Donne e anarchiche nella guerra civile spagnola: la vita di Lucía Sánchez Saornil e l’esperienza di “Mujeres Libres”

Quanto una storia di vita può svelare di un’epoca, quanto può essere una lente attraverso cui osservare gli snodi fondamentali, le complessità, le contraddizioni della realtà circostante? La riflessione sulla biografia ha avuto nuovi interessanti sbocchi negli ultimi anni, ha proposto nuove piste di analisi: raccontandoci come, al di là della rappresentazione pubblica delle figure di rilievo, proprio la ricerca del percorso individuale meno riconosciuto, proprio la storia di chi ha lasciato piccole tracce di sé nel corso degli eventi, possa darci la misura dei processi storici e della loro capacità di incidere sul vissuto personale e collettivo.

Alcune vite, poi, danno l’impressione di essere sbocciate nel turbinio della storia, di trovarsi nel centro esatto degli eventi. Di avere attraversato con tale pienezza e intensità le vicende contemporanee da esserne quasi lo specchio vivo, che filtra quel che accade e lo trasforma, facendosi protagonista del proprio presente. Talvolta vediamo nella storia di vita di un individuo percorsi che sembrano raccogliere in sé intuizioni, battaglie e fallimenti di un’epoca intera.

La storia di Lucía Sánchez Saornil è una di queste. Femminista, anarchica, il suo nome è legato alla fondazione del movimento Mujeres Libres nella Spagna della Seconda repubblica e della guerra civile, anche se le tracce frammentarie che ha lasciato non avevano permesso finora di riconoscerne la figura. Uno studio biografico1 ne ha ricostruito di recente il sorprendente percorso umano e politico, grazie anche al ritrovamento di molti documenti privati e alla testimonianza di una parente, contattata dopo anni di ricerche. Non sorprende l’emozione che l’autrice, Michela Cimbalo, racconta di aver vissuto nell’aver voluto seguire con tenacia le tracce di questo nome, dapprima solo come firma di alcuni articoli e poi poco a poco come figura la cui complessità andava scandagliata a fondo. Come una storia che quando ti trova, non ti abbandona più, ed è necessario seguirla e continuare a svelarla ancora.

 

1. Lucía: donna, anarchica, innamorata del futuro

La storia Lucía Sánchez Saornil è la storia di una donna del Novecento, come tante costretta a conquistare con fatica attorno a sé uno spazio che scopre esserle negato. È la storia, anche, della guerra civile spagnola, di tutto ciò che quell’evento traumatico ha saputo sprigionare e di quanto ha inghiottito con violenza nella sua voragine. È la storia, o una delle storie, dell’anarchismo, vissuta in quel luogo e in quel tempo in cui più fervide sono state le occasioni di crescita, confronto, messa alla prova ed elaborazione collettiva, nonché di scontro rovinoso sul conflitto e le sue contraddizioni. Ed è anche la storia della più grande intuizione che ha attraversato il ventesimo secolo, quella delle donne che si fanno protagoniste del presente, della necessità di questo protagonismo per le sorti del mondo.

Lucía è una donna che ha vissuto le avanguardie artistiche e le lotte sul lavoro nella Madrid degli anni Venti e Trenta, che ha frequentato circoli di poeti ed artisti uomini, capeggiato istanze sindacali tra operai maschi, unica donna nel comitato di redazione del giornale della Cnt, protagonista tenace della risposta popolare alla guerra civile e infine principale responsabile di Solidaridad Internacional Antifascista, una organizzazione internazionale di sostegno alla Spagna repubblicana operante in diversi paesi. Omosessuale, indipendente, non corrispondente ai canoni femminili del suo tempo né adeguata al ruolo famigliare imposto, la sua storia è per molti aspetti unica, quella di una donna che si trova a condurre battaglie e proporre intuizioni d’avanguardia rispetto al proprio tempo. Ma è anche un importante punto di osservazione per leggere l’evoluzione di alcuni percorsi politici e sociali, laddove la storia privata si fa anche storia collettiva, elaborazione di nuove idee di futuro, risposta alle sfide imposte dalla modernità.

Le donne che hanno scritto, costruito, immaginato e sofferto insieme negli anni della guerra civile spagnola fanno parte di una generazione che è nata con il Novecento e che è cresciuta nelle sue contraddizioni talvolta feroci. L’infanzia di Lucía Sánchez è quella di migliaia di spagnoli emigrati dalle aride campagne verso la grande città, verso una capitale che cresceva esponenzialmente respingendo i nuovi proletari nelle sue più fatiscenti periferie. Una famiglia come tante, dove si torna a casa tardi dopo lunghe ore di lavoro, dove gli spazi sono angusti e basta poco per ammalarsi, dove muoiono i bambini piccoli. Dove muoiono le donne, usurate da una vita troppo faticosa e priva di cure, dai troppi parti, dal lavoro continuo e non riconosciuto.

Rimasta sola con il padre e una sorella ammalata, Lucía Sánchez si trova giovanissima a dover lavorare e occuparsi della famiglia, riuscendo a studiare per merito di un istituto di carità per fanciulle. Grazie allo studio trova la scrittura come espressione di sé, ed è lì che scorge l’ingiustizia di fondo della propria condizione, delle possibilità precluse alle donne “condannate a vivere nell’eterna monotonia delle strade cittadine”, e ne comincia a scrivere. La ritroviamo anni dopo poetessa e pittrice tra le avanguardie artistiche della corrente “ultraista”, partecipe del fermento culturale che ha attraversato la Spagna tra la fine degli anni Dieci e i primissimi anni Venti: un movimento che coglieva elementi del futurismo e del dadaismo, che fu terreno di crescita per una generazione di poeti e che contribuì a costruire legami importanti con le avanguardie artistiche d’Europa e del Sud America.  Così che la figlia di contadini immigrati a Madrid si trovò ad essere pienamente protagonista del proprio tempo, a redigere un giornale avanguardista insieme a Jorge Luis Borges, a frequentare circoli intellettuali internazionali. E a firmare le sue poesie, talvolta, con uno pseudonimo maschile, laddove la presenza di una donna era qualcosa di assolutamente inedito, già di per sé irriverente. Una figura che vive pienamente nella modernità, pertanto, che come tale si trova a rifiutare il passato e a fare di questo rifiuto una bandiera ideale e artistica. E che sa giocare con la propria identità di genere per confondere e stupire, o per dissimulare, donna e lesbica in un mondo di uomini, proletaria e lavoratrice in mezzo ai salotti intellettuali.

Se la sua storia non è certo quella di tante altre donne della Spagna del suo tempo, attraverso di essa possiamo osservare da vicino il Novecento, mentre abbandona la campagna e si getta a capofitto nella metropoli, folgorata dal futuro e dalla sua promessa di redenzione. Eccezionale nella sua vita artistica e nei suoi contatti, protagonista in prima linea di una attività politica fervente, Lucía Sánchez Saornil visse per lunghi anni una esperienza altrettanto figlia della modernità nonché profondamente collettiva e femminile: fu centralinista per la principale compagnia telefonica spagnola, Telefónica, inizialmente nazionale e poi appaltata a una azienda statunitense. Un lavoro per ragazze non ancora in età da marito, un lavoro “moderno” che richiedeva una specializzazione e orari massacranti, in una società che ancora rifiutava di accettare l’impiego femminile come parte integrante della vita produttiva, e quindi lo giustificava e camuffava: perché perennemente precario, temporaneo, protetto dal contatto con gli uomini, accettabile in quanto “decoroso” e in attesa di un matrimonio favorevole. Un ambiente in cui le donne imparavano a conoscere l’indipendenza economica e la professionalità al prezzo di scoprire la propria fragilità di fronte al mondo, di essere trattate come bambine dal datore di lavoro, come scolarette dalla sorvegliante, di essere offese al telefono dagli utenti frustrati con epiteti che mai avevano sentito prima. Immersa nella condizione del lavoro femminile Lucía Sánchez Saornil matura la presa di coscienza del sopruso e la necessità dell’unione fra lavoratrici, ma alla sua prima rivendicazione di fronte alla compagnia telefonica scopre di essere sola e non avere alleate, mentre gli operai uomini della stessa azienda scendono in sciopero e sanno come organizzarsi. La battaglia di Lucía, che inizierà ad avvicinarsi e a indentificarsi nelle proposte politiche dell’anarchismo, sarà d’ora in poi quella della partecipazione delle donne. Dapprima alle lotte sul lavoro, quando cercherà di coinvolgere le sue colleghe a prendere coscienza della propria condizione e della propria forza, a superare timidezza e paure, per esigere e confrontarsi, per lottare a fianco degli uomini. Poi abbraccerà più pienamente la necessità di una emancipazione radicale, auspicando una presa di coscienza che doveva partire dall’interno di ogni famiglia, per superare la soggezione secolare nei confronti del genere maschile.  Quella soggezione che prendeva le mosse tra le mura domestiche per trasformarsi al di fuori in paura, sottomissione e ignoranza.

Le donne che arriveranno a vivere da protagoniste l’esperienza della guerra civile spagnola provenivano da questo tipo di percorso, dalla consapevolezza, dapprima individuale poi condivisa, dell’esistenza di una condizione strutturale che teneva le donne ai margini della società, insieme alla necessità di partire dalla cultura, dalla solidarietà, dall’alleanza fra donne, per aprire le porte ad una vera emancipazione ed indipendenza. La battaglia di Lucía Sánchez avrà sempre come riferimento principale l’istruzione delle donne, l’accesso e la partecipazione alla cultura, unica base possibile per pensare a una reale liberazione del genere femminile dalle pastoie del passato. E se la cultura era il territorio indispensabile di ogni possibile libertà conquistata, lo strumento principale dell’indipendenza non poteva che essere il lavoro: ovvero il diritto al lavoro e alla sua dignità.

 

2. Percorsi di lotta e solidarietà femminile: alcune riflessioni sull’esperienza di Mujeres Libres

Attorno alle rivendicazioni sindacali Lucía costruì molto della sua vita politica, tanto nella scrittura sui giornali anarchici quanto nella sua partecipazione alle mobilitazioni, in una costante relazione con le donne lavoratrici da un lato e con l’attivismo anarchico sindacale dall’altro. Di fronte alla difficoltà che sia lei che le altre donne militanti avvertivano nel coinvolgere le donne alla partecipazione e nel portare le rivendicazioni femminili all’interno degli ambienti politici maschili, iniziò a maturare la convinzione che fosse necessario creare uno spazio adatto, permettere alle donne di condividere la propria esperienza e di tessere alleanze, attraverso la cultura e il confronto, attraverso un messaggio rivolto a loro, e a loro soltanto. Uno spazio in cui le donne potessero esprimersi, per riflettere sulla condizione femminile del presente e poterla misurare e contrastare, laddove l’ingiustizia denunciata riguardava ambiti più estesi e stratificati di quello prettamente lavorativo.

Mujeres Libres nasce a Madrid nell’aprile del 1936 dalle mani di Lucía Sánchez Saornil, Amparo Poch e Mercedes Comaposada, proprio in virtù di questa intuizione: la necessità di costruire insieme alle donne la società del futuro. Ed è qui che il percorso individuale incontra quello collettivo e lo elabora, perché il movimento di Mujeres Libres divenne fucina e territorio di confronto femminile, mettendo a disposizione una quotidianità e una socialità nuove rispetto a quelle che era possibile trovare in famiglia e nel luogo di lavoro. Creare luoghi di aggregazione, corsi e scuole, divenne fin da subito uno degli obiettivi del gruppo, che trovò una immediata adesione tra le donne di Barcellona e la possibilità così di espandersi in altri centri. Vicina ai movimenti dell’anarchismo, la rivista Mujeres Libres dichiarava fin da subito di non essere, e non voler essere, il comitato femminile di nessuna realtà politica, rivendicando l’indipendenza e l’universalità del percorso intrapreso. La rivista raccoglieva in sé anche elementi espressivi e grafici che portavano il segno dei trascorsi artistici di una delle sue ideatrici.

Nel rifiutare la definizione di “femministe” (e sarebbe interessante indagare quale segno portasse questo termine per essere vissuto con tale diffidenza e contrarietà)  le fondatrici di Mujeres Libres affermavano la necessità di costruire spazi nuovi per le donne, illuminate dalla convinzione – che iniziava ad essere scritta, raccontata, diffusa, e che troviamo in anticipo nelle parole di Lucía Sánchez Saornil – che esse non dovessero semplicemente lottare per una parità di diritti e condizioni rispetto agli uomini, ma che avessero in mano, una volta trovato il cammino della libertà, le sorti della storia. Liberata dagli stretti limiti in cui era costretta fin dall’origine dei tempi, la donna era destinata ad essere la nuova protagonista del futuro, a sovvertire il corso di una storia umana dominata dalla legge maschile. E tale società altra era imprescindibile costruirla giorno per giorno: l’ideale anarchico si coniugava così con una visione di genere dove la fine del potere e del dominio avrebbe coinciso con la fine della società patriarcale, verso un ideale di futuro a cui gli uomini stessi dovevano essere più che mai sodali e partecipi se davvero credevano nella rivoluzione.

Parole e convinzioni che avrebbero fatto parte di altri e nuovi movimenti femministi nei decenni a venire, e che sorprende trovarli in una Spagna ancora prevalentemente rurale, lacerata da un conflitto sociale e politico intensissimo, che sarebbe diventato, di lì a poco, una guerra civile di proporzioni devastanti.

Nell’individuare percorsi comuni di partecipazione femminile nel Novecento l’esperienza di Mujeres Libres offre alcuni spunti di riflessione. Il movimento nasce nel fiorire della seconda repubblica spagnola e si trova di colpo a prendere posizione nella guerra civile. L’uscita della rivista si interrompe temporaneamente e Mujeres Libres diventa il centro nevralgico della risposta popolare femminile alla guerra. Invece di mettere fine all’esperienza, la guerra con le sue urgenze accelera il percorso di protagonismo e presa di coscienza di molte donne, che si trovano a compiere una scelta di fronte alla tragedia e che devono sapersi muovere in una realtà in cui i presupposti precedenti sono stati scardinati. La solidarietà femminile diventa indispensabile, per l’aiuto ai soldati e alle loro famiglie, per gli approvvigionamenti, per l’assistenza alla popolazione in difficoltà e il rapporto con i combattenti, per le comunicazioni interne. Diventa il perno della sopravvivenza civile, catalizzatore di esperienze solidali, dando prova di grandi capacità organizzative e comunicative. Una visione che non sboccia all’improvviso, elaborata e costruita negli anni e nei mesi precedenti, ma che trova nel conflitto occasione di mostrare la propria validità, di proporsi come reale alternativa alla violenza circostante. Come nella Resistenza italiana, le donne si scoprono utili e forti al di fuori delle mura domestiche: ma la guerra civile spagnola ha un esito opposto e quella esperienza non ha occasione di essere elaborata, rivendicata in tempo di pace e di ricostruzione. Sarà invece radicalmente repressa e per capirne il peso e la forza è necessario tornare a osservarla da molto vicino, attraverso i percorsi individuali che ne hanno dato testimonianza diretta.

Una delle idee fondanti all’origine di Mujeres Libres era quella del valore formativo dell’esperienza, prima e al di là dell’elaborazione teorica e dell’obiettivo politico dichiarato. Il confronto con altre donne, la necessità di organizzare e proporre strategie efficaci di fronte ai problemi del presente, la socialità nuova, la responsabilità, si fanno palestra di presa di coscienza, diventano tessuto sociale che nell’idea delle militanti era destinato ad essere alla base del mondo di domani.

Questa visione è ancor più palpabile se si osserva l’attività del movimento internazionale di cui Lucía Sánchez fu tra le principali responsabili, Solidaridad Internacional Antifascista. In continuo contatto epistolare con Emma Goldman, una delle più entusiaste sostenitrici del progetto, Lucía si trovò ad occuparsi della gestione di una rete di sostegno internazionale per l’assistenza ai combattenti e alla popolazione civile colpita dalla guerra. E mise in pratica la sua idea di solidarietà come risposta e arma contro la violenza, come costruzione di una società in opposizione alla barbarie del conflitto. Oltre al sostegno materiale e morale per i combattenti, oltre agli aiuti alla popolazione, Solidaridad Internacional Antifascista mise in campo una grande attenzione verso l’infanzia colpita, che non si limitava solo all’assistenza ma che voleva essere anche un progetto educativo di tipo nuovo. Lucía Sánchez Saornil fu tra coloro che misero in piedi, proprio nel mezzo della guerra civile, una rete di colonie per bambini e adolescenti, animate da una proposta pedagogica d’avanguardia ispirata alla pedagogia razionalista. Destinate soprattutto ai figli dei militanti anarchici, le colonie volevano essere luogo di crescita serena lontano dal fragore del conflitto, oltre ad avere un programma preciso volto a favorire il libero sviluppo psicofisico: prevedevano un educatore ogni cinque bambini e consideravano l’arte, il gioco, la cura degli animali e dell’orto, come parte integrante del percorso educativo. Negli studi dedicati alle colonie per l’infanzia nel Novecento sarebbe interessante approfondire queste esperienze di matrice anarchista, tanto nei riferimenti pedagogici e ideologici, quanto nell’originalità e nelle proposte innovative messe in pratica2.

Una chiave di lettura della militanza femminile nella guerra civile spagnola potrebbe essere proprio l’attenzione verso il bisogno, la necessità di mettere in pratica una risposta solidale, che si traduce in un’ampia rete assistenziale e in una proposta educativa dedicata all’infanzia. Se l’esperienza delle donne armate sul fronte repubblicano è stata indagata e raccontata, questo aspetto ha ricevuto minori attenzioni eppure pone questioni di grande interesse. L’attivazione di meccanismi solidali nella situazione di guerra è parte intrinseca della mobilitazione femminile, anche quando porta un segno politico preciso e una consapevolezza nella partecipazione che non permette di relegare l’esperienza all’ambito meramente assistenziale. Proprio questa attenzione nei confronti delle necessità viene vissuta come presa di coscienza e partecipazione attiva: per donne come Lucía, che auspicano una rivoluzione e un rovesciamento dei ruoli, si tratta di una risposta delle donne alla violenza della guerra che corrisponde alla costruzione di un mondo futuro dominato da leggi nuove. L’elaborazione successiva ha dovuto scontrarsi con una interpretazione che ha collocato quel tipo di esperienza nella tradizione assistenziale femminile in tempo di guerra, e sarebbe interessante indagare quanto, e se, chi vi prese parte l’abbia vissuta come contraddizione: ruolo imposto dalla tradizione maschile o proposta civile per il futuro? Le militanti di Mujeres Libres non sembrano avere dubbi, ma la questione presenta molte complessità.

Lucía Sánchez Saornil fa parte dei milioni di “perdenti” della guerra civile spagnola: sopravvissuta, profuga in Francia, poi di ritorno a Madrid in una vita ritirata insieme alla compagna di una vita (ovviamente, non dichiarata), non ebbe possibilità di proseguire i suoi percorsi, tranciati di netto dalla vittoria franchista. Continuò a scrivere, sorprendendosi a un tratto di avere smesso di usare il “noi” nelle sue poesie, e di avere iniziato a dire “io”. Anche questa sembra la storia di un paese intero, o del Novecento stesso, che ha creduto a un certo punto, e con fervore, nell’idea di collettività, declinandola in molti modi. Lucía lo vive come una sconfitta, anche se non smette di sperare in un futuro diverso, perché il suo presente, quando scrive, è soffocato dalla dittatura. Certo la sua è una figura affascinante che ci aiuta a leggere gli eventi di cui è stata protagonista, con la sua storia così ricca di esperienze, intuizioni e legami. Grazie a Michela Cimbalo che, con uno studio rigoroso e appassionato, l’ha dapprima inseguita, poi svelata e infine ce l’ha fatta conoscere.


Note

1 Michela Cimbalo, Ho sempre detto noi. Lucía Sánchez Saornil, femminista e anarchica nella Spagna della Guerra Civile, Roma, Viella, 2020. Questo lavoro ha vinto la terza edizione del premio intitolato a Vinka Kitarovic, partigiana e testimone dei valori della Resistenza e della Costituzione; premio istituito presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna, per volontà di Jadranka Bentini.

2 Rispetto all’esperienza italiana del dopoguerra segnalo uno studio dedicato alla famiglia Berneri: la moglie, Giovanna Caleffi, si dedicò infatti a progetti di colonie per l’infanzia ispirate all’anarchismo. Carlo De Maria, Una famiglia anarchica. La vita dei Berneri tra affetti, impegno ed esilio nell’Europa del Novecento, Roma, Viella, 2019.