Non è che l’inizio: tracce del 1968 negli archivi bolognesi

Un anno fa, in occasione del quarantennale dal 1977, la Soprintendenza archivistica e bibliografica dell’Emilia Romagna si fece promotrice di un progetto orientato a portare gli archivi bolognesi, e con essi l’intera città, a riflettere su un periodo storico che aveva rappresentato per Bologna un tornante importante nel secolo passato. Ne nacque la mostra Millenovecento77. Quarant’anni dopo: documenti dagli archivi e dalle biblioteche bolognesi, un percorso espositivo allestito nei mesi di maggio e giugno del 2017 in Archiginnasio e poi riproposto in forma virtuale, unitamente a un momento seminariale, in Archivio di Stato a Bologna nel successivo mese di settembre nell’ambito delle Giornate europee del Patrimonio.

Il bilancio di quell’esperienza – che aveva visto coinvolti numerosi Istituti di conservazione cittadini – fu più che positivo tanto che, durante la ricordata giornata seminariale di settembre, venne condivisa l’opportunità di proseguire lo scavo documentario anche sullo snodo del 1968, cogliendo l’occasione del cinquantennale che sarebbe caduto di lì a poco. È nata così l’idea di allestire una nuova mostra che – dopo un lavoro preparatorio durato oltre un anno – si è concretizzata nell’esposizione Non è che l’inizio: tracce del ’68 negli archivi bolognesi, che si inaugura l’11 ottobre 2018 nelle sale dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna ed è attesa nella Sala d’Ercole del Comune di Bologna durante il successivo mese di novembre.

Rispetto al progetto incentrato sul 1977, questa seconda esposizione ha visto accrescere il numero degli Istituti coinvolti. Si è infatti passati da sei a tredici archivi, pubblici e privati cittadini. Vale la pena ricordarli tutti: Archivio di Stato di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Città metropolitana di Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, Camera del lavoro di Bologna, Archivio storico CISL metropolitana bolognese, Archivio storico della nuova sinistra “Marco Pezzi”, Archivio storico dell’Università di Bologna, Archivio di storia delle donne, Archivio storico UDI Bologna, Archivio storico Unione fotografi organizzati, Istituzione Gian Franco Minguzzi.

Questa grande partecipazione ha consentito di raggiungere un obiettivo per nulla secondario: indurre gli istituti di conservazione bolognesi che lavorano (anche) sul Novecento a dialogare tra di loro, a tessere relazioni, a confrontarsi su fondi e materiali. Una collaborazione positiva, per nulla segnata da conflitti e dispute che (a sentire gli interventi pubblici di alcuni politici e intellettuali cittadini) parrebbero aver contraddistinto la vita culturale di Bologna. Un altro risultato vale la pena richiamare: il fatto che la mostra ha portato alla realizzazione di una sorta di “censimento” delle fonti disponibili sul 1968 a Bologna, offrendo alla platea di storici e ricercatori un quadro nuovo e inatteso dei molteplici percorsi di indagine esistenti e meritevoli di essere approfonditi.

Quali sono i temi trattati? Quale la chiave di lettura proposta? La mostra tenta una rilettura del periodo che va dal 1967 al 1973 attraverso materiali eterogenei selezionati alla luce di un asse tematico qualificante il ’68: la critica alla neutralità della scienza. A partire da questo particolare focus sono stati allestiti 5 percorsi tematici: la critica all’ordine globale; il movimento degli studenti medi e universitari; il mondo del lavoro e le problematiche connesse alla salute nei luoghi di lavoro; la medicina e la psichiatria; le diverse soggettività che si impongono attraverso il movimento.

Quale rappresentazione del 1968 esce da questa esposizione? In linea di massima il contesto bolognese pare inserirsi pienamente e senza eccezioni nel quadro del contesto nazionale e sovranazionale di quegli anni. Se osservato più da vicino emergono tuttavia alcuni dati interessanti, da cui si può evincere un quadro più mosso – dunque più vicino alla storia del ’68 che non al suo mito – del rapporto tra movimento e istituzioni, tra “vecchi” e “nuovi” attori collettivi. Come a dire che la richiesta di maggiore partecipazione, la messa in discussione della “neutralità della scienza” come messa in discussione più complessiva dei poteri costituiti, dei rapporti di forza operanti su scala globale, nazionale, locale per giungere fino all’ambito dei rapporti interpersonali e di genere, non era completamente estranea al mondo delle istituzioni.

Come ha scritto Marica Tolomelli nell’Introduzione generale del catalogo (in distribuzione in contemporanea agli allestimenti), “all’interno delle federazioni giovanili partitiche, dell’associazionismo femminile e soprattutto in ambito sindacale le istanze provenienti dal movimento si incontrarono con sensibilità e disponibilità a mettersi in discussione che favorirono l’instaurazione di un rapporto di dialogo, di apertura verso il movimento. Ciò in parte facilitò la mediazione politica o comunque rafforzò la pressione che il ’68 esercitò sulle istituzioni fino all’ottenimento di improcrastinabili riforme nel corso del decennio Settanta”.

Ognuno dei percorsi tematici che la mostra propone apre a questioni che, dal ’68 in poi, avrebbero profondamente orientato una serie di riforme sociali volte ad allargare la sfera dei diritti, le forme della partecipazione civile, i rapporti di genere, le relazioni tra sfera del pubblico e sfera del privato. Basti pensare alla sperimentazione di nuove forme di acquisizione e di trasmissione della conoscenza, a una diversa concezione della salute mentale e al rinnovamento della psichiatria, alla nascita degli ambulatori di quartiere e della medicina del lavoro, ai grandi passi avanti in materia di autodeterminazione delle donne e di tutela della maternità. A queste vanno aggiunti mutamenti profondi, sempre stimolati dal movimento del ’68, rispetto a ulteriori importanti questioni, come il rapporto tra sfera economica-lavorativa e ambito educativo-formativo (questione espressa con forza dalla ricerca di un dialogo e di forme di reciproco sostegno tra “operai e studenti uniti nella lotta”), la ricerca di forme di partecipazione al di fuori degli spazi istituzionali della politica, la controinformazione.

In questo complesso periodo di crescita democratica, di crescita degli spazi e di sviluppo delle pratiche di una cittadinanza intensa non tanto in termini di “popolo” quanto piuttosto nelle diverse articolazioni della società italiana di quel periodo, fatta di uomini e di donne, di giovani e di anziani, di lavoratori e lavoratrici, di studenti e studentesse, di infanzia da tutelare e di genitorialità da ridefinire. In questo processo il ’68 bolognese ha offerto un suo contributo, non eccezionale ma con tutte le peculiarità che il contesto locale presentava e che questa mostra intende rievocare.

Sono tematiche, come si comprende, ampie e difficilmente riducibili ai pannelli di una mostra; per questo il gruppo di lavoro e il Comitato scientifico che ha guidato il progetto ha pensato a una serie di eventi collaterali. A cominciare da un convegno inaugurale (venerdì 12 ottobre), passando attraverso una giornata seminariale di incontro con i protagonisti (domenica 14 ottobre nell’ambito delle “Domeniche di Carta” organizzate dal Ministero dei Beni culturali). A seguire 5 incontri in Sala anziani a Palazzo d’Accursio: 8 novembre: Il ’68 a Bologna e in altre città italiane; 13 novembre: Il ’68 nella memoria operaia; 15 novembre: ’68 e femminismo: dal contesto internazionale alla vicenda italiana; 20 novembre: Cultura diffusa a Bologna tra anni 60 e 70, luoghi e pratiche; 22 novembre: La volontà di cambiare: Crisi del modello psichiatrico, sperimentazione, territorio e istituzioni.

Nell’omonimo catalogo la Presidente del Consiglio regionale Simonetta Saliera ha voluto ricordare le numerose novità emerse dallo snodo del 1968 e che la mostra, anche indirettamente, racconta. “L’abolizione del numero chiuso nelle università, l’emancipazione femminile, lo ‘Statuto dei lavoratori’, il nuovo Stato di famiglia, il divorzio, la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza e il Servizio Sanitario Nazionale pubblico. Ognuna di queste innovazioni che hanno reso l’Italia una democrazia più forte fonda le proprie radici nelle battaglie di quell’anno ormai mitizzato. Ha cambiato il costume, la politica, la vita e la speranza di tre generazioni di uomini e di donne”. Ma, aggiunge “’68 vuol dire anche contraddizioni: un humus di tensioni anestetizzate nel culto del boom economico degli anni ’60, con le sue disuguaglianze e speranze tradite. ’68 vuol dire lotta per la Pace: il no ai bombardamenti al napalm da parte degli Stati Uniti sulla popolazione vietnamita e l’irrompere dei carri armati sovietici nella Cecoslovacchia del ‘socialismo dal volto umano’ di Alexander Dubcek”.

La mostra ha visto all’opera il seguente gruppo di persone. Coordinamento: Mauro Maggiorani; Comitato scientifico: Eloisa Betti, Elena Davigo, Elda Guerra, Mauro Maggiorani, Marica Tolomelli; Ricerca documenti e scrittura testi: Eloisa Betti, Fabrizio Billi, Maria Letizia Bongiovanni, Andrea Daltri, Elena Davigo, Davide Fioretto, Valentina Gabusi, Elda Guerra, Mauro Lambertini, Luciano Nadalini, Daniela Negrini, Silvia Napoli, Elisabetta Perazzo, Maria Chiara Sbiroli, Marica Tolomelli, Alessandro Zanini, Pier Paolo Zannoni, con la collaborazione di Maurizio Avanzolini, Gabriele Bezzi, Marcello Fini, Anna Manfron, Luca Molinari, Siriana Suprani. Ideazione grafica e impaginazione: Valentina Gabusi, Pier Paolo Zannoni, con la collaborazione di Milvio Micheloni.