quale gli artisti si confronteranno con il tessuto architettonico e sociale.
Nel numero di maggio del 1980 di “Corticella un quartiere” venne pubblicata una delibera del consiglio di quartiere del 22 aprile di quell’anno relativa alla raccolta fondi da parte della città di Bologna: «il consiglio di quartiere decide di dare il proprio contributo sottoscrivendo due gettoni di presenza per ogni consigliere. Inoltre il CdQ reputa di dover formulare alcune opinioni nel senso di dover stimolare l’impegno di tutte le forze politiche e di tutti i cittadini perché questa iniziativa non sia solo un momento assistenzialista ma un modo per innescare scelte politiche e economiche condivise e consapevoli».
Rivitalizzare il centro civico 39 anni dopo la sua realizzazione e dopo una delibera di questo tipo, in un quartiere come il Navile che è antesignano di partecipazione civica e di attivismo da parte dei cittadini, deve necessariamente essere risultato di un percorso partecipato. Sostenere Zona Navile Gorki 6.16 vuol dire sentirsi parte di una comunità, favorirne la crescita artistica e culturale e permettere a idee che nascono dal basso di realizzarsi.
Bibliografia
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