In apertura: il chiostro dell’ex convento di San Giovanni in Monte a Bologna, già sede del carcere cittadino (da Wikimedia Commons – licenza Creative Commons – attribuzione: Carlo Pelagalli).
La situazione sociopolitica nei primi mesi del secondo dopoguerra, nonché la circolazione illegale delle armi da fuoco, avevano causato un aumento dei reati (comuni, militari e politici) e il sovraffollamento delle carceri. Il codice di procedura penale (art. 272) non prevedeva un limite massimo per la carcerazione preventiva1. L’8 febbraio 1945 era stato promulgato il decreto legislativo luogotenenziale (Dll) n. 106, che negava la libertà provvisoria ai militari imputati di reati di assenza dal servizio2. Lo stesso Dll revocava una disposizione mitigatrice emanata durante la guerra fascista, ovvero la sospensione del procedimento per i disertori: una norma della quale si era fatto largo uso, con il fine di non sottrarre materiale umano alle truppe già dissanguate da sconfitte. Alla data del 31 marzo 1946 si contavano circa ottantamila detenuti, il doppio di quelli del 19353.
Testimonianze della situazione carceraria si trovano nel fondo del tribunale militare di Bologna: una settimana dopo la sua riattivazione, nel giugno 1945, il comando militare di Ravenna chiedeva un nulla-osta per la «traduzione detenuti militari in altra località essendo le carceri locali sovraccariche»4. Il giorno dopo giunse una richiesta analoga da Modena: «prega volere autorizzare a ché il detenuto D.G.B.F. sia tradotto alle carceri di Bologna, poiché le Carceri di Modena sono eccessivamente affollate»5; ma anche i penitenziari bolognesi soffrivano dello stesso problema6. Il carcere giudiziario militare sarebbe stato attivato solo alla fine di agosto 19457, e per tutta l’estate i soldati in attesa di processo vennero internati nei reclusori civili, che avevano sede in via del Pratello e nell’ex convento di San Giovanni in Monte. Adiacente a questo, in via de’ Chiari, era situato il carcere militare: nel giro di un mese anch’esso fu al completo, e il procuratore Raffaele Del Rio telegrafava: «dato eccessivo affollamento carcere militare et difficoltà mezzi traduzione di oggi non saranno più ricevuti arrestati at disposizione altri tribunamiles»8.
Il tribunale di Bologna cercava di decongestionare le proprie carceri trasferendo i reclusi altrove, ma spesso riceveva dinieghi: il 9 settembre la stazione dei carabinieri di Volterra comunicava che «il detenuto C. non è stato accettato nelle carceri militari di Firenze perché troppo affollate»9. Venne respinta anche la richiesta di trasferire al carcere di Gaeta i condannati in via definitiva10. Le stesse problematiche si replicavano, nel capoluogo emiliano, tra la direzione delle carceri giudiziarie e il carcere militare11. Alla fine di agosto la situazione era tale da impedire l’esecuzione degli ordini di cattura:
Vi significhiamo di avere al nostro Reparto vari militari per cui è stato spiccato regolare mandato di cattura dal Tribunale Militare di Bologna, e nonostante il n/s. interessamento fattivo, non è stato possibile internarli in alcun carcere, poiché quelli da noi visitati allo scopo, a Forlì, Ravenna, Bologna, Ferrara e Rovigo erano impossibilitati, perché al completo, mentre le varie stazioni dei CC.RR. non erano in grado di prendere in consegna i detenuti12.
Nel 1946 la Consulta nazionale avrebbe abrogato l’articolo 11 del Dll 8 febbraio 1945, ripristinando la facoltà di concedere la libertà provvisoria ai disertori, dal momento che «le carceri militari debbono essere sfollate»13. Tuttavia, ancora nel marzo 1946 e nel febbraio 1947 abbiamo testimonianze del problema14.
I detenuti mal tolleravano l’ambiente carcerario (o forse qualcuno temeva di subire vendette); ciò è testimoniato da istanze di questo tenore: «M. V. […] chiede di essere considerato prigioniero di guerra e di essere posto a disposizione del Comando Alleato in un campo di concentramento»15. Altri facevano istanza di arruolamento nelle truppe combattenti contro il Giappone: ciò avveniva non solo dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia contro l’ex alleato (15 luglio 1945), ma già alla fine dell’aprile 194516. Si ricalcava ingenuamente il modello adottato negli anni della guerra fascista, quando le istanze per la scarcerazione dovevano essere accompagnate dalla richiesta di essere inviati a combattere «in reparti operanti»17. Quando anche la guerra con il Giappone ebbe fine, le istanze per uscire dal carcere erano corroborate dalla domanda di lavoro nelle compagnie rastrellamento mine18. Frequentissime le richieste di essere interrogati dal giudice istruttore19, come quelle di essere trasferiti dalla prigione civile a quella militare, dove si immaginavano condizioni meno squallide20. A volte queste richieste venivano motivate con il desiderio di non trovarsi a contatto con detenuti comuni e politici:
È veramente inammissibile e indecoroso che un ufficiale in divisa, che non ha mai fatto del male ad alcuno nella sua vita, che ha sempre servito (e sempre sotto una sola bandiera) con lealtà ed onore, debba ora trovarsi gettato sul pavimento di un carcere, sopra un pugno di paglia, in mezzo a tanti insetti, e (quel che è più grave) in mezzo a gente che si è coperta di ogni reato e anche di delitti, reati comuni e reati politici21.
L’ufficiale autore di questa missiva non ricevette un trattamento di riguardo, restando nel carcere di Ferrara fino al momento del rinvio a giudizio. Le sue lettere verbose costituivano, di per sé, un privilegio: i carcerati comuni potevano scrivere ai magistrati utilizzando un modulo di una sola facciata, che qualcuno sfruttava al massimo adottando una calligrafia stretta e minuta22. Con una prosa più asciutta, un soldato sintetizzava il lunghissimo periodo passato sotto le armi:
Il sottoscritto fa presente che trovasi sotto le armi dal 1° maggio 1938 e che ha partecipato alle operazioni belliche sul fronte occidentale prima, poi sul fronte greco e in ultimo sul fronte italiano. Fa presente che […] è stato circa otto anni lontano dalla famiglia ed oltre cinque anni senza materialmente vederla e due senza averne notizie. Motivo quest’ultimo che lo spinse, nel giungere in alta Italia, a commettere la breve assenza arbitraria per cui trovasi imputato. Fa presente infine che in occasione della evasione in massa effettuata dai detenuti del carcere di San Giovanni in Monte, il 14 u.s. lo scrivente benché invitato ad evadere si è recisamente rifiutato23.
Il comitato provinciale ravennate dell’Unione delle donne italiane si faceva portavoce delle istanze dei carcerati:
Facciamo presente che sono stati fermati da più di due mesi e ancora nei loro confronti non è stata presa non solo nessuna decisione, ma neppure sono stati interrogati. In complesso la situazione loro è penosa: il vitto del carcere è scarsissimo (una minestra e un pezzo di pane al giorno) ne hanno chi nel luogo si interessi di loro. Preghiamo pertanto caldamente codesta Procura perché proceda al più presto all’istruttoria riguardante i suddetti militari. Ricordiamo a dette autorità che fra l’altro le carceri di Ravenna sono al completo24.
Il sovraffollamento si univa alle problematiche ambientali: il vitto scadente, le condizioni igieniche precarie25. Le memorie del giornalista e gerarca Giorgio Pini sono venate dal risentimento per una segregazione vissuta come persecuzione politica, e indulgono ad alcuni luoghi comuni delle narrazioni di vita carceraria:
Monotoni erano gli orari delle giornate: sveglia all’aurora, lavaggio nella poca acqua che lo scopino forniva nel piccolo catino d’alluminio, caffè che era un insapore liquido nero, due scarsi pasti in gavetta, un pezzo di pane, un’ora d’aria e varie sbattute diurne e notturne delle inferriate durante il conteggio degli ospiti forzati del carcere. Massimo fastidio per me e per tutti era la generale sporcizia degli ambienti, l’imperversare delle cimici, la barba mai rasa, a me tanto fastidiosa che mi abituai perfino a strappare pelo per pelo26.
Nel 1947, qualcuno avrebbe chiesto la libertà provvisoria «per poter riallacciare gli studi stroncati, causa l’arresto, e prepararmi ai prossimi esami»27, e un detenuto noto per i suoi gesti clamorosi arrivò a praticare lo sciopero della fame28.
A differenza dei penitenziari attuali, situati in zone periferiche, spesso gli edifici carcerari dell’epoca (specialmente quelli preventivi) erano fatiscenti e innestati nel cuore dei centri urbani. Il carcere giudiziario di San Giovanni in Monte, adiacente a strette vie del centro di Bologna, offriva buone possibilità di fuga: il 13 settembre 1945 si ebbe un’evasione di 56 detenuti, tra i quali cinque militari29. Per questi, l’evasione era un reato militarizzato: non veniva sanzionata dall’art. 385 del codice penale, ma concretava il reato di «diserzione immediata» previsto dai codici militari30. Il 24 ottobre, un’evasione di dieci detenuti ebbe luogo nel carcere di via del Pratello31. Tra il 1945 e il 1946 anche le rivolte carcerarie turbavano l’ordine pubblico: la più famosa fu quella di Regina Coeli, che ebbe conseguenze politiche importanti: il guardasigilli Togliatti – che si era recato nel carcere immediatamente dopo la rivolta – emanò due provvedimenti, entrambi segnati dalla volontà di intensificare la disciplina carceraria e di prevenire il ripetersi di episodi simili32. Tuttavia le rivolte continuarono. Dopo le evasioni incruente del 1945, la mattina del 10 marzo 1946 anche il carcere bolognese conobbe una giornata di scontri con le forze dell’ordine: i carabinieri avevano represso un tentativo di evasione collettiva, che aveva coinvolto oltre quattrocento reclusi33. A fare le spese della sparatoria fu un detenuto del carcere militare, ferito a morte34.
Sia i carabinieri che si trovavano sul tetto della casa di fronte, sia quelli che si trovavano sul campanile sparavano con moschetto e mitra contro le inferriate delle nostre celle, ma nessuno di noi era aggrappato alle inferriate delle due finestre. E noi che eravamo nella cella in numero di 23 guardavamo a questa sparatoria, tenendoci piuttosto distanti dalle due finestre. […] Un proiettile disgraziatamente entrato nella cella trasversalmente attraverso gli spazi dell’inferriata e proveniente dal gruppo dei carabinieri colpì alla testa il detenuto P. P., che si era alzato in quel momento per piegare le coperte sul pagliericcio35.
L’istruttoria dichiarò che fosse impossibile identificare chi avesse esploso il colpo letale, concludendo «devesi […] dichiarare non doversi promuovere l’azione penale»36. Traspare l’intenzione di non mettere sotto accusa le forze dell’ordine: non fu interrogato nessuno dei carabinieri che parteciparono all’azione, né vennero fatte perizie o realizzati schizzi del luogo in cui avvennero i fatti – pratica abituale nei casi di omicidio colposo. Se anche ci fosse stato un rinvio a giudizio, i parenti dell’ucciso non avrebbero potuto costituirsi parte civile, essendo ciò escluso dal codice penale militare. Gli scontri di Bologna anticiparono di un mese quelli iniziati il 21 aprile al carcere di San Vittore a Milano, e durati tre giorni37: nel capoluogo lombardo il bilancio fu di cinque morti, tra i quali quattro detenuti. Si spiega con il timore di aggressioni il rifiuto del carcere di Ferrara alla traduzione di un detenuto a Bologna, qualora non fossero state garantite misure che tutelassero gli agenti di scorta38.
La situazione aveva avuto eco in Parlamento: alla fine del 1948, su istanza di Piero Calamandrei, era stata decisa la nomina di una commissione di inchiesta sulle condizioni degli stabilimenti carcerari: insediatasi il 9 luglio 1949, avrebbe ultimato i suoi lavori il 22 dicembre 1950. Nella sua relazione finale non propose innovazioni radicali, limitandosi a suggerire: l’eliminazione delle «punizioni nocive alla salute del detenuto»; l’emanazione di un nuovo regolamento carcerario; migliorie da apportare alle infrastrutture, al reclutamento degli agenti di custodia, alle condizioni materiali e morali dei reclusi39. La relazione ometteva di citare alcune situazioni drammatiche delle quali la commissione, durante il suo anno e mezzo di vita, aveva ricevuto testimonianza40. Non ebbe remore a parlarne la rivista “Il Ponte”, che nel marzo 1949 aveva dedicato un numero alla situazione carceraria italiana, con interventi di personalità politiche e culturali del mondo azionista che avevano vissuto l’esperienza del carcere e del confino, come Riccardo Bauer e Mario Vinciguerra.
La situazione delle carceri era costantemente all’attenzione dei giudici militari: essi avevano chiaro il problema sociale costituito dalla segregazione di uomini che avevano attraversato anni di guerra, sopportando sacrifici e tragedie personali.
L’organico della procura militare bolognese era sottoposto a una pressione insostenibile. A partire dal giugno 1945 (data di riattivazione del tribunale) i magistrati dovettero esaminare le denunce e le istanze che arrivavano tutti i giorni a dozzine. Il 18 settembre 1945 venne creato un registro di protocollo per le sole denunce, separato dal protocollo della corrispondenza ordinaria: con ciò si facilitava il lavoro degli impiegati, che potevano lavorare in parallelo sui due registri.
Celebrare un dibattimento poteva essere oneroso, soprattutto qualora fosse necessario convocare imputati o testimoni incarcerati o residenti in province lontane. Il tribunale aveva giurisdizione anche sui reati commessi nelle province di Pistoia, Pesaro e Rovigo, e il deterioramento delle infrastrutture di trasporto rendeva difficili anche viaggi relativamente brevi. Nella seconda metà del 1945 e per tutto il 1946 i magistrati cercarono di chiudere quanti più fascicoli in fase istruttoria, riservando il dibattimento ai reati contro la disciplina militare e solo in pochi casi rinviando a giudizio gli accusati per reati di assenza dal servizio. Al fine di velocizzare o semplificare il procedimento venivano adottati vari strumenti giuridici: il decreto penale di condanna o la remissione del fascicolo a un altro tribunale militare. Vennero posticipati gli atti di ordinaria amministrazione, come i procedimenti contro disertori della Rsi per i quali occorreva solo emettere un’ordinanza di archiviazione o di amnistia: prima, occorreva decongestionare le carceri.
Note
1 Cfr. Paolo Ferrua, Dal codice di rito del 1913 al codice del 1930, in Sergio Vinciguerra (a cura di), Il codice penale per il Regno d’Italia (1930). Codice Rocco, Padova, Cedam, 2010, pp. CCXXXV-CCLI (in particolare pp. CCXLV-CCXLVI). L’art. 272 sarebbe stato modificato dalla legge 18 giugno 1955 n. 517, Modificazioni al Codice di procedura penale, in “Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana”, supplemento ordinario, n. 148, 30 giugno 1955 (art. 9). In qualche caso si derogava alla regola: cfr. Archivio di Stato della Spezia (d’ora in poi, Assp), Tribunale militare territoriale di Bologna (d’ora in poi, Tmtbo), b. 107, 1947, fasc. 6404, aff. 2, denuncia 16 agosto 1946: «Non si è proceduto all’arresto del prevenuto perché padre di 9 figli minori, ed essendo egli l’unico e principale sostegno della numerosa prole».
2 Cfr. Istituzione di Tribunali militari di guerra divisionali e nuove norme per la repressione dei reati di assenza dal servizio, in “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia”, 7 aprile 1945, art. 11, p. 446.
3 Cfr. Mario Avagliano, Marco Palmieri, Dopoguerra. Gli italiani tra speranze e disillusioni (1945-1947), Bologna, Il Mulino, 2019, p. 190.
4 Assp, Tmtbo, registro protocollo (d’ora in poi, r. p.) 1945, vol. 1, prot. 258, data arrivo 30 giugno 1945.
5 Assp, Tmtbo, r. p. 1945, vol. 1, prot. 778, data arrivo 9 luglio 1945; cfr. b. 6, 1945, fasc. 395, aff. 11.
6 Assp, Tmtbo, r. p. 1945, vol. 3, prot. 5977 del 16 settembre 1945, al procuratore di Pistoia.
7 Assp, Tmtbo, b. 5, 1945, fasc. 316, aff. 8, ordine di cattura 16 agosto 1945.
8 Assp, Tmtbo, b. 6, 1945, fasc. 398, 11 ottobre 1945.
9 Assp, Tmtbo, r. p. 1945, vol. 3, prot. 5638, data arrivo 12 settembre 1945; cfr. prot. 6269, data invio 19 settembre 1945.
10 Assp, Tmtbo, r. p. 1945, vol. 3, prot. 5985, data invio 22 settembre 1945.
11 Assp, Tmtbo, r. p. 1945, vol. 3, prot. 6059, data invio 24 settembre 1945.
12 Assp, Tmtbo, b. 5, 1945, fasc. 266, rapporto carabinieri di Santa Fiora, 24 agosto 1945; cfr. b. 73, 1947, fasc. 4250, aff. 9, rapporto 16 luglio 1945.
13 Consulta nazionale, Commissione difesa nazionale, Resoconto sommario della seduta di martedì 12 febbraio 1946, p. 57.
14 Assp, Tmtbo, b. 12, 1945, fasc. 747, aff. 17, raccomandata 16 marzo 1946; b. 82, 1947, fasc. 4880, telegramma 12 febbraio 1947.
15 Assp, Tmtbo, r. p. 1945, prot. 821; cfr. prot. 1084.
16 Assp, Tmtbo, b. 5, 1945, fasc. 294, aff. 16, istanza 23 aprile 1945; cfr. b. 8, 1945, fasc. 462, aff. 18, istanza 19 luglio 1945.
17 Assp, Tmtbo, b. 89, 1947, fasc. 5222, aff. 33; b. 98, 1947, fasc. 5802, aff. 10, istanza 19 giugno 1944; b. 67, 1947, fasc. 3920, aff. 7, istanza 6 febbraio 1944.
18 Assp, Tmtbo, b. 4, 1945, fasc. 245, aff. 20, istanza 5 novembre 1945; b. 4, 1945, fasc. 266, aff. 22, istanza 5 novembre 1945; b. 7, 1945, fasc. 428, aff. 60-61, istanze 4 novembre 1945; b. 8, 1945, fasc. 461, aff. 30; b. 9, 1945, fasc. 514, aff. 52; b. 9, 1945, fasc. 496, aff. 45-46. Sui gravi incidenti causati dalle mine abbandonate cfr. b. 62, 1947, fasc. 3511, aff. 10, interrogatorio 6 dicembre 1946 e b. 121, 1948, fasc. 7549, sentenza 12 dicembre 1946; per una testimonianza letteraria cfr. Italo Calvino, Campo di mine, in I racconti, Torino, Einaudi, 1958, pp. 63-67.
19 Assp, Tmtbo, b. 2, 1945, fasc. 165, aff. 22, istanza 4 agosto 1945; b. 3, 1945, fasc. 171, aff. 8; ivi, fasc. 172, aff. 36; ivi, fasc. 176, aff. 32; ivi, fasc. 189, aff. 13.
20 Assp, Tmtbo, b. 2, 1945, fasc. 160, aff. 36, istanza 15 settembre 1945; b. 2, 1945, fasc. 168, aff. 48, istanza 15 settembre 1945; b. 50, 1947, fasc. 2771, aff. 28, istanza 29 ottobre 1945.
21 Assp, Tmtbo, b. 5, 1945, fasc. 293, aff. 32-33, lettera 20 luglio 1945; cfr. Assp, Tmtbo, b. 2, 1945, fasc. 168, aff. 14, lettera 27 giugno 1945; b. 5, 1945, fasc. 326, aff. 21, lettera 14 novembre 1945; b. 102, 1947, fasc. 6106, aff. 5, interrogatorio 12 giugno 1946.
22 Assp, Tmtbo, b. 96, 1947, fasc. 5691, aff. 18, istanza 29 aprile 1944.
23 Assp, Tmtbo, b. 1, 1945, fasc. 75, istanza 21 settembre 1945 (sottolineature nel testo).
24 Assp, Tmtbo, b. 3, 1945, fasc. 171, aff. 37, lettera 12 giugno 1945.
25 Cfr. Assp, Tmtbo, b. 8, 1945, fasc. 464, aff. 9, istanza 30 luglio 1945; Assp, Tmtbo, b. 8, 1945, fasc. 460, aff. 15, istanza 22 maggio 1945; Nemo, Le colonie penali in Italia, in “Il mondo giudiziario”, 1947, n. 1, p. 1; Ermete Bonomi, Nel tetro mondo carcerario, in “Il mondo giudiziario”, 1947, n. 1, p. 6; Lamberti Sorrentino, Pensare alle carceri, in “Crimen”, 17-24 settembre 1946, pp. 5-6.
26 Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi, Acs), Fondo Giorgio Pini, Ragazzo del ’99, autobiografia dattiloscritta inedita, vol. VII, p. 33.
27 Assp, Tmtbo, b. 82, 1947, fasc. 4880, aff. 124, istanza 20 febbraio 1947.
28 Assp, Tmtbo, b. 60, 1947, fasc. 3380, lettera 21 giugno 1947.
29 Assp, Tmtbo, b. 78, 1947, fasc. 4570.
30 Assp, Tmtbo, b. 58, 1947, fasc. 3291, sentenza 5 novembre 1946; b. 47, 1947, fasc. 2651, aff. 2, rapporto 2 agosto 1946; la stessa fattispecie si configurava nei casi di evasione dalle camere di punizione: b. 77, 1947, fasc. 4475, aff. 36, sentenza 19 settembre 1947; b. 60, 1947, fasc. 3373, sentenza 4 maggio 1951.
31 Assp, Tmtbo, b. 77, 1947, fasc. 4439, aff. 3, rapporto 29 ottobre 1945.
32 Cfr. Christian G. De Vito, Camosci e girachiavi. Storia del carcere in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 15-16.
33 Cfr. “Mani in alto!” intimarono i reclusi, in “Corriere d’informazione”, 11-12 marzo 1946.
34 Il fascicolo intitolato al detenuto ucciso accidentalmente è in Assp, Tmtbo, b. 8, 1945, fasc. 433.
35 Assp, Tmtbo, b. 62, 1947, fasc. 3521, aff. 5-6.
36 Ivi, sentenza del giudice istruttore, 8 luglio 1947.
37 Cfr. Accanita battaglia a San Vittore tra le forze di polizia e i detenuti in rivolta, in “La Nuova Stampa”, 23 aprile 1946.
38 Assp, Tmtbo, b. 63, 1947, fasc. 3592, aff. 13.
39 Acs, Ministero Grazia e Giustizia, Commissione parlamentare di inchiesta sulle carceri, b. 1, Relazione della commissione parlamentare di indagine sulle condizioni dei detenuti negli stabilimenti carcerari, Roma, Tipografia delle Mantellate, 1957, pp. 66-69.
40 Acs, Ministero Grazia e Giustizia, Commissione parlamentare di inchiesta sulle carceri, b. 4. Un’analisi dettagliata delle missive inviate alla commissione in Christian De Vito, La commissione parlamentare di inchiesta sulle carceri (1949-1950), in “Rassegna penitenziaria e criminologica”, 2002, numero speciale, pp. 103-152.