Intervista a Pietro Polito. Tra storia delle “nostre radici” e storia del presente: il Centro studi Piero Gobetti di Torino

Interview with Pietro Polito. Between the history of “our roots” and the history of present: the Centro studi Piero Gobetti

In apertura: Biblioteca, Centro studi Piero Gobetti. Foto di Candida Rolla.

Il Centro studi Piero Gobetti è un istituto culturale dedicato allo studio della storia e del pensiero politico del XX secolo, aperto ai cittadini, ai movimenti giovanili e agli studiosi, con sede presso la casa di Piero e Ada Gobetti. Attraverso i servizi di biblioteca e archivio e l’organizzazione di iniziative (incontri, conferenze, seminari, mostre, ecc.), il fine del Centro è non solo di tutelare e rendere accessibile l’opera di Piero Gobetti e delle tradizioni culturali conseguenti, ma di diffonderne e attualizzarne i valori, la visione e i principi come motore del cambiamento sociale. Fondato nel 1961, ha compiuto sessant’anni lo scorso anno. Pietro Polito, storico delle idee, è direttore del Centro studi Piero Gobetti e curatore dell’archivio Norberto Bobbio. I suoi interessi di studio sono il profilo ideologico del Novecento italiano e il problema della pace e della guerra, con particolare riguardo per la nonviolenza e l’obiezione di coscienza. Formatosi con Bobbio, ne ha curato diverse opere. L’intervista al direttore Pietro Polito è a cura di Marta Vicari.

Da quando sei direttore del Centro?

Esattamente dal febbraio 2013, ma il mio rapporto con il Centro è molto più antico e risale al mio primo incontro come studente universitario con Piero Gobetti. Era il 1976, un anno importante per i gobettiani e i gobettologi, il 50° anniversario della morte di Piero.

Potremmo raccontare il Centro studi e la sua storia proprio attraverso il tuo racconto esperienziale, toccando così anche le tappe principali di questi primi sessant’anni di vita e i punti di svolta più importanti, che hanno accompagnato la più recente storia del nostro Paese. Che ne pensi?

Mi sembra una buona idea, ma direi più precisamente: attraverso il nostro racconto esperienziale. Da una decina di anni ormai appartieni anche tu alla comunità gobettiana.

Dicevi che il tuo primo incontro con il Centro Gobetti risale agli inizi del 1976…

A quella data risale la scoperta di Gobetti, l’incontro con il Centro avviene esattamente un anno dopo ed è dovuto a Norberto Bobbio, che mi consigliò di recarmi in via Fabro 6 perché avevo concordato con lui una tesi di laurea in Filosofia della politica su Gobetti e Marx. Non avevo mai sentito parlare del Centro Gobetti e per questa ragione gli chiesi una lettera di presentazione non sapendo che Bobbio ne era il Presidente. Quando misi piede al Centro studi, con la lettera di presentazione firmata dal professore, mi accolse Carla Gobetti con un sorriso dicendomi: «Se ti manda Bobbio, vuol dire che sei bravo». Capii allora l’imbarazzo di Bobbio di presentare a se stesso un suo studente.

Per noi il Centro Gobetti è la casa di Piero e Ada Gobetti, nonché delle figure che hanno abitato i suoi spazi, hanno dato impulso al lavoro e ne hanno caratterizzato il profilo e l’identità. Carla Gobetti è stata la primissima direttrice del Centro studi, ne è stata poi Presidente e Presidente onorario. Qual è il ricordo personale che ne hai?

Il mio ingresso “lavorativo” al Centro Gobetti è avvenuto proprio grazie a Carla e non a Bobbio. Fu Carla che mi prese come collaboratore di biblioteca all’inizio del 1980, quando il Centro ha aperto una nuova sala di lettura, dove per tanti anni si sono tenuti i seminari con Bobbio.

Quale è stato il ruolo di Carla Gobetti? Per cosa si è caratterizzata la sua direzione?

Dopo la morte di Ada Prospero, la nostra fondatrice, avvenuta il 14 marzo 1968, Carla diventa l’anima del Centro. Se dovessi riassumere in una espressione il senso del suo lavoro e della sua vita, direi che ha impersonato nella cultura torinese e italiana degli anni Settanta, Ottanta e Novanta «un formidabile organizzatore della cultura» (come Gramsci ebbe a scrivere di Gobetti). Alla sua scuola si è formata una generazione di storiche e di storici che hanno indagato i grandi temi e problemi del Novecento italiano, dalla crisi dello Stato liberale al fascismo, dalla storia del movimento operaio a quella dei nuovi movimenti, dalla storia politica a quella economica, dalla storia della cooperazione a quella dell’emigrazione politica ed economica. Quest’ultimo tema è stato introdotto nel Centro nella seconda metà degli anni Ottanta da Alberto Cabella, vicedirettore dell’Istituto italiano di Cultura a Parigi e a lungo vicepresidente del Centro.

Lo stile di lavoro di Carla era totalmente diretto alla valorizzazione delle tante persone che hanno collaborato attivamente alle sue numerose imprese culturali. Una tra le più importanti è la mostra Un’altra Italia nelle bandiere dei lavoratori. Simboli e cultura dall’unità d’Italia all’avvento del fascismo, a cura del Centro Gobetti e dell’Istituto Storico della Resistenza in Piemonte. Nel catalogo della mostra (1980, seconda ed. 1982), con la prefazione di Sandro Pertini, una premessa di Norberto Bobbio e l’introduzione di Guido Quazza, Carla risulta semplicemente autrice di una asciutta scheda intitolata Collaboratori, in cui li enumera uno ad uno, indicando per ciascuno compiti e professionalità. Credo che le avrebbe fatto piacere essere ricordata insieme alle tante persone che hanno lavorato con lei.

Carla ha proseguito il lavoro avviato da Ada Prospero Marchesini Gobetti attorno alla figura di Piero.

Sì, ha dedicato particolare attenzione alle figure di Piero, di Ada e della tradizione morale prim’ancora che politica del gobettismo e dell’antifascismo liberale e democratico. Si deve molto al suo impegno e alla sua capacità di riunire nel Centro e attorno al Centro gruppi di giovani appassionati allo studio, alla ricerca e all’impegno, se il messaggio del prodigioso giovinetto, il teorico di una immaginaria rivoluzione liberale, negli anni non ha mai perso di vigore. Della sua prodigiosa attività di promozione dell’eredità gobettiana mi limito a richiamare il dialogo da lei promosso tra Torino e Parigi all’insegna di Gobetti e dell’antifascismo democratico. Con Carla, Piera Carbone, Gerardo Padulo, Alberto Cabella, Aldo Vitale e Norberto Bobbio ci siamo recati sulla tomba di Gobetti al Père-Lachaise a Parigi, ospiti della Maison de l’Italie, per la prima volta nel 1983. A distanza di quarant’anni nel 2013 ci siamo tornati con Carla, con la nipote Marianna e con un gruppo di giovani amiche e amici del Centro. Una tradizione rinnovata da Roberto Giacone in occasione del 90° anniversario della morte di Piero con la presentazione dell’antologia di scritti di Piero e Ada Gobetti, che ho curato con Pina Impagliazzo, La forza del nostro amore1.

Non possiamo non soffermarci su “mezzosecolo”, gli Annali del Centro Gobetti, dell’Istituto per la storia della Resistenza in Piemonte e dell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza.

La rivista, ideata e fondata da Franco Antonicelli nel 1975, è una impresa che, a un certo punto della mia vita, mi ha visto coinvolto personalmente. Molti di noi hanno fatto la loro prima prova di scrittore sulle pagine di “mezzosecolo”. Ho ancora vivo in me il ricordo di quando tanti anni fa varcai la soglia dello studio di Carla, che prima era stato di Piero e di Ada, per sottoporle il progetto di un mio articolo. Era con noi, che abbiamo avuto la fortuna di incontrarla, comprensiva quanto severa, aperta quanto esigente, in ogni caso felice e orgogliosa dei nostri risultati. Il mio primo saggio storico è dedicato a Gobetti e Sorel ed è comparso negli Annali 1985/1986 di “mezzosecolo”. Sulla copia da lei donatami Carla scrisse: «A Pietro Polito, finalmente autore!». L’ultimo ricordo pubblico che ho di Carla e che voglio condividere è la partecipazione alla manifestazione del Primo Maggio a Torino nel 2013, in corteo da Piazza Vittorio a Piazza San Carlo, incontrando tante persone care, tra cui l’amico partigiano Gastone Cottino: contenta, ha salutato la sua città, scortata da un piccolo gruppo centrogobettiano.

Hai ricordato Antonicelli, lo hai conosciuto?

No, quando sono arrivato a Torino nell’ottobre 1975, egli era morto da quasi un anno. Il “gobettiano” Antonicelli è un autore a me molto caro perché unisce il prima e il durante del mio viaggio nella cultura. L’ho conosciuto indirettamente leggendo “L’Astrolabio”, la rivista della sinistra indipendente, durante gli anni del liceo, ma egli è stato una presenza costante e importante negli anni che ho trascorso accanto a Norberto Bobbio. Come dono per l’ottantatreesimo compleanno del professore, ho raccolto i suoi scritti su Antonicelli: ne è nato il libretto Franco Antonicelli. Ricordi e testimonianze2. Recentemente Torino, la sua città, gli ha dedicato una piazza: Piazzetta Franco Antonicelli si trova a pochi passi da via Fabro, di fronte al Polo del ’900.

Prima accennavi a Cabella. A lui si deve la prima tesi su Piero Gobetti.

La storia del gobettismo, inteso come la presenza di Gobetti nella cultura italiana repubblicana, non nasce con il Centro studi e una traccia importante di questa storia è proprio nella tesi di laurea di Cabella, che egli scrisse nel 1951, ben dieci anni prima della fondazione del Centro. Dalla tesi emerge che egli era entrato in relazione direttamente con Ada Gobetti, che gli fece leggere le lettere di Piero, allora conservate dalla famiglia.

La generosità di Ada verso Alberto Cabella, giovane studente universitario, è già di per sé una spia dell’attenzione che il Centro ha avuto e ha verso i giovani. Gli anni del tuo ingresso al Centro sono stati anni di contestazione giovanile: come si relazionava allora il Centro con i movimenti giovanili?

Confrontarsi con i giovani in quegli anni significava confrontarsi con il Movimento del Settantasette: era il contesto in cui si svolgeva la mia frequentazione anche dell’università e non erano anni facili. L’università era sovente teatro di scontri, di lotte, di assemblee turbolente. Vedevo Carla Gobetti a queste assemblee, come osservatrice, mossa sempre dal desiderio di capire cosa stesse avvenendo. Questo desiderio di comprensione del presente portò il Centro Gobetti a farsi promotore di una inchiesta, a cura di Loredana Sciolla e Luca Ricolfi, da cui nacque il volume Senza padri né maestri. Inchiesta sugli orientamenti politici e culturali degli studenti3. Ma già nel Sessantotto Ada aveva dimostrato una grande attenzione verso i movimenti giovanili e aveva scritto l’editoriale Gli studenti hanno ragione, pubblicato sul “Giornale dei genitori” nel gennaio 1968, che abbiamo proposto più volte nella newsletter del Centro.

Rimanendo sul terreno dei movimenti giovanili e del Sessantotto, uno dei fondi più consultati dell’archivio del Centro studi è il Fondo Marcello Vitale: come è stato costruito e cosa raccoglie?

Si può dire che il Centro Gobetti ha dato una casa a quei movimenti. Marcello Vitale era un giovane di Lotta continua che morì accidentalmente in un incidente stradale. La signora Anna, madre di Marcello Vitale, che ricordo con affetto, decise di istituire una borsa di studio in suo nome per poter raccogliere i materiali sui movimenti giovanili degli anni Sessanta: la borsa fu assegnata a Marco Scavino, ricercatore di storia contemporanea e protagonista di quei movimenti, oggi consigliere del Centro Gobetti. Il fulcro del fondo non è propriamente il Sessantotto ma i movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta. Il fondo è organizzato per figure, che sono state le protagoniste e i protagonisti poi del Sessantotto. Penso, per esempio a Luigi Bobbio, a Dario e Liliana Lanzardo a Mario Dalmaviva.

Facendo un passo indietro, a molti anni prima della fondazione del Centro, la casa di via Fabro è stata una delle sedi del Partito d’Azione, tra gli anni Trenta e i primi anni Quaranta. Successivamente, in via Fabro hanno trovato sede l’Istituto storico della Resistenza e l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza.

Sì, quando ho iniziato a frequentare via Fabro 6, Carla Gobetti era direttore (allora si usava dire così) del Centro e dell’Istituto. Noi eravamo al piano terra, l’Istituto era al primo piano. Al terzo piano c’era l’Archivio cinematografico della Resistenza che era stato fondato da Paolo Gobetti nel 1974. Ora l’Istituto e l’Archivio sono al Polo del Novecento, dove il Centro ha dei suoi spazi.

Il Centro ha mantenuto la sua sede storica in via Fabro 6.

Direi che le ragioni di questa scelta fortemente voluta dai nostri e dalle nostre maggiori emergano naturalmente dal racconto che stiamo facendo.

Parlami di Paolo Gobetti. Hai mai parlato con lui di Piero?

Ho lavorato tanto con Carla, ma non posso dire altrettanto per Paolo. Egli è stato forse il più importante regista-documentarista italiano: ricordo, a titolo di esempio, solo Le prime bande, del 1983. Paolo era una persona molto riservata. Solo una volta abbiamo parlato non di Piero ma della mia tesi su Gobetti e Marx. Mi disse che Gobetti sarebbe andato col tempo in quella direzione. La risposta alla domanda,«Qual è stato il rapporto di Paolo con il padre?», la si può trovare nel lavoro-inchiesta Piero Gobetti nel ricordo degli amici, che lo ha visto impegnato dalla fondazione del Centro sino agli ultimi suoi giorni: una serie di interviste realizzate con Carla Gobetti, Giuseppe Risso e Paola Olivetti agli amici di Piero, un padre mai conosciuto. Si tratta di un patrimonio storico documentario ricchissimo e in gran parte ancora da esplorare.

Facciamo un passo avanti nel racconto. All’inizio del 1980 il Centro Gobetti apre la sua nuova sala di lettura.

Direi che il 1980 coincide con un maggiore impegno di Bobbio nel Centro. Di Bobbio e dei suoi allievi: Michelangelo Bovero, Marco Revelli, Luigi Bonanate, Franco Sbarberi, Cesare Pianciola. Da una idea di Marco Revelli nacque il seminario “Etica e Politica” che inizialmente coinvolse un gruppo di giovani militanti che avevano fatto parte dell’esperienza della nuova sinistra, nata dal ’68 e che era andata ad esaurirsi con la dissoluzione di “Lotta Continua”. Ci siamo riuniti con Bobbio due volte al mese dal 1980 al 1996. Un’esperienza straordinaria: ascoltavamo la lezione di una guida morale prima ancora che culturale e politica, un maestro, e a turno presentavamo le nostre ricerche e riflessioni intorno a temi come etica e politica (1980), politica e diritto (1981), pace e guerra (1983): erano gli anni degli SS20 sovietici e degli euromissili americani. I temi che ci hanno impegnato più a lungo, e che quindi hanno caratterizzato il lavoro del Centro studi di quegli anni, sono stati essenzialmente due: la filosofia della storia e la sinistra. Quest’ultimo, in particolare, fu un vero e proprio laboratorio sull’identità della sinistra e da lì nacque il nucleo del volume di Bobbio Destra e Sinistra4.

Direi che il lavoro seminariale per piccoli gruppi contraddistingue il metodo di lavoro del Centro.

Sì, il seminario ha avuto una nuova edizione tra il 1999 e il 2003, quando ci siamo occupati del tema “Il Novecento: definizioni e interpretazioni del secolo breve”, ma Bobbio non vi ha partecipato. Negli anni 2000 abbiamo cercato di far rivivere questa tradizione con il Laboratorio della democrazia, il Laboratorio del lavoro e, da quando tu fai parte della comunità del Centro, con il seminario “La politica per il XXI secolo”, che curiamo insieme a Antonio La Porta, Giuseppe Sciara e Giacomo Tarascio.

Mi fa piacere che in un certo senso ci sia stato una sorta di passaggio del testimone da me a te nella cura dei seminari e delle iniziative culturali. Quando e come hai incontrato Gobetti e il Centro Gobetti?

Il mio primo incontro con il Centro Gobetti è stato nel 2013. Mi hai accolto tu. Avevo scoperto la figura di Gobetti tramite Eugenio Montale, in quanto primo editore degli “Ossi di seppia”. Con le ricerche successive approfondii il ruolo di Gobetti nella storia dell’editoria. Fu fondamentale spostarmi a Torino e studiare direttamente le carte dell’archivio di Piero.

Ma torniamo a Bobbio. Credo che ci sia ancora molto da dire.

Negli anni della presidenza di Bobbio c’è una data molto importante per la storia del Centro Gobetti, il 18 ottobre 1989, quando il professore compie ottant’anni e annuncia di voler donare al Centro Gobetti la sua intera biblioteca. Il Centro si è attrezzato per poter accogliere questo importante patrimonio, costituendo un gruppo di lavoro composto da Laura Contini, Piera Tachis, Franca Ranghino. A tutt’oggi, la biblioteca di Bobbio è il fondo bibliografico più ricco del Centro Gobetti. In quegli anni il mio compito fu anche quello di coordinare il trasferimento della biblioteca, dalla casa di via Sacchi a quella di via Fabro. La donazione dell’archivio è avvenuta successivamente e si è completata dopo la morte di Bobbio con il lavoro di Marina Brondino e di Enrica Caruso.

Mi pare importante specificare che la maggior parte del patrimonio del Centro Gobetti è costituito dai fondi di biblioteca e archivio dei fondatori e delle fondatrici del Centro e delle figure che lo hanno animato: Piero Gobetti, Ada Prospero, Norberto Bobbio, Franco Antonicelli, Alessandro Galante Garrone, Bianca Guidetti Serra.

Hai ragione. Aggiungerei le carte di Silvio Trentin, Umberto Calosso, Umberto Morra di Lavriano. Quando parlavamo del 18 ottobre 1989 come un passaggio decisivo per la vita del Centro Gobetti mi riferivo proprio a questo: la biblioteca e l’archivio di Bobbio ampliano e arricchiscono questo profilo del Centro che si configura, mi piace definirlo così, come la casa dell’Italia civile, riprendendo il titolo dell’opera di Bobbio stesso.

Personalmente mi sono occupata dell’avvocata Bianca Guidetti Serra che non ho conosciuto, ma che ora sento come una delle mie maestre. Nel 2019 sono ricorsi i cento anni dalla nascita di questa protagonista del Novecento: ricostruendo la sua storia si ripercorre la storia della giurisprudenza italiana. In questi ultimi anni, grazie al contributo della famiglia di Guidetti Serra (in particolar modo, del figlio Fabrizio Salmoni) e anche con la nascita del Comitato Nazionale per celebrarne il centenario (presieduto da Maria Chiara Acciarini), il Centro ha davvero avuto la possibilità di far conoscere questa figura e le sue battaglie, finalizzate sempre ad un allargamento dei diritti di tutti e tutte. Quando il fondo archivistico sarà riordinato, sarà per la cittadinanza una fonte preziosa per lo studio della nostra democrazia. Che rapporto hai avuto con Bianca?

Bianca Guidetti Serra è stata tra le fondatrici del Centro, insieme ad Ada, di cui era molto amica. In seguito, è stata presidente del Centro Gobetti dopo Bobbio a partire dal 1993. A Bianca è succeduta Carla. Ora il Presidente è Marco Revelli. Quando penso a Bianca mi viene in mente la sua ostinazione a capire, che non era solo deformazione professionale ma il suo habitus anche come intellettuale e come Presidente del Centro studi. Quando fu Presidente, infatti, il Centro attraversava un periodo complesso: si trattava di raccogliere l’eredità di Bobbio. Bianca conosceva meno il funzionamento del Centro, e io la ricordo intenta a studiare i dossier di lavoro uno ad uno per poterlo traghettare al meglio verso il nuovo secolo.

Le ricerche che Bianca nell’ultimo periodo stava conducendo sulle collaborazioniste sono una prova ulteriore di questa sua ostinazione a capire, in cui risiede tutta la sua attualità e il suo esempio. In questa conversazione abbiamo avuto modo di ricordare le nostre radici, Bianca Guidetti Serra, Norberto Bobbio, Piero Gobetti, Ada Prospero, Franco Antonicelli, Paolo Gobetti, Carla Nosenzo, Alberto Cabella. Queste figure costituiscono uno dei nostri campi di lavoro e di ricerca, identificando la specificità del Centro Gobetti anche nel panorama degli istituti culturali piemontesi e nazionali e anche in rapporto con gli altri istituti del sapere.

Il ruolo di un istituto culturale, nel nostro caso il Centro studi Piero Gobetti, si definisce in base ai suoi valori e attraverso le sue attività e i suoi campi di studio. Direi che il Centro è impegnato da un lato nella storia delle nostre radici, dall’altro nella storia del presente. Coltivare le nostre radici significa promuovere studi e ricerche, organizzare mostre, seminari, conferenze, aprirsi ai linguaggi dei giovani con progetti di innovazione culturale.

Che cosa significa per un istituto culturale fare “storia del presente”? Penso l’analisi dell’oggi in una prospettiva storica.

Rispondo per quel che riguarda il Centro Gobetti. Direi che sono ancora Gobetti e Bobbio ad essere un po’ una sorta di caleidoscopio, una buona bussola per il nostro lavoro sulla storia della cultura, del pensiero politico, sui grandi temi della contemporaneità. Quanto a Gobetti, abbiamo adottato e adottiamo sovente il metodo dell’inchiesta di cui troviamo numerosi esempi sulle colonne della “Rivoluzione Liberale”. Pensa alle inchieste che Gobetti promosse sul marxismo, sull’idealismo, sulla proporzionale. Nel nostro piccolo, negli ultimi tre anni abbiamo promosso un’inchiesta sulla pandemia, da cui sta per nascere il libro Io racconto. Vivere nella pandemia, presso l’editore torinese Raineri Vivaldelli, ed è in corso l’inchiesta “Cronache di pace”, con cui stiamo seguendo la guerra di aggressione della Russia all’Ucraina.

E quanto a Bobbio?

Bobbio ci ha insegnato che le grandi questioni – i temi ricorrenti nella storia del pensiero politico – finiscono sempre per riproporsi. Anzi, radici e temi si richiamano sempre l’un l’altro. Questa convinzione sta alla base del nostro seminario “La politica per il XXI secolo”, a cui abbiamo già accennato. Come per i seminari dell’epoca di Bobbio, anche in questo caso partiamo da uno stimolo, da un problema del presente approfondendolo in una prospettiva storica: paura e libertà, potere e libertà, élite e popolo. L’edizione 2022 è su democrazie e autocrazie, un tema ricorrente che lega perfettamente la contemporaneità alle nostre radici.

Quale è il rapporto tra la ricerca storica e la divulgazione?

Una buona divulgazione deve poggiare sulla ricerca storica e gli scrittori in generale (che siano filosofi, storici, ecc.) devono sempre scrivere per farsi comprendere, senza cadere però nella semplificazione. Non vedo una reale dicotomia tra questi due aspetti. I “prodotti” che il Centro studi rivolge al proprio pubblico, che è comunque un pubblico principalmente di studiosi, studiose, persone interessate ai temi della cultura, cercano di rispondere a entrambe le due esigenze, l’approfondimento e la chiarezza. Negli ultimi anni abbiamo poi cercato con convinzione di confrontarci con le varie forme e i vari linguaggi della cultura giovanile, cercando un terreno di collaborazione con le associazioni culturali nate dai giovani per i giovani, per poter costruire con loro un dialogo che evitasse la retorica delle celebrazioni.

Per i centoventi anni dalla nascita di Piero Gobetti (2021) e di Ada Prospero (2022) abbiamo in effetti dato vita ad un dialogo fecondo con realtà culturali giovanili con cui non eravamo mai entrati a contatto: questo incontro ci ha permesso di raccontarci e di far conoscere il Centro anche sperimentando con il progetto “Twenties” nuovi linguaggi e nuovi format. Quali sono le linee principali del lavoro del Centro nei prossimi anni?

Alcune direttrici storiche del nostro lavoro ci sono suggerite dal calendario civile, anzi dalle nostre radici. Il 2023 è il centenario della casa editrice di Piero Gobetti; il 2024 ricorrono il ventesimo della morte di Bobbio, il cinquantesimo di quella di Antonicelli, il centenario della rivista gobettiana letteraria “Baretti”; il 2026 è il centenario della morte di Gobetti. Un lavoro e un impegno che fanno tremare le vene ai polsi.

Una linea di lavoro a me molto cara è quella del Gobetti editore e dell’altro Gobetti.

Tra le varie linee di lavoro in campo ricordo la prosecuzione della pubblicazione del catalogo della casa editrice di Gobetti presso Edizioni Storia e Letteratura, a cura del Comitato Edizioni Gobettiane, presieduto da Bartolo Gariglio, e la pubblicazione dei carteggi gobettiani 1924 e 1925-26, presso Einaudi, a cura di Ersilia Alessandrone Perona. Per quanto riguarda l’altro Gobetti, stiamo pensando a un approfondimento dedicato al critico d’arte, letterario e teatrale. Segnalo che il Centro si è fatto in qualche modo editore con le sue collane: “Collana gobettiana”, con Aras Edizioni, “Cfr. Collana di storia delle idee”, con Raineri Vivaldelli e “Studi bobbiani”, con Biblion edizioni, che inizia nel 2022 con il libro La persona laica di Cesare Pianciola.

In questi ultimi anni, quelli della mia collaborazione, si sono aggiunte nuove direttrici di lavoro: in particolare penso alla critica della cultura e all’attenzione ai nuovi centri culturali.

Dei nuovi centri culturali mi sono occupato nel mio libro La cultura dell’iniziativa5. Nelle loro espressioni più conseguenti, penso, per fare un esempio, a Officine culturali, una realtà di Catania con cui collaboriamo da tempo, i nuovi centri culturali sono una versione aggiornata al nostro tempo della cultura dell’iniziativa. Dal punto di vista di una critica liberale della cultura, con le categorie di Piero Gobetti, si può sostenere che esistono, si confrontano e si scontrano tra loro due culture: la cultura della genialità e la cultura dell’iniziativa. Sono due modi opposti di porre il problema politico, e il problema della cultura, dall’alto: il paternalismo; dal basso: l’autonomia. Se la genialità ci impressiona, ci rassicura e ci solleva dai nostri obblighi, l’iniziativa ci emoziona, ci inquieta, ci richiama alle nostre responsabilità. La cultura della genialità insegue le mode, la cultura dell’iniziativa interpreta le tendenze. Con le parole del giovane teorico di una rivoluzione liberale più immaginaria che reale, eppure tanto attuale quanto desiderabile: «non c’è cultura fuori dell’iniziativa, della conquista, dell’esercizio diretto». La cultura dell’iniziativa poggia su una antica parola d’ordine – il conflitto – che non è molto in voga oggi, anzi è poco quotata alla borsa dei valori correnti, eppure è moderna, anzi contemporanea, solida e resistente, meno scivolosa e quindi più capace di resistere ai cambi di stagione. Quale conflitto? Un conflitto nonviolento, fermo nelle premesse, deciso tanto nei mezzi quanto negli scopi. La ragione non coincide con la vittoria, né il torto con la sconfitta. Nella dialettica nonviolenta delle forze l’unica cosa che conta non è vincere.

Il Centro dedica una particolare attenzione ai diritti di genere.

Le vocazioni di un istituto culturale si arricchiscono della sensibilità di chi vi lavora, collabora, porta il proprio contributo. Quanto al genere, abbiamo proposto la lezione di Ada e di Bianca alle associazioni e ai movimenti delle donne, affidando la problematica a gruppi di giovani donne e ponendoci in ascolto. Ricordo il libro Ada e le altre, a cura di Angela Arceri e Romina Capello6, e il progetto “La Repubblica delle donne”. Il 25 novembre, la Giornata contro la violenza sulle donne, è diventata un appuntamento fisso del nostro calendario dei diritti. Non si può confondere la cultura delle donne con la cultura per le donne. Quest’ultima è una inconsueta quanto paradossale, insopportabile, forma di paternalismo al femminile: il sessismo si esprime in parole e azioni, omertà e atteggiamenti complici, non risparmia né la politica né la cultura, è inammissibile moralmente, improponibile politicamente, incomprensibile culturalmente.

Tra i temi ricorrenti e i problemi del presente quale pensi sia quello da mettere, scusa il bisticcio delle parole, al centro del lavoro del Centro?

Direi in generale la politica che, nella tradizione del Centro, è da indagare e rivisitare in relazione all’etica, alla cultura, alla storia, al diritto, senza trascurare l’economia, la sociologia, l’antropologia, la psicologia, l’arte, la letteratura. La politica è una passione alta e nobile e le va restituita la funzione e la dignità che le spetta.

Lo scorso anno abbiamo compiuto come Centro studi sessant’anni. Forse, chiederci dove saremo nei prossimi sessant’anni è un po’ arduo, possiamo però dirci dove ci vediamo nei prossimi dieci anni?

Distinguerei almeno tre piani: il rapporto con le istituzioni, gli spazi, i valori. Sul piano istituzionale immagino un Centro radicato nella sua città, Torino, con una forte vocazione nazionale, europea e internazionale, in dialogo con l’Università e la scuola; con gli istituti culturali torinesi, il Polo del ’900 e l’Associazione degli istituti culturali italiani (Aici); con il Terzo settore, le associazioni di base e i movimenti. Un Paese che non investe nella cultura condanna se stesso al declino. La priorità non è rafforzare la cultura in base alle esigenze dell’industria e del mercato. In giro per l’Italia, ci sono tante piccole comunità di idee e valori che, spesso in modo silenzioso ma con una straordinaria determinazione, provano a coniugare un nuovo modo di pensare, sperimentando una solidarietà d’esistere concreta e operosa. Una Italia civile d’antica memoria, in cui ci si può insieme riconoscere e su cui si può costruire. Perché non le diamo voce, spazio, potere?

Quando parli di spazi, credo che tu ti riferisca al futuro della casa di Piero e Ada Gobetti.

Casa Piero e Ada Gobetti è un luogo di una memoria vivente testimoniata dagli oggetti straordinari che vi sono custoditi, come la macchina da scrivere e la scrivania di Piero Gobetti, uno spazio pubblico che immagino sempre più aperto, irrobustito da un punto di vista digitale e tecnologico, per permettere ai patrimoni di essere fruibili anche a distanza e per essere sempre più al servizio di studenti, studentesse, studiosi e studiose, e della cittadinanza. L’auspicio è lo stesso formulato da Bobbio quando siamo nati sessant’anni fa: che il Centro non sia «soltanto un museo o un archivio», ma che si proponga come «un luogo ideale per incontri, riunioni, piccoli gruppi di studio e di ricerca», e che sia dedicato ai giovani: «ci attendiamo che essi vi diano impulso, non solo come frequentatori, ma anche come collaboratori e promotori di nuove iniziative».

Quali sono i valori che contraddistinguono e contraddistingueranno la storia e il futuro della nostra comunità attiva?

Ne indico due che ci arrivano da Piero Gobetti. Il primo è per Gobetti il «solo valore incrollabile al mondo»: l’intransigenza, che è sempre un impegno per la libertà ed è rivolta verso noi stessi e mai verso l’altro, altrimenti si tramuta in intolleranza; il secondo è l’idea di una rivoluzione liberale, intesa come un moto di liberazione e di emancipazione dei deboli dal basso, nel segno della libertà.


Note

1 Pietro Polito, Pina Impagliazzo (a cura di), La forza del nostro amore, Firenze, Passigli, 2016.

2 Norberto Bobbio, Franco Antonicelli. Ricordi e testimonianze, Torino, Bollati Boringheri, 1994.

3 Luca Ricolfi, Loredana Sciolla (a cura di), Senza padri né maestri. Inchiesta sugli orientamenti politici e culturali degli studenti, Bari, De Donato, 1978.

4 Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma, Donzelli, 1994.

5 Pietro Polito, La cultura dell’iniziativa, Fano, Aras Edizioni, 2020.

6 Angela Arceri, Romina Capello (a cura di), Ada e le altre. Donne cattoliche tra fascismo e democrazia, Milano, Franco Angeli, 2013.