I duri anni Cinquanta alla Cogne di Aosta: licenziamenti politici e repressione padronale

The harsh 1950s at Cogne in Aosta: political layoffs and employer repression

In apertura: prelievo di un campione di scoria all’altoforno (Archivio fotografico della Società Nazionale Cogne).

Lo stabilimento siderurgico Cogne di Aosta è stato al centro del mio lavoro di ricerca per la tesi magistrale; così come tutti i luoghi della produzione e del lavoro, è anche un luogo di memoria e per questo è importante valorizzarlo come patrimonio culturale, anche nell’ottica della Public History. Da qualche anno si sta affermando in ambito storiografico la cosiddetta Labour Public History, ovvero quella parte di Public History che si occupa di storia del lavoro. È dall’impulso di trattare la storia del lavoro con un intento divulgativo, senza però tralasciare il rigore metodologico, che hanno preso vita progetti ambiziosi come Bologna Metalmeccanic@, che tematizza le trasformazioni avvenute alle fabbriche metalmeccaniche del bolognese tra deindustrializzazione e rigenerazione. Il sito al suo interno contiene, tra le altre, una sezione dedicata allo stabilimento Cogne di Imola.

Lo studio della Cogne di Aosta offre inoltre numerosi spunti d’approfondimento: infatti essendo stata il perno dell’economia valdostana per diversi decenni, raccontarne la storia significa affrontare il tema delle migrazioni, sia quelle interne alla regione, che hanno dato avvio al processo di spopolamento montano, sia quelle dal nord-est e sud Italia che hanno modificato profondamente la composizione sociale della Valle d’Aosta. La storia dello stabilimento induce anche a tematizzare il rapporto tra industria e zone montane e le figure ibride che ne possono venir fuori come l’operaio-contadino; ma si può riflettere anche sulle trasformazioni urbanistiche e del paesaggio indotte dalla costruzione della grande industria in una piccola regione alpina. Ma la Cogne non è solo un luogo di produzione in senso stretto, è anche luogo di produzione di una memoria operaia, di un patrimonio culturale, «di lotte, di organizzazione, di esperienze che hanno costituito anche l’esistenza concreta di tante donne e uomini»1. È stato quindi importante far emergere, grazie alla realizzazione di una serie di interviste ad ex operai e operaie, la loro soggettività e la loro memoria, intrecciando così la Labour History con la Oral History. Raccontare la storia della Cogne oggi permette dunque di cogliere in profondità le trasformazioni sociali e politiche che hanno interessato e interessano l’intero panorama regionale.

1. La Cogne di Aosta: «un diamante caduto dentro la miseria di un mendicante»

Il lento processo di industrializzazione comincia in Valle d’Aosta alle soglie del XX secolo. La Valle d’Aosta di fine Ottocento era infatti una regione quasi esclusivamente agricola: l’allevamento di bestiame, principalmente bovino, costituiva la maggiore attività economica, sia per la produzione di beni finalizzata al sostentamento sia per quella destinata all’attività commerciale. Accanto all’allevamento era sviluppata la coltivazione di segale, orzo, patate e cavoli, al centro di un’alimentazione povera e ripetitiva. Le principali industrie sorgono sulle sponde della Dora Baltea una risorsa preziosa per l’industrializzazione dell’area. Accanto allo sfruttamento dell’acqua per la produzione di energia e quindi per il funzionamento delle fabbriche, vi è la riscoperta dell’attività mineraria estrattiva. Praticata nella regione da secoli artigianalmente, era stata precedentemente abbandonata per l’assenza di piani strutturati di coltivazione e l’utilizzo quasi esclusivo per il fabbisogno locale. È proprio la presenza simultanea nello stesso territorio di una buona quantità di bacini idrici e di attività estrattive ad attrarre diverse società desiderose di sfruttarle secondo criteri industriali. L’Ansaldo, raggruppamento industriale genovese leader nel settore siderurgico, incorpora nel 1917 la Società Anonima Miniere di Cogne (che coltiva le miniere di ferro) e si pone l’obiettivo di costruire ad Aosta uno stabilimento siderurgico che funzioni grazie all’integrazione di estrazione mineraria ed energia idroelettrica. L’arrivo della grande industria, l’Ansaldo-Cogne, in Valle d’Aosta è salutato da un giornale locale: «come un diamante caduto dentro la miseria di un mendicante»2. Nell’arco del quindicennio successivo sono nate le principali industrie della Valle d’Aosta che hanno modificato radicalmente il tessuto economico e sociale. È stato notevole infatti l’impatto che l’industrializzazione ha avuto su una regione alpina con un’economia principalmente agricola come la Valle d’Aosta. Questo processo, che prende avvio nel primo dopoguerra, ha infatti determinato l’inizio dello spopolamento montano generando una migrazione interna alla regione, con uno spostamento dalle valli laterali ai neonati centri industriali. Emerge dunque in questa prima fase la figura dell’operaio-contadino, tipica della regione. Molti lavoratori preferiscono risiedere nei paesi di origine e recarsi verso i centri industriali in treno in modo da poter contribuire nei giorni festivi e nel tempo libero alle attività agricole. A questa figura ibrida che si sta formando resta la percezione di sé più come contadino che come operaio; egli dedica più cure e attenzioni alla campagna piuttosto che alla fabbrica, assentandosi spesso da questa nei momenti cruciali della vita agricola come la fienagione o la vendemmia. È infatti un ingegnere della Cogne, Andrea Paillex a dichiarare che: «qualche operaio cercava di venire qua [alla Cogne] a riposarsi per fare il suo lavoro [da contadino] fuori; ma c’era il buono e il cattivo come in qualsiasi ambiente penso»3.

Un passaggio importante nella storia della Cogne successiva alla Prima guerra mondiale, che aveva fatto da rampa di lancio alla borghesia capitalista italiana grazie alle commesse di armi, è la crisi gravissima che colpisce l’Ansaldo in seguito al crollo della Banca italiana di Sconto. La Cogne esce così dall’imprenditoria privata e il ٢١ luglio ١٩٢٣ nasce la S.A. Ansaldo-Cogne, con la partecipazione dello Stato, che nel ’27 diventa Società Anonima Nazionale Cogne. La fine degli anni Venti è un periodo di grandi investimenti: sono acquistate e messe in attività le miniere di carbone di La Thuile, è costruita la tratta ferroviaria Aosta-Pré-Saint-Didier, integrata con un sistema di teleferiche per il trasporto del carbone e sono ammodernati gli stabilimenti di Aosta. L’insistenza sulla politica autarchica del regime e l’impennata delle spese militari per le spedizioni in Etiopia e in Spagna nel ’36 consentono il passaggio da una fase di crisi ad una di grande espansione. Proprio in virtù di questa espansione la società dispone l’apertura di uno stabilimento a Imola per sostenere e supportare la produzione bellica. Nel 1937 la società passa al demanio, sotto il diretto controllo del Ministero delle finanze con la ragione sociale di Nazionale Cogne s.p.a. che manterrà fino al 19814.

Il 5 e 6 ottobre del 1943 i tedeschi, consapevoli dell’organizzazione e dell’efficienza dello stabilimento aostano decidono di occuparlo e assumerne il controllo; a settembre viene stipulata la convenzione per le vendite all’industria tedesca. Già immediatamente dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, alla Cogne viene costituita da Amedeo Peppelin la prima cellula di Resistenza attiva interna allo stabilimento che diventa in breve tempo il Comitato segreto di agitazione i cui responsabili sono, oltre a Amedero Peppelin, Sergio Graziola e Giovanni Chabloz. Il punto di riferimento per gli antifascisti della Cogne è Franz Elter, il direttore delle miniere di Cogne, simpatizzante di Giustizia e Libertà. L’astuta mossa, messa in pratica da Elter, consiste nel ridurre il più possibile la produzione senza arrivare al blocco totale della Cogne per evitare la spedizione dei macchinari e la deportazione dei lavoratori in Germania. Alla lotta contro i nazi-fascisti e per un radicale cambiamento di paradigma economico, sociale e politico nella futura società tutta da costruire hanno partecipato attivamente gli operai, pagando anche un caro prezzo, ma risultando determinanti con i loro scioperi e le loro mobilitazioni al raggiungimento della liberazione. Così come la Cogne di Aosta, anche la Cogne di Imola ha un ruolo centrale nella liberazione:

a partire dall’inverno fra il 1943 e il 1944, la Cogne fu un centro di crescente cultura antifascista, con gruppi di operai e di operaie attivi nella Resistenza. Sul finire del conflitto, i tedeschi tentarono di asportare varie macchine dalla Cogne, ma furono anticipati dagli stessi lavoratori che le avevano trafugate di nascosto e occultate nei fienili e in altre strutture rurali circostanti. Danneggiata seriamente dai bombardamenti alleati del maggio e del luglio del 1944, la fabbrica cessò praticamente tutte le attività fino al 14 aprile 1945, giorno della Liberazione di Imola5.

2. Gli anni Cinquanta: contrattacco padronale e licenziamenti politici

L’immediato dopoguerra è caratterizzato in fabbrica da un atteggiamento operaio definito di “collaborazione antagonistica”6: un periodo di pochi anni, terminato nel 1948, in cui vi è un’ambivalenza di sentimenti tra gli operai. Da un lato un forte senso di responsabilità nei confronti di un paese da ricostruire che spinge dunque a collaborare con l’azienda accettando anche sacrifici per dare il proprio contributo alla ricostruzione ma dall’altro, specie per quanto riguarda la parte più combattiva della classe operaia, quella comunista, questo spirito collaborativo si inserisce in una cornice di aspra critica all’organizzazione capitalistica del lavoro e alla disciplina imposta dall’azienda7. Se già nel 1947 il mutato contesto politico e l’intransigenza padronale hanno influito sulla ripresa di un’ampia conflittualità e spinto la Fiom a lanciare la parola d’ordine della “non collaborazione”, la sconfitta delle sinistre con la conseguente formazione di un governo centrista e la divisione sindacale del 1948 a cui si aggiunge un diffuso anticomunismo conducono ad un rapido innalzamento della conflittualità operaia. Questa situazione venutasi a creare è vantaggiosa per i padroni, che la sfruttano per recuperare terreno nello scontro di classe e ristabilire l’ordine ponendo ad esempio fine una volta per tutte ai consigli di gestione8.

Una pratica padronale molto diffusa, alla Cogne ma non solo, è quella di scavalcare e delegittimare le rappresentanze dei lavoratori e le organizzazioni sindacali rifiutandosi di trattare. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta l’azienda entra in crisi: si verificano dei ritardi nei pagamenti sia della tredicesima mensilità, nel ’49, che degli stipendi di giugno, luglio e agosto nel ’50. Il rischio della smobilitazione della Cogne è tale da essere convocata una riunione tra il consiglio regionale, il sindaco di Aosta, i due parlamentari regionali, le organizzazioni sindacali e le commissioni interne. La crisi è inasprita da un’inadeguata gestione della società e dalla mancanza di volontà politica da parte del governo, principale azionista, di aumentare il capitale sociale9. Viene così annunciata una grande ristrutturazione che prevede 1500 licenziamenti: 25 dirigenti, 250 impiegati e 1200 operai10. Il consiglio d’amministrazione fa però in fretta retromarcia e ritiene più conveniente non procedere con un licenziamento di massa ma vendere alcune aziende del gruppo non più necessarie.

Se un licenziamento di massa sarebbe stato troppo impopolare di fronte all’opinione pubblica e alle istituzioni, molto meno lo sono i licenziamenti mirati. Gli obiettivi sono i rappresentanti sindacali e membri della commissione interna, soprattutto quelli legati alla Cgil. Sradicare la componente più combattiva e conflittuale della fabbrica e ostacolarla avrebbe accelerato la ristrutturazione. Questo clima in fabbrica è supportato all’esterno da un crescente anticomunismo in tutto il territorio nazionale propagandato dalle forze di governo. I rapporti tra la direzione e le rappresentanze dei lavoratori si fanno dunque sempre più tesi, e ciò è testimoniato dal rifiuto di lasciare entrare nello stabilimento, nel maggio del ’51, il segretario della Cgil Ciocchetti e quello della Fiom Colombo; la risposta dei lavoratori è immediata: due ore di sciopero durante le quali gli operai scortano all’interno della fabbrica i due sindacalisti.

È interessante notare la lettura che fa di questo avvenimento l’organo di stampa del Pci, che evidenzia una continuità di metodi (minare la libertà sindacale, anche con la forza) e di obiettivi (schiacciare la classe operaia organizzata) con il fascismo11. Ciò che ancora spaventa i padroni è l’ingresso della politica in fabbrica. Il 1953, anno in cui avvengono alcuni cambi ai vertici aziendali, segna un salto di qualità nella repressione. Cuttica, capo del personale, sarà infatti ricordato per i licenziamenti mirati e i cosiddetti “reparti zero”12 nei quali vengono relegati i comunisti; è il caso di Manganoni, Michelini, Monami e Savioz, esponenti di spicco del Pci e dipendenti Cogne che, all’alba delle elezioni politiche, vengono collocati in un ufficio senza alcun incarico né lavoro da svolgere per qualche mese. I dirigenti della Cogne preferiscono l’inattività dei lavoratori comunisti piuttosto che “nuocciano” ad altri reparti con la loro attività politica e sindacale. Una volta concluse le elezioni del 1958 Monami, eletto consigliere comunale di Aosta viene trasferito alla Cava di Pompiod, Manganoni e Savioz (consiglieri regionali) vengono trasferiti rispettivamente alla miniera di Cogne e a La Thuile e Michelini viene licenziato13. Il carattere antisindacale della Direzione Cogne è testimoniato anche dalla decisione di assumere con notevole ritardo Sergio Comin (unico dei 15 allievi promossi a non essere assunto immediatamente), allievo della Scuola di fabbrica e nipote di Guido Comin, membro CGIL della Commissione interna e successivamente licenziato. La stessa sorte tocca, anni dopo, all’ingegnere Dante Graziola, figlio di Sergio Graziola, membro CGIL della segreteria di Commissione interna, con la motivazione che «di Graziola ce n’è già uno di troppo»14.

Alla Cogne di Imola la repressione raggiunge invece l’apice il 7 ottobre 1953 quando vengono licenziati 162 lavoratori (12 impiegati e 150 operai) soprattutto militanti comunisti, socialisti e iscritti alla Cgil; solo in 50 saranno reintegrati l’anno successivo dopo dure lotte alle quali prendono parte le istituzioni e tutta la cittadinanza imolese15. Nello stabilimento aostano la situazione degenera nel 1954: il contrattacco padronale ai livelli occupazionali, la contrazione dei costi, la delegittimazione delle rappresentanze dei lavoratori e l’attacco agli operai più politicizzati e sindacalizzati portano alla più lunga vertenza Cogne (47 giorni). Il 12 maggio Ferronato, operaio al treno lamiere, viene sospeso perché si rifiuta di lavorare durante la mezz’ora di pausa; già nel febbraio era accaduta una simile provocazione: Boccazzi, operaio e fiduciario al reparto calderai, era stato sospeso per aver riferito ai colleghi quanto stabilito durante un’assemblea. La risposta operaia alla sospensione di Ferronato non si fa attendere, lo sciopero è immediato16. Gli operai addirittura escono in corteo dallo stabilimento e si dirigono verso la sede del Consiglio regionale. La direzione a questo punto decide di rispondere con ancora più forza e alzare il livello dello scontro: la sera stessa del 12 maggio tre membri di commissione interna della Cgil, Comin, Ourlaz e Vittone, ricevono la lettera di sospensione. Passano otto giorni e la sospensione diventa licenziamento.

Prende così avvio la più lunga vertenza della Cogne. Alla condanna delle provocazioni della direzione, della repressione e dei licenziamenti mirati, i lavoratori legano nella vertenza diverse rivendicazioni: un acconto sui futuri aumenti salariali; il ritiro delle lettere di diffida e delle punizioni a Ferronato e ai membri della Commissione interna; il rispetto della Commissione interna e dei suoi membri; la restituzione dei soldi agli operai dell’altoforno (multati per lo sciopero dell’anno precedente contro la “legge truffa”); la fine della sospensione dei cottimi. La direzione si dimostra da subito intransigente. La vertenza parte unitaria e viene lanciata con un comunicato congiunto delle tre organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Savt)17. Durante lo sciopero, che dura in tutto 47 giorni, riveste grande importanza la solidarietà della popolazione tutta: si organizzano collette, raccolte di beni alimentari e sostegno nel presidiare gli ingressi della fabbrica. L’ingente partecipazione popolare testimonia la fondamentale importanza dello stabilimento nell’economia della regione, grazie anche a tutto l’indotto che genera18.

Il 25 maggio a seguito dell’ennesimo rifiuto delle richieste da parte della direzione si rompe il fronte unitario sindacale: la Cisl si dissocia sostenendo la possibilità di risolvere “pacificamente” la vertenza e accusando la Cgil di perseguire obiettivi politici. Il Savt (il sindacato autonomo valdostano) e la Cgil decidono di proseguire lo sciopero con le stesse modalità, due ore di sciopero per turno. La situazione precipita a inizio luglio, quando viene siglato un accordo separato tra Cisl, Savt e la direzione, che prevede, sulla questione dei tre licenziamenti, il reintegro del solo Ourlaz (previa domanda) e il prepensionamento di Comin e Vittone19.

Questa vertenza non chiude però la stagione dei licenziamenti politici e dell’attacco ai militanti, che anzi raggiunge l’apice dopo lo sciopero, come rappresaglia. Il 14 settembre viene licenziato Mario Marin, del reparto ferroleghe, la sua unica colpa probabilmente è quella di essere candidato per la Cgil alla commissione interna; il licenziamento infatti non è motivato dalla direzione20. L’anno seguente tocca all’operaio Redegildo Benati il licenziamento perché viene trovato in possesso di 20 copie dell’unità21. Nello stesso anno, a ottobre, Luigina Perotti, consigliera comunale di Aosta e rappresentante dell’Udi, viene licenziata all’indomani della sua elezione in Commissione interna impiegati22. Nel ’58, come si è già detto, avvengono i trasferimenti di reparto dei quattro dipendenti Cogne candidati alle elezioni per il Pci.

L’intensità e la capillarità della repressione padronale negli anni Cinquanta ha messo a dura prova gli operai, soprattutto quelli più sindacalizzati, combattivi e di sinistra ed è riuscita a dividere ulteriormente i lavoratori e le organizzazioni sindacali. La vertenza del 1954 alla Cogne durata 47 giorni ha portato alla firma di un accordo separato e dunque rapporti sempre più tesi tra i sindacati. Sei anni dopo, nel 1960, si apre un’altra vertenza nello stabilimento siderurgico aostano, passata poi alla storia, che porta a conquiste molto avanzate ma soprattutto porta con sé una ritrovata unità sindacale nata nel concreto delle lotte operaie di quell’anno. La repressione degli anni Cinquanta ha infatti avuto come esito non voluto quello di creare una forte, coesa e solidale comunità operaia; è proprio la spinta propulsiva della base a determinare una nuova convergenza unitaria tra le sigle sindacali. L’unitarietà e la forte solidarietà operaia consolidatesi in questo difficile decennio, ma anche l’eredità di quel patrimonio di cultura, idee e lotte, saranno alla base del rinnovamento nelle rivendicazioni del movimento operaio, delle nuove lotte e soprattutto delle nuove conquiste negli anni Sessanta e Settanta.


Note

1 Mario Tronti, Memoria e storia degli operai, in Paolo Favilli, Mario Tronti (a cura di), Classe operaia. Le identità: storia e prospettiva, Milano, Franco Angeli, 2001, p. 375.

2 Marco Moussanet, Piero Parlamento, Le régiment des socques: il movimento operaio in Valle d’Aosta, Quaderni di promozione, n. 1, Aosta, Radiotelevisioni Italiana, 1977, p. 37.

3 Estratto dell’intervista a Andrea Paillex tratto dal programma di Stefano Viaggio, C’era una volta la fabbrica, Rai per la Valle d’Aosta.

4 Per la storia della Cogne e le sue vicissitudini societarie si veda: Corrado Binel, Dall’Ansaldo alla Cogne, in Corrado Binel (a cura di), Dall’Ansaldo alla Cogne: un esempio di siderurgia integrale, 1917-1945, Milano, Electa, 1997.

5 Andrea Pagani, Cogne Imola: storia si un movimento operaio, Imola, Bacchilega, 1998.

6 Sandro Bellassai, Noi classe. Identità operaia e conflitto sociale in una democrazia imperfetta (1947-1955), in Luca Baldissara (a cura di), Il sindacato e il consolidamento della democrazia negli anni Cinquanta, Milano, Franco Angeli, 2006.

7 Guardiani e disciplina, in “Il Lavoro”, 30 giugno 1947, a. I, n. 1.

8 Vittorio Foa, Sindacati e lotte operaie (1943-1973), Torino, Loescher, 1980.

9 Le chemin du Savt: 1952-2002, Saint-Cristophe, Duc, 2002.

10 Un ordine del giorno delle C.I. della Cogne, in “Le Travail”, 26 ottobre 1950, a. III, n. 24.

11 Le maestranze della “Cogne” sanno difendere i diritti e le conquiste, in “Le Travail”, a. IV n. 5, 27 maggio 1951.

12 Umberto Janin Rivolin, La fabbrica sulla frontiera, in Luigi Mazza (a cura di), Esercizi di piano. L’area industriale Cogne ad Aosta, Milano, Franco Angeli, 2002.

13 Ivi, p. 264.

14 Leno Chierici, Sergio Graziola, la memoria che resta, in Lavoro e diritti in Valle d’Aosta: profilo storico dei 100 anni della CGIL Valle d’Aosta, 1905-2005, CGIL Valle d’Aosta, Aosta, Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea in Valle d’Aosta, 2006, p. 131.

15 Pagani, Cogne Imola: storia si un movimento operaio, cit.

16 La lotta continua, in “Le Travail”, 7 giugno 1954, a. VII, n. 11.

17 CGIL, CISL e SAVT, Comunicato, in “La Colata”, a. II, n. 11 edizione straordinaria, 23 maggio 1954.

18 Enrico Monti, La Cgil dalla Resistenza alla repressione negli anni della ricostruzione, in Lavoro e diritti in Valle d’Aosta: profilo storico dei 100 anni della CGIL Valle d’Aosta, 1905-2005, cit., p. 103.

19 Ivi, p. 104.

20 Le illegalità della direzione, in “La Colata”, 17 settembre 1954, a. II, n. 17.

21 Monti, La Cgil dalla Resistenza alla repressione negli anni della ricostruzione, cit., p. 105.

22 Il 16 ottobre ad Aosta, in “Le Travail”, 22 ottobre 1955, a. VII, n. 19.