L’Italia s’è desta. Spagna ’82: riflessi politici sul mondiale

L’Italia s’è desta. Spain ’82: political repercussions on the World Cup

In apertura: prima pagina de “La Gazzetta dello Sport” del 12 luglio 1982.

Quarant’anni fa, l’11 luglio 1982, allo Stadio Bernabeu di Madrid la nazionale italiana vinse il campionato del mondo battendo in finale la Germania Ovest per 3 a 1. Al termine dell’incontro, l’entusiasmo collettivo che si riversò nelle strade e nelle piazze sembrò esorcizzare le difficoltà che viveva il Paese segnato da una grave crisi politica, economica e sociale1.

In apertura degli anni Ottanta i colpi di coda della tragica stagione brigatista mietevano nuove vittime mentre erano vivi il dolore e l’indignazione per la strage di Bologna del 2 agosto 1980. In Sicilia la mafia colpiva esponenti dei partiti come il democristiano Piersanti Mattarella e il comunista Pio La Torre. La scoperta degli elenchi degli appartenenti alla loggia massonica P2 di Licio Gelli faceva emergere la presenza di centri di potere occulto finalizzati alla destabilizzazione dell’ordine democratico. Si susseguivano episodi di corruzione e scandali, culminati con il crack del Banco Ambrosiano. Produzione stagnante, inflazione a doppia cifra, debito pubblico oltre la metà del Pil, disoccupazione vicina al 10% erano gli indicatori della crisi economica che stava attraversando l’Italia.

La difficile congiuntura economica pesava anche sul bilancio del calcio: le società subivano «la crisi inflazionistica che con il rialzo dei tassi di interesse rese sempre più soffocanti gli oneri finanziari»2. Il deficit dei club passò nel biennio 1977-1978 da 50 a 130 miliardi3. Il mondo del pallone era inoltre scosso dallo scandalo del calcio scommesse, esploso nel 1980, che aveva coinvolto numerosi giocatori, dirigenti e società. Quanto ai risultati sportivi, il football italiano stentava ad affermarsi sul piano internazionale sia con gli azzurri che nelle competizioni per club.

L’avventura spagnola della nazionale fu inizialmente accompagnata da un diffuso pessimismo, confermato dai pareggi incolori con Polonia, Perù e Camerun nel girone di qualificazione. Attaccati dalla stampa, gli azzurri si compattarono intorno all’allenatore Enzo Bearzot e iniziarono un percorso vincente contro Argentina, Brasile, Polonia fino all’entusiasmante partita con la Germania Ovest.

Il cammino della nazionale suscitò dibattiti e commenti nei quali la dimensione calcistica si intrecciava con quella politica.

Giovanni Spadolini, l’esponente del Partito repubblicano che guidava un governo pentapartito4, pur non essendo interessato allo sport non perse occasione per intervenire sulle vicende dei Mondiali.

Il 1° giugno, alla vigilia della partenza degli azzurri per la Spagna, invitò dirigenti, tecnici e calciatori a Palazzo Chigi. Ricorrendo ad un’analogia che ritornerà in altri interventi, Spadolini paragonò la sua squadra di governo, più volte invitata a ritrovare compattezza in un momento critico, alla nazionale: «io ricordo sempre che Machiavelli equiparava la fortuna alla virtù […]. Nel vostro caso, virtù calcistica: i risultati che nascono dalla tecnica, dalla fiducia in voi stessi e nella squadra. Come capitano della squadra che si chiama Governo, io non mi stanco mai di ripetere il concetto di collegialità»5. Ai giocatori affidava il compito di essere testimoni di italianità nel mondo e, riferendosi al conflitto in corso tra l’Inghilterra e l’Argentina per le isole Falkland, «messaggeri di pace»6.

Dopo la partita con l’Argentina e fino al termine della competizione si moltiplicarono le sortite del capo del governo sulle vicende calcistiche spagnole. Il 29 giugno, mentre era impegnato in una trattativa con il sindacato sul problema della scala mobile che rischiava di minare la fiducia al governo, si affacciò dal balcone di Palazzo Chigi «divenendo d’improvviso l’oggetto delle manifestazioni di giubilo»7. A suo dire, la vittoria contro la squadra sudamericana aveva contribuito a «rasserenare gli animi» nella «delicata riunione sindacale»8.

Al termine del match con il Brasile Spadolini si spinse fino ad accostare le vittorie calcistiche alla liberazione del generale Dozier, sequestrato dalle Brigate Rosse, elevandole a «simboli di una rinnovata credibilità italiana agli occhi degli osservatori internazionali»9 e paragonandole all’impresa di Bartali al Tour de France del 1948 per la loro capacità di stemperare le tensioni politiche e sociali10. Il calcio, chiosava il presidente del Consiglio, era riuscito a «rafforzare il senso di unità nazionale»11.

Una volta ritornati in Italia, gli azzurri furono nuovamente invitati a Palazzo Chigi. Rivolgendosi a loro, Spadolini sottolineò l’esemplarità dell’esperienza sportiva rispetto alle difficoltà che stavano vivendo il governo e l’intero Paese:

io vedo, caro Bearzot e caro Zoff, in questa vostra vittoriosa coesione, fatta di comportamenti individuali riservati e determinati, un augurio anche per la mia squadra. […] E questo augurio vale, cari amici, per tutti gli italiani che lavorano e che studiano e che, dalla vostra impresa, hanno tratto l’esempio e il monito della serietà e del sacrificio, esempio e monito che resteranno al di là della felicità di queste notti d’estate12.

Anche Sandro Pertini, il presidente socialista e partigiano, pur essendo come Spadolini estraneo al calcio, intervenne a più riprese nel corso del mundial. Orgoglio nazionale e sintonia con il sentimento popolare furono i tratti principali che caratterizzarono i discorsi e gli atteggiamenti del capo dello Stato durante la competizione, in un crescendo che coincise con i successi degli azzurri e che si manifestò anche in un’empatia nei loro confronti, in particolare con Bearzot e con giocatori simbolo come il capitano Dino Zoff.

In visita a Parigi per incontrare il presidente francese Mitterand, Pertini seguì i quarti di finale contro il Brasile nella sede della rappresentanza diplomatica italiana. Durante l’intervallo della partita, notava il cronista del “Corriere della Sera”, «è sceso tra la folla degli invitati, ha stretto centinaia di mani, ha abbracciato diversi compagni di esilio […] facendosi a stento largo in quell’affettuoso abbraccio collettivo che avveniva sul prato del parco»13.

Alla vigilia della finale Pertini decise di recarsi in Spagna. Nel suo diario l’allora segretario generale della Presidenza della Repubblica Antonio Maccanico faceva dipendere questa scelta dall’insistenza del re Juan Carlos che gli aveva telefonato «per ringraziarlo dell’azione svolta a favore dell’ingresso della Spagna nella Comunità europea» e dalla «notizia (poi risultata falsa) dell’intenzione di Spadolini di andare lui (il Presidente comincia a vedere in Spadolini un concorrente in popolarità)»14.

Dopo avere esultato al Bernabeu a fianco di Juan Carlos, nelle interviste rilasciate sull’aereo presidenziale che lo riportava in Italia insieme alla compagine azzurra il capo dello Stato attribuì alla vittoria un valore esemplare per un Paese che attraversava un momento difficile e che aveva vissuto grazie allo sport attimi di serenità:

La squadra azzurra ha saputo superare contro ogni pronostico enormi difficoltà. Il popolo italiano può trovarvi un esempio per impegnarsi e riuscire a sua volta a superare i molti ostacoli che ci sono sulla strada delle mete che il paese si propone di raggiungere. […] Una sosta nelle preoccupazioni, nella tristezza, nell’insoddisfazione […]. Dopo sei giorni di lavoro viene la domenica, no?15

Sbarcati a Ciampino, gli azzurri seguirono su un pullman l’Alfetta blu presidenziale con a bordo Pertini, Bearzot e Zoff nel tragitto verso il Quirinale, tra lo folla festante assiepata ai bordi della strada16. Rompendo il protocollo, durante la colazione al Quirinale il capo dello Stato volle accanto a sé l’allenatore e il capitano della nazionale nei posti che spettavano al presidente del Coni Carraro e al ministro del Turismo e dello Spettacolo Signorello17.

Anche l’“Avanti!”, organo del Psi, diede ampia rilevanza agli interventi del presidente che incarnava peraltro un’idea di socialismo molto diversa dall’orientamento impresso al partito da Bettino Craxi. Alcuni articoli del quotidiano davano una lettura politica della vicenda sportiva che palesava tracce del nuovo corso craxiano.

Nell’interpretazione di Ugo Intini la vittoria degli azzurri appariva come un successo del made in Italy, un tema sul quale il Psi aveva organizzato un convegno osteggiato da «una sedicente sinistra» che il direttore dell’“Avanti!”, alludendo al Partito comunista, considerava ancorata «al rifiuto ideologico della moderna società industriale». Pragmaticamente e con piglio spregiudicato rispetto alle tradizionali posizioni della sinistra italiana, Intini osservava che qualcuno stava già facendo «i conti del vantaggio economico in arrivo al seguito della vittoria azzurra». Qualsiasi «campagna pubblicitaria per dare nel mondo una immagine vincente del Made in Italy» sarebbe «poca cosa di fronte al risultato di un grande spettacolo mondiale […] per due miliardi di consumatori». Del resto, concludeva, «accanto al sentimento anche gli affari sono affari, e costituiscono una delle possibili chiavi di lettura del Mundial»18.

Un bersaglio della testata socialista erano i critici dell’entusiasmo popolare e delle manifestazioni di patriottismo suscitate dalla vittoria spagnola. Craxi aveva plaudito alla «grande festa popolare»19 e al sentimento patriottico, già esaltato quando aveva «concluso il congresso socialista di Palermo con le parole “Viva l’Italia”» e «sottolineato la tradizione socialista e al tempo stesso patriottica di Garibaldi». «Finti moralisti e finti internazionalisti» – come Valentino Parlato che su “il Manifesto” si era sottratto all’ondata di patriottismo – avevano invece dimostrato di essere esponenti di «una moda minoritaria» caratterizzata «dalla “sufficienza” verso tutto ciò che anche lontanamente potesse richiamarsi al concetto di Italia»20. «Chi si erge contro il tripudio popolare» – notava Roberto Villetti – «borbotta critiche perché è posseduto dall’atavico spirito […] moralista e parruccone contro il piacere effimero degli spettacoli di massa»21.

Un’interpretazione in chiave politica del mundial emergeva anche dalla pagine de “Il Popolo”. Al termine del torneo sul quotidiano della Democrazia cristiana, che dava in genere poco spazio allo sport, oltre a una disamina tecnica della finale comparve un lungo editoriale nel quale si elogiavano gli azzurri perché avevano trasmesso al mondo un’immagine dell’Italia migliore rispetto agli stereotipi che la dipingevano come patria del terrorismo e della mafia. Per un’«emblematica nemesi», la nazionale aveva battuto in finale la Germania, «il paese in cui si stampò una copertina che raffigurava un piatto di spaghetti con una pistola fumante e sopra c’era scritto che l’Italia era nient’altro che quello, cioè pastasciutta (cibo da poveracci) e terrorismo»22. Bisognava quindi «essere grati agli azzurri»: «l’immagine della penisola ora è più brillante nel mondo. Essi hanno “rifinito” e consolidato […] quell’immagine “positiva” dell’Italia che era venuta fuori ovunque dopo la liberazione del generale Dozier». Il successo azzurro riassumeva «il volto migliore del paese», «accreditandolo in termini di simpatia, di efficienza, […] rispetto, stima. Il che significa che l’Italia non ha vinto soltanto una coppa calcistica, ma tante altre cose, anche più importanti dello sport»23.

L’organo del principale partito di governo approfittava dell’occasione offerta dalla nazionale per rappresentare un Paese nel quale le strutture fondamentali, sportive, economiche e sociali, funzionavano e producevano risultati positivi:

il campionato di calcio, che coinvolge per un anno intero milioni di italiani, è una macchina gigantesca che funziona a perfezione. […] è un’Italia che funziona, proprio come tutte le altre strutture che in altri settori del Paese funzionano e che nonostante tutto ci fanno collocare al settimo posto nella graduatoria delle società industriali avanzate24.

D’altronde, le qualità dimostrate dagli azzurri costituivano un modello che tutta la nazione avrebbe dovuto seguire per uscire dalla crisi. Era questa la «lezione politica» che veniva dal calcio:

i nostri calciatori […] hanno dato prova di virtuosismo calcistico, di capacità professionale, di carattere, di lucidità tecnica, e quindi di intelligenza, di rigore pratico e operativo […]. Se lo stesso spirito, la stessa serietà che hanno caratterizzato l’impegno della squadra azzurra permeassero il comportamento collettivo, il Paese potrebbe riuscire nell’ardua impresa di superare la crisi e riprendere il cammino dello sviluppo25.

Il quotidiano del Partito comunista, ritornato nel 1979 all’opposizione dopo gli anni dei governi di unità nazionale, diede un’ampia copertura all’evento sportivo e accompagnò il mondiale con una serie di cronache nelle quali si intrecciavano calcio e politica, in un impasto che chiamava in causa «alcuni tra gli eventi di cronaca più significativi del tempo»:

La critica può riguardare, nell’ordine, il passaggio della leadership dell’esecutivo dalla Dc al Pri, paragonato al tremebondo pareggio con i camerunensi («siamo veramente un popolo che si accontenta di poco: non prenderle dal Camerun è un successo come passare da Forlani a Spadolini») […]; le stragi dei primi anni Ottanta (tutti i passaggi della squadra argentina convergono verso Maradona, «affollandolo come i cieli di Ustica»), come gli scandali più clamorosi della P2 («a Vigo il gol è latitante come Tassan Din, occulto come un piduista»), il caso Calvi («i palloni che gli arrivano, ci pensa Rossi a smistarli, come i soldi del Banco Ambrosiano»)26.

Le critiche non risparmiavano Spadolini che con il suo presenzialismo prestava il fianco all’accusa di sfruttare lo sport per raccogliere consensi. Un autorevole collaboratore del quotidiano comunista, Vittorio Sermonti, descriveva con sarcasmo «un Presidente del Consiglio che si autodesigna mascotte della squadra nazionale, millanta i propri auguri telegrafici come profezie, e nella speranza di prorogare il collasso del gabinetto, si offre alle folle pavesato di biancorossoverde assegnandosi un improbabile carisma mezzo patriottico, mezzo pedatorio»27.

In vista della finale l’inviato in Spagna Marcello Del Bosco si soffermava sulla differenza tra l’Italia che si stringeva intorno alla nazionale («tumultuosa, non sclerotizzata, robustamente plebea, irrispettosamente vociante») e i trofei mondiali conquistati in epoca fascista che «puzzano» «di regime, di ordine, disciplina, gerarchi, tetraggine e saluti romani»28.

Nelle settimane successive, fino al termine di luglio, la rubrica delle lettere de “l’Unità” ospitò numerosi interventi dei lettori sulle vicende legate al mundial – in particolare sui festeggiamenti per la vittoria – che riflettevano le opinioni e gli umori, spesso contrastanti, dei militanti e del popolo comunista.

Alcune lettere rispolveravano l’idea dello sport come “oppio dei popoli”, tipico dell’antisportismo che aveva caratterizzato a lungo i partiti del movimento operaio. Una «compagna», consigliere provinciale del Pci ad Isernia, scriveva: «Possibile che questo “successo” faccia dimenticare che, dietro alla nazionale, ci sta in prima linea la Juventus, e dietro la Juve ci sta Agnelli, il cui trionfo calcistico va di pari passo con la disdetta della scala mobile? […] Marx, dove sei? Non avete ancora capito, compagni, che il calcio è il nuovo oppio dei popoli?»29.

Altri lettori si scandalizzavano per l’eccessivo spazio concesso da “l’Unità” al “tifo” e alle vicende sportive, a scapito di notizie politiche rilevanti («si finisce per considerare secondario il genocidio che Israele sta compiendo in Libano per mettere, invece, al primo posto la Nazionale italiana di calcio»)30.

Un militante se la prendeva con il titolo dell’edizione del 12 luglio (Il grande sogno si è avverato), considerato uno sfregio all’ortodossia comunista: «“L’ideale nostro alfine sarà”, dicono le parole del nostro inno, l’Internazionale. […] Invece questa volta il grande sogno era solo nazionale; e neanche tricolore (repubblicano) ma azzurro, colore di Casa Savoia»31.

C’era chi invitava invece ad osservare il fenomeno della passione per il calcio «senza appiattamenti acritici, ma anche senza forzature interpretative e pregiudizi»32. Su questa linea, alcuni lettori davano una lettura positiva, in chiave di partecipazione popolare, alla gioia collettiva esplosa in seguito ai successi degli azzurri:

Il formalismo bigotto, l’indifferenza più fredda, la superiorità puritana di chi comanda, di chi ha potere: tutto era spazzato via, stritolato, cancellato da un carnevale di gente – c’era proprio tutto il nostro solito elenco: giovani, donne, operai, tecnici, anziani – travestita di un pertiniano tricolore bianco, rosso e verde. Un corteo davvero unico, travolgente, irripetibile33.

Chiudendo la serie di lettere dedicate al mondiale, un «militante comunista con incarichi nel Partito», «ma anche sportivo e “tifoso”», chiedeva con forza al Pci di abbandonare letture schematiche della dimensione sportiva che non giovavano alla difesa della “diversità” comunista e di non contrappore la «pratica sportiva di massa» allo «spettacolo sportivo»:

Mi fa paura avvertire che non vogliamo superare schemi e rigidità mentali: su questa strada finiremo per non farci più capire e per non capire più tutto quello che ci circonda! Ma veramente crediamo che i 35 milioni di italiani che hanno visto la finale del Mundial, i milioni (di ogni età, sesso, parte d’Italia, estrazione sociale) che hanno festeggiato nelle piazze, non pensino anche al Libano, alla scala mobile o a Comiso? Se fosse veramente così, l’Italia non avrebbe superato le tremende e dure prove di tutti questi anni. Mettiamo dunque da parte visioni tanto ristrette. Non è così che si afferma e si salvaguarda la “diversità” del Pci. Dobbiamo come comunisti essere portatori di una visione moderna dello sport34.


Note

1 Cfr. Guido Crainz, Il paese reale. Dall’assassinio di Moro all’Italia di oggi, Roma, Donzelli, 2012, p. 125.

2 Nicola De Ianni, Il calcio italiano 1898-1981. Economia e potere, Soveria Mannelli, Rubettino, 2015, p. 29.

3 Giulio Accatino, Calcio in crisi, “s.o.s.”, in “La Stampa”, 23 luglio 1977; Mino Mulinacci, Il deficit delle società sarebbe di 130 miliardi!, in “La Gazzetta dello Sport”, 17 febbraio 1978.

4 I partiti che sostenevano il governo erano la Dc, il Psi, il Psdi, il Pri e il Pli.

5 Silvio Garioni, Buon viaggio azzurri e non tornate presto, in “Corriere della Sera”, 2 giugno 1982.

6 Ibid.

7 Anche Spadolini dal balcone applaude i cortei dei tifosi, in “La Stampa”, 30 giugno 1982.

8 f. v., Spadolini tra gli azzurri, in “La Stampa”, 3 luglio 1982.

9 Alberto Guasco, Spagna ’82. Storia e mito d’un mondiale di calcio, Roma, Carocci, 2016, p. 97.

10 Pertini, L’avevo detto, attaccare. Spadolini: Porto davvero fortuna, in “La Stampa”, 6 luglio 1982.

11 Alberto Rapisarda, La crisi sembra alle porte ma Spadolini adesso spera nell’aiuto degli “azzurri”, in “Stampa Sera”, 6 luglio 1982.

12 Giovanni Cerruti, Giuseppe Fedi, Gli azzurri a colazione da Pertini poi di corsa caffè a Palazzo Chigi, in “La Stampa”, 13 luglio 1982; Fernando Proietti, Tutti gli azzurri al Quirinale, in “Corriere della Sera”, 13 luglio 1982.

13 Lorenzo Bocchi, Pertini davanti alla Tv “Ma io questo Rossi lo faccio commendatore”, in “Corriere della Sera”, 6 luglio 1982.

14 Antonio Maccanico, Con Pertini al Quirinale. Diari 1978-1985, Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 216-17.

15 Guasco, Spagna ’82, cit., pp. 100-101.

16 Gianni Nicolini, Stato e governo hanno festeggiato gli azzurri, in “Corriere della Sera”, 13 luglio 1982.

17 Cerruti, Gedi, Gli azzurri a colazione da Pertini poi di corsa caffè a Palazzo Chigi, cit.

18 Ugo Intini, E finalmente “Viva l’Italia”, in “Avanti!”, 13 luglio 1982.

19 Bettino Craxi, Una grande festa popolare, in “Avanti!”, 12 luglio 1982.

20 Intini, E finalmente “Viva l’Italia”, cit.

21 Roberto Villetti, Gridare “Viva l’Italia” non è peccato, in “Avanti!”, 7 luglio 1982.

22 Il riferimento è a una copertina di “Der Spiegel” del 1977.

23 Alfredo Vinciguerra, La lezione degli “azzurri”, in “Il Popolo”, 13 luglio 1982.

24 Ibid.

25 Ibid. Su questo tema cfr. anche Vic, Vinto il mundial battere la crisi, in “Il Popolo”, 14 luglio 1982.

26 Guasco, Spagna ’82, cit., pp. 106-107.

27 Vittorio Sermonti, Quale Italia ha vinto con il Brasile?, in “l’Unità”, 7 luglio 1982.

28 Marcello Del Bosco, Azzurri oggi o mai più, in “l’Unità”, 11 luglio 1982.

29 Dietro la “nazionale” c’è la Juve….e dietro la Juve c’è Agnelli, in “l’Unità”, 21 luglio 1982.

30 La festa per i Mondiali, quella per Mitterand e quella per il divorzio, in “l’Unità”, 21 luglio 1982.

31 Il grande sogno nostro è un altro, in “l’Unità”, 16 luglio 1982.

32 Rispettiamo l’autonomia dei momenti non politici della nostra vita!, in “l’Unità”, 16 luglio 1982.

33 È difficile sentir dire: “Vedi, quello gioca perché è raccomandato”, in “l’Unità”, 24 luglio 1982.

34 Non sarebbe molto serio cercare di portare Carlo Marx in panchina, in “l’Unità”, 31 luglio 1982.