In apertura: monastero di Debre Libanos (Foto dell’Autore).
1. Il docufilm
La ricerca storica e la sua divulgazione possono essere realizzate anche attraverso l’uso di strumenti audiovisivi. Un documentario concepito e prodotto espressamente per la televisione – intrecciando testimonianze, documenti e ricostruzione fittizia: un docufilm – può adempiere alla missione di approfondire un tema storico e porlo al centro del dibattito culturale. La genesi, la realizzazione e gli effetti pubblici del docufilm Debre Libanos – con il quale ci si si proponeva di raccontare un massacro compiuto dalle forze armate italiane nel 1937 in Etiopia – costituiscono un prototipo e un contributo al dibattito sulla costituzione della Public history come disciplina autonoma. Se, infatti, quest’ultima consiste in tutto ciò che, interagendo in modalità eterogenee con la dimensione pubblica, incrocia la Storia al di fuori dall’ambito accademico, Debre Libanos rappresenta un caso da studiare.
Il docufilm e i servizi televisivi che ne hanno prolungato l’investigazione hanno permesso di acquisire testimonianze, fotografie e documenti inediti, svelando aspetti sconosciuti e arricchendo così la possibilità di comprensione degli avvenimenti indagati. L’opera, inoltre, ha acceso il dibattito pubblico, stimolando articoli su quotidiani e riviste, guadagnandosi citazioni in saggi di carattere storico, entrando nelle università con proiezioni ad hoc, provocando interventi sull’odonomastica e – in ultimo ma non per ultimo – causando l’intervento di alcuni ministri della Repubblica interessati alla vicenda e dei vertici della Chiesa italiana. L’avvenimento indagato, infatti, chiama in causa le responsabilità dello Stato italiano e la tiepidezza ecclesiastica di fronte al massacro di circa duemila persone.
2. Debre Libanos: una strage dimenticata
Tra il 21 e il 27 maggio del 1937, si consumò una delle stragi più crudeli e insensate della storia coloniale italiana. Un massacro di preti, monaci, diaconi e pellegrini cristiani riuniti in preghiera, nel monastero di Debre Libanos, il più importante centro spirituale della Chiesa ortodossa di Etiopia. La strage venne compiuta dalle truppe del generale Pietro Maletti, in esecuzione di ordini impartiti da Rodolfo Graziani, il viceré di Etiopia.
Il 19 febbraio del 1937, due giovani eritrei, Abraham Debotch e Mogus Asghedom, scagliarono alcune bombe contro Graziani. Le esplosioni fecero sette vittime. Il viceré venne colpito da numerose schegge e trasportato in ospedale gravemente ferito. Il federale Cortese scatenò le sue camicie nere. La città venne messa a ferro e a fuoco per tre giorni. Migliaia furono le vittime civili. Graziani ritenne che fosse arrivato il momento di regolare i conti con la Chiesa ortodossa di Etiopia, che – secondo lui – era l’anima della resistenza, disponendo di annientare il monastero di Debre Libanos. Il 18 maggio, Maletti accerchiò la cittadella conventuale, in occasione della festa dell’arcangelo Mikael e di san Tekle Haymanot. Preti, monaci e fedeli furono rinchiusi dentro la chiesa. Il 21, i prigionieri vennero caricati su dei camion e portati sull’altopiano di Laga Weldé Gorge, dove vennero fucilati. Il 22, Maletti telegrafò a Graziani per informarlo su quanto aveva appena compiuto: «Confermo che tutti indistintamente personaggi segnalati sono stati definitivamente sistemati». Il massacro non finì qui.
Erano ancora nelle mani di Maletti i giovani diaconi. L’esecuzione avvenne a Ingecha. Secondo i rapporti ufficiali, le vittime della strage furono 449: 320 monaci e 129 diaconi. La ricostruzione dello storico inglese Ian Campbell – fondata su interviste e racconti di testimoni diretti e indiretti –parla invece, di un numero compreso tra le 1.800 e le 2.200 vittime.
3. La storia in tv. Indagine su una strage
Sabato 21 maggio 2016, alle 21, e il giorno dopo alle 18.30 andava in onda su Tv2000 il docufilm Debre Libanos, un’opera che si proponeva di ricostruire storicamente – attraverso documenti e testimonianze – quel massacro e di farlo conoscere al pubblico della televisione, una platea ampia, composta da persone senza particolari competenze storiche. Di quella pagina sanguinosa si erano occupati storici specializzati nello studio della nostra avventura coloniale nell’Africa orientale.
Fu il pioniere di queste indagini storiografiche, Angelo Del Boca, a compiere la prima trattazione dell’episodio1: «Mai nella storia dell’Africa, una comunità religiosa aveva subito uno sterminio di tali proporzioni» scrisse. Con lui, Giorgio Rochat2 e poi Alberto Sbacchi, Nicola Labanca3, Matteo Dominioni4, Paolo Borruso5. Nel 2000, Andrea Riccardi, inserì le vittime di Debre Libanos nel volume Il secolo del martirio. I cristiani nel Novecento6. In Etiopia, ha studiato il massacro Ian Campbell7. Mancava un’opera che si rivolgesse a un pubblico più vasto, mantenendo il rigore dell’indagine storica e la forza dell’inchiesta giornalistica. L’intuizione di realizzarla fu di Lucio Brunelli, direttore dell’informazione di Tv2000, che – nella seconda metà del 2015 – mi chiese di occuparmene. Nacque così un docufilm di oltre un’ora, con la regia di Andrea Tramontano e la cura di Dolores Gangi8. L’obiettivo di far conoscere quell’episodio venne raggiunto. Il docufilm ottenne un buon riscontro di pubblico ma, soprattutto, colpì l’opinione pubblica, imponendosi come un fattore di dibattito9, attraverso articoli su quotidiani e riviste, proiezioni nelle università e durante alcune manifestazioni dedicate al colonialismo italiano.
4. Una genesi complicata
Realizzare il docufilm non fu semplice. Da parte delle autorità etiopi, c’era grande diffidenza nei confronti di un’operazione culturale di cui non si comprendevano il valore e l’opportunità. Non fu facile ottenere il permesso per girare. L’ambasciata a Roma fece resistenza. La chiave fu l’impegno dell’arcivescovo di Addis Abeba, il cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel. La Chiesa cattolica è minoritaria in Etiopia. Gli ortodossi la ritengono ancora oggi complice dell’invasore italiano, di cui condivideva – è questo il capo di imputazione – la fede e quindi, in qualche modo, gli interessi. Il cardinale sapeva che il massacro di Debre Libanos era una ferita ancora aperta, un punto di frizione storico non solo tra italiani e etiopi ma anche tra ortodossi e cattolici del suo paese. Per questo si convinse che fosse bene parlarne. Solo la verità poteva portare alla riconciliazione.
I vertici delle organizzazioni patriottiche etiopi e della Chiesa ortodossa, invece, parlavano con riluttanza dell’episodio. Daniel Jote Mesfin, presidente dell’Associazione dei patrioti d’Etiopia, invitava a guardare avanti: «Debre Libanos è un fatto tragico ma oramai Italia e Etiopia da decenni si sono avviate sulla strada di una notevole collaborazione economica. Perché – chiese retoricamente – rivangare una vicenda tanto dolorosa? A chi giova?». Allo stesso modo abuna Matthias I, patriarca della Chiesa ortodossa Tewahedo, disse: «Non si è trattato di una cosa buona. È un fatto storico. Adesso quasi tutto giustamente è stato dimenticato e perdonato».
Ma il monaco che ci accolse a Debre Libanos rispecchiava il sentimento comune e non aveva nessuna voglia di dimenticare: «È giusto ricordare e far conoscere questa storia – ci disse abba Hbte Gyorgis – Sono morti molti Etiopi. Rimane una ferita aperta, anche se il tempo la può curare. Grazie a tutti coloro che la fanno conoscere». Il docufilm di Tv2000 stava compiendo quest’opera: far conoscere quella storia attraverso la lettura dei documenti e la voce dei testimoni.
5. Il testimone
Ha trascorso tutti i 94 anni10 della sua vita in un villaggio sull’altopiano etiope, Ato Zewede Geberu. È qui che ci raccontò quello che sapeva della strage. Su questa spianata che si affaccia su un profondo dirupo, le truppe italiane, comandate dal generale Maletti, eseguirono il primo atto della strage. Un luogo silenzioso, isolato, lontano dalla cittadella conventuale di Debre Libanos. Nessuno doveva assistere all’esecuzione. Ma, invece, ci fu qualcuno che sentì e che ha potuto raccontare. Ato Zewede Geberu fu uno dei pochissimi testimoni di quel massacro. «Sono nato qui – ha raccontato nel docufilm – La mia casa è su questo altopiano vicino a Shinkurt Méda, il luogo della strage, conosciuto anche come Laga Welde Gorge. All’epoca avevo 15 anni. Non ho visto il massacro. Ma l’ho sentito. Ho sentito i colpi della mitragliatrice. Abbiamo avuto paura siamo rimasti nascosti nel nostro villaggio. Dopo due, tre giorni sono andato a vedere. C’erano ancora i cadaveri, centinaia di morti. E gli animali cominciavano a mangiarli. E c’erano poi i soldati italiani che si aggiravano ancora da quelle parti». Lui e la sua famiglia si salvarono perché, all’ultimo momento non andarono a Debre Libanos per le celebrazioni: «Nel giorno della festa dell’Arcangelo Mikael non sono andato a Debre Libanos. Moltissimi fedeli dei villaggi qui intorno sono andati al monastero. Ma la mia famiglia quella volta decise di non andare. Una decisione che ci ha salvato la vita».
6. Via Maletti
Testimonianze come questa e i documenti coloniali italiani provocarono un effetto inatteso nell’opinione pubblica. Dopo la messa in onda del docufilm, infatti, tre comuni italiani decisero di cancellare dalla propria odonomastica i nomi delle vie intitolate a Pietro Maletti. In provincia di Mantova, Castiglione delle Stiviere – il paese nel quale il generale era nato il 24 maggio del 1880 – fu il primo Comune a chiedere e ottenere il cambio del nome della strada dopo la visione dell’opera televisiva. Nel febbraio del 2017, la Prefettura concesse il nulla osta alla sostituzione e la via venne intitolata a Maria Montessori. Il docufilm di TV2000 è stato citato anche nella delibera di giunta del Comune di Mantova, con la quale, il 18 aprile 2018, e con successiva autorizzazione della Prefettura, venne cancellata via Pietro Maletti e sostituita con via Tina Anselmi.
Un terzo comune che ha compiuto le stesse scelte, nel febbraio del 2020, è stato Cocquio Trevisago, in provincia di Varese, dove Maletti aveva una casa di famiglia e nel quale, negli anni Settanta, la figlia Ginevra fu sindaco. Qui, si svolse un consiglio comunale straordinario aperto alla cittadinanza, durante il quale fu proiettato il docufilm per discutere della modifica. La strada fu ribattezzata via dei Martiri cristiani.
7. L’ecumenismo del documentario
La produzione e messa in onda del docufilm ottenne anche un altro risultato, facendo compiere un nuovo passo di avvicinamento tra cattolici e ortodossi etiopi. Naturalmente, il cammino era già stato intrapreso da tempo.
A questa riconciliazione, l’opera Tv ha fornito un contributo. Il primo dicembre 2016, ad una proiezione speciale realizzata nella sala della Filmoteca vaticana, parteciparono abba Petros Berga e padre Daniel Feleke in rappresentanza rispettivamente della Chiesa cattolica e di quella ortodossa di Etiopia. Al termine della proiezione, entrambi sottolinearono come la realizzazione del docufilm costituisse, ora, uno dei background nel cammino ecumenico in atto tra le due confessioni cristiane, per quanto riguarda le spinose questioni storiche del Novecento.
«In Etiopia, abbiamo apprezzato molto il documentario di Tv٢٠٠٠ e, a partire da questo, lavoreremo sulla nostra riconciliazione. A maggio – annunciarono – organizzeremo manifestazioni comuni per ricordare il massacro». Un mattone nella costruzione della casa ecumenica dei cristiani d’Etiopia. Una nuova via per il dialogo, una sorta di “Ecumenismo del documentario”.
8. Sei foto per un massacro
L’opera ha fatto anche progredire la conoscenza storica sul tragico avvenimento. È stato, infatti, possibile recuperare alcune foto che ritraggono la strage. Dopo aver visto il docufilm, un avvocato romano, Luigi Panella, appassionato della Storia coloniale italiana e in possesso di una vasta e interessante documentazione cartacea e fotografica sul tema, mi contattò proponendomi di pubblicare le foto della strage.
Si trattava di sei scatti inediti di cui nessuno sospettava l’esistenza. La prima foto fu resa pubblica in un mio servizio nel Tg di TV2000, nel marzo del 201711, le altre cinque, nel luglio del 202012, sempre in un pezzo a mia firma mandato in onda nel telegiornale della televisione promossa dalla Cei. Le foto furono scattate il 20 e il 21 maggio del 1937, da un tenente di complemento di 27 anni, Virgilio Cozzani, comandante del XLV battaglione musulmano – composto da arruolati eritrei di fede islamica – incaricato di eseguire la fucilazione dei monaci. Le sei immagini, scattate, stampate, datate e commentate con una breve didascalia sul retro dallo stesso autore, raccontano – come fosse un piccolo reportage fotografico – il massacro di Debre Libanos.
Sono state scattate il giorno antecedente la strage, il 20 maggio, e nella giornata del massacro, il 21. La prima ritrae la chiesa del monastero. Nella seconda immagine, ci sono i soldati del XLV battaglione, davanti al convento. Nella terza compaiono i monaci. Sono una parte di quelli che verranno fucilati. Nella quarta viene ritratto il plotone di esecuzione che spara ad un gruppo di monaci. Un quinto scatto documenta il “colpo di grazia”, esploso da un militare italiano sul corpo già a terra di un religioso. L’ultimo ritrae alcune delle salme dei monaci lasciate sul terreno,
9. La commissione Pinotti
Un anno dopo la messa in onda del docufilm e in occasione dell’ottantesimo anniversario della strage, il 21 maggio 201713, l’allora ministro della difesa, la dem Roberta Pinotti, annunciò la costituzione di un gruppo di lavoro composto da studiosi, militari ed esperti per un approfondimento storico della vicenda. «L’annuncio – scrissero in un comunicato stampa il direttore di rete di Tv2000, Paolo Ruffini, e il direttore dell’informazione, Lucio Brunelli – riempie di soddisfazione noi e tutti coloro che hanno sentito come un dovere l’accertamento della verità su questo orrendo crimine di guerra».
La commissione, ostacolata e insabbiata, non vide mai la luce. Il 28 dicembre dello stesso anno, il presidente della Repubblica, Mattarella, sciolse le camere. Si andò a votare il 4 marzo dell’anno successivo. Elisabetta Trenta, nuovo ministro della Difesa nel governo gialloverde – Cinque Stelle e Lega – non riprese più in mano l’argomento.
10. Il cardinale e il ministro
Bisognerà attendere l’arrivo di un altro esponente del Pd, Lorenzo Guerini, nella carica di ministro della Difesa, nel settembre del 2019 – governo giallo-rosso: 5 Stelle e Dem – per una ripresa dell’iniziativa politica sulla strage di monaci in Etiopia. Il suo impegno venne reso pubblico, il 25 febbraio del 2020, durante un incontro14, a Roma, in cui venne presentato lo studio dello storico Paolo Borruso su Debre Libanos, espressione dell’impegno della Comunità di sant’Egidio sull’argomento. Al convegno, prese parte oltre a Guerini, anche l’allora presidente della CEI, il cardinale Bassetti. Guerini prese un impegno pubblico: «Ho dato mandato di organizzare un viaggio in Etiopia entro quest’anno15» per rendere omaggio alle vittime di Debre Libanos. Il cardinale Bassetti pronunciò una richiesta di perdono per quei cattolici italiani che sostennero le mire colonialistiche del regime fascista. Bassetti e Guerini ricordarono il ruolo del docufilm. Il ministro rammentò il «dibattito che si è sviluppato nel paese grazie al lavoro molto prezioso di Tv٢٠٠٠. Un lavoro che ci ha portato a riflettere attorno a questo tema». Un’opera che, dunque, riconobbe il ministro, aveva affrontato con una ricerca rigorosa un tema storico dimenticato e lo aveva portato al centro del dibattito pubblico, tanto che Governo italiano e Cei ammisero la brutalità della strage e chiesero – ognuno per la sua parte – scusa all’Etiopia e alla Chiesa ortodossa.
11. Conclusioni
L’indagine storica e la sua divulgazione pubblica, attraverso uno strumento “popolare” come un documentario televisivo e alcuni servizi tg che ne sono seguiti, hanno consentito – come si è visto – una serie di acquisizioni utili alla ricostruzione dei fatti e una riattivazione del dibattito pubblico su un tema inopinatamente escluso dalla riflessione culturale e politica dell’Italia democratica e repubblicana. Non è stata solo un’operazione massmediatica, conclusasi in modo effimero nella messa in onda televisiva di un prodotto di intrattenimento. Al contrario, l’impianto storiografico del docufilm ha dispiegato i suoi molteplici effetti nel tempo e in ambiti molteplici e imprevisti. Se intendiamo per Public history l’investigazione e la divulgazione storica non effettuata in un laboratorio accademico ma realizzata con gli attrezzi di un’altra officina culturale – quella televisiva, in questo caso – e che consegua una fruttuosa interazione a più livelli con la dimensione pubblica – dall’interesse dei telespettatori all’eco sulla stampa, dal rimbalzo accademico ai feedback politici ed ecclesiali – è lecito rintracciare nel modello studiato una dimostrazione duratura di influenza e efficacia.
Note
1 Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale – 3. La caduta dell’Impero, Milano, Mondadori, 1996; Id., Italiani, brava gente?, Vicenza, Neri Pozza, 2014.
2 Giorgio Rochat, Le guerre italiane in Libia e in Etiopia dal 1896 al 1939, Udine, Gaspari Editore, 2009.
3 Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2015.
4 Matteo Dominioni, Lo sfascio dell’impero. Gli italiani in Etiopia 1936-1941, Roma-Bari, Laterza, 2008.
5 Lo studio più completo di Paolo Borruso è successivo alla messa in onda del docufilm dei Tv2000. Paolo Borruso, Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2020. Nel 2022, Borruso ha pubblicato anche: Testimone di un massacro. Debre Libanos 1937: la strage fascista nel diario di un ufficiale italiano, Milano, Guerini e Associati, 2022.
6 Andrea Riccardi, Il secolo del martirio. I cristiani nel Novecento, Milano, Mondadori, 2000.
7 Ian Campbell, La repressione fascista in Etiopia: il massacro segreto di Engecha, in Studi piacentini, rivista dell’Istituto storico della Resistenza di Piacenza, 1998-1999, n. 24-25, pp. 23-46; Ian Campbell, La repressione fascista in Etiopia: la ricostruzione del massacro di Debrà Libanòs, in Studi piacentini, rivista dell’Istituto storico della Resistenza di Piacenza, 1997, n. 21, pp. 79-128; Ian Campbell, The massacre of Debre Libanos: Ethiopia 1937: the story of one of fascism’s most shocking atrocities, Addis Abeba, Addis Abeba University Press, 2014.
8 La troupe era composta anche dallo specializzato di ripresa Emiliano D’Agostino. Il montaggio è stato curato da Eugenio Assi. Le musiche originali di Luca Marconato.
9 Recensioni e citazioni: “La Stampa”; “la Repubblica”; “Osservatore romano”; “Avvenire”; “Vatican insider”; “La Croix on line”; “Askanews”; “AdnKronos”; “Sir”; “Zenit”; “Jesus”; “Corriere della Sera”, “Sette/Corriere della sera”; “Internazionale.it”; “Gazzetta di Mantova”; “Radio Vaticana Italia”; “Corriere di Viterbo”. Citato nel volume di Heather Merrill, Black Spaces. African Diaspora in Italy, Routledge, 2018. Citato nei saggi di Paolo Borruso, Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2020 e Testimone di un massacro. Debre Libanos 1937: la strage fascista nel diario di un ufficiale italiano, Milano, Guerini e Associati, 2022; Proiezione speciale in Filmoteca vaticana il 1° dicembre 2016. Primo premio nella sezione filmati nel concorso giornalistico “Giuseppe De Carli”, 14 dicembre 2017.
10 Intervista realizzata il 23 gennaio del 2016 e contenuta del docufilm.
11 https://www.youtube.com/watch?v=jFi3-r24xfQ, ultima consultazione: 22 marzo 2023.
12 https://www.youtube.com/watch?v=vo_5GADkd5g, ultima consultazione: 22 marzo 2023.
13 https://www.youtube.com/watch?v=evxxD7IgkqE, ultima consultazione: 22 marzo 2023.
14 https://www.facebook.com/santegidio.org/videos/2244741645820501, ultima consultazione: 22 marzo 2023.
15 L’esplosione mondiale della pandemia, dopo qualche giorno da queste affermazioni, fermarono l’organizzazione del viaggio. La fine della legislatura, nel luglio 2022, le successive elezioni del 25 settembre e l’arrivo del nuovo governo di centrodestra, con, al Ministero della Difesa, Guido Crosetto, hanno, ancora una volta, sospeso le iniziative politiche sulla vicenda di Debre Libanos.