Tra storia e memoria: la costituzione della Rete regionale archivi Udi Emilia-Romagna e il ruolo della Soprintendenza archivistica per l’Emilia-Romagna

History and memory: the establishment of the Regional Udi Archives Network of Emilia-Romagna and the role of the Soprintendenza archivistica per l’Emilia-Romagna

In apertura: Guida agli Archivi della Rete regionale Udi Emilia-Romagna, 2004 (Archivio Centro documentazione donna, Modena).

Il 5 giugno 1991 l’archivio del Comitato provinciale di Bologna dell’Unione donne italiane (d’ora in poi Udi) venne dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per l’Emilia-Romagna: si trattava della prima dichiarazione dell’archivio di un comitato provinciale Udi effettuata nella regione. Ad essa fece seguito, il 6 febbraio 1992, la dichiarazione di notevole interesse storico dell’archivio del Comitato provinciale Udi di Modena.

Verificare quanto siano state precoci queste dichiarazioni richiederebbe un’indagine molto più impegnativa, perché purtroppo la Guida agli archivi dell’Udi pubblicata nel 2002 nelle collane del Ministero per i beni e le attività culturali1 non segnala, nelle schede degli archivi descritti, se essi fossero stati dichiarati di interesse culturale, né la data dell’eventuale dichiarazione; è noto però che l’Archivio centrale dell’Udi fu dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per il Lazio nel 19872, dunque la dichiarazione dell’archivio Udi di Bologna fu effettuata quattro anni dopo. Sempre nella Guida sopra citata, Delfina Tromboni, facendo riferimento agli archivi locali, osservava:

pochissimi sono i casi in cui le istituzioni preposte si sono mosse per sostenere uno sforzo che pure andava nella direzione di conservare e valorizzare un patrimonio che è di tutti e di tutte: al sostegno assicurato da Ministero e Soprintendenza archivistica del Lazio all’Archivio centrale e da Istituto per i beni culturali e Sovrintendenza archivistica della regione Emilia-Romagna agli archivi locali di pertinenza, fanno riscontro rarissimi interventi analoghi in altre realtà3.

Sia per l’archivio di Bologna che per quello di Modena l’istruttoria all’emanazione della dichiarazione di notevole interesse storico venne predisposta da chi scrive, all’epoca funzionaria archivista presso la Soprintendenza archivistica per l’Emilia-Romagna, con l’incarico specifico di curare l’attività di vigilanza sugli archivi di età contemporanea. L’autrice di questo testo ha dunque avuto la possibilità di osservare, in quella veste, la formazione della rete regionale degli archivi storici Udi, e per questo motivo è stata invitata, in occasione del trentennale della costituzione del Coordinamento regionale Archivi Udi, a portare il suo personale ricordo di quel pionieristico periodo.

Non è facile, per chi lavora negli archivi e quindi tende ad attribuire particolare importanza alle testimonianze scritte, prodotte per motivi di ordine pratico nel corso dell’attività di ogni soggetto individuale e collettivo, in genere secondo procedure prestabilite e ben ricostruibili anche a distanza di tempo, riflettere su una vicenda in cui è intervenuta direttamente. Il timore di creare una sorta di corto circuito fra storia e memoria, di fondare le proprie affermazioni soltanto sulla soggettività, è molto forte. Tuttavia, la rilettura dei documenti conservati nei fascicoli dell’archivio della Soprintendenza archivistica ha confermato la possibilità di ancorare i ricordi a una solida base scritta, oltre a rafforzare l’impressione che la creazione degli archivi storici Udi, sia il nazionale che i locali, si collocasse in un momento estremamente dinamico della storia archivistica del Novecento italiano, in cui la costruzione di un archivio non era concepita come azione neutra bensì come impegno militante.

L’XI Congresso nazionale Udi del 1982, com’è noto, aveva portato a una radicale riorganizzazione dell’associazione. Non risulta casuale che proprio allora si sia evidenziata l’esigenza di istituirne gli archivi storici: perché gli archivi “storici” nascono in genere da una cesura istituzionale o organizzativa, la quale può generare la consapevolezza che c’è un “prima” da salvaguardare per renderlo utile a un “dopo”. Gli archivi storici Udi furono quindi individuati nella documentazione prodotta fra il 1944 e il 1982, ossia relativa a un periodo che l’avvenuta riorganizzazione associativa faceva apparire come già storicizzato.

Fu Luciana Viviani, durante la prima assemblea autoconvocata che si svolse a Roma tra il 16 e il 17 ottobre 1982, a proporre la costituzione di un gruppo di lavoro con il compito di salvaguardare il patrimonio documentario e dunque la storia stessa dell’Udi. La proposta si rivelò decisiva per le sorti dell’archivio nazionale: la ristrutturazione organizzativa in corso avrebbe infatti potuto travolgere anche la memoria storica dell’associazione, molto complessa e per certi aspetti atipica. Il progetto di sistemazione dell’archivio centrale venne recepito anche nelle decisioni congressuali. La Carta degli intenti, elaborata nelle autoconvocazioni che si svolsero fino al febbraio 1983, stabiliva infatti all’art. 7:

L’Udi realizza la propria continuità, oltre che attraverso l’Assemblea nazionale autoconvocata, anche mediante strumenti di documentazione, comunicazione e sviluppo della cultura del movimento delle donne quali: l’archivio, come raccolta di materiali che l’Udi ha prodotto e produrrà, testimonianza della sua storia, canale di ricerca, di identità e di approfondimento delle proprie radici4.

Si costituì quindi il Gruppo Archivio, di cui fecero parte Luciana Viviani, Maria Michetti e Marisa Ombra, il quale si mise al lavoro per organizzare, su base volontaria, l’Archivio centrale. Fu un’attività che richiese molto tempo e molto impegno. Come scrive Ermanna Zappaterra nell’introduzione alla presentazione dell’intervento di riordinamento e inventariazione effettuato da Magda Abbati sull’archivio del Comitato provinciale di Bologna «occorreranno sette anni di lavoro volontario, paziente e solitario perché l’Archivio nazionale prenda forma»5.

In Emilia-Romagna la proposta di dar vita a Gruppi Archivi locali ebbe un riscontro immediato. Già nel 1982 si costituirono i due primi gruppi su base provinciale, a Ferrara e a Modena, cui fecero seguito, fra il 1986 e il 1991, quelli di Reggio Emilia, Bologna, Imola, Ravenna e Forlì. All’inizio si trattò, come per l’Archivio centrale, di «un lavoro volontario di gruppi di compagne per sistemare e valorizzare una notevole quantità di materiale dentro al quale sta raccolta gran parte della storia e dell’impegno di ognuna di noi»6, svolto sia per non disperdere quella massa di memorie collettive e individuali sia «perché le nuove generazioni possano conoscere la storia delle lotte delle donne che nessun altro può trasmettere, perché siamo le sole a possederla»7. La salvaguardia degli archivi veniva dunque percepita non soltanto come un’operazione di carattere culturale, ma anche e soprattutto come una pratica militante: «l’Archivio è per noi un progetto e una pratica politica che vogliono costruire una tradizione femminile, una trasmissione di storia, di parole, di sentimenti e gesti di donne di diverse generazioni, culture e percorsi. Tramandare senza più cancellare»8.

Nel 1987 l’impegnativo lavoro svolto dal Gruppo Archivio sull’Archivio centrale ottenne, come già si è detto, un importante riconoscimento: esso fu dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per il Lazio. Ciò fu di incentivo, per i gruppi che finora avevano lavorato ciascuno per proprio conto in Emilia-Romagna, a organizzarsi per ottenere un’analoga visibilità, nonché un supporto concreto alle attività che avevano iniziato a svolgere. Si costituì quindi, a seguito di incontri avvenuti nel 1988, il Coordinamento regionale dell’Udi per la valorizzazione degli archivi, centri di documentazione e biblioteche delle associazioni di Modena, Bologna, Reggio Emilia, Ferrara, Imola, Ravenna e Forlì, che il 17 novembre 1989 sottoscrisse una convenzione con la Soprintendenza ai beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna, grazie alla quale furono ottenuti i finanziamenti necessari per affidare gli interventi di ordinamento e inventariazione ad archiviste professioniste, che da quel momento in poi affiancarono e supportarono i Gruppi Archivio.

La possibilità di accedere a finanziamenti e quindi di incaricare della descrizione degli archivi collaboratori qualificati aprì però un confronto, forse non del tutto previsto, fra militanti e “tecniche” (così furono chiamate le archiviste professioniste dalle donne dell’Udi9): un confronto serrato, acceso, perché comportava la riconsiderazione e in alcuni casi anche la messa in discussione dei metodi di lavoro fino a quel momento seguiti.

Testimonianza di quel dibattito interno sono gli atti del seminario regionale Progetto di recupero, ordinamento, valorizzazione di un patrimonio storico delle donne che si svolse a Bologna il 13 aprile 1991, diffusi dal Coordinamento regionale Archivi Udi10. Un incontro a cui venne attribuita molta importanza, tant’è vero che vi parteciparono due delle promotrici del Gruppo Archivio nazionale, Marisa Ombra e Luciana Viviani, oltre alle militanti locali e alle “tecniche” Magda Abbati (Archivio Udi di Bologna), Mirella Plazzi (Archivio Udi di Ravenna), Carolina Capucci, Caterina Liotti, Paola Romagnoli (Archivio Udi di Modena) e Anna Rosa Remondini (Archivio Udi di Ferrara), le quali illustrarono il lavoro svolto sugli archivi dei rispettivi Comitati provinciali.

Rileggere quegli atti a trent’anni di distanza risulta assai stimolante, in quanto vi vengono naturalmente sintetizzati, riportandoli alla casistica concreta degli interventi effettuati, i principali temi del dibattito sugli archivi contemporanei in corso a quell’epoca, dibattito il cui esordio viene generalmente individuato nel seminario Gli archivi per la storia contemporanea, svoltosi a Mondovì nel 198411 per iniziativa congiunta dell’Ufficio centrale per i beni archivistici e dell’Istituto nazionale per il movimento di Liberazione in Italia. Uno dei punti cruciali di tale dibattito consisteva nel rapporto fra soggetto produttore e archivio, concretamente identificabili, nel caso Udi, non tanto con l’associazione intesa come soggetto istituzionale unitario, bensì con i gruppi di dirigenti e militanti attive sia a livello centrale che locale e con gli archivi da essi prodotti, percepiti come parte della loro storia personale e collettiva. Questione, quella del rapporto fra il soggetto produttore e i propri archivi, che ovviamente non si poneva, né generalmente si pone, nel caso di archivi più antichi, i cui soggetti produttori sono nella maggior parte dei casi estinti, oppure intrattengono con le proprie memorie documentarie un rapporto reso più distaccato dalla distanza che intercorre fra l’epoca a cui datano le carte e il presente. Come si è detto, le donne che avevano partecipato ai Gruppi Archivio consideravano i documenti prodotti dall’associazione come un’eredità di lotta e di memoria da tramandare alle generazioni successive; quindi ritenevano di essere le più idonee ad occuparsene, a prescindere dal possesso di specifiche competenze sul trattamento dei beni documentari.

Un secondo motivo di riflessione, scaturito nel corso del seminario, nasceva dall’esigenza di definire il modo migliore per rendere fruibili quegli archivi, formati secondo criteri nella maggior parte dei casi non rigorosamente predeterminati, come avviene di solito per gli archivi degli organismi di natura giuridica privata attivi in ambito politico e sociale, siano partiti, sindacati, associazioni o movimenti. In merito ai possibili modi per favorire la fruibilità degli archivi contemporanei a scopo di studio e di ricerca può essere utile rammentare come, nel già segnalato seminario di Mondovì, uno dei massimi archivisti italiani, Claudio Pavone, si fosse soffermato proprio sulla possibilità di redigere gli strumenti di ricerca «secondo la materia» piuttosto che «secondo la struttura»: motivata, per chi la proponeva, dall’utilità che avrebbero avuto gli studiosi nel «potersi orientare nella gran massa dei documenti d’archivio seguendo piste tematiche». Rispetto a quell’opzione, di fatto già contraddetta dalla prassi prevalentemente seguita dagli archivisti a livello internazionale, Pavone riteneva necessario ribadire che il massimo di utilità per l’utente degli archivi, compresi quelli contemporanei, si sarebbe ottenuto «adottando, anche nell’inventario, oltre che nell’ordinamento, il criterio della struttura invece di quello tematico e per materia», seppure con opportune integrazioni e accorgimenti, in quanto

L’inventario redatto secondo la struttura conserva il massimo della polisemia intrinseca all’archivio. Esso garantisce perciò la possibilità di uso da parte di una gamma di ricercatori certo più ampia di quella che potrebbe riconoscersi in inventari tematici, necessariamente selettivi12.

La stessa organizzazione formale di un archivio costituiva infatti per i ricercatori un dato significativo, ossia una «fonte». Nulla però avrebbe vietato, concludeva Pavone, «che l’inventario secondo la struttura [fosse] integrato da un numero il più ampio possibile di indici e guide tematiche, da compilare anche in tempi diversi. È su questo terreno che si recuperano tutti i buoni argomenti adducibili a favore dall’inventario “secondo la materia”»13.

Quelle indicazioni metodologiche, condivise da larga parte degli archivisti italiani, sembravano contrastare con la scelta operata dalle donne dell’Udi nell’organizzazione della documentazione conservata nell’Archivio centrale:

il Gruppo Archivio decise di organizzare la documentazione in due grandi fondi che furono denominati Cronologico e Tematico. Il primo, ordinato utilizzando il criterio cronologico, testimonia l’evoluzione della struttura dell’Udi, mentre il secondo fu ordinato con riferimento al lavoro politico dell’associazione, che si svolgeva appunto per “temi”, attorno a specifiche campagne politiche14.

Circostanza, questa, che non poté non creare difficoltà alle “tecniche” incaricate di intervenire sugli archivi locali, in genere già parzialmente organizzati per opera dei primi Gruppi Archivio. Sarebbe stato più opportuno esportare in periferia il sistema di ordinamento adottato per l’Archivio centrale, che sotto certi aspetti avrebbe potuto definirsi “tematico”, oppure si sarebbe rivelato più proficuo cercare di ordinare e descrivere gli archivi locali “secondo la struttura”, come suggeriva la più consolidata prassi archivistica, anche a costo di rimettere mano all’ordinamento attribuito ai documenti in fase di prima sistemazione? Diverse furono le soluzioni cui si pervenne in sede locale, da quella di mantenere l’ordinamento “per temi” già parzialmente attribuito al tentativo di strutturare la documentazione per tipologie documentarie o per serie, secondo il cosiddetto metodo storico. Va comunque rilevato che ai primi ordinamenti di tipo empirico hanno fatto seguito, nel tempo, interventi più meditati sotto il profilo archivistico: ad esempio l’archivio Udi di Modena, organizzato tematicamente nel 1982, fu in seguito ordinato e inventariato secondo un titolario, elaborato tenendo conto delle funzioni istituzionali e delle tipologie documentarie15.

Di certo il tentativo di contemperare la richiesta di un approccio “per temi” con l’esigenza di ricostruire, nei limiti del possibile, l’ordinamento originario della documentazione, favorì la redazione, come suggerito da Pavone, di strumenti per la ricerca da affiancare al classico inventario, quali guide all’archivio o indici di parole significative, nella prospettiva della stesura di un thesaurus che avrebbe dovuto consentire «la ricerca attraverso “voci” comuni per tutti gli archivi della regione»16.

Non va del resto dimenticato che quel tentativo di elaborazione e di condivisione di modelli descrittivi avveniva prima della pubblicazione delle norme internazionali per la descrizione degli archivi, oggi punto di riferimento obbligato per chiunque operi in ambito archivistico17.

A distanza di un trentennio, equilibrate e condivisibili appaiono le riflessioni che Delfina Tromboni dedica all’argomento:

A richiamare la modalità storica di lavoro politico dell’associazione sono le scelte – certo in parte contestabili dal punto di vista della disciplina archivistica classica – di organizzare i materiali per “argomenti” (o serie tematiche). Molti archivi si sono orientati in questa direzione – sulla scia della scelta operata dall’Archivio centrale – a volte utilizzando sistemi misti (per responsabilità, per tipologia di materiali, per categorie annuali): un fondamento le scelte operate lo trovano nella corrispondenza tra i cosiddetti “temi” e le concrete modalità di funzionamento organizzativo delle Udi fino alla permanenza delle strutture, localmente articolate come quella nazionale. Spesso si è trattato di conservare almeno nelle sue linee di fondo un ordinamento delle carte già preesistente, ad esse assegnato da donne che si sono assunte nel tempo la responsabilità di organizzare il patrimonio documentario della loro associazione, per non disperderlo. Per una associazione che al centro della propria storia mette anche le modalità con cui le donne ne hanno organizzato la trasmissione e la memoria, anche quelle scelte erano e sono significative, e come tali alcune realtà hanno scelto di restituirle. Anche nel caso in cui archiviste professionali sono state incaricate di trattare la documentazione, la necessità di non occultare, con una operazione ex post, il “segno” impresso alle carte da una scelta precedente, politica e operata consapevolmente, si è generalmente imposta.

Credo di poter dire che i problemi e le domande che l’attuale organizzazione della documentazione apre e pone rispetto alla disciplina archivistica, travalicano il segno – che certo non manca – della “buona volontà” non disgiunta da qualche imperizia. Con l’occhio della ricercatrice, posso fondatamente sostenere che quei problemi e quelle domande sono costitutivi delle scelte politiche operate dalle donne dell’Udi: fanno quindi parte integrante della storia dell’associazione18.

Un’altra questione di carattere metodologico sollevata nel corso del seminario fu il trattamento dei “documenti di nuovo tipo”, come venivano chiamati allora, ossia dei numerosi materiali iconografici, in particolare fotografie e manifesti, che tanto spazio occupavano negli archivi Udi.

Infine, un quesito di carattere molto peculiare, ossia l’eventuale differenza fra archivi prodotti da donne e archivi prodotti da uomini. Potevano esistere archivi “di genere femminile”? Di fronte a tale domanda, posta dalle militanti, le “tecniche” appaiono propense a rispondere negativamente: il genere non sembrava incidere in modo determinante sulla formazione di un archivio.

Il seminario del 1991 fu decisivo per avviare una proficua collaborazione fra il Coordinamento regionale e la Soprintendenza archivistica per l’Emilia-Romagna. Ad esso partecipò infatti, oltre a chi scrive, Maria Rosaria Celli Giorgini, allora soprintendente, la quale portò la sua personale esperienza in ambito archivistico e manifestò l’interesse con cui gli uffici periferici preposti alla tutela degli archivi seguivano le azioni volte alla salvaguardia dei complessi documentari prodotti dalle associazioni femminili. Fu grazie all’attenzione dimostrata in quell’occasione che si giunse alla programmazione di visite da effettuare agli archivi dei comitati provinciali. Come propose Rosanna Galli in conclusione dei lavori, le relazioni redatte dopo le visite effettuate dalla Soprintendenza archivistica avrebbero costituito, insieme agli atti del seminario «il materiale che servirà a ognuna di noi per riflettere», in vista di un nuovo confronto sul tema delle metodologie da applicare al lavoro sugli archivi19.

Il 24 aprile successivo Ermanna Zappaterra, a nome del Coordinamento regionale, ringraziava la Soprintendenza «per il prezioso contributo dato nel dibattito svoltosi a Bologna il 13 aprile u.s., che ci ha consentito di capire, attraverso le varie esperienze tecniche e politiche enunciate, come sia possibile un linguaggio comune tale da permettere la comunicazione fra tutti gli archivi, compreso quello centrale»20. Nella medesima lettera venivano comunicati l’elenco e i recapiti degli archivi Udi di Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Imola, Ravenna e Forlì, per consentire la programmazione delle previste visite, in vista di un’eventuale dichiarazione di notevole interesse storico.

Purtroppo quel primo ciclo di visite non venne portato a termine, in quanto chi scrive si trasferì in un’altra regione nel marzo del 1992: furono visitati unicamente gli archivi di Bologna e di Modena, e in entrambi i casi l’esito positivo delle verifiche effettuate portò all’emanazione della dichiarazione di notevole interesse storico. Per difficoltà organizzative interne, causate soprattutto dalla carenza di personale tecnico, gli archivi dell’Udi poterono rientrare nel programma di visite della Soprintendenza archivistica soltanto all’inizio di questo secolo: nel 2003 venne emessa la dichiarazione dell’archivio del Comitato provinciale di Reggio Emilia; ad essa fecero seguito quelle degli archivi Udi di Ferrara (2006) e di Ravenna (2007), cui si aggiunse la dichiarazione dell’archivio del Centro Documentazione donna di Modena, effettuata il 14 aprile 2008. Il Centro Documentazione donna è un istituto culturale in cui sono confluiti, oltre al fondo archivistico dell’Udi provinciale, già dichiarato di interesse storico nel 1992, quelli delle Udi comunali di Carpi e Castelfranco Emilia, di alcuni circoli, nonché numerosi fondi personali di dirigenti e militanti, a testimonianza di come le modalità di conservazione delle memorie femminili si siano nel tempo evolute e consolidate in strutture più larghe e partecipate.

Il trentennio trascorso ha senz’altro consentito di risolvere alcune incertezze e difficoltà iniziali, ma soprattutto ha fatto maturare, grazie alla collaborazione fra vari soggetti istituzionali e all’integrazione di diverse competenze, corrette modalità di approccio alla documentazione, parallelamente all’affermazione di pratiche descrittive condivise dalla comunità scientifica internazionale. Nel contempo è cresciuta una nuova generazione di studiose, che hanno potuto usufruire dei risultati dell’appassionato impegno iniziale delle donne dell’Udi, dando ragione al convincimento che la salvaguardia della “loro” documentazione sarebbe stata funzionale alla storia futura21.


Note

1 Guida agli archivi dell’Unione Donne Italiane, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, 2002.

2 Ivi, p. 31.

3 Delfina Tromboni, Archivi locali, in Guida agli archivi dell’Unione Donne Italiane, cit., pp. 59-60.

4 Guida agli archivi dell’Unione Donne Italiane, cit., p. 32.

5 Ermanna Zappaterra, Introduzione, in Unione Donne Italiane Bologna, Archivio provinciale. Presentazione dell’inventario, 1, Bologna, 1991, p. 1. Una copia della pubblicazione si conserva in Archivio della Soprintendenza archivistica e bibliografica dell’Emilia-Romagna (d’ora in poi Asabero), Fascicoli ispettivi, Archivi privati, fasc. “Archivio Udi di Bologna”, sottofasc. “Archivio dell’ente (convenzione con la Regione)”.

6 Rosanna Galli, Intervento introduttivo in Coordinamento Regionale Archivi Udi, Atti del seminario regionale «Progetto di recupero, ordinamento, valorizzazione di un patrimonio storico delle donne», Bologna, 13 aprile 1991, p. 1. Una copia degli Atti si conserva in Asabero, Fascicoli ispettivi, Archivi privati, fasc. “Archivio Udi di Bologna”.

7 Ivi, p. 2.

8 Zappaterra, Introduzione, cit.

9 Galli, Intervento introduttivo, cit., p. 3.

10 Coordinamento Regionale Archivi Udi, Atti del seminario regionale, cit.

11 Gli archivi per la storia contemporanea. Organizzazione e fruizione. Atti del Seminario di studi, Mondovì, 23-25 febbraio 1984, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1987.

12 Claudio Pavone, Problemi di metodo nell’inventariazione, catalogazione, preparazione di strumenti di corredo degli archivi per la storia contemporanea, in Gli archivi per la storia contemporanea, cit., p. 151.

13 Ivi, p. 152.

14 Guida agli archivi dell’Unione Donne Italiane, cit., p. 32.

15 Ivi, p. 113.

16 Ivi, p. 114.

17 Lo standard internazionale di descrizione archivistica ISAD(G): General International Standard Archival Description, venne infatti elaborato tra il 1988 e il 1993 dalla Commissione ad hoc per gli standard di descrizione del Consiglio internazionale degli archivi e pubblicato in prima versione nel 1994 (International Council on Archives, ISAD(G): General International Standard for Archival Description, Adopted by Ad Hoc Commission on Descriptive Standards, Stockolm, Sweden, 21-23 January 1993, Ottawa, Secrétariat de la Commission ad hoc sur les normes de description, 1994).

18 Tromboni, Archivi locali, cit., p. 59.

19 Coordinamento regionale Archivi Udi, Atti del seminario regionale, cit., p. 35.

20 La lettera si conserva in Asabero, fasc. “Archivio Udi (Reg. Emilia Romagna) Modena”.

21 Gli archivi Udi dell’Emilia-Romagna hanno recentemente fornito materiali per le ricerche di Elisa Giovannetti, La solidarietà al femminile attraverso le fonti dell’Archivio Udi di Bologna, in Eloisa Betti, Fiorenza Tarozzi (a cura di), Le italiane a Bologna. Percorsi al femminile in 150 anni di storia unitaria, Bologna, Editrice Socialmente, 2013; Eloisa Betti, Forme di solidarietà al femminile a Bologna nel secondo Novecento. Ipotesi di ricerca sul ruolo delle donne dell’Udi, in Betti, Tarozzi (a cura di), Le italiane a Bologna, cit.; Eloisa Betti, Gli archivi dell’Udi come fonti per la storia del lavoro, in Saveria Chermotti, Maria Cristina La Rocca (a cura di), Il genere nella ricerca storica, Il Poligrafo, Padova, 2015, pp. 483-509; Eloisa Betti, Marta Magrinelli, Genere, fotografia e storia negli archivi del secondo Novecento: il Fondo fotografico dell’Unione Donne Italiane (Udi) di Bologna, in “Clionet. Per un senso dei tempi e dei luoghi”, 2018, vol. 2, https://rivista.clionet.it/vol2/betti-magrinelli-genere-fotografia-e-storia-negli-archivi-del-secondo-novecento/, ultima consultazione: 6 settembre 2022; Laura Orlandini, Percorsi di storia politica delle donne nell’Archivio Udi di Ravenna: lotte di emancipazione e rapporto con il territorio, in “Clionet. Per un senso dei tempi e dei luoghi”, 2020, vol. 4, https://rivista.clionet.it/vol4/orlandini-percorsi-di-storia-politica-delle-donne-nell-archivio-udi-di-ravenna-lotte-di-emancipazione-e-rapporto-con-il-territorio/, ultima consultazione: 6 settembre 2022.