Le vicende che caratterizzarono le trasformazioni urbane di Forlì durante il periodo fascista rappresentano un caso di studio molto particolare. Gli elementi di esclusività risiedono nel fatto che oltre alle dinamiche di modernizzazione in atto fin dal periodo pre-bellico e agli effetti caratteristici della politica fascista (che affiancò le logiche del “piccone risanatore” a quelle del marchio d’identità imposto attraverso le architetture), la città risultò contrassegnata pure dalla messa in atto di un grande progetto di comunicazione politica. Un progetto innovativo, allo stesso tempo fisico e mediatico, che fu realizzato mediante l’interconnessione fra invenzione di spazi urbani, costruzione di edifici, attività di propaganda e organizzazione di liturgie collettive. L’iniziativa puntò alla celebrazione del culto del duce attraverso la mitizzazione dei luoghi legati alla sua infanzia e l’esaltazione dell’Italia fascista. Ideatore e committente, come si vedrà, fu lo stesso Benito Mussolini.
Per questa ragione gli avvenimenti forlivesi del periodo fascista (che come verrà precisato è impossibile tenere scollegate dal legame inestricabile con quanto avvenne nella vicina Predappio Nuova) costituiscono un unicum e, affinché riescano a raccontare questo loro valore devono essere sottoposti a una destrutturazione meticolosa. Il quadro si presenta complesso e in certi aspetti non definito. Pertanto la prima riflessione riguarda il metodo di analisi seguito nel percorso di ricerca; un metodo che organizza i crismi della ricerca storica seguendo una lettura multilivello e una prospettiva d’analisi fondata su differenti punti di veduta.
Primo. L’analisi multilivello prende a riferimento lo schema ribadito da Roberto Balzani nel saggio Fra città, governo del territorio, istituzioni e ideologia. Un possibile itinerario per il Ventennio1 e propone uno schema di lettura su tre piani essenziali: il piano delle competenze e delle decisioni su scala urbana; il piano della legittimazione dell’architettura durante il Ventennio; il piano dei condizionamenti esercitati da istituzioni dello Stato terze rispetto ai tecnici, come fu il caso delle soprintendenze.
Secondo. La prospettiva d’analisi basata su punti di vista differenti, invece, può essere assimilabile a una proiezione ortogonale, cioè a quel particolare tipo di disegno tecnico che consente di visualizzare un oggetto tridimensionale su un foglio inquadrandolo in modo frontale, laterale e dall’alto. In modo analogo, ma nel caso della storia di Forlì, la prima posizione dovrà mettere a fuoco la storia di una comunità; la seconda concentrerà l’attenzione sull’identità della città e del territorio, reale o immaginaria; la terza prospettiva porrà attenzione all’insieme di azioni, iniziative, progetti politici, percorsi associativi, carriere professionali, vicende personali, progetti, casualità, capacità tecniche, relazioni e fattori di varia natura che contribuirono alla definizione degli altri due piani. Si tratta di una ricerca in fase di svolgimento e della quale in questa sede si condivideranno strumenti e considerazioni, senza oltrepassare i confini di un lavoro in corso.
C’è ancora da studiare, capire, interpretare nonostante il patrimonio bibliografico negli ultimi vent’anni si sia arricchito di contributi tanto da permettere di muoversi con maggior consapevolezza in un terreno troppo a lungo, e ancora in parte, caratterizzato da situazioni non definite. Basti pensare, ad esempio, che solo con la pubblicazione postuma del manoscritto di Elio Santarelli Cronaca del fascismo nella città del duce, edito nel 2016 a oltre dieci anni dalla scomparsa dell’autore, è stata resa accessibile a un pubblico più vasto di lettori una ricostruzione sistematica degli avvicendamenti avvenuti ai vertici del partito nazionale fascista forlivese, sempre riottoso e inquieto.
Una ricognizione bibliografica
Per quasi cinquant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, lo studio del fascismo forlivese è stato relegato a un ruolo di marginalità, con le eccezioni rappresentate dai contributi sulla guerra di Liberazione e sull’antifascismo. Un cambio di passo avvenne nei primi anni ’90 del XX secolo ed è difficile non metterlo in relazione all’attenuarsi dei contrasti ideologici, alla fine della “guerra fredda” e alla comparsa di una nuova generazione di ricercatori maggiormente attenta ad affrontare la storia locale con metodo scientifico e senza più rapporti personali con il Ventennio. Una generazione che per motivi anagrafici ha avvertito in modo inferiore il peso psicologico della relazione con il regime, con tutto ciò che questo fattore poteva implicare dal punto di vista dei rapporti, fossero di netta contrapposizione, di compromissione, di familiarità o di semplice convivenza2.
Lo snodo storiografico è stato caratterizzato da alcuni momenti significativi, in particolar modo da due convegni (seguiti, a distanza di alcuni anni, dalla stampa degli atti) e dalla nascita di un’associazione di storia, “Memoria e Ricerca”, con l’inizio della pubblicazione dell’omonima rivista semestrale. Tutto, comunque, in stretta connessione con i progetti e le attività dell’Istituto storico della Resistenza della provincia di Forlì che ha offerto la struttura organizzativa e la base logistica. Il primo convegno intitolato “Le Romagne” si svolse a Forlì dal 28 febbraio al 2 marzo 1991 e, attraverso i contributi di ricercatori, docenti universitari e studiosi fece il punto anche sul tema “La Romagna contemporanea tra storia e storiografia”. Ad animarlo furono due giovani storici romagnoli, Roberto Balzani e Maurizio Ridolfi, che nel novembre 1992 curarono anche la pubblicazione degli atti nel numero monografico della rivista semestrale di storia contemporanea “Padania”.
Nel corso di questo convegno, Maria Serena Piretti introducendo una rassegna sulla storiografia relativa al regime fascista, lamentava la profonda carenza di studi sul fascismo romagnolo. A conferma di tali considerazioni risulta emblematico quanto avvenne nell’ambito di un progetto editoriale autorevole, incentrato sul tema della memoria, che vide le stampe negli anni ’60. Il riferimento è a Questa Romagna, un’opera poderosa ripartita in due tomi che fu realizzata grazie alla collaborazione di affermati studiosi, docenti universitari e giornalisti. Corredati da un ricco patrimonio di immagini e fotografie, presentati in una veste grafica elegante, i volumi furono pubblicati dalla bolognese Alfa Edizioni rispettivamente nel 1963 e 1968. Si trattava della prima grande opera culturale dedicata alla Romagna realizzata nel secondo dopoguerra. Fra gli elementi che balzano all’attenzione ai nostri fini è che nel proporre le differenti scansioni cronologiche del XX secolo viene spiccato un balzo dallo squadrismo alla lotta partigiana, per proseguire poi con la Ricostruzione e il miracolo economico. Proprio agli anni ’60 risale un testo riportato a pagina 391 del tomo I, intitolato “Il complesso del dittatore” e tratto dal libro Miracolo all’italiana di Giorgio Bocca. In poche righe il noto giornalista, scrittore di libri di storia ed ex combattente partigiano, sosteneva questa tesi: «Sono passati tanti anni – affermava Bocca – ma Forlì non è ancora riuscita a liberarsi dal complesso che dicevo [il complesso del dittatore, ndr], un sentimento collettivo di complicità vago, inconfessato, smentito, che però affiora comunque e di continuo». Inoltre, quasi a chiarire definitivamente la condizione di disagio rispetto al rapporto Romagna-fascismo, giungeva un’assenza evidentissima nel repertorio bio-bibliografico dei personaggi romagnoli proposto nel tomo II, dove non compare il profilo di Benito Mussolini. Un’omissione che potrebbe essere imputabile a svariate ipotesi ma, in ogni caso, dimostra la veridicità del “complesso”.
Tornando alle vicende storiografiche degli anni ’90, un altro momento importante fu il convegno che ebbe luogo il 26 e 27 maggio 1994, promosso sempre dall’Istituto storico della Resistenza ma questa volta insieme alla rivista “Memoria e Ricerca”, sorta nel 1993. Alcuni anni dopo, nel novembre 1998, da questi materiali in parte aggiornati e rielaborati, scaturì il libro Fascismi in Emilia Romagna curato da Massimo Lodovici. Da ricordare inoltre che i primi due numeri della rivista furono dedicati proprio allo studio del fascismo. Nel secondo, in particolare, venne pubblicato un saggio a firma di Ulisse Tramonti col titolo Predappio Nuova da borgo rurale a terra di culto al quale fecero seguito, ad opera dello stesso autore e nell’arco di breve tempo, pubblicazioni che aprirono un filone specialistico del quale si parlerà.
Tirando le somme, negli anni ’90 del XX secolo si aprirono tre filoni di studio. In linea di continuità venne rilanciata una fase di storia dell’antifascismo e della Resistenza con allargamento del campo di analisi ai temi sociali ed economici. Un secondo ambito ha invece affrontato la questione dell’identità e ha focalizzato l’attenzione sul rapporto fra il territorio d’origine, la Romagna, e l’immaginario collettivo costruito attorno alla figura di Benito Mussolini, argomento complesso sul quale si è concentrata l’attenzione di numerosi studiosi. Una terza pista, particolarmente feconda, cominciò a dedicare attenzione alla storia dell’architettura. Come accennato sopra, il punto di riferimento centrale fu l’attività di Ulisse Tramonti, coordinatore di progetti, autore di testi e curatore di importanti volumi3.
Attorno a questo asse si è sviluppato un movimento particolarmente fecondo che ha visto all’opera un numero crescente di professionisti, tecnici e studiosi legati al territorio, oltre a numerosi studenti4. Questo campo di ricerca è stato reso solido dalla nascita della Rotta culturale Europea ATRIUM, riconosciuta quale azione internazionale dal Consiglio d’Europa e che vede la collaborazione permanente fra località di vari Stati che condividono un patrimonio fisico “dissonante”, quello delle presenze di architetture dei regimi totalitari, il fascismo per il nostro paese, le dittature di matrice comunista in Croazia, Bulgaria e Romania5.
Forlì e il fascismo: una sintesi diacronica
Il rapporto fra Forlì e il movimento fascista non può prescindere dal fatto che colui che lo fondò e ne divenne capo, Benito Mussolini, aveva “un vissuto” forte in città e nel territorio. Non solo perché egli era nato il 29 luglio 1883 a Dovia di Predappio, in una casa colonica della valle del Rabbi a circa quindici chilometri dal capoluogo di provincia. Ma soprattutto in virtù del fatto che a Forlì Mussolini aveva vissuto, fra il 1909 e il 1912, esercitando un ruolo da leader nelle file socialiste, in particolare come esponente di punta nell’ala massimalista. Inoltre nel cimitero monumentale di via Ravegnana era sepolto suo padre Alessandro, a Forlì aveva conosciuto Rachele Guidi, prima sua compagna e poi consorte, e nel 1910 era divenuto padre di Edda. Fra manifestazioni anticlericali, scioperi e tumulti, dalla lotta per le trebbiatrici alla accesissima protesta contro la guerra il Libia, le sue gesta forlivesi (in parte condivise con l’allora giovane militante repubblicano Pietro Nenni) acquisirono rilievo nazionale tanto da far decollare la sua fama in breve tempo e farlo giungere ai vertici del movimento socialista italiano fino alla direzione del giornale “L’Avanti!”. L’ultima tappa del lustro forlivese di Mussolini prima del trasferimento definitivo a Milano, fu la candidatura al Parlamento in occasione delle elezioni politiche del 1913 in cui sfidò, perdendo con onore, il repubblicano Giuseppe Gaudenzi. Sono note le vicende che portarono alla sua scelta interventista, alla cacciata dalla direzione del giornale, dal Partito socialista e al percorso che lo vide fondare il giornale “Il Popolo d’Italia”.
Nel clima infuocato del primo dopoguerra, carico di tensione politica e sociale, di difficoltà economiche e violenza, la nuova avventura politica di Mussolini avviata con la costituzione dei Fasci di combattimento e la loro successiva trasformazione in partito, avvenne lontano da Forlì, con l’unico legame rappresentato dalla presenza a Milano, al suo fianco, dell’amico forlivese Manlio Morgagni, al quale aveva affidato la gestione redazionale del giornale, e di un drappello di combattenti reduci forlivesi dalla marcata connotazione repubblicana, infatuati da un miraggio anti-monarchico che Mussolini aveva paventato e che si dissolse nell’autunno del 1922.
In poche parole durante il cosiddetto “biennio rosso”, Forlì e Mussolini si ritrovarono distanti benché uniti da un passato recente, da amicizie e da alcuni punti di contatto. In città sopravviveva il ricordo, ancora fresco, delle sue intemperanze massimaliste e dei suoi slanci anticlericali. Nel frattempo il quadro politico locale, misurato attraverso il risultato delle elezioni politiche del 16 novembre 1919, vide primeggiare sempre il partito repubblicano con 3.718 voti (maggioranza assoluta, pur calando di suffragi rispetto alle precedenti elezioni), il Psi conquistare 2.338 suffragi, 806 i voti alla nuova forza cattolica, il Ppi, e 463 ai liberal-monarchici. Nonostante l’impegno del sindaco repubblicano Giuseppe Gaudenzi, che tentò di tenere unito il fronte democratico, antimonarchico e antifascista, nel 1921 avvennero fatti destinati ad ampliare le distanze. Il primo fu, nel mese di gennaio, la spaccatura nel Partito socialista con la scissione al congresso di Livorno che portò alla nascita del Partito comunista d’Italia. Il Pci affondò subito radici a Forlì dove il primo congresso ebbe luogo il 24 aprile 1921 a Bussecchio, alla presenza di Umberto Terracini. In mezzo alle due date ci fu, nel mese di marzo, la costituzione del Fascio locale. Un altro evento determinante fu lo scontro nelle colline sopra Civitella di Romagna, in località Arpineto, dove a seguito di un diverbio fra socialisti e repubblicani si giunse all’uccisione di un militante repubblicano. Come reazione scattò la vendetta dei militanti del Pri insieme a un gruppo di squadristi che si unì a loro. Il fatto di Civitella innescò una spirale di violenza che pochi giorni dopo vide un comunista ucciso e un repubblicano ferito a Vecchiazzano e culminò ai primi di settembre con una scena di guerra civile a Forlimpopoli che lasciò a terra due morti, un comunista e un repubblicano, oltre diversi feriti e la casa del popolo in fiamme.
Giorno dopo giorno, la situazione andò deteriorandosi e la violenza divenne quotidiana, con scontri, spari, bastonature in una sorta di grande arena dove socialisti e comunisti trovarono momenti in comune, allargando il collegamento con i repubblicani in alcuni casi (come nelle manifestazioni di protesta del gennaio 1922 per la detenzione negli Stati Uniti d’America degli anarchici Sacco e Vanzetti), contro le azioni violente delle squadre fasciste in Romagna, che nel mese di luglio videro, a Ravenna, l’uccisione di dieci lavoratori in maggior parte repubblicani e la calata delle camicie nere guidate da Italo Balbo. Fuoco e manganellate fasciste cominciarono a colpire circoli in luoghi differenti fino alla sera del 6 ottobre 1922 quando una colonna di squadristi seminò distruzione e fiamme tra le case del popolo della Romagna fra il Forlivese e il Cesenate.
Il 28 ottobre, con la Marcia su Roma e la decisione del Re di affidare a Mussolini il governo del Paese, il fascismo conquistò il potere. A Forlì la mobilitazione delle camicie nere cominciò nel pomeriggio del 27 ottobre con le milizie fasciste pronte all’azione. Nella serata del giorno seguente presero possesso della Prefettura la cui sede all’epoca era nel palazzo municipale. Stessa sorte interessò il Comune e le Poste. Il 30 ottobre i fascisti irruppero nell’ufficio del sindaco Gaudenzi e lo obbligarono alle dimissioni. Quindi, attraverso un accordo con la Prefettura, si insediarono al comando dell’amministrazione comunale con la nomina a commissario prefettizio di un “camerata”, l’industriale Silvio Lombardini.
I conti con socialisti, comunisti e repubblicani vennero regolati dai fascisti con la violenza. Una frattura definitiva si consumò anche con quel gruppo di giovani repubblicani, in gran parte reduci di guerra, che in un primo tempo aveva dato credito alle promesse antimonarchiche e sociali di Mussolini. Il punto di non ritorno fu rappresentato dalle occupazioni dei circoli e dagli attacchi a militanti del Pri, in particolare dall’assassinio di due repubblicani a Forlimpopoli e del diciottenne forlivese Giovanni Arfelli. Il suo funerale venne addirittura sospeso per divieto prefettizio; ciononostante prese forma una manifestazione spontanea di donne per protestare contro la violenza fascista ma anche questa venne fermata dalla forza pubblica. Dileggio definitivo fu la presa del Circolo Mazzini che venne utilizzato come Casa del fascio prima del trasferimento di questa nei locali di Palazzo Albertini in Piazza Saffi.
Pochi mesi dopo la Marcia su Roma, il 15 aprile 1923, il capo del governo Benito Mussolini decise di tornare a Forlì in visita ufficiale. Il duce giunse in treno alla stazione ferroviaria e da qui si mosse in auto recandosi in visita al Cimitero monumentale (per rendere omaggio alla tomba del padre Alessandro), in Piazza Saffi, in Prefettura e, dopo una toccata a Predappio, in Comune6. La visita non riuscì a sbloccare la situazione di travaglio in cui versava il fascismo locale. Anzi, sul piano politico la situazione peggiorò, tanto da sfociare a settembre nel primo commissariamento della federazione al quale ne seguirono altri. Ci provarono Evaristo Armani, Leandro Arpinati e Italo Balbo ma tutti senza centrare pienamente l’obiettivo.
Il ritorno di Mussolini nei luoghi della sua infanzia e della militanza politica prebellica avvenne su un terreno sconnesso. Il dato reale risultava connotato da scarso entusiasmo. Emblematico di questa condizione suonava un passaggio giornalistico pubblicato il 30 agosto 1925 sull’organo ufficiale della Federazione fascista forlivese “Il Popolo di Romagna”: «Fino a che Forlì seguiterà a essere fascisticamente la 74a provincia d’Italia non venite tra noi, Presidente»7. Quello della provincia di Forlì era un movimento lacerato da aspri contrasti, sottoposto a commissariamenti della federazione e incapace di allargare la base di consenso. Ancora, qualche anno dopo, i vertici del movimento in camicia nera forlivese tornavano sull’argomento. Correva l’anno 1927:
Un esame obbiettivo sull’azione politica del fascismo nella Provincia porta a questa affermazione di una esattezza indiscutibile: che cioè le difficoltà di penetrazione, di affermazione e di consolidamento del partito furono, agli inizi, molteplici, complesse e caratteristiche. Il fascismo ha potuto far breccia in pieno e rapidamente laddove aveva di fronte a sé resistenze rosse a fondo bolscevico […] Nella provincia di Forlì il partito trovò a un dipresso tale situazione soltanto nella parte alta e nella zona riminese: non altrettanto nel cesenate e nel forlivese dove, per contro, dominava il partito repubblicano. […] Molti passarono al Fascismo: ma i pastori, i capoccia resistettero e quasi ovunque le masse repubblicane restarono avulse ed irrigidite di fronte alla nuova realtà che si andava impadronendo irresistibilmente dell’anima nazionale8.
Non bastava l’ascesa al potere per cancellare il ricordo di cosa era stato Benito Mussolini fino a pochi anni prima. Sicuramente la Grande Guerra aveva rappresentato uno spartiacque determinante nella formazione delle persone e nell’evoluzione del pensiero politico, ma il cambiamento in atto nell’ex capo dei massimalisti forlivesi appariva eclatante, in certi casi non esente da punte di imbarazzo. Come nel caso del suo avvicinamento al mondo della Chiesa.
Nei mesi in cui stava maturando l’accordo fra Stato e Chiesa, sancito con i Patti Lateranensi del 1929, si verificò un episodio che merita attenzione, ma che necessita di un antefatto. Vent’anni prima, nel 1909, un tumulto anticlericale scoppiato in seguito all’uccisione in Catalogna dell’anarchico Francisco Ferrer aveva visto fra i più animosi protagonisti della protesta il socialista Benito Mussolini appena rientrato in Romagna dopo l’espulsione dai confini dell’Austria-Ungheria. La protesta aveva preso di mira la Colonna della Beata Vergine del Fuoco situata in posizione centrale dell’allora Piazza Vittorio Emanuele danneggiandola gravemente tanto da determinarne lo smantellamento. Il monumento trovò rifugio nella chiesa di San Filippo e la piazza rimase vuota fino allo scoprimento, nel settembre 1921, del monumento di Aurelio Saffi. In un clima politico ben differente, in pieno percorso di preparazione del Concordato, le celebrazioni per il cinquecentesimo anniversario del miracolo della Madonna del Fuoco, patrona della città, offrirono l’opportunità per una riconciliazione in sede locale. I festeggiamenti iniziarono il 4 febbraio 1928 alla presenza dell’arcivescovo di Bologna Giovan Battista Nasalli Rocca e il 6 maggio la Colonna mariana venne riconsegnata alla città, con l’installazione al fianco della Cattedrale. Fra i membri del Comitato d’onore che accompagnava il ritorno della statua della Madonna del Fuoco spiccava, ovviamente, il nome di Benito Mussolini.
Uno sguardo ai numeri stilati all’epoca dalla Prefettura contribuisce a definire la situazione. All’inizio del 1928, i tesserati al Pnf della Provincia di Forlì erano circa 20 mila, a fronte di una popolazione che al censimento di qualche anno dopo, il 1931, ammontava a 430.939 residenti9. Dati che equivalevano al 74° posto, su 92 province, lamentato da “Il Popolo di Romagna”.
Ciò impone una riflessione, seppur breve in questa sede, sul sistema di potere. A livello nazionale, con le leggi del 1924-1926 e in seguito alla riforma degli enti locali che introdusse il podestà e la consulta al posto del consiglio elettivo (leggi n. 237 e n. 1910 del 1926), il regime centralizzò l’assetto di potere, depoliticizzando le periferie e cancellandone il potenziale autonomistico. Il punto decisionale si trovò così collocato tra il partito fascista e la prefettura. I comuni e le province furono di fatto declassati nel nuovo sistema di potere che risultava incardinato sul duce e sul governo, ai quali risultavano collegati i referenti territoriali, vale a dire il Pnf e le prefetture, in un rapporto comunque non paritario che poteva trovare equilibrio solo nella buona relazione fra federale e prefetto.
Anche in questo caso Forlì costituì un’eccezione. Fra nominati e commissariamenti, gli avvicendamenti alla guida della federazione fascista provinciale furono numerosi. Nel 1925 essa era retta da Italo Balbo, a cui subentrò a novembre Ivo Oliveti. Dopo di lui il comando passò a Carlo Scorza, poi nel 1929 all’ingegner Arnaldo Fuzzi al cui nome, in qualità di progettista, furono legate diverse opere architettoniche del regime presenti nel territorio. Quindi nel 1931 la responsabilità politica giunse nelle mani dell’onorevole Davide Fossa e infine al conte Pio Teodorani Fabbri. Con lui iniziò un periodo di stabilità, non privo di beghismo, che durò buona parte del decennio.
Anche alla guida della prefettura l’alternanza alla posizione di vertice fu animata. La cronologia dei rappresentanti del governo in questo periodo è aperta da Giovanni Antonio Merizzi (1920-1923), poi Giuseppe Ferrari di Caporciano (1923), Ignazio Guido Podestà Lucciardi (1923-1926), Giovanni Battista Crispino (1926-1928), Francesco Dentice D’Accadia (1928-1930), Dino Borri (1930-1935), Luigi Russo (1935), Giuseppe Toffano (1935-1936), Oscar Uccelli (1936-1941).
Più lineare il clima nella “declassata” amministrazione civica. A Corrado Panciatichi, sindaco dal 1923 al 1926, seguirono i podestà Ercole Gaddi Pepoli (1926-1930), Mario Fabbri (1930-1936) e Fante Luigi Panciatichi (1936-1940). Se il travaglio del fascismo locale non consentì a nessuno di emergere (d’altronde come avrebbe potuto la “Città del Duce” avere un interlocutore differente dal duce medesimo), pure dalla prefettura non arrivò ad imporsi un potere in grado di fare da guida. Di fatto, fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1931, il punto di mediazione con Roma fu il fratello Arnaldo, che era anche capo della Provincia, mentre successivamente assurse alla posizione di maggior influenza Donna Rachele, non a caso sempre più presente alle celebrazioni e manifestazioni di partito quale autorità massima in assenza del marito.
Edifici, luoghi, progettisti
In questo quadro maturò il furore edificatorio che interessò Forlì e Predappio, dove si ritrovano i caratteri strutturali dell’epoca: quelli che seguirono la scia di una modernizzazione già avviata fin dal XIX secolo e quelli affermati dal fascismo. Le logiche del “piccone risanatore” e dell’“igienismo” ebbero, ad esempio, un peso rilevante nel caso del risanamento del quartiere popolare di Schiavonia e del comparto nei pressi di Piazza XX settembre, dove al posto dei vecchi caseggiati cominciò a essere realizzato il Palazzo di Giustizia poi completato negli anni ’60. Ma è soprattutto attorno alla nascita di un “Quartiere di Fondazione”, quello strutturato lungo l’asse fra la nuova stazione ferroviaria e il nuovo Piazzale della Vittoria, che vorrei soffermare l’attenzione.
L’area interessata gravitava fra il Piazzale del Nord, lo spazio fuori Porta Cotogni dal quale si accedeva al Giardino pubblico e al viale del Ronco, e il nuovo scalo ferroviario realizzato poco distante dalla chiesa dei Cappuccinini e inaugurato nel 1927. Accanto alla stazione sorsero alcune attività produttive: le grandi fabbriche di proprietà della famiglia Orsi Mangelli, Saom e Sidac, impegnate nella produzione di rayon e nella lavorazione di cellophane, la sede dell’impresa edile Cantiere Benini, e una decina d’anni dopo l’industria di rimorchi Bartoletti.
La nuova stazione, con la sua monumentalità tipica delle grandi città, assunse una funzione di rappresentanza, quale punto di collegamento fra Forlì e il mondo, pronta ad accogliere i visitatori con un impatto di sicuro effetto. Usciti dalla stazione una rotatoria con al centro una fontana a foggia di fascio littorio faceva da snodo all’imbocco dell’imponente viale Benito Mussolini (poi rinominato XXVIII ottobre), attorno al quale trovarono spazio, superata la prima cintura di industrie, edifici residenziali per particolari tipologie di lavoratori: dipendenti pubblici, ferrovieri, postelegrafonici (l’edificazione risale ai primi anni ’30). Quindi, una di fronte all’altra, due scuole. Da un lato l’elementare “Rosa Maltoni” (costruita fra il 1930 e il 1932, in memoria della madre), dall’altro l’Istituto tecnico industriale “Alessandro Mussolini” (sorto nella seconda metà degli anni ’30 e dedicato al fabbro di Dovia). Poi la Casa Stadio costruita fra il 1933 e il 1935 in stile “razionalista” su progetto di Cesare Valle e destinata alla “educazione fascista” dei giovani inquadrati nell’Opera nazionale Balilla e nella Gioventù italiana del Littorio.
Occorre innanzitutto far chiarezza su ciò che vi si svolgeva per evitare anacronismi. L’educazione del periodo veniva portata avanti sia attraverso l’attività fisica in funzione pre-militare, sia attraverso un addestramento che inculcava disciplina, formava all’inquadramento gerarchico, alfabetizzava alle liturgie collettive. Il testo truce del “Giuramento” leggibile sulla torre, grazie alla decisione di lasciare le tracce delle lettere scalpellate dagli antifascisti dopo la caduta del regime, permette in un baleno di rendersi conto della pressione ideologica esercitata su bambini e ragazzi. Che partecipavano alle attività, ovviamente, indossando l’uniforme.
Il viale sfociava in un’amplissima area che in un primo momento venne dedicata alla memoria del fascista Armando Casalini e poi divenne Piazzale della Vittoria. Al centro di essa trovò spazio un imponente complesso artistico con obelisco alto ben 22 metri. Proprio l’inaugurazione del monumento offrì l’occasione per la presentazione all’Italia della “Città del Duce” grazie alla decisione di organizzare qui la cerimonia nazionale dell’inizio del secondo “decennale” fascista. Era domenica 30 ottobre 1932. Questa la cronaca riportata dal “Corriere della Sera” nell’articolo di apertura, nel quale vengono riproposti in modo “antologico” tutti gli aspetti simbolici del romagnolismo sui quali si è costituito l’immaginario mussoliniano.
Il Duce stesso, il figlio di questa Romagna alla quale egli torna come alla culla della propria famiglia, al luogo sacro delle sue più care memorie, al nido dell’infanzia e della prima battagliera giovinezza, ha voluto venire a Forlì e iniziare il secondo Decennale tra la sua gente, in vista di quelle campagne alle quali egli torna ogni volta che le opere della terra richiedano, anche fra i più umili, la sua presenza esemplare, a tu per tu con i conterranei, con le schiere dei figli di questa razza animosa, generosa e gentile, nata coi fermenti della passione nel sangue, cresciuta alla scuola di una virilità che fa dello spirito di sacrificio e dell’ardire le sue virtù migliori10.
Il programma della manifestazione era incentrato sul sentimento territoriale e sulla realizzazione delle opere pubbliche, con l’inaugurazione del Monumento ai caduti per la Patria e la Rivoluzione fascista, su progetto di Cesare Bazzani e opere scultoree di Bernardino Boifava, in Piazzale della Vittoria, della scuola intitolata a Rosa Maltoni (progetto Fuzzi) lungo il viale di collegamento con la stazione e dell’imponente Palazzo delle Poste in Piazza Saffi, altra opera a firma di Bazzani.
In seguito attorno al Piazzale della Vittoria sorsero le palazzine gemelle progettate da Cesare Bazzani in sostituzione della vecchia Barriera di Porta Cotogni, la Stazione agraria “Arnaldo Mussolini” (più tardi la denominazione passò alla Casa Stadio) e, di fronte a questa, il monumentale Collegio aeronautico. La genesi di questo enorme edificio, attualmente sede di due scuole secondarie e del Liceo classico, offre un interessante spunto di riflessione. Nel progetto originario, a firma di Cesare Valle e datato 1934, il complesso sarebbe dovuto essere collegio di preparazione all’accademia romana di educazione fisica ma successivamente si pensò di destinarlo a collegio femminile. Solo più avanti prese corpo l’idea di erigerlo a Collegio aeronautico. Se ne deduce che prima ancora della funzione, la centralità nell’ideazione veniva assegnata ad avere in quel luogo un edificio del genere in grado di stupire e arricchire di potenza ed enfasi lo spazio pubblico.
Giunti in Piazzale della Vittoria ai visitatori si poneva una scelta: entrare in città o proseguire verso Predappio Nuova. I progettisti si sbizzarrirono anche in ulteriori ipotesi di opere da realizzare proprio in direzione di Predappio, oltre i Giardini pubblici o riconvertendo la stessa area. Ci si misurarono Cesare Bazzani e Saul Bravetti, prevedendo ipotesi di differente natura, da un foro a un tempio laico, ma le idee rimasero sulla carta.
Imponenti lavori interessarono anche Piazza Saffi con la demolizione della schiera di edifici del lato nord per realizzare il nuovo Palazzo delle Poste e, fra la confluenza di corso Mazzini e via Cesare Battisti (oggi via delle Torri), il Palazzo degli Uffici statali. Un intervento di forte impatto interessò il chiostro di San Mercuriale che venne liberato dalle mura esterne, restaurato negli elementi di pregio e trasformato in spazio di collegamento fra Piazza Saffi e Piazza XX settembre al limitare della quale stava sorgendo il Palazzo di Giustizia, i cui lavori però vennero interrotti dallo scoppio della Seconda guerra mondiale e giunsero a completamento solo nel 1969.
Opere di forte impatto furono la ristrutturazione di Palazzo Paulucci in Piazza Ordelaffi, che divenne sede della Prefettura, e l’Asilo Santarelli. Nel novembre del 1937 aprì il Centro sanatoriale di Vecchiazzano per ammalati di tubercolosi e l’anno seguente un villaggio operaio intitolato “Alessandro Mussolini” a Cà Ossi. Un discorso specifico merita un’altra grande opera pubblica di quegli anni: l’aeroporto Luigi Ridolfi. L’inaugurazione dello scalo avvenne il 19 settembre 1936 alla presenza di Mussolini e del duca d’Aosta. Grazie a una imponente dotazione di impianti (hangar, officine, caserme, mensa, centrale elettrica, uffici, viali di collegamento e, in seguito, anche una palazzina di comando) e alla presenza del 30° stormo dell’Aeronautica, lo scalo appariva come cittadella dell’aviazione, con connotazione squisitamente militare. Insieme allo scalo nacque un distretto del volo con epicentro a Forlì. A comporre i tasselli contribuirono la decisione di adibire a Collegio aeronautico il monumentale edificio di Piazzale della Vittoria e la persuasione esercitata nei confronti dell’industriale Gianni Caproni che aprì a Predappio uno stabilimento per la costruzione di aerei per conto del Ministero che impegnava circa 1.200 dipendenti. A Meldola l’impresa bolognese Scipione Innocenti avviò un opificio per la revisione dei motori d’aereo mentre alla periferia del capoluogo vide la luce l’Officina per la manutenzione dei mezzi dell’Aeronautica.
Il grande set
Ogni ragionamento sugli edifici del “Quartiere di Fondazione” di Forlì risulterebbe parziale se considerato a sé stante, estrapolato cioè da un contesto che va oltre la qualità costruttiva, il valore estetico, la duttilità dei volumi, la maestria dei progettisti. Perché l’elemento di primario interesse di questo patrimonio sta nell’insieme. Val la pena di sottolineare che la decisione di costruire questo comparto maturò fin dall’indomani della presa del potere da parte di Benito Mussolini, fra l’aprile del 1923 (quando in qualità di capo del governo fece la prima visita ufficiale a Forlì e Predappio) e il 1925, anno in cui a distanza di poco tempo venne posta la prima pietra dello scalo ferroviario e si svolse la cerimonia di fondazione dell’abitato di Predappio Nuova. Fu in quel periodo che maturò l’idea di creare e sfruttare il genius loci dei territori legati all’infanzia di Mussolini nonostante, come si è visto, questa zona non brillasse per adesione al fascismo.
Fra un’anima di elezione e la terra sua di origine si stabilisce un rapporto misterioso come da madre a figlio: un rapporto che perdurerà nel subcosciente anche quando la vita avrà trascinato questo eletto per vie remotissime e lo avrà costretto a costumi e a lingue diverse e fra uomini dissimili11.
Così scriveva nel 1923 il giornalista forlivese Antonio Beltramelli ne L’uomo nuovo, il libro che aprì la serie di biografie di Mussolini. La definizione assume il valore di pietra angolare di un progetto di comunicazione politica che sfociò in un fenomeno di portata nazionale e internazionale fatto di icone, suggestioni, evocazioni. Il fulcro di questo spazio simbolico, il nucleo generatore, era rappresentato ovviamente dal “Paese del Duce”, Predappio Nuova, dal quale si diramava un sistema gerarchico che attribuì a Forlì i galloni di “Città del Duce” e all’intera area romagnola che gravitava attorno alle altre principali città (Imola, Faenza, Cesena, Rimini, Ravenna e Lugo) il ruolo di “Terra del Duce”.
Fu un processo non lineare, dettato da improvvisazioni e contraddizioni, segnato dall’esigenza di declinare sulla base di tradizioni culturali, le liturgie di un potere carismatico e di una partecipazione politica di massa, concepita nelle forme di una fede simile a quella religiosa12. Al progetto contribuirono alcuni forlivesi chiamati da Mussolini a collaborare alla gestione della comunicazione. In primo luogo Antonio Beltramelli, la cui opera potrebbe essere definita un istant-book ante litteram; il fidato Manlio Morgagni al quale affidò la direzione della Agenzia Stefani, cioè l’agenzia di stampa del regime che diramava le “veline” politiche ai giornali; Giacomo Paulucci di Calboli Barone, membro acquisito della nobile famiglia romagnola che, proveniente dalla carriera diplomatica, fu a capo della Segreteria del duce e dal 1933 presidente dell’Istituto Luce; ovviamente il fratello Arnaldo al quale affidò la direzione del giornale “Il Popolo d’Italia” oltre che la guida amministrativa della Provincia.
Fra i primi osservatori che colsero questo aspetto, e lo enfatizzarono, ci fu l’altra biografa di Mussolini, Margherita Sarfatti che già nel 1926 in Dux e, poi ancora nell’altra opera biografica Il volo dell’aquila: da Predappio a Roma, pubblicata a distanza di breve tempo, interpretò il percorso avviato marcando l’aspetto dell’umiltà dell’ambiente di origine, con la figura materna ormai al centro del sistema simbolico costruito intorno alla terra da cui l’aquila aveva spiccato il volo per Roma.
Il passaggio dalle idee ai fatti avvenne in modo artigianale fra opere pubbliche, rappresentazioni (narrative, artistiche, fotografiche, cinematografiche) ed eventi (visite di rappresentanza, manifestazioni sportive, pellegrinaggi). E iniziò subito se consideriamo parte di questo anche la trasformazione geografico-amministrativa della Provincia avvenuta con Regio Decreto nel 1923. Il provvedimento dispose il passaggio da Firenze a Forlì di un territorio della “Romagna Toscana”13 composto da ben undici municipalità. Un’area ad alto valore simbolico per il richiamo naturale al rapporto con la capitale e con il mito stesso dell’Antica Roma perché al suo interno si trovavano le sorgenti del Tevere sul monte Fumaiolo. Se la decisione di Mussolini conteneva indubbiamente caratteri di coerenza con l’intento di un riordino amministrativo rispettoso delle condizioni morfologiche del territorio, risultava chiaro il perseguimento di altre finalità. Innanzitutto di rendere più grande e influente l’entità amministrativa. Quindi di rafforzare il peso simbolico di uno spazio nei confronti dell’intera nazione grazie alla presenza, al suo interno, della fonte primaria del fiume sacro ai destini della “città eterna”.
Come ricordato in precedenza, il 15 aprile 1923 Mussolini tornò nei luoghi delle sue origini come capo del governo. In quell’occasione venne donata a lui, dai predappiesi, la Casa Natale mentre nella vicina Meldola maturò la decisione di fargli dono del Castello di Rocca delle Caminate, una antica fortificazione ridotta in macerie che sorgeva sulla collina fra Meldola e Dovia. In seguito alla donazione venne redatto un progetto di restauro, maturato in ambito della Soprintendenza, mentre l’esecuzione dei lavori fu finanziata trovando i fondi da una sottoscrizione pubblica gestita sotto l’egida del Pnf.
Se il 1923 potrebbe essere definito come l’anno dell’intuizione, o di prologo di ciò che sarebbe poi avvenuto, il 1925 segnò un successivo passaggio grazie ad alcuni eventi. A cominciare dall’inaugurazione del nuovo campo sportivo di Forlì intitolato a “Tullo Morgagni”, fratello del giornalista Manlio, che avvenne nel maggio alla presenza del Principe ereditario Umberto. Ci fu inoltre la posa della prima pietra della nuova stazione ferroviaria celebrata alla presenza del Ministro delle comunicazioni Costanzo Ciano. Il maggior impatto fu determinato comunque dalla già ricordata cerimonia di fondazione dell’abitato di Predappio Nuova avvenuta il giorno 30 agosto.
Lo step successivo della fase pionieristica coincise con l’anno 1927, soprattutto con il doppio evento del 30 ottobre. Quel giorno, nell’ambito delle celebrazioni legate all’anniversario della Marcia su Roma, Luigi Federzoni, leader dei nazionalisti italiani, uomo di fiducia del re ed esponente di punta della classe governativa, arrivò in città per inaugurare la nuova stazione ferroviaria di Forlì realizzata su progetto di Ezio Bianchi. Lo scalo, eccessivamente dimensionato rispetto alle esigenze, venne costruito in funzione del ruolo di rappresentanza che avrebbe assunto (nell’edificio fu predisposto perfino un “Appartamento del Duce”) e in prospettiva di auspicati sviluppi ferroviari, con tratte lungo le vallate e una linee transappenninica, che tuttavia non vennero realizzati14.
Terminata la cerimonia in città, Federzoni si recò al castello di Rocca delle Caminate dove attivò il potente faro tricolore posizionato sulla cima della torre. Si trattava di un fascio di luce verde, bianca e rossa che si estendeva dal mare all’Imolese con un raggio di oltre 30 chilometri. La fonte luminosa ebbe fin da subito uno straordinario impatto scenografico (nelle occasioni speciali, come il compleanno di Mussolini, venivano attivati altri effetti speciali come le salve di cannone), per evocare la sua presenza in loco, facendo diventare la proiezione del faro la luce del duce. Azionando il dispositivo elettrico, Federzoni accese letteralmente nuovi riflettori sul territorio romagnolo i cui simboli erano stati scippati, eliminati o modificati, rispetto al patrimonio iconografico, culturale e musicale codificato negli anni ’10 e all’inizio del decennio seguente da Aldo Spallicci, ed erano diventati funzionali al culto del duce.
Rimini divenne un tutt’uno con l’immagine dell’Arco d’Augusto, così come la Via Emilia e il fiume Rubicone (il cui corso venne deciso con provvedimento legislativo troncando in tal modo un annoso dibattito storico su quale fosse il reale corso d’acqua “attraversato” da Giulio Cesare) ribadirono l’antico legame con le sorti dell’Antica Roma. La tomba di Dante Alighieri, a Ravenna, sottolineò il rapporto con la grandezza dell’arte letteraria e dell’italianità. A Lugo il monumento in memoria di Francesco Baracca enfatizzò lo spirito della Grande Guerra e a Casola Valsenio la tomba di Alfredo Oriani ribadì la linea di congiunzione patriottica con l’opera di alcuni letterati considerati precursori. A rappresentare le restanti realtà intervennero testimonianze autorevoli del passato e vocazioni: San Mercuriale per Forlì, la ceramica faentina, Giovanni Pascoli e San Mauro, mare e barche a Cesenatico e Riccione.
Tutto ciò contribuì a incasellare passaggi convergenti rispetto allo sforzo complessivo di re-invenzione propagandistica dei luoghi e di ciò che esprimevano, diventando essi stessi evocazione di Benito Mussolini e segno della sua presenza. Tornando al faro, si pensi al potere di suggestione e condizionamento psicologico che, nell’Italia dell’epoca, un fascio di luce potente come quello poteva esercitare. Ad esempio sui numerosi bambini che da varie regioni d’Italia venivano portati alle colonie marine romagnole; o ai militari impegnati nelle caserme o nelle manovre in zona; oppure a chiunque transitava di notte su treno o su qualsiasi mezzo di trasporto e veniva colpito dal raggio. Il faro riverberò anche in disegni, opere artistiche, cartoline e fotografie, assumendo un valore mitico esso stesso.
Oltre che nei discorsi, negli scritti, nelle opere d’arte, la “Terra del Duce” cominciò a essere vissuta dai protocolli di liturgia politica. Il 24 luglio 1927, infatti, era avvenuto un altro evento singolare che funzionò da apripista per le esperienze successive. Proveniente da Ravenna, dove si stava svolgendo il “Raduno degli artisti fascisti” presso il Teatro “Dante Alighieri” (iniziativa alla quale avevano partecipato personaggi del calibro di Mascagni, Moretti, Panzini, Balilla Pratella, Marinetti, Beltramelli) una delegazione di gerarchi e personaggi della cultura italiana guidata dal segretario nazionale del Pnf Augusto Turati giunse a Forlì e risalì la vallata fino a Predappio Nuova, dando vita a un prototipo di quelli che sarebbero stati i pellegrinaggi degli anni seguenti15. La visita ufficiale era stata anticipato nei mesi precedente dalle presenze di autorevoli esponenti del partito fascista e del governo come quelle del Ministro dell’Economia Nazionale Giuseppe Belluzzo16 e dallo stesso segretario del Pnf. Intanto, sempre in modo artigianale, alcuni osservatori cominciarono a rendicontare gli arrivi di autorità e “pellegrini”, come il periodico fascista “Il Popolo di Romagna” nelle cui pagine vennero annotate anche le prime visite popolari a seguito delle organizzazioni dopolavoristiche e delle scuole. Così pure il parroco di San Cassiano in Pennino, Don Zoli, che riferiva attraverso missive inviate alla segreteria del duce.
L’avvio dei pellegrinaggi consolidò le dinamiche rituali. Una volta ricreati gli interni della Casa Natale e ammobiliata, dal 1927, la “Sala del Duce” nel Municipio, la liturgia della visita individuò un percorso di luoghi, gesti e abitudini che si strutturò nel tempo, inglobando ogni nuova opera e arricchendosi di “ingredienti”. Fra questi il cimitero monumentale di san Cassiano in Pennino, a un paio di chilometri da Predappio Nuova, realizzato dalla trasformazione con ampliamento del piccolo camposanto di campagna pre-esistente che custodiva la tomba di Rosa Maltoni. Fra il 1929 e il 1932, furono eseguiti i lavori che riguardarono anche la chiesa adiacente, letteralmente inventata in uno stile finto-romanico. Il nuovo cimitero gravitava attorno al famedio della famiglia Mussolini posizionato in sede centrale e qui vennero riunite, post mortem, le salme dei genitori di Mussolini che riposavano in cimiteri diversi. Dopo la morte della consorte, la maestra Rosa Maltoni che era stata sepolta a San Cassiano in Pennino, mentre il fabbro Alessandro, che si era trasferito a Forlì dove si era unito a Anna Lombardi vedova Guidi (nonché madre di Rachele sua futura moglie), dopo la morte era stato seppellito nel cimitero di via Ravegnana17. Una volta completato il nuovo cimitero di Predappio, in particolare la tomba Mussolini, divenne tappa fondamentale di tutte le visite con immancabile omaggio devozionale ai genitori.
Funzionale a tutto ciò era, appunto, la nuova stazione ferroviaria presso la quale venne predisposto un servizio di torpedoni. Da questo momento il percorso entrò in una seconda fase sulla quale una influenza decisiva ebbe la nomina a segretario nazionale del Pnf di Achille Starace. L’anno 1932 rappresentò la vetrina e da questo momento la liturgia dei pellegrinaggi assunse una dimensione sempre maggiore, innescando ulteriori opere e interventi funzionali all’accoglimento di persone. Il lavoro impegnò non solo architetti, ingegneri, urbanisti e costruttori, ma anche politici, organizzatori, adepti alla gestione dell’inedito corredo devozionale che si delineò lungo l’asse Forlì-Predappio.
Ricapitoliamo. Secondo questa visione, fra il 1923 e il 1932 prese forma la struttura d’impianto di un grande set strutturato in due moduli: un “Quartiere di Fondazione” a Forlì (quello fra il nuovo scalo ferroviario e Piazzale della Vittoria) e una “Città di Fondazione”, Predappio Nuova. Il set serviva per creare fascinazione e per far vivere ai visitatori un momento speciale, a contatto da un lato con il mito delle origini popolari del duce, dall’altro con esempi architettonici e di servizio moderno e sociale che la propaganda della nuova Italia fascista affermava di voler costruire. I medium più potenti di questo progetto furono il “pellegrinaggio” e l’evocazione dei luoghi sacri delle origini, e con essi l’evocazione stessa del duce, assicurata da fotografie, opere artistiche, cartoline postali, cinegiornali, filmati, parole pronunciate dalla radio e la luce tricolore proiettata dal faro di Rocca delle Caminate.
Alcune notizie confermano l’attenzione diretta che Mussolini prestò a quanto avvenne. La prima è rappresentata dall’incontro svolto il 13 giugno 1925 a Palazzo Chigi quando convocò il Prefetto di Forlì e il Sindaco di Predappio Pietro Baccanelli. Fu in quell’occasione che comunicò l’inserimento di Predappio nell’elenco degli abitati italiani da trasferire perché gravati da problemi di sicurezza geologica e da sostenere con finanziamenti statali. La lista nazionale da consolidare era stata elaborata a partire dal 1911 e definita con il Regio decreto legge n. 299 del 2 marzo 1916. Predappio fu aggiunta all’elenco con il RDL 1029 del 9 giugno 1925 e ottenne in prima battuta lo stanziamento di 2 milioni di lire. Altro episodio è rappresentato da quanto avvenne nel maggio 1926 in occasione di una visita di Mussolini a Forlì, nella zona dove stava sorgendo il “Quartiere di Fondazione” e a Predappio Nuova. Presenti il prefetto Crispino, il Federale Ivo Oliveti, l’ingegnere progettista dei lavori Florestano Di Fausto, il Sindaco di Predappio Pietro Baccanelli e il segretario politico del fascio locale, lo zio Alcide Mussolini. Durante il sopralluogo avvenne un fatto significativo per comprendere il quale è necessaria una breve premessa. Nell’estate del 1925 con una cerimonia ufficiale era stata posta la prima pietra di Predappio Nuova alla presenza del segretario del Pnf Roberto Farinacci e di altri gerarchi fra i quali Italo Balbo. In quell’occasione veniva murata nella facciata della Casa Natale una lapide celebrativa in metallo. A distanza di un anno, nel sopralluogo ai cantieri, Mussolini ordinò di farla rimuovere perché contrastava con l’obiettivo di mantenere il luogo in una anonima semplicità18.
Seguendo questa strategia venne realizzato anche l’allestimento dell’interno dell’edificio con la rievocazione di ambienti della vita domestica come l’officina del fabbro e le camere da letto degli sposi e dei bambini Benito e Arnaldo. L’influenza di Mussolini fu sempre diretta e costante. Un’altra conferma in tal senso venne qualche anno dopo. Ai piedi della collinetta sulla quale sorgeva la Casa Natale fu edificato fra il 1928 e il 1931 un anfiteatro con porticato ad archi che nel punto di confluenza dei due emicicli inquadrava esattamente la facciata dell’edificio posto a una trentina di metri di distanza, in cima a una piccola scarpata. Per raggiungerlo venne realizzata una scala in marmo mentre le due ali dell’anfiteatro furono congiunte da un imponente tiburio che coronava l’inizio della scalinata facendone da ingresso monumentale. Una presenza nobile e trionfale che poco aveva a che fare con l’ambiente rustico del luogo. La soluzione architettonica non passò inosservata al duce che ordinò la rimozione del tiburio e la sostituzione della scalinata. Al posto dei gradini venne piantato un bosco all’interno del quale si snodavano due sentieri che salivano al piccolo museo. Tutto ciò fu portato a termine prima dell’evento più eclatante per la diffusione dell’immagine di Predappio Nuova: la visita del Re Vittorio Emanuele III che l’8 giugno 1938 rese omaggio alla città, Forlì, e al paese natale di colui che lo aveva incoronato Imperatore.
Luoghi per il consenso
Il 1932, con Achille Starace divenuto da poco segretario del Pnf, rappresenta la soglia di passaggio nella gestione e nella fruizione dei luoghi. Da questo periodo il sistema organizzativo dei “pellegrinaggi” venne messo a regime con una crescita esponenziale di visitatori e una visibilità sempre più massiccia. A pochi mesi dall’insediamento nella cabina di regia del partito, avvenuta sul finire del 1931, Starace organizzò la prima visita in Romagna in occasione del 21 aprile, giorno in cui il calendario fascista celebrava la “Festa del lavoro” in corrispondenza con l’anniversario del “Natale di Roma”. Tappa centrale del viaggio fu Forlì con la cerimonia della “leva fascista provinciale” che ebbe come madrina Donna Rachele. La notizia suscitò vasta eco tanto da conquistare la prima pagina del “Corriere della sera” che ricordava come fosse «meditato pensiero quello del segretario del Partito di conoscere il volto e il cuore della terra del Duce»19.
Nella stessa giornata ebbe luogo la prima edizione della “Coppa del Duce”, una gara di regolarità motociclistica che toccava le principali località romagnole, da Cesenatico a Forlì attraverso Rimini, Santarcangelo, Savignano, Cesena, Forlimpopoli, Meldola, Rocca della Caminate e, ovviamente, Predappio Nuova. Momento decisivo fu, il 30 ottobre 1932, la proclamazione da Forlì dell’inizio del secondo decennio della cosiddetta “Era Fascista”20.
L’attenzione di Starace fu costante e si concretizzò attraverso un sistema organizzativo sempre più rodato che, con il crescere del numero di visitatori, destinò un locale, a Forlì, come punto di smistamento dei “pellegrini”. Con il passare degli anni, le manifestazioni assunsero dimensioni crescenti e registrarono picchi con la visita di seimila dopolavoristi bolognesi il 15 aprile 1934, giunti in Romagna su oltre trecento torpedoni e, nel mese di settembre, con il raduno di mille associati alla Reale Automobile Club d’Italia “Tre Venezie”21.
Altro bagno di folla, immortalato pure da un Cinegiornale Luce, avvenne in occasione della “Festa del lavoro” del 1937. In quell’occasione Donna Rachele e il segretario nazionale del Pnf Starace tennero a battesimo la nuova Casa del fascio di Predappio affacciata sulla piazza. L’edificio era stato costruito su progetto dell’ingegnere Arnaldo Fuzzi. Oltre a ospitare la sede del partito fascista, il complesso monumentale fu attrezzato con albergo diurno e grandi sale per cerimonie e incontri. Il flusso di presenze si fece sempre più massiccio e costante offrendo una prova eccezionale nella primavera del 193722, quando arrivarono in paese a bordo di circa millecinquecento automezzi ben quindicimila camicie nere pesaresi.
Fino a quando fu segretario del partito fascista, Starace mantenne alta l’attenzione. Il 29 luglio 1939, in occasione del compleanno di Mussolini, egli tornò in paese per l’imponente “Adunata dei rurali”23 alla quale presero parte circa diecimila rappresentanti del mondo agricolo, con in testa il ministro dell’agricoltura. A distanza di qualche mese, e dopo lo scoppio del conflitto fra Germania nazista, Gran Bretagna e Francia, con l’Italia ancora assente dallo scenario bellico, il 29 ottobre 1939 venne comunicato l’avvicendamento alla guida del Pnf che venne affidata al romagnolo Ettore Muti. La fine della regia di Starace, i venti di guerra e le crescenti difficoltà economiche determinarono una graduale trasformazione nella “fruizione” del paese con una inversione drastica di tendenza nelle presenze dei visitatori.
Per chi giungeva a Predappio in gruppo, a seguito di gite politiche, scolastiche o dopolavoristiche organizzate a bordo di torpedoni o, dal 1927, tramite il servizio autobus dalla nuova stazione ferroviaria di Forlì, l’esaltazione del mito delle origini e la progressiva identificazione di Mussolini con la sua terra rendeva la visita ai luoghi natali un surrogato della “visione” del duce: come se fisicamente lo avessero visto di persona24. In quegli anni, come ricordato, venne messa a punto la macchina organizzativa che prese le misure con i primi raduni. Nel 1928 la tappa Predappio-Arezzo del Giro d’Italia inaugurò una serie di eventi sportivi, soprattutto ciclistici e motociclistici, mentre nel 1930 venne istituita la “linea di Gran Turismo” su corriere da Venezia a Firenze che, offrendo «le comodità di un viaggio di piacere», faceva una sosta di venti minuti a Predappio Nuova «per dare modo ai passeggeri di visitare la casa natale»25.
Negli anni ’30 più che adoperarsi in chiave di qualificazione dell’immagine (cosa comunque che continuò fino alla caduta del regime attraverso convegni e raduni nazionali)26, l’attenzione venne catalizzata sull’organizzazione e sul disciplinamento dei flussi di persone. Mantenendo un approccio di carattere numerico, una fonte di particolare interesse è offerta dai resoconti delle visite riportati sulle colonne del “Popolo di Romagna”, che a partire dal 1934 annotò elementi statistici. Anche il parroco di San Cassiano Don Pietro Zoli mantenne zelo nel riferire sistematicamente alla segreteria particolare e lo stesso fece la Prefettura di Forlì nel caso dei maggiori raduni27. Gli elenchi di don Zoli e della Prefettura si riferiscono al periodo compreso fra il 1934 e il 1938. I numeri vanno da un migliaio di visitatori al mese nella stagione invernale fino a una media di cinquemila presenze al mese nel periodo estivo, con picchi di eccezionalità in occasione di alcuni eventi già ricordati28. A tali fonti si aggiungono le informazioni diramate all’epoca dall’Ufficio Turistico presso il Dopolavoro di Forlì che venne creato per regolamentare l’«eccezionale e crescente afflusso di comitive, che giungevano talora simultaneamente ingenerando […] notevoli difficoltà»29.
Proprio da questi elenchi, fra cui il rendiconto stilato trimestralmente e relativo alle visite organizzate dalle sedi del Dopolavoro, si evincono sia il carattere popolare dei pellegrinaggi, sia il ruolo fondamentale di promozione svolto dalle organizzazioni. Dai documenti emergeva che ad arrivare in gran numero erano soprattutto persone delle classi meno abbienti, organizzate in gite e che non disponevano di risorse per pranzare nei ristoranti ma usufruivano dei servizi allestiti. Anche dalla corrispondenza tra ufficio della Ond e Prefettura emergeva la linea strategica di «ridurre al minimo indispensabile la permanenza sui luoghi, e quindi la spesa, per facilitare la partecipazione dei dipendenti provinciali di più modeste possibilità, così da assicurare all’iniziativa il raggiungimento del suo fine principale»30.
Il ruolo organizzativo esercitato dalle strutture legate al partito fascista, alla scuola o all’esercito non fu l’unico motore degli arrivi. I pellegrini, infatti, cominciarono a giungere pure individualmente o a piccoli gruppi auto-coordinati. Variazioni caratterizzarono anche i mezzi di trasporto. Non solo torpedoni, camion (col trasporto di persone nei cassoni!), motociclette e autovetture ma pure biciclette e, acuendo il valore sacrificale associato al pellegrinaggio, lunghi viaggi a piedi: da Torino31, Udine32, Firenze33. Clamoroso fu di un parente del segretario nazionale del Pnf, Loreto Starace, le cui spoglie mortali vennero portate a Predappio in pellegrinaggio all’interno di una cassa funebre34.
Se fino al 1932 il libro delle firme della Casa Natale aveva ospitato i nomi di massimi esponenti in campo nazionale della politica e della cultura, un dato di novità giunse con gli omaggi di carattere internazionale e con l’arrivo di rappresentanti delle istituzioni monarchiche. Sulla passerella degli ospiti più illustri spiccò nel gennaio 1933, la figura dell’alto diplomatico giapponese Yosuke Matsouka35 che proprio in quell’anno balzò alla ribalta mondiale per aver guidato l’uscita della delegazione nipponica dalla riunione della Società delle Nazioni in seguito alle critiche ricevute per le operazioni militari in Manciuria (tale scelta sancì l’abbandono da parte del Giappone dell’organismo). Sempre al 1933, risalgono gli arrivi di una delegazione proveniente da Alessandria d’Egitto36 e la visita da parte di ufficiali della Marina britannica giunti, «spontaneamente», «ad onorare, nelle memorie sue più care, l’uomo che il mondo ammira e ascolta»37. Altre presenze autorevoli, da quella del cancelliere austriaco Schuschnigg (1936) all’inviato del governo giapponese Okura (1937), onorarono i luoghi mussoliniani nella seconda metà del decennio. Segno dei tempi fu la presenza dei “Giovani hitleriani”, che nel mese di agosto del 1937 marciarono a piedi provenendo da Rimini38. Altre delegazioni singolari furono quelle dei fascisti della Dalmazia39 e dall’Albania40.
La consacrazione definitiva del progetto giunse attraverso il riconoscimento da parte della famiglia reale. Con una doppia discesa in Romagna, di sua maestà Vittorio Emanuele III e del principe ereditario Umberto, i Savoia resero omaggio ai luoghi cari dell’uomo che aveva consegnato loro i sigilli dell’Impero. L’8 giugno 1938 il Re si recò in visita ufficiale a Forlì e Predappio. La manifestazione, accompagnata da straordinarie misure di mobilitazione e di sicurezza, con tanto di fermi preventivi, ispezioni e avvertimenti41, ebbe inizio con l’arrivo in treno alla stazione ferroviaria e proseguì con la parata per le vie della città, una tappa alla mostra dedicata al pittore rinascimentale Melozzo degli Ambrogi allestita a Palazzo del Merenda e il bagno di folla in Piazza Saffi con un pubblico stimato in cinquantamila persone giunte dall’intera provincia. Il saluto avvenne dal balcone del Municipio di Forlì. Quindi il corteo risalì la valle del Rabbi raggiungendo Predappio. Il programma dispose come momento d’apertura il ricevimento a Palazzo Varano con il saluto dal balcone del Comune (anche questo ricordato frequentemente nelle testimonianze orali, spesso con risvolti ironici riferiti alla bassa statura del re, coerentemente a complessi meccanismi di compensazione psicologica tipici dei racconti di un coinvolgimento con il regime fascista che di fatto fu anche emotivo). A seguire ci fu l’omaggio alla tomba dei genitori e quindi la visita della Casa Natale. Nella piccola corte di autorità che seguiva il monarca spiccavano i nomi di Giuseppe Bottai, Achille Starace, Costanzo Ciano e Pietro Mascagni.
Momento conclusivo della visita fu l’incontro privato fra il re e il duce nel castello sulla collina di Rocca delle Caminate. Infine l’auto imperiale prese la via del ritorno verso Forlì e la stazione ferroviaria dove attendeva il convoglio con la carrozza reale. Il clamore fu enorme e venne amplificato, oltre che da radio e giornale, anche da due Cinegiornali dell’Istituto Luce42. L’altra legittimazione da parte dei Savoia avvenne nell’ottobre del 1938 con la visita del Principe di Piemonte, accompagnato nel “pellegrinaggio” da circa settemila cooperatori43. In quelle stesse settimane, fra l’estate e l’autunno del 1938, l’idillio fra fascismo e monarchia riverberò nell’attività di governo con la condivisione dei provvedimenti contro gli ebrei e la promulgazione delle “leggi razziali”.
Propaganda, medium e contenuti
Insieme alla realizzazione fisica del luogo e alle politiche di fruizione degli edifici e degli spazi, il progetto fu sostenuto da una grande operazione di costruzione immaginifica che venne messa a punto mediante l’uso combinato di diversi medium. Sul rilievo delle opere autobiografiche, delle biografie e sull’attività giornalistica esistono studi e riflessioni che, comunque, non bastano a dimostrare la capacità persuasiva che ebbe il progetto. In una società connotata da bassi indici di istruzione, la lettura non sarebbe riuscita da sola a consolidare il brand (mutuando volutamente un termine dell’attuale linguaggio pubblicitario) nel modo in cui in realtà avvenne. Molto incisivi per la divulgazione a livello popolare furono altri strumenti, meno intellettuali e più pragmatici.
Uno dei canali principali fu quello dei pellegrinaggi (gite, raduni, visite) che videro all’opera come centri propulsivi dell’organizzazione le strutture collegate al regime: l’Opera nazionale Dopolavoro, l’Opera nazionale Balilla, la Gioventù italiana del Littorio, il mondo delle corporazioni, l’associazionismo combattentistico, rappresentanze di categoria e il mondo scolastico. L’attività venne portata avanti attrezzando una vera e propria rete.
Dal viaggio all’ospitalità, i pellegrini venivano accompagnati passo passo da una struttura operativa in grado di indicare le modalità del viaggio, i luoghi da visitare con relativi orari, gli spazi dove poter consumare pranzi al sacco e le strutture in grado di preparare pasti caldi, gli ambienti dedicati al riposo di poche ore o ai soggiorni più lunghi. L’organizzazione stessa costituiva quindi il medium, grazie alla trafila dei passaparola, ai promemoria, alle scritte nella bacheca aziendali, alle lettere, ai programmi stampati. Un ruolo altrettanto efficace in termini di coinvolgimento veniva esercitato dall’atmosfera del viaggio che, per molti italiani dell’epoca, rappresentava una rara occasione di uscita dagli angusti confini dei quartieri urbani e dei paesi. L’essere partecipi dell’esperienza, i luoghi carichi di enfasi, gli aspetti legati alla cerimoniosità e alle liturgie politiche, le fotografie, i racconti: tutto ciò contribuì a costruire un luogo-simbolo nell’immaginario nazionale. Si pensi inoltre al bagaglio di socializzazione popolare che una gita permetteva, dai canti di gruppo al rito del cibo condiviso, al ricordo.
Per espressa volontà di Mussolini, recepita dalle organizzazioni dello Stato-Partito, venne creato un flusso di massa, veloce e povero, che limitava la presenza in loco alla giornata e che doveva essere accessibile a tutti, soprattutto alle persone non in grado di sostenere costi. Non mancavano ovviamente strutture ricettive più tradizionali come trattorie, ristoranti, l’albergo diurno con mensa nella Casa del fascio e all’interno del palazzo dell’Istituto nazionale assicurazioni un albergo denominato “Appennino”. È indubbio che il flusso di visitatori innescò un indotto di carattere economico ma ciò mantenne un rilievo accessorio rispetto ad un progetto pensato non per far cassa, bensì per inculcare fattori emotivi, spesso senza costo o a prezzo stracciato.
Fu con la mente rivolta a questa tipologia di ospiti che il podestà Baccanelli decise, nel febbraio 1934, di acquistare attrezzature per la sosta (tavoli e panchine) e di costruire una fontana nel parco della residenza municipale. In questa logica agivano altri strumenti di provata efficacia, a cominciare da guide illustrate e cartoline. Il primo fascicolo a uso turistico che fu pubblicato si chiamava Predappio Nuova e descriveva il paese a lavori in corso, cioè con le prime realizzazioni architettoniche realizzate ma senza le grandi opere degli anni ’30. A seguire fu pubblicato un cofanetto con la riproduzione di ventiquattro quadri del pittore Teodoro Wolf Ferrari sui luoghi mussoliniani dal titolo Predappio. Agli anni ’30 risale la più nota e diffusa guida illustrata del paese Predappio e dintorni, con in copertina la Rocca delle Caminate e l’aquila pronta a spiccare il volo, impostata a uso dei visitatori in formato tascabile verticale, testi snelli, fotografie, descrizioni dei luoghi allargata al territorio forlivese (Meldola, Fratta Terme, Forlimpopoli, Castrocaro Terme) e pubblicità della spiaggia di Cervia. Complessivamente ne furono edite varie ristampe con gli aggiornamenti e minime varianti grafiche nell’immagine iniziale. Altri titoli che comparvero furono quelli delle pubblicazioni Predappio e il Paese del Duce. In edizione di prestigio, tanto che Mussolini la donò al cancelliere austriaco Schuschnigg a ricordo della visita del 1936, comparve Romagna con testi e disegni di Luigi Pasquini e corredo fotografico. Ultima guida di rilievo fu La Terra del Duce che vide le stampe nel 1941.
Altro veicolo di costruzione dell’immagine predappiese fu quello delle cartoline postali con i temi classici rappresentati dai luoghi: la Casa Natale, il cimitero, Rocca delle Caminate, Palazzo Varano con il prato antistante decorato con opere di giardinaggio a foggia di grande fascio littorio, il viale centrale, la piazza, gli edifici, le prospettive architettoniche. E ancora foto storiche come quella della prima visita ufficiale di Mussolini da capo del governo a Predappio nel 1923, la vecchia tomba di Rosa Maltoni, le immagini della cerimonia di fondazione del paese nel 1925.
Apprezzate pure le cartoline con immagini dei Mussolini, a cominciare dalla “divinizzazione” dei genitori Alessandro e Rosa per proseguire con momenti della vita familiare in Romagna. In posa davanti alla macchina fotografica finirono Donna Rachele e i figli Edda, Vittorio, Bruno, Romano e Anna Maria immortalati in momenti della vita quotidiana, nell’ambiente campestre romagnolo (pienamente rispondenti alla politica di ruralizzazione) o in attività di rappresentanza, sportive o militari. Un ruolo d’onore spettava ovviamente alle immagini ufficiali, una galleria di icone che spaziava dal duce agricoltore al condottiero a cavallo, passando per il padre di famiglia, il pilota di aereo, l’automobilista e il domatore di leoni (con chiara allusione al segno zodiacale).
Le cartoline “di” e “da” Predappio furono veicolo di messaggi, non solo di saluti e commenti, incrementando enormemente il livello comunicativo del luogo. A tale riguardo è bene tenere presente che nella società dell’epoca il loro ruolo non si esauriva con la consegna del messaggio ma proseguiva nel tempo. Le cartoline postali illustrate, infatti, «erano fra le poche immagini che comparivano un tempo sulle credenze delle case coloniche, appoggiate ai bordi dei vetri o degli specchi; esse rappresentano, perciò, il tramite prezioso attraverso cui un certo immaginario popolare s’incardina nel genius loci»44.
Conclusione
L’intuizione di Mussolini, l’azione dei suoi primi collaboratori, l’opera di professionisti del calibro di Cesare Bazzani, Cesare Valle e Gustavo Giovannoni, la puntigliosa organizzazione dei “pellegrinaggi” e delle liturgie avvenuta sotto la regia di Starace contribuirono a realizzare un progetto politico di tipo moderno, fondato prevalentemente sull’uso di immagini, spazi, attività. Un progetto di comunicazione funzionale al regime totalitario per creare consenso attraverso il culto del duce che, in questo caso, passava attraverso la mitizzazione dei luoghi d’origine e della sua terra, affiancando suggestioni ataviche alla monumentalità e all’immagine di efficienza delle opere fasciste.
Arrivati in treno a Forlì, i visitatori uscivano dalla stazione ferroviaria e da qui potevano dirigersi in centro città oppure, su torpedoni appositamente predisposti per le comitive o con i servizi di linea, marciavano alla volta di Predappio Nuova. Il set d’accoglienza si arricchì di edifici, monumenti e funzioni diventando imponente. Il viale trasmetteva agli occhi di chi lo attraversava tante suggestioni: la qualità degli appartamenti per i dipendenti pubblici, la modernità delle scuole e delle sedi dedite all’educazione fascista, la celebrazione di un patriottismo nazionalista del monumento ai caduti nel respiro ampio di Piazzale della Vittoria. Chi raggiungeva Predappio Nuova faceva tappa al cimitero per l’omaggio ai genitori del duce, visitava il piccolo museo della Casa Natale, sostava presso il municipio oppure, dopo l’apertura, alla Casa del fascio per un pranzo in comitiva.
Completava il viaggio l’acquisto di una immagine, l’invio di una cartolina o la raccolta di una reliquia mussoliniana, fosse un pezzetto di corteccia della “Quercia del Duce” presso il cimitero di San Cassiano, o un frammento di pietra o un pezzetto di quel pagliericcio che spuntava dall’interno dei materassi, appositamente rotti, che si trovavano nelle camere da letto del piccolo museo. Poi il racconto, il ricordo, l’evocazione di quella esperienza suscitata dalla radio, dai cinegiornali Luce, dalle immagini, dai libri di testo scolastici.
Nell’Italia dell’epoca che contava ancora una quota del 20% di analfabetismo e altrettante persone assestate ai livelli minimi di istruzione, per non parlare della limitata affinità con la lettura anche per parte del rimanente quadro statistico della società, la forza persuasiva di libri e giornali restava ad appannaggio di pochi. Ciò che poteva fare la differenza nei confronti della massa (ovviamente oltre all’uso della forza), erano codici e strumenti in grado di attivare altri linguaggi: l’immagine, la partecipazione, l’ascolto. Creato il set, messa a punto la macchina organizzativa per portare pellegrini (non turisti!), il progetto di comunicazione politica assestato lungo l’asse Forlì-Predappio Nuova cominciò a macinare livelli di coinvolgimento sempre più alti almeno fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Dal 10 giugno del 1940 il numero delle presenze cominciò a diminuire drasticamente, il faro tricolore venne spento, i bombardamenti aerei e il passaggio del fronte fecero il resto, soprattutto in termini di distruzione del “Quartiere di Fondazione” che essendo limitrofo allo scalo ferroviario fu una delle aree cittadine più bersagliate dall’aviazione alleata.
Caduto il fascismo, persa la guerra, morto il duce, rimasero macerie ed edifici da rifunzionalizzare, non solo dal punto di vista dell’attività ma anche sotto il profilo simbolico. Il significato politico originario delle architetture divenne ingombrante e il complesso del dittatore piombò sulla città. Nel frattempo le necessità del secondo dopoguerra dettarono l’agenda alle funzioni con il Collegio aeronautico pronto ad ospitare non più aspiranti piloti di guerra ma gli stand e le iniziative della grande fiera “Primavera romagnola”, mentre la Casa Stadio perse il suo ruolo “educativo” in chiave militare e divenne sede di attività sportive. Le industrie della zona continuarono a produrre con l’unica eccezione del cantiere Benini. Sul versante del potenziale simbolico la mannaia calò immediatamente attraverso la revisione della toponomastica, con il Viale XXVIII ottobre che divenne Viale della Libertà, la scuola elementare “Rosa Maltoni” fu trasformata in “Edmondo De Amicis” e l’Istituto tecnico industriale cambiò dall’intitolazione passando da “Alessandro Mussolini” alla dedica al premio nobel per la fisica Guglielmo Marconi.
Note
1 Il saggio è nel volume, a cura di Ulisse Tramonti, Cesare Valle, un’altra modernità: architettura in Romagna, Bologna, Bononia University Press, 2015.
2 Per un approfondimento si veda Mario Proli, La storiografia e gli anni centrali del fascismo, in Patrizia Dogliani (a cura), Romagna tra fascismo e antifascismo, 1919-1945, Bologna, Clueb, 2006.
3 Tra i quali, Ulisse Tramonti, Itinerari di architettura moderna: Forlì, Cesenatico, Predappio, Alinea, Firenze, 1997; Ulisse Tramonti, Luciana Prati (a cura di), La città progettata: Forlì, Predappio, Castrocaro. Urbanistica e architettura fra le due guerre, Forlì, Comune di Forlì, 1999; Tramonti (a cura di), Cesare Valle, un’altra modernità: architettura in Romagna, cit.
4 Fra gli studiosi che si sono cimentati sull’argomento: Emanuela Bagattoni, Marcello Balzani, Raoul Benghi, Andrea Dolcetti, Gabrio Furani, Giancarlo Gatta, Maria Cristina Gori, Marino Mambelli, Paolo Carli Moretti, Daniele Felice Sasso, Andrea Savorelli, Alberto Ridolfi, Silvio Van Riel, Serena Vernia.
5 Per approfondire si rinvia a www.atriumroute.eu.
6 La fotografia posta in apertura dell’articolo venne scattata proprio in occasione di questa visita di Mussolini, aprile 1923 (Biblioteca comunale di Forlì, Raccolte Piancastelli, A. 23).
7 “Il Popolo di Romagna”, 30 agosto 1925.
8 Da Costruire, a cura della Federazione fascista forlivese, Forlì 1927, p. 3.
9 Il numero di iscritti al fascio provinciale è desunto dalla relazione del Prefetto al Ministero dell’Interno in data 14 febbraio 1928, custodita all’Archivio di Stato di Forlì, Gabinetto di Prefettura, busta 300.
10 “Corriere della sera”, 31 ottobre 1932, articolo Un forte discorso di Mussolini a Forlì. Una rassegna stampa che documenta l’evento è conservata dalla Biblioteca comunale “A. Saffi” di Forlì, Collezione Mussolini, cartella III. Relativamente all’organizzazione della cerimonia del 30 ottobre, Archivio di Stato di Forlì, Gabinetto di Prefettura, busta 304.
11 Antonio Beltramelli, L’uomo nuovo, Milano-Roma, Mondadori, 1923, p. 84.
12 Stephen Gundle, The death and (re-birth) of a hero: Charisma and manufactured charisma in modern Italy, “Modern Italy”, 3 (2), 1998, pp. 173-189.
13 Con la definizione di “Romagna Toscana” viene identificata una entità amministrativa che si formò fra il XIV e il XV secolo a seguito della penetrazione fiorentina nel versante padano, oltre il crinale dell’Appennino, dove rimase per secoli incuneata nei possedimenti dello Stato Pontificio.
14 Mario Proli, Le reti immaginarie. I progetti ferroviari a Forlì, in “Memoria e Ricerca”, n. 4, 1994.
15 Le informazioni sono tratte da “Il Popolo di Romagna”, 24 luglio 1927.
16 Belluzzo partecipò il 27 giugno del 1926 alla cerimonia di riapertura di una miniera di zolfo da tempo inoperosa e che fu riattiva con la speranza (che si rivelò mal riposta) di un possibile sviluppo dell’industria estrattiva.
17 Sulla vita di Alessandro Mussolini, si veda il libro di Valdes Proli e Sergio Moschi, Alessandro Mussolini, fabbro ferraio uomo politico, Predappio 2003.
18 Di fronte alle perplessità delle autorità locali, secondo quanto riportato dal “Popolo di Romagna”, Mussolini ribadì il suo comando «Toglietela. Tutt’al più potrete metterne un’altra con questa legenda: Qui esisteva una lapide che fu tolta per volontà del lapidato». L’articolo è intitolato Il Duce ha visitato i lavori di Predappio Nuova e pubblicato su “Il Popolo di Romagna” il 30 maggio 1926.
19 “Corriere della sera”, 22 aprile 1932, articolo in prima pagina intitolato L’On. Starace accolto entusiasticamente in Romagna.
20 Oltre che sulle prime pagine dei giornali italiani, la cerimonia fu presentata anche con il Giornale Luce “Forlì. Il Duce assiste all’inaugurazione del monumento ai caduti in guerra ed ai martiri della Rivoluzione” montato l’11 novembre 1932.
21 Archivio Istituto Luce, “Mille radunisti del RACI delle tre Venezie hanno reso omaggio alla tomba dei genitori di Mussolini ed hanno visitato la sua casa natale”, Giornale Luce, B0560, settembre 1934.
22 Archivio Istituto Luce, “Raduno per rendere omaggio alla tomba Mussolini”, Giornale Luce B1104, 2 giugno 1937. Articolo L’omaggio del fascismo di Pesaro alla tomba dei genitori del Duce, in “Il Popolo di Romagna”, 5 giugno 1937.
23 Archivio Istituto Luce, “Adunata di rurali a Predappio e omaggio alle tombe dei genitori del Duce”, Giornale Luce B1559, 2 agosto 1939.
24 Luisa Passerini, Mussolini immaginario. Storia di una biografia, 1915-1939, Roma-Bari, Laterza, 1991.
25 Articolo Predappio Nuova. Linea di Gran Turismo, in “Il Popolo di Romagna”, 7 aprile 1930.
26 Ad esempio i raduni nazionali di professionisti e artisti e dei farmacisti nel 1933, si veda “Il Popolo di Romagna”, 16 settembre 1933.
27 A tale riguardo: Sofia Serenelli, Predappio e il culto del Duce: mito, memoria e identità collettiva (1925-2010), in “Studi Romagnoli”, atti della giornata di studi dedicata a Predappio, a. LXIII, 2012.
28 Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, C.O., B. 1031. F. 509. 138. 2.
29 Pellegrinaggi ai luoghi mussoliniani. Ufficio Turistico del Dopolavoro, “Il Popolo di Romagna”, 3 aprile 1934.
30 Lettera al Prefetto di Forlì dal presidente del Dopolavoro di Roma, 16.9.1938. Archivio di Stato di Forlì, Gabinetto di Prefettura, busta 340.
31 Da Torino a Predappio a piedi, in “Il Popolo di Romagna”, 15 luglio 1933.
32 Omaggio ai Luoghi mussoliniani di due giovani Camicie Nere, “Il Popolo di Romagna”, 3 febbraio 1934.
33 Predappio Nuova. Omaggi ai luoghi Mussoliniani, “Il Popolo di Romagna”, 29 aprile 1933.
34 Le spoglie di Loreto Starace, cugino del Segretario del Partito, sostano a Predappio Nuova, “Il Popolo di Romagna”, 21 aprile 1933.
35 Un ministro del Giappone ai luoghi mussoliniani, “Il Popolo di Romagna”, 14 gennaio 1933.
36 Omaggio alle Tombe dei Genitori del Duce, “Il Popolo di Romagna”, 10 giugno 1933.
37 Ufficiali della Marina Britannica ai luoghi mussoliniani, “Popolo di Romagna”, 27 luglio 1933.
38 Giovani hitleriani, “Il Popolo di Romagna”, 14 agosto 1937.
39 I giovani fascisti della Dalmazia a Predappio, “Il Popolo di Romagna”, 20 agosto 1936.
40 Gli sposi Albanesi in pellegrinaggio a Predappio, “Il Popolo di Romagna”, 26 agosto 1939 e Una missione ortodossa Albanese rende omaggio a Predappio, Ivi, 2 settembre 1939.
41 Archivio di Stato di Forlì, Gabinetto di Prefettura, busta 339, lettera della Questura in data 31 maggio 1938 con oggetto “Servizi preventivi in occasione della visita di S.M. il Re Imperatore a Forlì e Predappio”.
42 Giornale Luce B1322 “Forlì – La visita di Vittorio Emanuele III”, durata 00:03:02, b/n – sonoro e Giornale Luce B1323 “Predappio. La visita di Vittorio Emanuele III” sempre del 15 giugno 1938, durata 00:02:49, b/n – sonoro.
43 Archivio Istituto Luce, “Il Principe di Piemonte visita le tombe dei genitori di Mussolini e la sua casa natale insieme ad un gruppo di radunisti”, Giornale Luce B1397, 26 ottobre 1938.
44 Roberto Balzani, Mario Proli, La Romagna del duce in cartolina, Forlì, Sapim, 2000.