“Donne d’Europa”: la realizzazione di un podcast di public history in archivio

“Donne d’Europa”: the creation of a public history podcast in archive

1. La scelta del mezzo: podcast e public history

L’Unione donne in Italia (Udi), sede di Bologna, lavora da anni alla valorizzazione del proprio materiale d’archivio in ottica divulgativa, oltre che scientifica. Un filone che recentemente è stato oggetto di riflessione, produzione e sperimentazione è quello che sfocia nella creazione di materiale multimediale e, in particolare, di podcast. Dopo il ciclo “Donne, diritti e democrazia tra passato e futuro”1, realizzato in occasione del settantacinquesimo anniversario di Udi, nel 2021 si è deciso di affrontare il rapporto tra le donne, l’Europa e i suoi organismi, guardando in particolare alle elezioni del 7 giugno del 1979, le prime dirette per il Parlamento europeo.

Nelle prossime pagine si descriverà il percorso che ha portato ad una narrazione in un’unica puntata dal titolo: “Donne d’Europa. Le italiane e le prime elezioni del Parlamento Europeo”2. La scelta di focalizzarsi su questo specifico argomento non è stata immediata. L’idea iniziale era, infatti, quella di analizzare più in generale il rapporto tra le donne e il Parlamento europeo, lavorando all’interno dell’archivio dell’Udi di Bologna. Solo dopo un primo spoglio delle fonti e dei documenti, e in particolare dopo aver analizzato alcune annate della rivista di Udi “Noi Donne”, la ricerca è andata restringendosi attorno alle elezioni del 1979, apparse da subito molto interessanti per due ragioni in particolare: innanzitutto quelle del ’79 furono, come già sottolineato, le prime in cui i cittadini europei votarono direttamente i membri del Parlamento; in secondo luogo, attraverso le varie fonti via via consultate, emergeva la grande rilevanza che quelle elezioni ebbero anche e soprattutto per le donne europee e italiane, sia per le aspettative ripostevi che per i risultati ottenuti. Infine, il fatto straordinario che la vittoria delle prime elezioni per la presidenza del Parlamento sia andata ad una donna, Simone Veil, ha presto convinto dell’opportunità di focalizzare la ricerca e gran parte del podcast stesso sulle elezioni del 1979.

Il podcast realizzato da Udi vuole mettere in evidenza il continuo intreccio tra la storia di genere, la storia del lavoro, la storia sociale e la storia locale. Il materiale proposto traccia, infatti, il rapporto che hanno avuto le donne con la loro prima elezione al Parlamento europeo, ma anche l’idea che la società ebbe di questa importante innovazione in campo politico e sociale. Coerentemente con le finalità e le modalità della public history, nel realizzare il podcast si è cercato di creare un prodotto che fosse fruibile a tutte e tutti. Per raggiungere questo scopo, più volte è stato necessario non solo selezionare ma anche semplificare quanto emerso dalle fonti. Il ruolo cruciale dello storico o di chi si occupa di public history, è proprio questo: semplificare dei concetti in modo che la storia possa arrivare al pubblico. A questo punto, a chi scrive preme chiarire la ragione per cui si ritiene importante che il tema proposto nel podcast arrivi a un pubblico di vasta scala e non rimanga piuttosto relegato agli archivi. La risposta è che attraverso la divulgazione di fonti così rilevanti si può approfondire e meglio intendere il ruolo avuto dalle donne nella storia del Parlamento europeo, seppur fortemente limitato.

Relativamente al contenuto del podcast, come vedremo, è stato fondamentale esplorare il quadro più ampio del rapporto tra le donne e la politica, italiana ed europea, nel contesto del Secondo dopoguerra e della costruzione della Comunità europea. Parallelamente, si è scelto di focalizzarsi su alcuni elementi della cosiddetta microstoria: è stato il caso, ad esempio, delle vicende e del ruolo di alcune attrici fondamentali, come Fausta Deshormes e Marisa Rodano, o, ancora, dell’azione politica di determinati organismi europei e locali.

2. La scelta del tema e le fonti archivistiche

Per affrontare il lavoro, si è costituito un team multidisciplinare e intergenerazionale, la cui composizione si è rivelata di grande supporto nelle fasi di progettazione e realizzazione del podcast. Formato da storiche, storici e un’attrice-regista, di età ed aree di interesse diverse, il gruppo ha scelto di procedere seguendo un percorso di costruzione collettiva. La volontà è stata quella di integrare gli spunti provenienti da tutti per creare un prodotto che fosse divulgativo e al tempo stesso vario, dinamico nel proporre i vari interventi. È stata la logica della public history a costituire la linea guida del lavoro: si è infatti cercato di costruire la narrazione in modo leggero, pur mantenendo il carattere specialistico delle fonti utilizzate. La presenza della regista Donatella Allegro ha aiutato a fornire al progetto una veste divulgativa, mentre la supervisione scientifica della storica Eloisa Betti a garantirne il rigore storico. La ricerca del giusto compromesso ha inevitabilmente richiesto uno sforzo di mediazione, a volte anche tra posizioni diverse tra membri del team, essenzialmente tra coloro che immaginavano un prodotto leggero, interessante ma coinvolgente e seguibile, e chi ribadiva l’importanza del valore delle fonti consultate e la necessità di renderne almeno in parte il carattere scientifico. Sì è quindi cercato di trovare un giusto equilibrio tra queste due tendenze, mantenendo una prospettiva solo parzialmente accademica, selezionando le fonti più rilevanti da inserire nel filo narrativo.

Come già accennato, la fase di spoglio delle fonti condotta all’interno dell’archivio di Udi Bologna ha riservato le prime sorprese, rivelando molti materiali, particolari e distinti, che presentavano un quadro complesso. È stato quindi necessario fare una prima selezione di testi come base della narrazione: tra questi Il Parlamento Europeo e i diritti delle donne di Marisa Rodano3. Lo stesso è accaduto con gli articoli di “Noi Donne”4 e la letteratura consultata sul tema, come il testo di Federica Di Sarcina, L’Europa delle donne5. Accanto a questi materiali, dall’archivio sono emersi alcuni documenti interessanti, come volantini di promulgazione di seminari ed eventi organizzati in vista delle elezioni. Questa seconda tipologia di documenti ha permesso di allargare lo sguardo dalla prospettiva più generale ad alcuni ambienti specifici: è stato questo il caso di un volantino di promozione del convegno “Donne, Sicilia, Europa” organizzato dalla Consulta regionale femminile siciliana in vista delle elezioni del 19796. Si è rivelato altrettanto utile leggere un volantino simile, distribuito per promuovere un seminario intitolato “Il movimento delle donne e l’Europa”7, organizzato dal Centro studi Elsa Bergamaschi di Udi, anch’esso in occasione delle elezioni per il Parlamento europeo. Materiali come questi si sono rivelati preziosi per comprendere l’impatto e la portata delle elezioni del 1979, impatto che risulta ancora più interessante se lo si confronta con quanto accade ai tempi nostri, caratterizzati in genere da una scarsa coscienza, da parte di cittadine e cittadini, della dimensione europea del nostro vivere quotidiano e del nostro agire politico. È proprio alla luce di queste considerazioni che si è scelto di utilizzare e citare alcuni estratti di questi documenti che rendono parole dirette e non rivisitate, il cui peso è importante per restituire la temperie di quegli anni. È stato forse ancor più interessante ragionare sulla collaborazione fra i vari enti e comitati femminili europei in preparazione alle elezioni.

3. Alcune protagoniste

Una delle figure più rilevanti è sicuramente quella di Fausta Deshormes La Valle, di cui si è scelto di raccontare la vicenda e il lavoro. Giornalista e funzionaria europea, Fausta Deshormes è considerata una delle madri dell’Europa unita. Il suo Informazione della stampa e delle organizzazioni femminili, insieme a “Donne d’Europa”8, bollettino edito dalla Commissione delle comunità europee, è stato di fondamentale importanza per comprendere il clima in cui si votò nel 1979. Si è deciso di utilizzare entrambi i documenti, dato il loro particolare valore. Dalle riflessioni contenute nell’Informazione emerge chiaramente una grande preoccupazione per le condizioni presenti e future delle donne europee. È noto infatti che il clima in cui si votò nel 1979 era caratterizzato dalla crisi economica di quegli anni. Nel suo intervento all’interno del podcast, Eloisa Betti ha messo bene in luce la situazione, rilevando come i tassi di disoccupazione fossero altissimi e il fenomeno avesse colpito soprattutto le donne: le lavoratrici europee erano state dunque i soggetti più esposti alla crisi degli anni Settanta. La condizione delle lavoratrici era, e purtroppo è ancora, differente rispetto a quella dei lavoratori: le fonti consultate e utilizzate in questo lavoro sono molto esplicite a riguardo. È la stessa Fausta Deshormes, nel testo qui citato, a parlare di persistenza delle disuguaglianze di trattamento, così come di salario, tra uomo e donna. È preoccupante, se non addirittura sconfortante, osservare come quelle disuguaglianze siano dure a morire tutt’oggi, in una situazione solo parzialmente mutata.

Nel bollettino “Donne d’Europa” si affermava che il 12 agosto del 1978, poco meno di un anno prima delle elezioni del Parlamento europeo, tutti i paesi della Comunità Europea (Cee) avrebbero dovuto modificare la loro legislazione in materia di condizioni di lavoro. Nello specifico, tutti i paesi membri della Cee avrebbero dovuto lavorare affinché non vi fossero più disparità fra uomini e donne nell’accesso alla professione, alla formazione e nelle condizioni di lavoro. Le riflessioni di Fausta Deshormes rivelano preoccupazione, ma non abbattimento: nell’Informazione sottolineava, infatti, come tutto restasse ancora da fare. Era necessario, affermava, continuare a fare pressione sui sindacati, i luoghi di lavoro e la politica affinché la direttiva comunitaria venisse applicata. Enfatizzava poi l’importanza dell’impegno delle donne nel contesto europeo, in ambito lavorativo e non, per «prendere il posto che ci spetta». La scelta di utilizzare e citare queste fonti era quasi obbligata, data la loro rilevanza sia dal punto di vista contenutistico che da quello simbolico: la particolarità di questi materiali è infatti quella di rivestire un immenso valore simbolico ed emotivo, oltre che scientifico. Nel lavoro storico rimane fondamentale il dialogo con le fonti e nella costruzione di un podcast di questo tipo non era possibile ignorarle, proprio nell’ottica di rivolgersi anche a un pubblico non specialistico.

Un filo fondamentale è nato con i lavori e la figura di Maria Lisa Cinciari Rodano, di cui si è scelto di raccontare parte della vita e dell’impegno politico, concentrandosi in particolare sul suo ruolo di deputata europea. Rodano iniziò la sua attività politica ancora giovanissima, militando negli ambienti antifascisti dell’Università di Roma e venendo arrestata già nel 1943 per attività clandestina. Entrò nel comitato di Udi appena questo venne fondato e nel 1946 fece il suo ingresso nel Partito comunista italiano, con cui venne eletta deputata per la prima volta nel 1948, partecipando a quattro legislature. Eletta senatrice nel 1968 e nel 1972, divenne deputata europea nella circoscrizione dell’Italia centrale. In quei panni Rodano firmò, con altre quarantatré eurodeputate, una proposta per l’istituzione di una commissione per i diritti della donna. La proposta, avanzata nell’ottobre del 1979, fu approvata: la commissione concluse i lavori nel 1981, emanando un’importante risoluzione sulla condizione della donna nella Comunità europea. La risoluzione fu poi ispiratrice del primo piano d’azione sulle pari opportunità varato dalla Cee nel 1982. Le riflessioni di Marisa Rodano in merito alla risoluzione, raccolte ne Il Parlamento Europeo e i diritti delle donne, sono apparse fondamentali: Rodano enfatizzava quello che è stato, secondo la sua analisi, un salto di qualità dell’interesse per i problemi della donna dopo le elezioni del 1979. Si è ritenuto quindi necessario dedicare ampio spazio alla figura di Marisa Rodano, rispetto alle elezioni del 1979 ma non solo, sia per mettere in luce il lavoro di una donna italiana all’interno delle istituzioni europee, sia per mostrare le interconnessioni e lo svolgimento di un lungo processo a difesa dei diritti delle donne, che è ancora in opera. Guardare alle criticità sollevate dalla Commissione d’inchiesta sulla condizione della donna in Europa, di cui Rodano divenne presidente nel 1982, è apparso doveroso. Marisa Rodano, riflettendo sui lavori della commissione da lei presieduta, lanciava un grido d’allarme rispetto ai meccanismi creati dalle situazioni di crisi, le cui condizioni si abbattono spesso sulle donne, come è avvenuto negli anni Settanta ma anche in periodi molto recenti, come la pandemia di Covid-19. Rodano evidenziava come la tradizionale e (ancora) non superata divisione dei ruoli sociali secondo il sesso rischiasse di acuirsi, affermando che «la dicotomia tra un uomo destinato al lavoro extradomestico e una donna ricacciata nel privato minaccia di aggravarsi». Risulta quasi sconcertante, o forse non così tanto, ragionare sull’attualità di queste parole e della risoluzione del 1981.

4. Apertura al presente: le interviste

Come si è detto, una delle volontà alla base del podcast era quella di creare un prodotto di public history, in legame diretto con l’attualità. Per questo motivo si è scelto di ampliare in due direzioni il lavoro prettamente storico, nello specifico con due interviste. Si è dunque individuata una testimonianza diretta e coeva sulle elezioni de 1979, raccogliendo il contributo della presidente di Udi Bologna, Katia Graziosi, che ha parlato del suo entusiasmo per le elezioni e della speranza generata nei comitati femminili europei dall’elezione di Simone Veil alla presidenza del Parlamento europeo. Si è quindi scelto di riportare la riflessione sulla contemporaneità più stretta, chiedendo a una “giovane donna d’Europa” scelta all’interno dello stesso gruppo di lavoro (Chiara Cozzatella) una riflessione su alcuni degli interrogativi posti da Marisa Rodano. È emerso il desiderio di un’Europa aperta e inclusiva, in grado di farsi luogo di dialogo e laboratorio di diritti. Nonostante ciò, non sembra mancare una grande preoccupazione, tutta contemporanea, per il futuro delle giovani donne europee e per le possibilità a loro aperte. Si è infine scelto di concludere il lavoro con uno sguardo storico sul ruolo dell’Unione europea e delle sue istituzioni, affidando la riflessione ancora a Katia Graziosi. Graziosi ha espresso la sua speranza per il futuro, parlando di un’Unione europea in grado di legare insieme tutti i suoi membri, nella necessità di puntare su una società che bandisca le guerre e costruisca dei valori comuni. Queste parole, pronunciate prima delle vicende di febbraio 2022, risultano ancor più forti se ascoltate nel momento presente. La fiducia di fronte all’unione e vicinanza di molte più donne oggi, rispetto all’allora di cui parla Graziosi, non può che dare speranza. Alla luce di queste riflessioni, un podcast storico con un forte richiamo a riflettere sulla contemporaneità sembra acquisire più senso e valore. Nonostante il lavoro di ricerca e realizzazione spesso prenda e muti forma in itinere è importante precisare che la scelta di realizzare un prodotto divulgativo con questi materiali e con queste modalità è stata ragionata e intenzionale e, a conti fatti, in linea con gli obiettivi che si volevano raggiungere, anche relativamente al pubblico potenziale di riferimento.

5. Note tecniche di Donatella Allegro

Il podcast “Donne d’Europa. Le italiane e le prime elezioni del Parlamento Europeo” è stato realizzato da Udi Bologna nel dicembre 2021 all’incrocio di due filoni di attività: da una parte una serie di appuntamenti sul tema “Donne, lavoro e diritti in Europa”, promossi nello stesso anno da Udi insieme alla Fondazione Ivano Barberini; dall’altra, la creazione di prodotti multimediali a carattere storico che l’associazione periodicamente realizza a partire da materiale d’archivio ma anche da interviste originali e rielaborazioni. La scelta di intraprendere la strada della produzione di podcast (e talvolta di video, in cui le voci narranti sono accompagnate da immagini), è stata dettata principalmente dalla volontà di sperimentare la reazione di materiali complessi come quelli d’archivio ‘piegati’ a forme di fruizione veloce come sono i video e gli audio nel tempo della rete, all’interno di un più complesso dialogo tra associazioni e public history.

Oggi il podcast è un prodotto relativamente facile da realizzare e da divulgare: in fondo non si tratta che di un contenuto video o audio on demand, fruibile o scaricabile dal web senza limitazioni particolari se non quelle eventualmente imposte dalle piattaforme o dai siti che ospitano i contenuti. Produttori di podcast non sono solo le emittenti radiofoniche e i grandi distributori, ma anche moltissime realtà scientifiche, artistiche, associative, nonché numerosi amatori, che lavorano singolarmente o in gruppo. Come accade per ogni prodotto disponibile sulla rete, il contraltare di questa grande facilità di promozione e accesso è quello di un’apparente equivalenza dei contributi, in un contesto in cui al fruitore diventa difficile operare una reale selezione degli autori e dei prodotti, e più spesso si trova ad ascoltare ciò che propone la sua piattaforma di riferimento o, non raramente, ad affidarsi al caso. Una grande quantità di prodotti, diversi per durata, impronta stilistica, valore scientifico e/o artistico confluiscono infatti in un mercato estremamente variabile e in grande espansione. In questo panorama, ricco ma complesso, chi decide di adottare questa forma per proporre un prodotto di carattere storico – pure se divulgativo – ha tuttavia un modo sicuro per differenziarsi nei contenuti: ribadire il proprio specifico punto di partenza e non cedere alla tentazione della fiction, agganciandosi al rigore del metodo adottato. Nella pratica: utilizzo di materiale d’archivio, citazione delle fonti, verifica finale da parte di un supervisore scientifico.

A partire da queste premesse metodologiche, che vanno ad affiancarsi alle scelte di tipo più prettamente storico già illustrate, occorreva trovare una struttura convincente. I podcast di approfondimento durano di norma tra i 15 e i 30 minuti e possono prevedere l’impiego di un conduttore/una conduttrice, lettori o lettrici, interviste a esperti, stacchi musicali – oltre, naturalmente, al lavoro di scrittura o di sceneggiatura realizzato dalle autrici o dagli autori coinvolti. Come già evidenziato sopra, a partire da un più generale interesse per la presenza delle donne nelle istituzioni europee, si è scelto di restringere il campo alle elezioni del 1979, che rappresenta un episodio fondamentale ma tutto sommato contenuto, raccontabile, dal punto di vista del prodotto da realizzare, in una sola puntata di circa 20 minuti: un tempo di discreta lunghezza all’ascolto, ma straordinariamente breve per chi deve occuparsi di selezionare i materiali. Il prodotto finale è risultato in realtà di 22 minuti circa, comprensivo di sigle di testa e coda.

Di fronte a questo compito, un’associazione come un’istituzione si trova ad un bivio: esternalizzare completamente la produzione, affidando materiali e desiderata a un’agenzia di produzione di oggetti multimediali, se non addirittura specializzata in podcasting, o gestire il progetto al suo interno. Per questo progetto Udi, nella figura della responsabile scientifica dell’Archivio Storico Eloisa Betti, ha scelto di percorrere una modalità intermedia, affidando la ricerca e la selezione del materiale ai giovani storici che collaborano con l’associazione ma delegando a collaboratori esterni abituali, con diverse competenze artistiche e tecniche, gli aspetti produttivi e la realizzazione materiale. Della regia complessiva e della registrazione si è occupata chi scrive, Donatella Allegro, mentre il montaggio e la finalizzazione sono stati a cura di Andrea Bacci, regista oltre che montatore e già autore di diversi documentari a carattere storico-divulgativo9, e dunque in grado di adoperare uno sguardo e un orecchio autoriali anche negli interventi più tecnici.

Chiariti i ruoli e le finalità, e a partire da un gruppo di lavoro ad hoc, quindi non normalmente avvezzo a lavorare in team su prodotti di questa natura, diventava indispensabile concordare uno stile di lavoro condiviso. La scelta di mantenere una forte connotazione storico-scientifica si è realizzata attraverso una scansione molto netta delle parti: la conduzione storica, che introduce i fatti e prepara all’ascolto dei materiali documentali, è stata affidata alla storica Eloisa Betti sia nella redazione del testo che nella messa in voce; la lettura dei materiali originali (volantini, opuscoli, lettere, etc.) è stata a cura di una speaker (Donatella Allegro), secondo una modalità concordata: restituire un certo grado di neutralità e la massima chiarezza, senza eccessi interpretativi. Di ogni testo, come già accennato, sono state fornite in voce e a commento della pubblicazione le coordinate principali, vale a dire: anno, autrice, titolo.

È evidente che alcuni materiali, proprio per la loro natura, (per il linguaggio utilizzato, giuridico o comunque specialistico; per la lunghezza, etc.) potrebbero non essere compresi al cento per cento se fruiti solo attraverso ascolto, quando richiederebbero piuttosto una lettura attenta, e magari ripetuta. Bisognava tuttavia accettare il rischio: proporre materiale non narrativo in un prodotto tutto sommato destinato al tempo libero significa impegnare consapevolmente gli uditori, chiedendo loro uno sforzo ma al tempo stesso lasciando la possibilità di approfondire in un momento successivo, a partire dagli elementi forniti. Non erano impossibili, tuttavia, le operazioni di alleggerimento e selezione: il più delle volte si è fatta una scelta, a togliere, vale a dire scegliendo le parti più semplici e abbreviando i testi con tagli interni (eventualmente colmati dalla narrazione storica), rinunciando ad alcuni dettagli ma salvando la possibilità di fruizione per i meno esperti – e comunque senza mai alterare in modo significativo i testi originali. Nonostante questa cura rivolta al dato scientifico, l’effetto che si è cercato di restituire è quello, anche emotivo, di una moltitudine di voci e di donne, più o meno note, che sono in grado di parlare anche a chi vive nel tempo presente. Ecco perché verso la fine del podcast i ruoli si invertono: è alle donne di oggi che spetta la conclusione, anzi l’operazione di rilancio verso il futuro anche se con un occhio rivolto al passato; si rompe lo schema della prima parte del podcast, e cioè l’alternanza di introduzioni storiche elaborate a posteriori e documenti coevi a seguire, e si apre lo spazio a due interventi più liberi: quelli di Katia Graziosi e Chiara Cozzatella. Entrambi i contributi sono testimonianze personali e politiche al tempo stesso – come da tradizione femminista – per di più molto adatte al mezzo radiofonico. Si è poi deciso di inserire interventi musicali con la sola funzione di cornice, utilizzando, nello specifico, un brano strumentale messo gratuitamente a disposizione dal musicista Daniele Branchini. La consulenza, il montaggio e la revisione fonica di Andrea Bacci hanno permesso, infine, di conferire al prodotto una buona qualità anche dal punto di vista squisitamente tecnico.

È inevitabile chiedersi, a lavoro concluso, quale sia il destino di questo genere di prodotti. Da una parte, la presenza di questo lavoro sul canale Spotify, oltre che sul sito di Udi, garantisce la facilità di fruizione; dall’altra, è chiaro a chi scrive come alle associazioni promotrici che andrà fatto uno sforzo straordinario di diffusione, anche presso associazioni e scuole, per questo ma anche per gli altri video e podcast realizzati in precedenza. I prodotti di public history hanno infatti un grande potenziale nella didattica, purché si sia in grado di conoscere e di riconoscere quelli più adatti, più autorevoli, più innovativi. L’impegno delle associazioni a raccontare la propria storia condividendo e semplificando anche fonti inedite potrebbe inoltre andare a colmare l’annoso problema dei programmi scolatici arretrati, che ancora oggi nel raccontare la storia contemporanea faticano a scavallare il 1945. E la ricaduta potrebbe non limitarsi alla sola comprensione della storia, ma fungere anche da richiamo alla coscienza civile: scoprire, ad esempio, quanto fu ampia la partecipazione delle italiane e degli italiani nelle elezioni del Parlamento europeo nel 1979, o riscoprire il protagonismo femminile nella costruzione dell’Europa stessa, potrebbe essere sorprendente per gli studenti. È nostra intenzione, dunque, procedere in questo senso, affiancando all’impegno per un linguaggio universale lo sforzo di raggiungere un pubblico più ampio.

È anche per questo che è stata fatta la scelta di lavorare con una squadra costituita ad hoc, facendo interagire competenze diversificate e molto qualificate, controllando ogni fase del processo piuttosto che affidandosi ad una società esterna: per cercare una voce propria nel rumore del web, per avere la certezza di non dover mai rinunciare alla precisione dell’approccio a scapito di format che ‘funzionano’ su un altro tipo di mercato, vale a dire quello di una narrazione suggestiva in cui il piano della divulgazione prevale in modo molto netto su quello storico. Lo sforzo di mantenersi in equilibrio tra questi piani va nella direzione di accogliere il lato migliore della divulgazione sul web, senza perdere di vista il proprio punto di partenza: valorizzazione degli archivi, lavoro in team multidisciplinare, riconoscimento delle competenze, divulgazione della storia e rivendicazione di un approccio di genere.

Note

1 https://www.udibologna.it/podcast-3/, ultima consultazione: 3 settembre 2022.

2 Link al podcast sul sito di Udi Bologna https://www.udibologna.it/donne-deuropa-le-italiane-e-le-prime-elezioni-del-parlamento-europeo/, ultima consultazione: 3 settembre 2022. Link al podcast su Spotify https://open.spotify.com/episode/4VPboINzhvemV4Fuwxzv1l?si=c245e08c0c27428e, ultima consultazione: 3 settembre 2022.

3 Marisa Rodano, Il Parlamento Europeo e i diritti delle donne, Roma, Europa-Italia, Quaderno 11, 1984.

4 Noi Donne, Organo di stampa dell’Unione Donne Italiane (1978-1980).

5 Federica Di Sarcina, L’Europa delle donne: la politica di pari opportunità nella storia dell’integrazione europea (1957-2007), Bologna, Il Mulino, 2010.

6 Archivio Udi Bologna (d’ora in poi Audibo), Fondo Comitato provinciale Udi Bologna (d’ora in poi Udibo).

7 Il Movimento delle donne e l’Europa, Centro di Formazione e studi “Elsa Bergamaschi” in Audibo, Fondo Comitato provinciale Udibo, b. 60, fasc. “Comunità Europea II-9”.

8 Donne d’Europa, Bruxelles, luglio/agosto 1978 – n. 4/78 in Audibo, Fondo Comitato provinciale Udibo, b. 60, fasc. “Comunità Europea II-9”.

9 Vedi il profilo autore: https://clionet.it/andrea-bacci, ultima consultazione: 3 settembre 2022 e gli articoli Andrea Bacci, “Mosche bianche”: Il documentario sulle pioniere della tecnica, in “Clionet. Per un senso dei tempi e dei luoghi”, 2021, vol. 5; Andrea Bacci, Eloisa Betti, “Paura non abbiamo”. L’Italia degli anni Cinquanta attraverso le lotte per i diritti delle donne e del lavoro, in “Clionet. Per un senso dei tempi e dei luoghi”, 2017, vol. 1.