In apertura: giradischi Victrola (da Wikimedia Commons, https://commons.wikimedia.org).
Il vinile è morto nel 20051. Il necrologio così recitava quell’anno. L’annuncio venne dato con un pizzico di nostalgia e un grande entusiasmo per il radioso futuro digitale. Il CD non aveva rivali da almeno quindici anni, e il digitale immateriale cominciava ad affacciarsi nella quotidianità degli amanti della musica. In quell’anno il vinile rappresentava meno dell’1% delle vendite globali del mercato musicale mondiale. Nello stesso momento, un piccolo laboratorio per la produzione di vinili in singola copia, Vinilificio, nasce sull’appennino bolognese in un garage condiviso con un restauratore di Vespe e Lambrette. Il vinile era morto.
Facciamo un salto indietro di quasi centocinquant’anni. Siamo nel 18772, l’incisione fonografica venne “scoperta”, brevettata e commercializzata dall’inventore/imprenditore Thomas Edison, uomo simbolo del capitalismo “geniale” imprenditoriale della seconda rivoluzione industriale. Il fonografo, così si chiamava lo strumento inventato da Edison, incideva tramite un ago di acciaio, il suono su un cilindro rotante. Lo stesso fonografo poteva poi riprodurre lo stesso suono che era stato inciso. Inizialmente si immaginava il fonografo come uno strumento utile per poter trasportare e immagazzinare informazioni, oggi li chiameremo messaggi vocali. Si dice che Edison avesse inventato il fonografo come strumento per la trasmissione e dettatura di testi nel lavoro di ufficio, come audiolibro, ma non come strumento per la registrazione e riproduzione della musica.
L’obiettivo era quello di trasmettere velocemente informazioni, condizione indispensabile del mondo euforico del capitalismo occidentale. Una ventina di anni dopo, infatti, Marconi fece il grande balzo brevettando il telegrafo senza fili e scoperchiando il vaso di pandora delle telecomunicazioni. Ma questa è un’altra storia.
Ma cosa contiene il solco fonografico inciso sul cilindro prima e sui dischi poi? Il solco contiene vibrazioni, movimento scolpito e fissato sulla materia. La rotazione/movimento del supporto cilindro/disco permette alla puntina appoggiata sul solco di vibrare e trasmettere movimento tramite una membrana e una tromba e quindi di creare e diffondere suono nell’ambiente. Prima di allora il suono, la voce, la musica poteva essere ascoltata solo nel momento preciso dell’evento sonoro. Dal fonografo in poi non sarebbe stata più la stessa musica.
L’idea di preregistrare la musica per poi vendere il supporto prese piede grazie alla diffusione del grammofono, che utilizzava non più un cilindro, bensì un disco. Nel 1892 Berliner3, l’inventore del grammofono, mise in commercio il primo disco, è la nascita della discografia.
La storia dell’incisione fonografica è la storia della discografia. È la storia di come il capitale abbia creato un mercato basato sulla diffusione di supporti che contenevano musica, i dischi. Un mercato di proporzioni enormi la cui spina dorsale era composta da capitali, multinazionali e industrie che diffondevano su scala globale stili, culture e ultimo ma non per ultimo soft power. L’imperativo era (ed è) vendere e per farlo era necessario confezionare musica che tecnicamente rientrasse nei parametri del formato disco (nelle sue declinazioni 7”, 10” e 12”). I brani musicali avevano durate comprese tra i 3 e i 4 minuti, e quindi riproducibili sui vinili 7” conosciuti anche come 45 giri o singoli. I singoli contenevano il brano che, grazie alle radio, trainava le vendite e promuoveva gli album che raccoglievano i vari singoli e qualche altro brano. L’industria e i produttori imponevano ai compositori e ai musicisti di creare musiche con formati ben precisi, melodie cantabili e ritmi trascinanti. Nasce la cultura pop, con la sua musica fatta per essere confezionata, impacchettata, venduta e consumata. È l’euforia del dopo guerra che fa esplodere l’industria discografica. I grandi capitali statunitensi e anglosassoni inondano mezzo mondo con la loro musica promossa per radio e venduta grazie al supporto disco. Il blues, il jazz, il rock & roll sono le prime galline dalle uova d’oro di quell’epoca. L’epoca del grande Caruso e dei grammofoni è ormai storia. Sono arrivati i vinili, i giradischi e i mangiadischi. Nascono nuovi personaggi mitologici, nascono le star e i dischi vendono milioni di copie.
Poi la storia si fa più complessa. Anche grazie alla cultura di massa nascono, crescono e diventano fenomeni di moda e costume le controculture occidentali. L’industria discografica, interessata ai grandi numeri, sfrutta questi fenomeni e ne diffonde i suoni soprattutto tra i teenager e i giovani. C’è la musica beat, la psichedelia, la musica progressiva, l’hard rock e i primi esperimenti di musica elettronica. Alla fine dei settanta arriva il punk, l’hip hop, la new wave e la lista potrebbe essere ancora più lunga fino a comporre una vera e propria cosmogonia dell’estetica, del pensiero, del suono degli ultimi sessant’anni. Un intreccio inestricabile di storie tra cultura pop, avanguardie, controculture, mode, tendenze e business. Una vecchia storia, niente di nuovo. Un meccanismo creato ad hoc fatto di continue novità alla ricerca della “next big thing”. In tutto questo anche la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologia hanno avuto ed hanno tuttora un ruolo cruciale. La modernità è un imperativo e per farne parte è indispensabile seguirne pedissequamente l’euforia della novità. Le innovazioni tecnologiche sono parte indispensabile di questo processo. Nella storia della discografia le innovazioni hanno avuto un ruolo centrale. Per citare solo alcune di queste: il passaggio dal cilindro al disco, dal grammofono al giradischi, dal mono allo stereo, i 7”, il long playing e in maniera più marginale l’EP. Poi segue il nastro magnetico, prima come utilizzo professionale e poi diffuso con le cassette su scala planetaria. Negli anni Ottanta arriva il CD, con il suo suono preciso e cristallino, introdotto sul mercato come il grande antagonista del vinile. Da lì in avanti la diffusione dei files mp3, fino ad arrivare alla musica “liquida” e allo streaming.
Vinilificio fa parte di queste contraddizioni. Cresciuto dalla musica e dalla cultura DIY (Do It Yourself), dall’amore per il supporto vinile e per quello che ha rappresentato per la musica della seconda metà del Novecento. Vinilificio non nasce come un progetto, bensì come una necessità. Se produci e registri musica, la musica deve essere su disco, su vinile. Nel 2005 il vinile era morto e la tecnologia digitale legata al mondo del djing si stava affacciando con una certa prepotenza, seppure in fase ancora sperimentale. In quegli anni i cdj (lettori di cd per dj) spadroneggiavano nei dancefloor di mezzo mondo. Poche cose venivano pubblicate su vinile, e quei pochi dj che ancora suonavano i dischi necessitavano di nuovo materiale. Vinilificio era parte di questa nicchia di appassionati. Dopo lunghe ricerche, grazie ad una nuova tecnologia tedesca, Vinilificio comincia a realizzare vinili in singola copia, soprattutto per addetti ai lavori. In quel momento storico si trattava di fantascienza. Le stamperie di dischi chiudevano una dopo l’altra e realizzare vinili originali in singola copia, senza dover stampare centinaia o migliaia di dischi, aprì le porte ad un nuovo mondo. Vinilificio diventa un riferimento per produttori e dj che si muovevano nelle scene hip-hop, jungle e drum&bass, techno, reggae e dub. Il vinile indubbiamente rappresentava una micro-nicchia nell’industria musicale del tempo, ma rimaneva un solido bastione, grazie ad una fan base composta da appassionati, collezionisti, mercatini, dj e piccoli negozi specializzati. Quello che succedeva nel sottobosco degli appassionati, era totalmente estraneo al mercato e alla cultura mainstream. La coincidenza di alcuni fattori ha contribuito a rafforzare quella nicchia e a far rinascere il supporto vinile. Possiamo citare sicuramente il Record Store Day, giornata mondiale dedicata ai negozi di dischi, popolato da uscite discografiche esclusive e disponibili solo nel giorno dell’evento. La nascita di alcune piccole stamperie di dischi in vinile fondate da appassionati di musica e dj che sono stati capaci di interpretare le esigenze di quelle nicchie di mercato, producendo anche in tirature limitate a partire da 100 copie. La diffusione di fiere del disco specializzate. Ultimo ma non per ultimo la diffusione della musica liquida, la musica immateriale, fisicamente intangibile. Nel momento in cui la musica è divenuta disponibile tutta e subito su smart phone o computer, è nata la necessita di poter associare il suono ad un oggetto fisico. Il miglior supporto che rispondeva a questa esigenza era il vinile con i suoi 30 x 30 cm di copertina fronte retro, a volte apribile, con inserti, stampe e altro materiale esclusivo. Anche i dischi personalizzati in singola copia e le piccole tirature, come quelli che produce Vinilificio dal 2005, sono divenuti parte di questa rinascita ed hanno contribuito ad aggiungere pezzi al puzzle che compone la geografia del disco in vinile del terzo millennio. I dischi non sono più solo una prerogativa delle major discografiche, ma sono anche un patrimonio del mercato indipendente che ha fatto di questo supporto un simbolo e una rinascita. Oggi creare un vinile unico, in singola copia, è una realtà a portata di chiunque come lo è acquistare un disco in un negozio di dischi o in rete. Il vinile è morto nel 2005.
Note
1USA https://www.riaa.com/u-s-sales-database/. Italia https://www.fimi.it/news/in-un-mercato-sempre-piu-digitale-il-vinile-trova-la-sua-nuova-strada.kl. Dati globali https://www.statista.com/chart/2967/worldwide-vinyl-sales/, ultima
consultazione: 16 aprile 2023.
2 https://www.loc.gov/collections/edison-company-motion-pictures-and-sound-recordings/articles-and-essays/history-of-edison-sound-recordings/history-of-the-cylinder-phonograph/, ultima consultazione: 16 aprile 2023.
3 https://adp.library.ucsb.edu/index.php, ultima consultazione: 16 aprile 2023.