«Bologna la civica». Un progetto didattico del Centro Zangheri per il centenario del Liceo Righi di Bologna

«Bologna la civica». An educational project of Centro Zangheri for the centenary of Liceo Righi in Bologna

In apertura: Liceo Augusto Righi di Bologna (Foto dell’Autore).

Il giovane cammina più veloce dell’anziano, ma l’anziano conosce la strada.

Proverbio africano

1. Premessa

Nel 2023, il Liceo Augusto Righi di Bologna compie cento anni. Nell’ambito delle celebrazioni, è maturata una interlocuzione tra il Centro studi e ricerche Renato Zangheri e il liceo stesso, per la co-progettazione di laboratori di storia e di educazione civica rivolti agli studenti. Si tratta di due materie che spesso vengono citate insieme, anche se nella filiera formativa italiana la prima ha avuto molta più importanza. La legge 92 del 20 agosto 2019 ha introdotto dall’anno scolastico 2020-2021 l’insegnamento dell’educazione civica nell’ampia fascia d’età compresa fra i 6 e i 19 anni. Viene divisa in tre sezioni: «Costituzione, diritto, legalità e solidarietà», «Sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio» e «Cittadinanza digitale». L’insegnamento è affidato trasversalmente ai docenti, che devono svolgere annualmente 33 ore complessive di questa disciplina. Fin da subito, in quasi tutte le scuole, si è osservata la prassi di affidare una parte di questo monte ore ai cosiddetti «esperti esterni». Trascurata e messa ai margini della filiera scolastica per anni, l’educazione civica è una materia fortemente legata alla storia e fondamentale per la qualità dei cittadini e delle cittadine di domani.

Questo articolo si compone di tre parti principali. Innanzi tutto, si intende fornire una breve sintesi dei cento anni di storia del Liceo Righi, per dare al lettore un’idea di questa tradizione scolastica e dell’importanza che tale istituto riveste nel panorama felsineo. In secondo luogo, si vuole spiegare che cos’è il Centro studi e ricerche Renato Zangheri, nato nel 2022, e giocoforza troppo giovane per essere ben conosciuto a livello cittadino. Infine, si entrerà nel merito della questione, illustrando l’attività didattica preannunciata, nell’ambito del progetto denominato «Bologna la civica».

2. Breve storia del Liceo Righi di Bologna

Il Liceo Augusto Righi di Bologna fu istituito nel 1923, quando la cosiddetta “riforma Gentile” introdusse un nuovo istituto scolastico, ovvero il liceo scientifico1. Trentasette province italiane, fra le quali quella felsinea, si attivarono per tradurre immediatamente in pratica tale indirizzo. La prima sede del Righi fu in piazza San Domenico n. 14 – all’epoca denominata piazza Galileo Galilei –, in pieno centro cittadino. L’edificio era di proprietà del Comune di Bologna ed ospitava anche l’istituto tecnico Pier Crescenzi. Le aule riservate al Righi erano su tre piani e fino a quel momento erano state utilizzate dalla Scuola tecnica Aldrovandi. Oltre agli spazi riservati alle classi, vi erano un’aula di disegno, un’aula ad anfiteatro e i cosiddetti “gabinetti” di fisica e di scienze. Il Righi assorbì gli studenti della soppressa sezione fisico-matematica dell’istituto tecnico e del soppresso liceo moderno. Furono istituite due sezioni: una solo maschile e con l’insegnamento della lingua tedesca e una mista con l’insegnamento della lingua francese. Nel corso degli anni Venti e Trenta il numero degli studenti crebbe sensibilmente: 302 ragazzi nel 1934-35 e addirittura 503 nel 1939-40. Tanto che nel 1934 fu istituita una terza sezione, la “C”, e nel 1936 addirittura una quarta, la “D”. Da un lato, Bologna si ingrandiva; dall’altro la modernizzazione del paese e lo sviluppo economico inducevano sempre più famiglie a investire nell’istruzione superiore dei figli. Di conseguenza, i locali di piazza San Domenico cominciarono ad apparire angusti e la coabitazone con il Pier Crescenti sempre meno adeguata.

Si fece così strada l’idea che il Righi dovesse dotarsi di una nuova sede. Questa fu effettivamente progettata e completata nel 1940, ad opera dell’architetto Melchiorre Bega e con parti decorative dello scultore bolognese Bruno Boari. L’imponente edificio in stile razionalista era collocato all’angolo tra il viale di circonvallazione Carlo Pepoli e via Ugo Foscolo, in una posizione strategica, a cavallo tra il centro storico e la periferia. Sempre nel 1940 fu approvata la cosiddetta “riforma Bottai”, dal nome di Giuseppe Bottai, ministro dell’educazione nazionale, che dava maggiore importanza alle discipline scientifiche, ponendole sullo stesso piano di quelle umanistiche, preponderanti nell’istruzione superiore dell’epoca. Ma il 1940 è anche da ricordare per l’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale. Il conflitto avrebbe segnato pesantemente il nostro paese e di conseguenza anche la vita scolastica ne avrebbe risentito. Nell’autunno del 1944 il Righi si era profondamente trasformato, con l’attività che procedeva a singhiozzo e con gravi limitazioni. Diversi studenti e alcuni professori erano sfollati e avevano ottenuto una dispensa, mentre una parte sempre più ampia della scuola era stata riconvertita a necessità militari. Basti pensare che nell’ampio cortile erano stati stoccati carburanti, munizioni e altri materiali bellici, mentre nelle palestre e in alcune aule alloggiavano circa cinquecento militari tedeschi.

La situazione cambiò ulteriormente nel gennaio 1945, quando il Righi divenne un ospedale. In particolare, le palestre e il primo piano vennero date in gestione al nosocomio di Castel San Pietro, mentre il secondo piano a quello di Vergato. Furono ospitati fino a duecento feriti. Sul tetto fu issata una bandiera con l’emblema della Croce Rossa, a scongiurare attacchi aerei. Dopo circa quattro mesi la guerra terminò, di fatto quasi in coincidenza con la chiusura dell’anno scolastico 1944-45, il più travagliato in assoluto nella storia del Righi. Nell’agosto del 1947, l’ospedale di Castel San Pietro riconsegnò interamente i locali dei quali aveva fruito per oltre trenta mesi. Ciò significa che i primi due anni scolastici del secondo dopoguerra avevano visto una inedita coabitazione forzata tra studenti e degenti. Nei successivi anni del boom economico, il liceo scientifico fu un indirizzo sempre più scelto dai quattordicenni, figli e figlie di una Bologna un po’ più benestante, che auspicava che le nuove generazioni andassero a implementare i gruppi di testa del tessuto manifatturiero e del terziario felsineo. L’economia locale aveva fame di figure professionali qualificate, molto spesso in possesso della laurea. E così le aule del Righi si riempirono di coloro che sarebbero stati futuri ingegneri del settore packaging, i futuri medici del Sant’Orsola e del Maggiore, i futuri direttori di banca delle filiali felsinee, le future insegnanti delle scuole cittadine, i futuri ricercatori degli atenei italiani, per non fare che alcuni esempi fra i tanti possibili. Quindi, negli anni del miracolo economico si intrecciarono due diverse esigenze, una quantitativa – ovvero accogliere un crescente numero di liceali – e una qualitativa, legata all’aggiornamento dei programmi didattici che avrebbero formato le nuove generazioni. Il Liceo Righi era stato progettato quasi vent’anni prima del boom demografico e produttivo, per cui era stato pensato per ospitare circa 500 alunni. Ma le iscrizioni si erano presto attestate attorno alle 1.000 unità, in prevalenza maschili, con le ragazze a rappresentare meno di un terzo della popolazione studentesca. Occorrevano, dunque, ulteriori spazi. Innanzi tutto, fu deciso di ampliare la sede principale del Righi, con un progetto approvato nel 1962, relativo alla costruzione di un terzo piano. Ma si trattava di un provvedimento non immediato e non sufficiente. Si decise di anche aprire delle succursali, essenzialmente in edifici del centro storico che potevano fungere a tale scopo. Principalmente si trattava di istituti scolastici dismessi perché troppo piccoli o angusti, come le Scuole tecniche di via Schiavonia, le cui aule ospitarono una sezione del Righi. Analoghi decentramenti si ebbero in via Marconi, in via della Rondine e in via Santo Stefano. Da questi nuclei sarebbero nati altri due licei scientifici. Il primo era l’Enrico Fermi, che si sarebbe dotato di una propria sede, inaugurata nel 1962 in via Mazzini. Il secondo era il Niccolò Copernico, nato nel 1970. Altre succursali del Righi furono istituite in provincia: a Imola, a San Giovanni in Persiceto, a Porretta Terme, a Casalecchio di Reno. Anche in questi casi, tali succursali sarebbero poi diventate dei licei del tutto autonomi. Quindi si può dire che il Liceo Righi, dall’alto della sua primogenitura, gemmò gran parte degli altri “scientifici” di Bologna e provincia.

Infine, si ebbe un’altra importante novità, che avrebbe contraddistinto il Righi per circa mezzo secolo. Si stabilì, infatti, di istituire delle lezioni pomeridiane, sempre per via del fatto che il numero degli studenti era molto aumentato, per cui il numero delle aule era insufficiente ad accogliere tutti. Si decise che ogni sezione, in un prestabilito giorno della settimana, facesse lezione di pomeriggio anziché di mattina. Il “pomeriggio del Righi” divenne un elemento distintivo del liceo, dato che nessun’altra scuola bolognese aveva un’organizzazione di questo genere, ed era piuttosto singolare anche a livello nazionale. Come si è spiegato, il Righi era una delle principali istituzioni scolastiche bolognesi. Nonostante questo, nel cruciale periodo compreso fra il 1968 e il 1977, non fu al centro delle agitazioni studentesche che contraddistinsero quella fase storica, vivendole un po’ più marginalmente e quasi di riflesso. I motivi di tutto ciò sono essenzialmente due. Innanzi tutto, la contestazione studentesca ebbe come epicentro più le università che le scuole superiori. In secondo luogo, rispetto ad altri istituti scolastici, il Righi aveva iscritti con un’estrazione sociale meno popolare e quindi, con le dovute eccezioni, meno incline a condividere le ragioni della protesta. Gran parte degli studenti proveniva da famiglie del ceto medio, anche se, naturalmente, c’erano eccezioni opposte, ovvero ragazzi della Bologna altolocata e ragazzi delle case popolari.

Forse, la principale eredità materiale di quella stagione di agitazioni fu l’istituzione degli organi collegiali, avvenuta nel 1974, ovvero delle rappresentanze di studenti e genitori, con la conseguente prassi delle assemblee d’istituto e di classe. Anche al Righi, ogni anno, il corpo studentesco avrebbe votato fra un elenco di liste e di candidati. E sarebbero stati così eletti i rappresentanti d’istituto e di classe degli alunni. Analogamente, una votazione di questo genere avrebbe interessato i genitori. Al di là delle questioni relative ai movimenti studenteschi, che comunque connotarono fortemente questa fase storica del Liceo Righi, il periodo a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta fu segnato da alcune altre importanti novità. La prima riguarda senza dubbio la graduale introduzione dell’informatica all’interno della scuola, come disciplina sempre più utile nel bagaglio di conoscenze degli studenti. Una seconda importante novità, anch’essa relativa alle materie d’insegnamento, fu la progressiva centralità dell’inglese fra le lingue straniere. Sempre sul piano didattico, all’interno del Righi nacque un progetto specifico che avrebbe avuto una certa notorietà a livello nazionale. Si trattava della cosiddetta “didattica breve”, intesa come un insieme di metodologie – o anche di semplici procedure, tecniche, artifizi dettati dall’esperienza – atte a velocizzare l’insegnamento, nel rispetto del rigore scientifico.

Nel corso degli anni Novanta e ancor più negli anni Duemila, le trasformazioni socio-economiche di Bologna contribuirono a modificare sensibilmente la vecchia percezione del liceo. Se in passato era vista come la scuola della borghesia e dei benestanti, iniziò a essere considerata soprattutto quella di coloro che erano bravi e che avevano voglia di studiare. Il Righi si presentava come un liceo all’avanguardia, innovativo e capace di dare strumenti e opportunità agli studenti. Una reputazione di questo tipo era stata costruita con l’apporto di tanti, non ultimo quello della preside Miriam Ridolfi, che con grandi energie e senso di responsabilità si era sempre impegnata per qualificare l’istituto che dirigeva. Il senso di appartenenza identitario a questo liceo era sensibilmente forte e così, nel 1996, un gruppo di ex studenti decise di fondare l’Associazione ex alunni del Righi, ancora oggi esistente e particolarmente attiva sul versante culturale e ricreativo.

I primi due decenni del XXI secolo furono densi di novità per la scuola italiana, a seguito di alcune riforme varate dal Parlamento. Il nuovo Righi avrebbe progressivamente avuto le fattezze di una scuola con tre indirizzi, due a carattere scientifico – tradizionale e scienze applicate – e uno a carattere linguistico. Parallelamente, si ebbe il completamento della modernizzazione delle attrezzature, con l’installazione di una lavagna interattiva multimediale (lim) in ogni aula. Inoltre, il riordino fu accompagnato dall’istituzione di una nuova succursale cittadina, in un plesso lungo viale Giovanni Vicini. Dopo poco più di dieci anni, tale edificio fu assegnato all’Istituto professionale statale artigianato e servizi (Ipsas) Aldrovandi Rubbiani; la sede secondaria del Righi traslocò nell’edificio all’angolo tra via Tolmino e via Podgora, che in passato aveva ospitato le Scuole elementari Alberto Dallolio e, poi, il Liceo artistico Francesco Arcangeli.

Nel 2015 fu estesa a tutte le scuole superiori – ovvero anche ai licei – la cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”. Di conseguenza, anche il Righi si dovette attrezzare per offrire a tutti i propri studenti opportunità in tal senso. Naturalmente non fu semplice individuare un congruo numero di imprese, di enti e di organizzazioni disposte ad accogliere e a seguire tanti ragazzi. Anche per questo motivo, nel 2019 l’alternanza scuola lavoro fu sostituita dai “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (Pcto)” che, soprattutto per i licei, avevano un approccio decisamente più morbido e meno invasivo rispetto al programma didattico tradizionale. La storia recente del Righi è stata segnata dall’epidemia pandemica di Covid-19, che per tre anni scolastici ha completamente sconvolto le abitudini e l’organizzazione didattica. Il ritorno alla normalità ha coinciso con l’avvio delle celebrazioni per il centenario. In un secolo di storia, il Righi ha fornito un’istruzione qualificata a un pezzo della futura classe dirigente, contribuendo all’educazione di circa ventimila ragazzi e ragazze. In prospettiva – fra tradizione e innovazione – dovrà continuare a dare un apporto cruciale alla città metropolitana e ai suoi giovani.

3. Il Centro di studi e di ricerche Renato Zangheri

Il Centro di studi e di ricerche Renato Zangheri nasce per ricordare la figura del grande intellettuale e politico emiliano-romagnolo2, sviluppando un’attività culturale che punta a tenere saldamente unite la memoria storica e l’innovazione, intesa quest’ultima come fattore di emancipazione, libera espressione e manifestazione della persona, e di superamento delle diseguaglianze. Sindaco di Bologna in una fase storica cruciale, poi parlamentare e capogruppo alla Camera dei deputati, professore ordinario di Storia economica all’Università di Bologna, più tardi cofondatore e rettore dell’Università della Repubblica di San Marino, studioso della società contadina, ma anche del pensiero dei grandi economisti del Novecento, Zangheri coltivò fino alla conclusione della sua vita quello che fu probabilmente il suo interesse culturale preminente: la storia del socialismo italiano e, in particolare, l’appassionante figura di Andrea Costa. A partire da questa straordinaria poliedricità, il programma scientifico e culturale del Centro Zangheri verte su quattro versanti principali. Il primo è la valorizzazione del patrimonio culturale generosamente donato dalla famiglia e costituito, principalmente, dalla biblioteca personale e dall’archivio fotografico. Il secondo consiste nella promozione, anche attraverso borse di studio post-dottorato, dell’attività di ricerca sulla biografia politica e culturale di Zangheri e sulle principali questioni che furono al centro del suo interesse scientifico e accademico. Il terzo riguarda la realizzazione di laboratori didattici nelle scuole e di iniziative di public history intorno ad alcuni grandi temi civili presenti nella riflessione di Zangheri, come la partecipazione democratica, lo sviluppo del welfare e dei servizi sociali, i diritti del lavoro, la pace e la cooperazione internazionale, la storia e la memoria del Novecento. Infine, ma non meno importante, c’è la volontà di condurre una analisi politica e sociale rivolta ai problemi del presente, che si tradurrà in conferenze e cicli di incontri che animeranno, a cadenza regolare, la vita del Centro; attività che aspira ad essere un punto di riferimento centrale per il rafforzamento della vita repubblicana. Come si sarà facilmente intuito, il progetto che meglio illustreremo nel prossimo paragrafo rientra pienamente all’interno del terzo punto poc’anzi menzionato. E, nella fattispecie, è il primo tassello di un’attività didattica che in prospettiva futura si preannuncia vivace e ricca.

4. Il progetto didattico per i cento anni del Righi

Come anticipato, la legge 92 del 20 agosto 2019 ha introdotto dall’anno scolastico 2020-2021 l’insegnamento dell’educazione civica nel primo e secondo ciclo d’istruzione3. L’insegnamento è affidato ai docenti, ma in molte scuole si è osservata la prassi di affidare una parte di questo monte ore a “esperti esterni”, anche perché negli ultimi tempi è fortemente cresciuto il numero di realtà – fondazioni, associazioni, istituti culturali, enti di vario genere – che ha elaborato un proprio piano di offerta formativa (pof) e ha proposto laboratori didattici per studenti. Si tratta quasi sempre di attività che vengono svolte senza oneri economici per le classi, per non pesare sui bilanci degli istituti scolastici o su quelli delle famiglie. Peraltro, poiché l’offerta formativa è ampia, sono le scuole stesse a preferire quei laboratori didattici dei quali fruire gratuitamente. L’educazione civica è fortemente intrecciata con la storia. Ed è una materia fondamentale per la qualità del tessuto sociale di domani. Una serie di pregiudizi, di falsi miti, di convinzioni errate ma paradossalmente radicate nell’opinione pubblica derivano proprio dalle gravi lacune in educazione civica. «È un abuso che quello faccia il Presidente del consiglio senza essere stato eletto», «Dicono tanto di essere democratici e poi appena ci si dichiara favorevoli al fascismo e si ricorda tutto ciò che Mussolini ha fatto di buono ti zittiscono», «Non è giusto che il figlio di immigrati abbia gli stessi identici diritti di chi è nato in Italia da genitori italiani»: sono tre frasi che molti hanno sentito pronunciare, probabilmente anche in più di una occasione, e che rimandano a quanto detto sopra, ovvero che c’è un grande bisogno di educazione civica.

Il Centro studi e ricerche Renato Zangheri, in linea con i suoi scopi statutari, vuole dare un apporto in questa direzione, utilizzando un budget dedicato alla didattica, peraltro implementato da una contribuzione in tal senso della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. In prospettiva futura, l’idea è di elaborare un proprio piano di offerta formativa (pof) e di svolgere delle attività in più scuole, magari in partnership con altre realtà territoriali animate da intenti e valori simili. A puro titolo di esempio si possono citare l’Istituto storico Parri e il Comitato regionale per le onoranze ai caduti di Marzabotto. Per l’anno scolastico 2023-2024, si è scelto di collaborare con il Liceo Righi, nell’ambito del progetto poi denominato «Bologna la civica». A tal proposito, prima di passare a una effettiva operatività si è ritenuta necessaria una ricognizione preliminare, volta a capire il tipo di bisogni formativi che ci sono sul territorio bolognese, con particolare attenzione alle scuole superiori. Contestualmente, si sono appurate le offerte didattiche già in essere, così da non proporre dei meri duplicati. In terzo luogo, si è interagito con alcuni docenti del Righi, per ragionare sul tipo di laboratori da proporre e a quali classi. Infatti, non si è voluto offrire alla scuola un pacchetto chiuso e rigido; viceversa, si è preferito coinvolgere il liceo nella definizione dell’offerta formativa. Dopo queste interlocuzioni preliminari, si è deciso di comune accordo di proporre l’attività didattica alle quattordici classi quinte. Ogni laboratorio è interattivo, dura due ore e si svolge in aula. In particolare, si chiede a ogni classe una scelta fra due differenti laboratori, rispettivamente denominati «Difendersi dalle fake news» e «Cooperare vs Competere». Veniamo rapidamente a illustrali, iniziando dal primo. Il diritto alla corretta informazione è tornato di grande attualità a seguito della crescente diffusione di notizie fasulle, soprattutto attraverso il web. Molti studi scientifici ci dicono che proprio i giovani sono i più esposti. Si tratta di un laboratorio didattico interattivo, nel quale i ragazzi e le ragazze sono prima edotti su cosa sono le fake news e sul perché rappresentano un rischio per la democrazia, e poi chiamati a discernere notizie vere e false in un lavoro di gruppo. L’obiettivo di fondo è spiegare la pericolosità delle fake news; allo stesso tempo, si vogliono fornire alcuni strumenti per imparare a riconoscere le notizie prive di fondamento, sulla base dell’attendibilità della fonte e di altri elementi caratterizzanti.

Il secondo laboratorio didattico, invece, è incentrato sui concetti di “cooperare e competere”: sono due attività che quotidianamente ci coinvolgono e ci inducono a relazionarci con gli altri. Entrambe le azioni implicano aspetti etici e utilitaristi, che verranno brevemente introdotti con richiami ai dibattiti filosofici. Talvolta preferiamo cooperare, altre volte è necessario competere: ma, salvo casi particolari, è sempre una scelta che dipende da noi. In questo laboratorio, gli studenti sono chiamati a dividersi in squadre e a sperimentare le due opzioni in contesti differenti. Al termine, avranno maggiore consapevolezza dei benefici e dei limiti della cooperazione e della competizione.

Occorre una breve chiosa a tutto ciò, anche per spiegare il titolo del progetto, ovvero «Bologna la civica». I laboratori sono accompagnati da un breve inquadramento storico, incentrato sulle trasformazioni di Bologna, con particolare riferimento agli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, ovvero quelli che videro un maggiore protagonismo di Renato Zangheri. In questa maniera, si è certi di tenere meglio insieme passato e presente, educazione civica e storia, teoria e pratica, nella speranza di incidere concretamente nella formazione delle nuove generazioni.

Note

1 Il presente paragrafo attinge alle seguenti fonti: Annali del liceo scientifico statale Augusto Righi. Liceo Righi 60°. Il tempo del Righi, Bologna, Tipografia Luigi Parma, 1983; Anna Cocci Grifoni, Tra storia e progetto, Bologna, Il Nove, 1994; Alessandra Ferretti Dragoni, Il Censore e l’Architetto, Bologna, Il Nove, 1994; Liceo scientifico Augusto Righi: 80° anniversario 1923-2003. Creatività e cultura scientifica, Bologna, Pendragon, 2005; Luca Ciancabilla (a cura di), Liceo scientifico Augusto Righi. Novant’anni di storia, Bologna, Minerva, 2013.

2 https://www.centrostudizangheri.it/renato-zangheri/, ultimo accesso: 1 settembre 2023.

3 Guglielmo Malizia, Carlo Nanni, Il ritorno dell’educazione civica in Italia tra passato e futuro: un primo bilancio, in “Orientamenti pedagogici: rivista bimestrale per gli educatori”, vol. 68, 2021, n. 1, pp. 83-102.