“Le Vent des Libertaires”. Il graphic novel di Thirault e Zaghi sulla vita di Nestor Makhno offre spunti di riflessione utili anche per il presente

"Le Vent des Libertaires". The graphic novel by Thirault and Zaghi on Nestor Makhno’s life offers useful food for thought also for the present history

In apertura: copertina di Philippe Thirault, Roberto Zaghi, Le Vent des Libertaires. Intégrale, Paris, Les Humanoïdes Associés, 2021.

1. Introduzione

L’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, avviata il 24 febbraio 2022, ha dato il via a una proliferazione, sugli scaffali delle librerie e negli espositori delle edicole, di titoli (non tutti allo stesso livello qualitativo) volti a soddisfare la repentina fame di notizie su un paese spesso assai poco conosciuto dal pubblico dei lettori italiano (già di per sé esiguo e solitamente poco attratto dalle questioni di politica internazionale)1.

A tale vistosa impennata dell’offerta editoriale potrebbe sembrare appartenere anche il graphic novel Le Vent des Libertaires, scritto da Philippe Thirault, disegnato da Roberto Zaghi, perché vi si racconta la vita di Nestor Ivanovič Makhno e la storia della Rivoluzione russa in Ucraina. Ma, appunto, di apparenza si tratta, dacché l’uscita del volume per le prestigiose edizioni Les Humanoïdes Associés è avvenuta tra l’aprile e il maggio 2021, e per giunta in esso sono raccolti i due episodi che compongono la storia, usciti, rispettivamente, nell’agosto 2019 (Episodio 1) e nel luglio 2020 (Episodio 2).

Dunque con tutta evidenza il volume non appartiene alla fitta schiera di quelli lanciati sul mercato al fine di avvantaggiarsi dalla fame di notizie indotta dall’onda emotiva prodotta dalla criminale aggressione russa, né esso racconta un episodio legato specificamente ai drammatici fatti di cronaca internazionale che hanno riguardato le vicende di Ucraina e Russia in anni vicini; pur tuttavia la rinnovata attenzione che i recenti avvenimenti geopolitici gli hanno conferito costituisce un’occasione per consigliarne la lettura, poiché da essa si ricavano spunti di riflessione e, perché no, di comprensione, buoni ad esempio anche a sfatare alcuni dilaganti luoghi comuni, che derivano da ingenuità, ignoranza, malafede su quanto sta accadendo oggi ai confini dell’Unione europea.

2. Gli autori

Il libro è firmato da Philippe Thirault e Roberto Zaghi. Il primo, nato il 18 settembre 1967 a Parigi, dopo il diploma di maturità si iscrive a Sciences-Po, dove, appassionato di storia, ne segue per cinque anni i corsi senza però arrivare alla laurea. Dopo circa dieci anni di lavoro presso un istituto francese di sondaggi, nel 1997 ha pubblicato il romanzo Lucy, Western Moderne, cui hanno fatto seguito: Hémoglobine Blues (1998), nel 2004 liberamente adattato con Marc Malès in una striscia a fumetti, poi Heureux les imbéciles (1998) e infine Speedway (2000) – tutti per i tipi di Le serpent à plumes. Da allora la sua attività è principalmente quella di sceneggiatore di graphic novel, tra cui ci si limita qui a ricordare i quattro volumi del “noir” Miss (1999-2002, con Marc Riou, Mark Vigouroux e Scarlett Smulkowski), i cinque del western fantastico Mille visages (2001-2010, con Marc Malès), i quattro di La Meute de l’enfer (2003-2010, con Christian Hojgaard), i tre di Mandalay (2006-2009, con Butch Guice et Mike Perkins), i due di Retour sur Belzagor (2017, con Laura Zuccheri e Silvia Fabris, dal romanzo di Robert Silverberg, Les Profondeurs de la Terre), tutti per Les Humanoïdes Associés (senza dunque annoverare i numerosi altri usciti per i maggiori editori d’Oltralpe di bandes dessinées, come: Le Cycliste; Rackham; Futuropolis; Dupuis; Dargaud; Delcourt; Glénat).

Roberto Zaghi, di due anni più giovane (Ferrara, 9 giugno 1969), è matita nota agli estimatori di Sergio Bonelli Editore, per i cui tipi ha firmato molti albi delle serie di Nathan Never, Legs Weaver e Zona X, prima di entrare nello staff di Julia, serie per la quale attualmente lavora. Ai loro nomi vanno poi aggiunti quelli di Annelise Sauvêtre, che ha ottimamente colorato le tavole, e di Yves Frémion, che firma una nota storico-biografica conclusiva intitolata Makno, héros populaire.

3. Le Vent des Libertaires

Il volume oggetto di questo articolo si configura come un biopic molto classico: racconta infatti fedelmente, sebbene in maniera letterariamente rielaborata, la vita di Nestor Makhno, inserendola nel contesto dei vorticosi sommovimenti storici ucraini degli anni 1917-1921.

Nestor Ivanovič Makhno era nato in una famiglia contadina a Huljajpole, una città dell’Ucraina sud-orientale nell’oblast’ di Zaporižžja, il 26 ottobre 1889 (secondo il calendario giuliano allora vigente nelle terre dello zar) o se si preferisce il 7 novembre (ma solo da quando nel 1917 i bolscevichi adottarono anche per la Russia il calendario gregoriano).

A sette anni già lavorava in campagna ma contemporaneamente frequentava anche la scuola, che però dovette abbandonare a dodici, poco dopo la morte del padre, per mettersi al servizio di kulaki tedeschi. Nel 1905 aderì alla causa rivoluzionaria ed entrò nelle file degli anarchici, e l’anno successivo si unì al gruppo operante a Huljajpole che faceva proseliti soprattutto fra i contadini e i giovani.

Nel 1908, in seguito a un suo atto di ribellione violenta in difesa di un lavoratore, venne condannato a morte dalle autorità zariste, ma a causa della sua minorità, la pena gli fu commutata in ergastolo. In carcere strinse amicizia con l’anarchico Pëtr Aršinov (Andreevka, 1887-1937 circa)2 che lo aiutò ad approfondire la sua cultura e a strutturare il suo ribellismo istintivo entro le coordinate del pensiero anarchico.

Il 2 marzo 1917, dopo otto anni e mezzo, Makhno uscì dalla Butyrka, famigerata prigione moscovita, a seguito dell’amnistia concessa da Aleksandr Kerenskij, allora ministro della Giustizia, dopo la Rivoluzione di febbraio e, appena tre settimane dopo, ritornò a Huljajpole. Qui il lavoro suo e del suo vecchio gruppo anarco-comunista fu improntato al collegamento con le masse contadine che si organizzarono in unioni contadine prima e in soviety poi, e che rifiutarono di pagare le rendite ai latifondisti.

La rivoluzione nella zona d’influenza di Makhno e del suo gruppo, che diventava sempre più numeroso, procedeva così velocemente che ciò contribuì a fare di Huljajpole un centro d’attrazione per tutto il paese, tanto che furono realizzate collettivizzazioni della terra e furono organizzate comuni agricole in tutte le province circostanti. Il tentativo di resistenza delle autorità centrali contro quanto stava accadendo in periferia convinse il locale soviet a creare un Comitato di salvezza della Rivoluzione presieduto dallo stesso Makhno, che iniziò a disarmare tutti i potenziali oppositori proseguendo la politica di collettivizzazione delle attività produttive.

Dopo il trattato di Brest-Litovsk (3 marzo 1918) con cui Lenin cedeva, tra l’altro, parte del territorio dell’Ucraina, truppe austro-germaniche invasero il paese e lo conquistarono in tre mesi, restaurando i privilegi dei kulaki. Non potendo affrontare il nemico in campo aperto, gli anarchici si organizzarono in un esercito di liberazione adottando tecniche di guerriglia, senza però trascurare anche iniziative d’altro tipo: Makhno e una delegazione, infatti, si recarono anche nella Russia bolscevica al fine di tentare di riaprire i collegamenti e ricevere aiuto dai compagni anarchici, senza però ottenere risultati.

Dopo il trattato di pace stipulato da Lenin l’11 novembre 1918 e la ritirata delle truppe austro-tedesche, per la prima volta nella storia vi fu un tentativo d’applicazione su larga scala dei principi dell’autogoverno anarchico. Essendo allora l’Ucraina un paese a stragrande maggioranza contadina, il fulcro del modello politico-economico makhnovista era, per forza di cose, la terra. L’indigente bracciantato agricolo ricevette così da Makhno e dai suoi compagni i latifondi confiscati ai grandi proprietari terrieri e le collettività contadine locali vissero, per la prima volta, l’esperienza dell’autogestione: organizzate in comuni, o soviety del lavoro, indipendenti, coltivavano la terra comunitariamente, senza che fosse richiesta alcuna forma di supervisione o coordinamento da parte di un’autorità centrale, in linea con i principi dell’anarco-comunismo (e contro quelli del rigido verticismo bolscevico).

Ad essi non erano tuttavia estranei (perfino nell’abbigliamento adottato da Makhno) dei richiami alla tradizione dei cosacchi zaporoghi dell’Ucraina meridionale (1552-1775), che organizzativamente prevedeva la guida di un ataman e di un’assemblea, e militarmente la difesa della propria indipendenza contro la Polonia, l’Impero ottomano e la Russia.

Nel settembre e ottobre 1918 i libertari si trovarono poi a dover affrontare la reazione della borghesia ucraina, guidata da Anton Denikin, in una lotta accanita durata sei mesi, durante i quali i partigiani libertari furono “costretti” ad allearsi con i bolscevichi, nonostante che Makhno vedesse anche in loro un grave pericolo per la libertà del suo popolo. Infatti, i bolscevichi faranno di tutto per limitare l’influenza e il fascino che i makhnovisti esercitavano sulla popolazione.

Ciononostante, Makhno si alleò ancora con i bolscevichi quando, nell’aprile del 1920, si vide costretto a respingere un altro assalto delle armate bianche, questa volta poste sotto il comando di Pëtr Wrangel. Le truppe partigiane combatterono per mesi, fino alla disfatta dei reazionari che si sarebbe concretizzata nel novembre dello stesso anno.

Makhno a questo punto fece rientro nel suo villaggio e intraprese il suo lavoro di rieducazione e di organizzazione dei contadini, ma tali progetti saranno spezzati da una nuova offensiva dei bolscevichi, che mal sopportavano la sua prospettiva radicalmente libertaria: il 26 novembre 1920 Huljajpole venne circondata e Makhno radunò circa duemila uomini che, combattendo eroicamente, provarono a resistere all’accerchiamento dell’Armata Rossa.

Ferito più volte durante i combattimenti e sentendosi in pericolo, riparò dapprima in Romania, poi in Polonia e infine, nell’aprile 1925, a Parigi. Qui lavorò come operaio e condusse una vita di miseria, ma continuò l’attività politica, entrando a far parte del gruppo anarchico Delo Truda (La Causa del Lavoro). Rimase anarchico fino alla morte, avvenuta il 25 luglio 1934 (e da allora le sue ceneri riposano nel cimitero di Père-Lachaise) a causa di una tubercolosi che da tempo ne minava la salute.

Ed è proprio nella Francia del 1934 che inizia la storia narrata nel libro, quando l’eroe anarchico è impegnato a scrivere le proprie memorie e, anche per questo, è braccato da agenti stalinisti che hanno il compito di eliminarlo e sottrargli quelle pagine, le quali si configurano come «una requisitoria impietosa contro coloro che hanno tradito più di chiunque altro l’ideale rivoluzionario: i bolscevichi» (p. 53).

Tale struttura narrativa, che alterna il racconto degli ultimi giorni di vita di Makhno ai frequenti flashback sui momenti più significativi della sua biografia, permette inoltre di gettare uno sguardo anche alle vicende internazionali degli anni Trenta del secolo scorso e in particolare alla spietata lotta che il comunismo sovietico, che non tollerava di perdere il proprio ruolo di partito guida nell’ambito della rivoluzione e del proletariato europeo, fece a tutte le altre forme di socialismo libertario e in particolare all’anarchismo – e come i fatti di Spagna si sarebbero incaricati di lì a poco di disvelare pienamente a chiunque avesse avuto voglia di intenderne la lezione.

4. Spunti di attualità

Le critiche che Makhno rivolse alla concezione autoritaria e criminale del comunismo di Trockij, Lenin e Stalin (riportate tra gli altri da Pio Turroni in un’intervista che questi rilasciò nel luglio 1969 a Luciano Ferraresi, e contenuta come Presentazione della prima edizione italiana, per l’editrice ragusana La fiaccola, del libro di Nestor Makhno, La rivoluzione russa in Ucraina)3, gli attirarono infatti violente accuse, secondo il ben collaudato sistema della calunnia – cui con tutta evidenza non si è smesso di ricorrere. Alcune di queste hanno infatti avuto grande successo e si sono rivelate particolarmente resistenti nel tempo, come ad esempio quella per cui Makhno si sarebbe macchiato di atti antisemiti e di veri e propri pogrom.

Makhno protestò in molti articoli contro tali calunnie ricordando – oltre al fatto che degli ebrei avevano occupato cariche importanti nella makhnovishina (il nome dato, in onore del suo comandante, all’Esercito Insorto d’Ucraina, attivo tra il 1918 e il 1921, e chiamato anche Esercito Nero) – che «ogni tentativo di pogrom o di saccheggio fu da noi soffocato sul nascere» e che «coloro che si resero colpevoli di tali atti furono sempre fucilati sul posto», citando, a differenza dei suoi calunniatori, degli esempi precisi. Malgrado ciò le voci sono durate a lungo e solo di recente l’accusa è stata smentita del tutto, anche da parte ebraica, che oggi ha riabilitato pienamente la figura di Makhno.

Se ci si sofferma qui su questo aspetto specifico è perché esso torna utile a introdurci al tema accennato all’inizio di quella che potremmo definire l’“involontaria attualità” del libro di Thirault e Zaghi. Esso infatti ci pone sotto gli occhi il fatto che la propaganda e la disinformazione messe in atto contro i propri nemici battono, oggi come cento anni fa, strade simili: in questi mesi la narrazione putiniana sbandiera una presunta “denazificazione” dell’Ucraina come pretesto per giustificare l’invasione di un paese sovrano che da tempo si era avviato verso processi seri di democratizzazione, scrollandosi di dosso, pur con evidenti fatiche, l’eredità di settant’anni di un feroce e illiberale regime soi-disant comunista4.

Non è, però, questo l’unico caso in cui le tavole del racconto di Thirault e Zaghi ci riconducono al presente: nell’agosto 1918 il gruppo di Makhno si scontrò con l’esercito occupante nella regione di Donetsk (pp. 61-63), poi in quella di Dniepr (pp. 64-68); entrambe oggi sono teatro di altre sanguinose battaglie per una invasione altrettanto illegittima e sicuramente più brutale, “motivata” anche da una grottesca ricostruzione storica da parte del presidente russo, al fondo della quale c’è ancora l’idea imperiale zarista secondo cui l’Ucraina non è nient’altro che la Russia meridionale (p. 89).

La storia raccontata in questo bel graphic novel ci ricorda insomma come il popolo ucraino abbia storicamente espresso una forte anima libertaria per la sua insofferenza ai dominatori, di qualsiasi sorta, figlia anche della sua tradizione contadina e di un conseguente forte legame con la terra. E la cronaca di questi mesi lo sta ancora una volta confermando.

Certo, sarebbe ingenuo voler accomunare episodi e contesti tanto diversi, ma qualche suggestione (se non vere e proprie “lezioni”) dal passato le si dovranno pur trarre, e una di quelle che ci vengono dal ripercorrere questa vita, mai agiografica, di Nestor Makhno è che non esiste un presunto “nazismo eterno” degli ucraini, semmai essa ci suggerisce che persiste nei vertici del potere russo, come eredità di quello sovietico, una volontà egemonica che mal sopporta le spinte alla libertà provenienti dalla società civile e che nella storia recente dell’Ucraina si sono manifestate con chiarezza nelle settimane tra novembre 2013 e febbraio 2014 a Majdan Nezaležnosti (Piazza dell’Indipendenza) a Kyïv (non a caso l’ultima tavola del libro – p. 108) e proseguono con la resistenza di questi ultimi mesi da parte del suo popolo.

Non è sorprendente, dunque, se nella guerra in corso «alcuni soldati delle forze di difesa ucraine combattono con la bandiera nera anarchica» (Laurent Geslin, Né con Putin né con Zelensky: è l’esercito degli anarchici, “Il fatto quotidiano”, 4 luglio 2022); ma la notizia, come nella migliore tradizione “di sinistra”, ha scatenato accesi dibattiti e feroci accuse di tradimento all’interno del caleidoscopico mondo anarchico e dei suoi tanti rivoli, ciascuno dei quali si ritiene in possesso esclusivo di un’ortodossia e di una purezza ideologiche abbandonate o comunque travisate dagli altri – al netto della possibile presenza di una interessata componente propagandistica, che è sempre all’opera per inquinare l’informazione, e più che mai in occasione di cruenti conflitti militari quale questo in corso.


Note

1 Per una prima introduzione, Massimo Vassallo, Breve storia dell’Ucraina. Dal 1914 all’invasione di Putin, Milano-Udine, Mimesis, 2022. Più recentemente è uscito anche Andrea Graziosi, L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia, Roma-Bari, Laterza, 2022.

2 Di cui si veda Pëtr Andreevič Aršinov, Storia del movimento machnovista: 1918-1921, traduzione dal russo di Virgilio Galassi, Napoli, Edizioni RL, 1954 (poi, Milano, Pgreco, 2013; Napoli, Edizioni Immanenza, 2015).

3 Nestor Mackhno [sic], La rivoluzione russa in Ucraina (Marzo 1917 – Aprile 1918), traduzione di Luciano Ferraresi, Ragusa, La fiaccola, 1971.

4 Sul tema si rinvia a Vittorio Emanuele Parsi, Il posto della guerra e il costo della libertà, Milano, Bompiani, 2022.