Utopia e concretezza: ricordiamo Margherita Zoebeli a 110 anni dalla nascita

Utopia and pragmatism: remembering Margherita Zoebeli 110 years after her birth

In apertura: Rimini, 1945-46. Bambini giocano tra le macerie di una casa bombardata, lungo Corso d’Augusto (Archivio fotografico della Fondazione Margherita Zoebeli, Biblioteca civica Gambalunga di Rimini).

1. La biografia

La biografia di Margherita Zoebeli (Zurigo 1912-Rimini 1996) ha sicuramente una caratteristica peculiare. La sua vita è caratterizzata da una spiccata dimensione transnazionale e, nello stesso tempo, da un forte radicamento territoriale. Il talento di tessere reti internazionali di intervento sociale e, contestualmente, la capacità di creare istituzioni concrete sul territorio. Margherita ebbe la capacità di “tradurre”, per così dire, la sua utopia – cioè, i suoi ideali socialisti e comunitari – in un luogo concreto: il Centro educativo italo-svizzero (Ceis) di Rimini, nato nel 19461.

Il suo percorso biografico, che si snoda tra politica e pedagogia, chiama in causa diversi elementi: la storia politica e sociale, la storia della pedagogia, i temi relativi all’impegno civico e alla critica sociale, il rapporto tra passato, presente e futuro.

Il suo percorso umano e professionale si colloca all’interno della storia del Soccorso operaio svizzero (Sos), una organizzazione non governativa che nasce all’inizio degli anni Trenta, per iniziativa del Partito socialista svizzero e dei sindacati elvetici. Margherita si forma e consolida le sue competenze attraverso le esperienze di intervento sociale e di cooperazione internazionale realizzate dal Sos durante la Guerra civile spagnola e la Seconda guerra mondiale; fino ad arrivare ai problemi della ricostruzione post-bellica, che la condurranno in Italia e a Rimini.

Da un punto di vista delle scienze dell’educazione, il “tratto” originale di Margherita Zoebeli risiede nello stimolo da lei impresso alle esperienze pedagogiche di tipo comunitario. Il Centro sociale ed educativo fondato dalla Zoebeli in una delle città italiane più martoriate dalla Seconda guerra mondiale fu il fulcro e il punto di riferimento per i primi sviluppi della “scuola attiva” e della “cooperazione educativa” nel nostro paese. Tutto ciò accadeva dopo che – a causa del fascismo – l’Italia era rimasta in buona parte estranea al dibattito (americano ed europeo) su questi temi.

Un fermento e un impegno nell’alfabetizzazione democratica che era incarnato dall’attivismo di quelle che Goffredo Fofi ha definito le “minoranze etiche” attive nel lavoro sociale2. Realtà di base che si muovevano in maniera largamente autonoma rispetto alla sfera “ufficiale” della scuola e delle istituzioni pubbliche, con le quali comunque, specie tra anni Cinquanta e Sessanta, riuscirono a dialogare e confrontarsi.

2. La formazione

Se è vero che Margherita Zoebeli arriva a Rimini ancora giovane, a poco più di trent’anni, e se si può essere d’accordo sul fatto che il Ceis sia la principale realizzazione della sua vita, è altresì vero che colei che arriva a Rimini nel dicembre 1945 è una pedagogista e assistente sociale con alle spalle un vissuto già molto denso e originale. Una figura silenziosa e carismatica, capace di leadership, che per questo riesce a imporsi, insieme al Ceis, come punto di riferimento del dibattito sull’intervento sociale ed educativo, a livello locale, nazionale e internazionale.

La sua era stata una formazione libera e non canonica, avvenuta a Zurigo, cuore dell’internazionalismo antimilitarista negli anni della Prima guerra mondiale e poi, tra anni Venti e Trenta, roccaforte della sinistra svizzera, con le vittorie elettorali dei socialisti zurighesi, in un contesto nazionale orientato prevalentemente in senso liberal-conservatore3.

Per ragioni economiche Margherita è costretta a lasciare l’università, dove studia scienze politiche, e a dedicarsi al lavoro educativo, in un contesto in cui cresce e si mobilita il Soccorso operaio svizzero, in risposta ai regimi totalitari e alla guerra – con il suo seguito di esili, famiglie distrutte e bambini abbandonati.

Lavoro educativo e formazione politica dentro la Gioventù socialista svizzera procedono in parallelo. Le sue letture si orientano verso gli autori del socialismo utopistico e anarchico ottocentesco: Godwin, Owen, Proudhon e Bakunin, unitamente a Piaget e Dewey, ovvero la pedagogia «attiva» il dibattito intorno alla quale era particolarmente forte negli Stati Uniti, in Francia e Svizzera. Centrale il suo legame ideale con la tradizione di quell’umanesimo socialista e anarchico che aveva aperto la strada, nel corso del XIX secolo, ai movimenti di emancipazione popolare: una tradizione egualitaria ma rispettosa delle differenze e dell’altro.

Valori inscindibili nella formazione della Zoebeli sono: l’unione di teoria e pratica; la democrazia come fine e come mezzo; il primato di una pedagogia della comunità; i valori della solidarietà e della cooperazione; l’amore per la natura e l’ambiente.

3. Le origini del Soccorso operaio svizzero

Le premesse del Sos vennero poste, nel 1930, dai lavori di una «conferenza per l’assistenza socialista», poi, nel 1932, dall’istituzione dell’Aiuto proletario all’infanzia, fondato dai Gruppi delle donne socialiste di Zurigo e della Svizzera orientale.

L’attività del Soccorso operaio svizzero4 prese maggiore consistenza a partire dal 1933-34, con l’afflusso dei rifugiati tedeschi e austriaci in fuga dai regimi di Hitler e Dollfuss. L’aiuto ai rifugiati divenne, proprio allora e in maniera durevole, una nuova direttrice di azione dell’organizzazione elvetica.

Il Soccorso operaio si strutturò compiutamente solamente nel 1936. In quel frangente, con la Guerra civile spagnola e gli interventi di soccorso nella penisola iberica, l’azione del Sos acquistò quella dimensione internazionale che si incrementerà durante e dopo la Seconda guerra mondiale, diventando una caratteristica fondamentale di questa istituzione.

Su incarico del Soccorso operaio svizzero, Margherita Zoebeli nel 1938 arrivò in Spagna per dirigere una scuola per bambini: a causa dell’avanzare della guerra, la Zoebeli fu costretta a trasportarli in Francia, dove incontrò Célestin Freinet, impegnato da anni a promuovere una pedagogia popolare e libertaria, che accolse nella sua scuola i bambini vittime delle vicende spagnole. Nel 1943 si formò la sezione ticinese del Soccorso operaio svizzero sotto la direzione di Régina Kägi-Fuchsmann, segretaria generale del Sos e maestra di Margherita Zoebeli. Tramite lei, nel 1944 Margherita incontrò Gabriella Seidenfeld, in occasione dell’azione di soccorso in favore della popolazione dell’Ossola (assistenza ai partigiani e alle loro famiglie al confine italo-svizzero). Qui le reti si allargarono a includere gli esuli antifascisti, Pietro Tresso e Ignazio Silone, compagni rispettivamente di Barbara e Gabriella Seidenfeld5. Nel 1945, Margherita è in missione a Saint-Etienne, in Francia, per la creazione di una «casa» per bambini orfani della Resistenza o provenienti da famiglie di deportati. Pochi mesi più tardi, nel dicembre ’45, a Margherita veniva assegnata una nuova missione: raggiungere Rimini per fondarvi un Centro sociale ed educativo.

Intanto, nel 1944, per decisione del Consiglio federale elvetico, era stato creato il Dono svizzero per le vittime della guerra, un ente governativo a cui si affidava il compito di coordinare e sostenere l’insieme degli aiuti che la Svizzera intendeva portare ai paesi colpiti dalla guerra, in collaborazione con le realtà associative già esistenti, tra le quali lo stesso Soccorso operaio. Il Dono si configurava, cioè, come struttura di coordinamento delle organizzazioni assistenziali e di intervento sociale presenti nella confederazione elvetica.

Tra il 1944 e il 1948, come dirigente del Soccorso operaio e del Dono svizzero, Régina Kägi visitò buona parte dell’Europa martoriata dalla guerra. Attraversò la Francia centro-settentrionale, giungendo fino all’estremo orientale dell’Alsazia, si recò in Italia, fermandosi a Milano e visitando diverse località poste sulla Linea gotica (da Rimini a Marzabotto), fu infine a Innsbruck, in Austria, dove come a Milano e a Rimini venne fondato, grazie agli aiuti svizzeri, un centro sociale e pedagogico. Régina avrebbe lasciato la segreteria del Soccorso operaio nel 1951, rimanendo comunque in prima linea e dedicandosi, in particolare, a progetti di sostegno rivolti ai paesi in via di sviluppo6.

4. Rinnovare la pedagogia di un paese uscito dal fascismo e dalla guerra

I Centri di esercitazione ai metodi dell’educazione attiva (Cemea, la prima delegazione nasce a Firenze con Margherita Fasolo), il Movimento di cooperazione educativa (Mce, nato tra le Marche e la Toscana), il Centro di educazione professionale per assistenti sociali (Cepas) promosso a Roma da Guido Calogero, Maria Comandini e Angela Zucconi, il Movimento di collaborazione civica (Mcc), vicino alla galassia socialdemocratica e azionista, i Centri di orientamento sociale (Cos, promossi a Perugia da Aldo Capitini)… queste sono alcune delle sigle attorno alle quali si riuniscono gli educatori che nel dopoguerra, in Italia, si attivano per favorire la diffusione di una pedagogia attiva, per rinnovare la formazione degli insegnanti e degli assistenti sociali.

La rete di questi organismi si costituisce del tutto al di fuori delle grandi organizzazioni verticali, partitiche e istituzionali, tipiche del Novecento, in continuità invece con le pratiche di autorganizzazione sociale del secolo precedente7. Isole di riformismo, con legami internazionali. È una generazione di educatori e operatori sociali venuta all’impegno negli anni Cinquanta-Sessanta, troppo giovane per fare la guerra e la Resistenza e già oltre l’età studentesca per fare il ’68, che ha i propri maestri in alcuni intellettuali attivi nell’Italia fascista e prefascista (Capitini, Calogero, Codignola, Olivetti), diversi tra loro ma accomunati dal tentativo di ricreare strutture di intervento «autonome-federali-dal basso»8.

A Rimini nel 1947-48 si tengono due importanti Semaines internationales d’etude pour l’enfance victime de la guerre (Sepeg)9. Esperienze e incontri importanti si tengono anche a Milano. La città è allora guidata dal sindaco socialista Greppi, già esule antifascista in Svizzera. Anche lì sorge un asilo italo-svizzero su iniziativa di Gabriella Seidenfeld, già compagna di Silone, e si costituisce un gruppo di educatori ispirato da Dewey e Washburne, con interlocutori come Jean Piaget e Pierre Naville. A Firenze c’è Scuola-città Pestalozzi di Codignola. A Torino opera Ada Gobetti. A Roma nasce il Cepas, il Centro di educazione professionale per assistenti sociali fondato da Calogero e sostenuto da Olivetti, vicino alle posizioni liberal-socialiste, con un programma di formazione per gli assistenti sociali tutto focalizzato sulla persona, senza vincoli fissati a livello centrale. Tra gli insegnamenti previsti, Social ethics, tenuto dallo stesso Calogero, e Storia contemporanea, da Chabod, ma soprattutto molto impegno sul campo, mediante il metodo dell’inchiesta, specie al Sud. Nasce anche la rivista “Centro sociale”, diretta da Angela Zucconi (redattrice Anna Maria Levi) che si affianca ad altre testate fondamentali: in primo luogo, “Comunità” di Olivetti e “Scuola e città” di Codignola, capaci di Integrare tra loro i concetti di “comunità” e “sviluppo”. Altre iniziative si registrano a Napoli, in Sardegna e Calabria. In tutti questi contesti fondamentale è il ruolo del Soccorso operaio svizzero, in collaborazione con il Ministero per l’Assistenza postbellica (guidato prima da Lussu, poi da Sereni).

Grazie agli aiuti internazionali, inizia una stagione di rinnovamento per il lavoro sociale. La formazione degli assistenti sociali e il lavoro di comunità si arricchiscono di impulsi provenienti dagli Stati Uniti, dove negli anni Trenta sulla base dell’esperienza del New Deal si era diffuso un più ampio concetto di assistenza, inteso come organizzazione di vasti programmi di intervento, non solo per i gruppi più disagiati. La pedagogia italiana incontra la «scuola attiva». In questo senso è da ricordare il ruolo di Lamberto Borghi10, che si era rifugiato nel 1940 negli Usa, dove aveva scritto la sua tesi di dottorato, Educazione e autorità nell’Italia moderna11, e frequentato gli ambienti di “Politics” (di cui parlò sulla rivista “Liberalsocialismo” fondata nell’immediato dopoguerra da Calogero). Tornato in Italia, Borghi lavora con “Scuola e città”, partecipa ai convegni Sepeg, insistendo sempre sulla necessità di collegare scuola e comunità locali.

Epilogo

Qualcosa nell’esperienza di Margherita Zoebeli e del Ceis continuò a essere inassimilabile da parte dell’ambiente italiano: lo dimostrano l’isolamento personale, le accuse di protestantesimo da parte degli ambienti cattolici, gli ostacoli burocratici, infine i contrasti generazionali emersi negli anni Settanta. Come scrisse Fabrizia Ramondino: «né il 68, né il femminismo ponevano al centro del loro operare i bambini. Più che pensare al futuro e al prossimo, i nuovi adulti guardavano soprattutto al presente e alla qualità della propria vita»12. Per tutte queste ragioni, intorno alla metà degli anni Settanta Margherita Zoebeli lascia la direzione del Centro, ma non si ritira a vita privata: nel 1976, ad esempio, si impegna per il Friuli. Ancora agli inizi degli anni Novanta la troviamo a difendere appassionatamente l’idea di un intervento educativo che non si conformi alla società esistente.

Per parafrasare una illuminante frase di Guido Guglielmi sul “senso” dei testi, potremmo concludere: «[le vite] appartengono al tempo che le ha prodotte e al tempo che le legge»13. E della traiettoria di Margherita, oggi, in uno scenario di difficile, ma necessaria, ricostruzione di una prospettiva di trasformazione sociale, ci interessa in maniera particolare la capacità di intrecciare slancio utopico (la visione) e impegno concreto (l’agire qui e ora), facendo interagire dimensioni di scala diverse: da quella locale a quella transnazionale.


Note

1 Preziosi spunti interpretativi in questo senso nell’intervento (rimasto inedito) che venne tenuto da Mariuccia Salvati in occasione della presentazione, a Forlì, il 26 giugno 2015, del mio volume Lavoro di comunità e ricostruzione civile in Italia. Margherita Zoebeli e il Centro educativo italo-svizzero di Rimini, Roma, Viella, 2015.

2 Si vedano, ad esempio, le conclusioni di Fofi, Il ruolo delle minoranze pedagogiche tra società e istituzioni, in Carlo De Maria (a cura di), Intervento sociale e azione educativa. Margherita Zoebeli nell’Italia del secondo dopoguerra, Bologna, Clueb, 2012, pp. 175-179.

3 Sugli anni della formazione della Zoebeli, già affrontati nella prima parte del volume Lavoro di comunità e ricostruzione civile in Italia, cit., ho avuto modo di tornare recentemente in occasione di una conferenza promossa dall’Istituto italiano di cultura di Zurigo (Kulturhaus Helferei, 21 aprile 2022) e a distanza di poche settimane in una iniziativa promossa a Rimini dalla Fondazione Margherita Zoebeli (Cineteca comunale, 6 giugno 2022).

4 La denominazione tedesca è Schweizerisches Arbeiter-Hilfswerk, quella francese Œuvre suisse d’entraide ouvrière. Sulla storia del Sos, è ancora prezioso il saggio-testimonianza di Régina Kägi-Fuchsmann, A grands traits. Quinze années d’activité de l’Œuvre suisse d’entraide ouvrière, in «Entraide. Bulletin mensuel de l’Œuvre suisse d’entraide ouvrière», II/10-11 (1948).

5 Cfr. Sara Galli, Le tre sorelle Seidenfeld. Donne nell’emigrazione politica antifascista, Firenze, Giunti, 2005. Provenienti da una famiglia ebraica ungherese trapiantata a Fiume, le tre sorelle Seidenfeld – Barbara, Gabriella e Serena, nate intorno al 1900 – avevano condiviso, nel corso degli anni Venti, un decennio di militanza all’interno del PCd’I, per poi dividersi in modo traumatico all’inizio degli anni Trenta. Mentre Serena rimaneva nell’organizzazione comunista, Barbara entrava nel movimento trockijsta, insieme a Tresso, e Gabriella si avvicinava con Ignazio Silone, suo compagno di vita, all’antifascismo socialista. Sul rapporto umano e professionale tra Margherira Zoebeli e Barbara Seidenfeld, una delle sue principali collaboratrici nei primi anni al Ceis di Rimini, si veda Patrizia Dogliani, «Une camarade de route»: Margherita e Rimini nel mondo di Barbara Seidenfeld, in De Maria (a cura di), Intervento sociale e azione educativa, cit., pp. 39-58.

6 Régina Kägi-Fuchsmann, Das gute Herz genügt nicht: mein Leben und meine Arbeit [La compassione non basta: la mia vita e il mio lavoro], Zürich, Ex Libris, 1968.

7 Per una ricostruzione puntuale rimando al mio Lavoro di comunità e ricostruzione civile in Italia, cit.

8 Aldo Capitini, Guido Calogero, Lettere 1936-1968, a cura di Thomas Casadei, Giuseppe Moscati, Roma, Carocci, 2009, pp. 203, 352.

9 Carlo De Maria, Margherita Zoebeli e il lavoro per l’infanzia vittima della guerra, in Enrico Appetecchia (a cura di), Idee e movimenti comunitari. Servizio sociale di comunità in Italia nel secondo dopoguerra, Roma, Viella, 2015, pp. 261-279.

10 Sul quale si veda anche Franco Cambi, Sul pensiero pedagogico di Lamberto Borghi: la componente anarchica, in Giampietro Berti, Carlo De Maria (a cura di), L’anarchismo italiano. Storia e storiografia, Milano, Biblion, 2016, pp. 193-199.

11 Lamberto Borghi, Educazione e autorità nell’Italia moderna, ora nell’edizione introdotta da Carmen Betti e Franco Cambi, Bergamo, Edizioni Junior, 2021.

12 Fabrizia Ramondino, L’isola dei bambini, Roma, E/O, 1998, p. 47. Scrittrice e insegnante, per un breve periodo tirocinante al Ceis, Fabrizio Ramondino faceva parte dei networks pedagogici animati da Margherita Zoebeli. Si vedano, infatti, i riferimenti a Ramondino in De Maria, Lavoro di comunità e ricostruzione civile in Italia, cit.

13 Guido Guglielmi, La parola del testo. Letteratura come storia, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 38, cit. in maniera più estesa anche in Carlo De Maria, Camillo Berneri. Tra anarchismo e liberalismo, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 197.