Pandemia, virus, evento, modo di produzione. La cronaca degli ultimi due anni (fin dagli incendi in Amazzonia e Brasile che hanno di poco preceduto l’emersione del virus dal wet market di Wuhan) mostra in modo inequivocabile il rapporto intimo tra azione umana sull’ambiente, distruzione dell’ecosistema e pericolo di sopravvivenza per tutte le specie viventi. Ma, in fin dei conti, lo spillover del virus SARS-CoV-2 dal pipistrello al pangolino e poi all’uomo (nel quale provoca la Covid-19) è soltanto una tragica fatalità o si tratta di un danno collaterale dell’interazione uomo-natura? Adottando un approccio interdisciplinare, è possibile tracciare paralleli tra biologia e teoria critica che possono aiutare a interrogare la contemporaneità e le sue crisi. La pandemia è un evento? Il virus è in relazione con il modo di produzione del capitalismo? Occorre interrogarsi sulla necessità ecologica di mutare radicalmente modo di produzione abbattendone l’ideologia sottostante? Si tratta di interrogativi che ci accompagnano in queste pagine.
1. La pandemia come evento
Nel 1906 W. H. Hamer presenta, durante alcune conferenze al Royal College of Physicians di Londra, delle ipotesi interpretative sulle epidemie a lenta propagazione: il principio dell’azione di massa vuole che alcune malattie infettive seguano uno schema ciclico e costante tra epidemie, nel quale queste scoppiano con il moltiplicarsi della densità di popolazione per il numero di individui infettabili perché immunologicamente vergini1. Nello stesso anno una diversa interpretazione è quella fornita da John Brownlee, secondo cui è l’acquisizione o perdita di infettività di un patogeno a essere responsabile dei diversi cicli ascendenti o discendenti delle infezioni2. Nel 1916 lo scopritore della malaria, Ronald Ross, boccia l’interpretazione del virus che si rabbonisce e diventa più buono: Ross stabilisce che è il numero di individui suscettibili a un patogeno che, se sotto una certa soglia, fa eventualmente rallentare le epidemie3. Ross affronta la questione in un saggio nel quale perviene a una teoria matematica delle epidemie che è una teoria degli eventi: per il medico scozzese “evento” è qualsiasi fenomeno che sia capace di diffondersi da individuo a individuo nella popolazione in maniera non controllata, come le infezioni, i pettegolezzi o il panico4.
“Evento” è un concetto fondamentale nella filosofia di Badiou, ma cos’è? La teoria dell’evento di Badiou si sviluppa attraverso una molteplicità di testi5 e una definizione più o meno cristallina di evento è quella che lo vede costituito da «catastrofi, rivoluzioni, novità, divenire-principale del non-principale»6. L’evento è qualcosa che strappa l’umano da qualcosa come un flusso, un mondo, una situazione stabile, e apre una possibilità politica per un cambiamento rivoluzionario. Gli esempi maggiori di evento per Badiou sono la Rivoluzione francese, la Rivoluzione russa, il 1968, persino l’incontro amoroso o una scoperta scientifica. Si tratta di eventi in quanto questi avvenimenti aprono a una possibilità di cambiamento radicale dell’esistente e del mondo, punto di rottura netto nel farsi della storia. L’evento è, però, qualcosa che può essere riconosciuto come tale solo retrospettivamente da un pensiero interpretante che vede materializzarsi nel regno del ciò-che-è (l’essere) qualcosa che era relegato nel regno del ciò-che-non-è (il non-essere) ma che al contempo era una possibilità del primo7.
Ma la pandemia da Sars-Cov-2 è un evento in tal senso? Badiou sembra sgombrare il terreno dai dubbi in un documento che fa circolare nei primi mesi di lockdown nel quale sentenzia che non si tratta di un evento in quanto già precedenti epidemie (HIV, aviaria, Ebola, SARS-CoV-1) ci avevano segnalato l’esistenza di una di quelle contraddizioni del capitalismo che sono caratteristiche di tale modo di produzione8. Per Badiou «l’epidemia attuale non è in alcun modo il sorgere di qualcosa di radicalmente nuovo o d’inaudito»9. In effetti, del fatto che un virus potenzialmente pandemico potesse compiere il salto di specie (spillover) e iniziare la propria circolazione tra esseri umani se ne parlava già da molto tempo, così come già dal SARS-CoV-1 del 2003 era sempre più chiaro che, prima o poi, sarebbe arrivato il Next Big One10. Il motivo principale degli spillover nell’animale-umano è da ricercarsi nelle politiche ecologiche che dal Novecento in poi hanno portato a un aumento consistente del prelievo di plusvalore da flora e fauna a colpi di deforestazione, industrializzazione, urbanizzazione e allevamenti intensivi, fenomeni produttivi che hanno eroso le nicchie ecologiche all’interno delle quali i virus colpivano specie animali non-umane che non erano a diretto e continuo contatto con l’animale-umano11.
Del resto, la lista di zoonosi recenti è abbastanza cospicua: Machupo, 1959; Marburg, 1967; Lassa, 1969; Ebola, 1976; HIV-1, 1981, HIV-2, 1986; Sin Nombre, 1993; Hendra, 1994; influenza aviaria, 1997; Nipah, 1998; febbre del Nilo occidentale, 1999; SARS-CoV-1, 2003; influenza suina, 200912. Senza dimenticare Mers nel 2012. Contro l’idea che si tratti di tragiche fatalità, occorre essere chiari: «c’è una correlazione tra queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra, e non si tratta di meri accidenti ma di conseguenze non volute di nostre azioni. Sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria»13. L’essere umano si è così riscoperto fragile dopo una lunga serie di zoonosi: il terrore della morte, o addirittura il rischio di estinzione che fino a dicembre 2019 sembrava riguardare solo flora e fauna non-animale, inizia a far vacillare gli umani. Una malattia infettiva senza terapie non è più confinata in qualche villaggio africano o asiatico del quale sembra poco o nulla importare agli occhi degli occidentali, né è circoscritta nelle comunità di tossicodipendenti e omosessuali come erroneamente si credeva appena scoppiata l’epidemia di HIV. Il virus è ovunque e viaggia in prima classe con i voli intercontinentali. L’umano – e ancora di più l’abitante delle zone floride e ricche del mondo – non solo si riscopre mortale, ma fragile, impotente, esposto agli accidenti del mondo come i primitivi. L’umano si scopre fatalmente essere dominante ma non dirigente il rapporto ecologico con l’ambiente, per utilizzare il lessico gramsciano, essere che paga pegno per non aver saputo calcolare il rapporto costi-benefici delle proprie azioni.
L’elisione del rapporto intimo e immanente tra l’uomo e ciò che lo circonda porta a ciò che Beck definisce come società mondiale del rischio: una società che non riesce linguisticamente a percepire i rischi connessi a terrorismo, finanza ed ecologia e che chiude il proprio orizzonte alle dimensioni cognitive che potrebbero realmente permettere di governare criticamente le interazioni uomo-natura-società (interazioni che devono essere necessariamente globali, collaborative e multilaterali)14. Riscoprirsi fragili, mortali, umani, significa esperire sentimenti di paura: Augé lega tale sentimento a tre forme inedite di violenza (economico-sociale, politica, tecnologico-naturale) che si combinano e si influenzano, specie con l’accelerazione della diffusione delle immagini15. Ecco che le terribili immagini televisive delle prime fasi della pandemia contribuiscono a vivere queste paure, come un freudiano principio di realtà che irrompe nelle pulsioni del sistema economico-cognitivo in essere. Il topolino del cortometraggio Happines di Steve Cutts preso tra consumo compulsivo e alienazione (il produci, consuma, crepa, cantato da Ferretti) scopre le proprie tragiche fatalità sperimentando l’isolamento del lockdown. Allora forse non è evento lo spillover, ma può essere evento la riscoperta di questa fragilità, ipotesi politica sulla quale lavora Žižek, convinto che il post-apocalittico (che si tratti di virus o di asteroidi) abbia il potere di unificare l’umanità facendola rendere consapevole del destino comune e della necessità di cambiamento16.
2. Il virus come modo di produzione
Quella tra capitalismo è ambiente è una delle contraddizioni principali che si stanno manifestando negli ultimi decenni, anche se per Harvey ci sono dubbi circa l’incombenza di una contraddizione fatale in termini marxiani: in primo luogo, il capitalismo ha una storia di soluzioni alle crisi economiche e le previsioni catastrofiche spesso sono state disattese (si pensi a Malthus); in secondo luogo, la natura è inserita in circuiti di accumulazione e circolazione del capitale che incorporano la capacità di ricresce di una pianta nel profitto e nel suo reinvestimento; in terzo luogo, il capitalismo è in grado di trasformare problemi ambientati in business (quotazioni in borsa di tecnologie ambientali, compravendita di quote di CO2 che è possibile produrre); in quarto luogo, il capitale si accumula anche attraverso catastrofi in quanto la popolazione ridondante è giudicata sacrificabile sull’altare dei profitti17. In particolare, l’idea che fette di popolazione siano sacrificabili è uno dei topic emersi proprio durante questi mesi di pandemia: si pensi alle dichiarazioni di diversi politici o di personaggi dell’informazione che hanno legittimato l’idea di anziani da sacrificare in quanto non produttivi; si pensi alla strage di anziani confinati nelle RSA; si pensi anche alle idee di “proteggere” gli anziani e i fragili ghettizzandoli e impedendo loro di partecipare al vivere comune, come se fosse possibile creare delle bolle capaci di evitare il contagio per queste categorie più esposte a possibili esiti fatali della malattia per dare il via libera al resto della popolazione stanca di rispettare le norme basilari di igiene e prevenzione (mascherine, test, tracciamento, isolamento, quarantena, eccetera). Un problema, questo, che sembra passare sottotraccia, portando attivisti per i diritti delle persone disabili come Mia Mingus a denunciare l’esistenza di nuove forme di abilismo e di segregazione legate al ritorno “alla normalità” pre-pandemica18.
Il capitalismo, tuttavia, continua a degradare l’ambiente come mai prima: privatizzazioni delle identificazioni genetiche, pressioni sul climate change, perdita di biodiversità, scarsa sicurezza alimentare, emersione di nuove malattie, sono tutti sintomi del problema più generale che va affrontato e risolto, dato che l’unica “natura matrigna” è quella umana che si autodistrugge19. Problematico non sembra essere tanto il rapporto tra umano e ambiente, ma quello tra ecosistema e un particolare modo di produzione umano che è il capitalismo. Moore, ad esempio, propone un cambiamento concettuale dal forte impatto: il concetto di antropocene è errato in quanto è il modo di produzione capitalistico in particolare e non la specie umana in generale che eventualmente distrugge l’ambiente; è il capitalocene che è legato al cambiamento climatico, prodotto da quel capitalismo che da secoli afferma dinamiche di conquista, mercificazione e razionalizzazione, producendo il dualismo cartesiano e l’illusione che Natura e Uomo siano separati20. Il capitalocene, insomma, sposta concettualmente l’attenzione dagli effetti della devastazione ambientale ai rapporti che la causano proprio per trattare non il sintomo, ma la patologia, passando da un approccio sintomatico a uno sistemico che vuole risolvere alla radice il problema.
Per comprendere perché la catastrofe non venga adeguatamente riflettuta nonostante gli allarmi delle scienze (la biologia, la filosofia, la sociologia, l’ecologia e le riflessioni su questo di quell’inconscio collettivo che sono le arti), è necessario chiamare in causa il funzionamento dell’ideologia. Per Althusser, l’ideologia è un insieme di rappresentazioni (miti, idee, concetti, immagini) che hanno un ruolo all’interno di una società e si distanziano dalla scienza in quanto in esse la funzione pratico-sociale (instaurare una prassi, un comportamento diffuso tra gli umani) predomina sulla scienza e sulla sua funzione di conoscenza21. La dimensione dell’ideologia è quella del non-conscio, del non-riflettuto, in quanto essa si configura come automatismo del quale non si è consapevoli perfettamente che regola le relazioni tra uomo e uomo – e tra questi e l’ambiente, aggiungiamo noi. Come nella definizione di post-verità (ma anche di società dello spettacolo) vero e falso, reale e immaginario, si compenetrano allontanando il reale in una rappresentazione: «L’ideologia, dunque, è l’espressione del rapporto degli uomini col proprio “mondo”, cioè l’unità (surdeterminata) del loro rapporto reale e del loro rapporto immaginario con le condizioni reali di esistenza»22. Attraverso quelli che Althusser chiama apparati repressivi di Stato (polizia, esercito, giustizia) e apparati ideologici di Stato (scuola, cultura, politica, stampa, eccetera) il soggetto sperimenta l’interpellazione, cioè assume nella società una identità e si dota di una prassi che non sono autonome, devono essere coerenti tra loro e con la riproduzione tanto del modo di produzione che dei rapporti di produzione23. Il soggetto umano che ne deriva è sostanzialmente un soggetto che sorge nel campo dell’Altro, del potere del modo di produzione e di riproduzione che plasma a suo piacimento il soggetto stesso per consentire al Soggetto interpellante (e quindi al modo di produzione) di mantenere una condizione dominante e dirigente.
Ma a ben vedere, il funzionamento del modo di produzione attraverso l’ideologia pare analogo a quello dei virus. Come funziona un virus? Un singolo virione è composto dal materiale genetico (contiene le informazioni necessarie al virus per replicarsi all’interno di una cellula); il capside è una proteina che avvolge il materiale genetico e ha la duplice funzione di proteggere l’interno e di aiutare a “invadere” la cellula ospite; alcuni virus attorno al capside hanno anche il pericapside o envelope (un involucro composto di proteine e lipidi prelevati dalla cellula ospite e che servono a proteggere il virione) mentre la parte più esterna dei virus è composta dalle spike, proteine simili a chiavi che servono a entrare in una cellula ospite e che sono anche uno dei punti deboli dei virus dato che è contro questa che si possono produrre vaccini24. Ora, immaginiamo il virus come un modo di produzione e in particolare quello del capitalismo: il materiale genetico corrisponde alle istruzioni necessarie alla propria sopravvivenza e replicazione (divisione in classi, sfruttamento, estrazione plusvalore, specializzazione, razionalizzazione, reinvestimento del profitto, alienazione, eccetera); capside e pericapside corrispondono all’ideologia (che al contempo difende da aggressioni esterne le istruzioni del modo di produzione e le aiutano a penetrare e riprodursi nella coscienza della singola cellula, ovvero il singolo uomo, e così poi nell’organismo sociale tutto); la spike corrisponde all’interpellazione, permette cioè la penetrazione e la replicazione nella cellula-uomo delle istruzioni contenute nel materiale genetico del virus-modo-di-produzione. A nostro avviso sembra esserci più di una affascinante somiglianza.
Le scienze biomediche stanno lottando per produrre vaccini e farmaci che blocchino il patogeno SARS-CoV-2 in maniera sempre più efficiente, evitando alla radice l’infezione o evitando che la malattia si manifesti in forme gravi; tuttavia, l’atteso “ritorno alla normalità” sembra già scandito da panico per nuove varianti che di volta in volta si sostituiscono alle precedenti (esiste una similitudine con la distruzione creatrice schumpeteriana nella “logica” del virus?) e dall’attesa di nuove probabili pandemie a causa della pressione ecologica sulla natura (pensiamo al timore legato alla possibile emersione di nuove varianti per i continui salti di specie con altri mammiferi, evento che già nel 2020 ha portato all’abbattimento di migliaia di furetti negli allevamenti per pellicce, ma pensiamo anche agli altri virus sconosciuti pronti a compiere il salto di specie che si annidano nelle foreste o in altre nicchie ecologiche che vengono in continuazione erose e violate dall’uomo del capitalismo). E in tutto questo non sappiamo nemmeno cosa possa nasconderci il permafrost dei ghiacciai che si sciolgono a ritmo incalzante. Immunizzarsi, essere indenni al virus ideologico, bloccarne la spike o la replicazione nelle cellule umane, significa esperire quella che Stefano Pippa definisce “disinterpellazione”, ovvero rifiutare quelle logiche e quelle prassi tipiche del modo di produzione e della sua ideologia, proprio come sperimenta Nina, la protagonista del dramma El nost Milan di Bertolazzi nella particolare messinscena di Strehler del 1962 che colpisce proprio Althusser25. Che sia il caso di iniziare a ragionare sulla necessità di produrre anticorpi specifici contro il nostro modo di produzione prima che sia troppo tardi?
Note
1 David Quammen, Spillover. Animal Infections and the Next Human Pandemic, New York, W. W. Norton & Company, 2012 (trad. it. 2014, Spillover, Milano, Adelphi, pp. 138-139).
2 Ivi, pp. 139-140.
3 Ivi, pp. 140-141.
4 Ibid.
5 Alain Badiou, Théorie du sujet, Paris, Editions du Seuil, 1982 (trad. it. 2017, La teoria del soggetto, Trieste, Asterios); L’être et l’événement, Paris, Editions du Seuil, 1988 (trad. it. 2018, L’essere e l’evento, Milano-Udine, Mimesis); 2006, Logiques des mondes. L’être et l’événement, 2, Paris, Editions du Seuil (trad. it. 2019, Logiche dei mondi. L’essere e l’evento 2, Milano-Udine, Mimesis).
6 Alain Badiou, Abrégé de Métapolitique, Editions du Seuil, Paris, 1998 (trad. it. 2001, Metapolitica, Napoli, Cronopio, p. 80).
7 Badiou, L’essere e l’evento, cit., p. 252.
8 Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/sulla-situazione-epidemica, ultima consultazione: 18 gennaio 2022.
9 Ibid.
10 Quammen, Spillover, cit., p. 299.
11 Sonia Shah, Da dove vengono i coronavirus? Contro le pandemie, l’ecologia, in “Le Monde Diplomatique”, 3, XX-VII, marzo 2020, p. 1 e 21.
12 Quammen, Spillover, cit., p. 42.
13 Ibid.
14 Ulrick Beck, Das Schweigen der Wöeter. Über Terror und Krieg, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 2002 (trad. it. 2003, Un mondo a rischio, Torino, Einaudi).
15 Marc Augé, Les Nouvelles Peurs, Paris, Editions Payot & Rivages, 2013 (trad. it. 2013, Le nuove paure. Che cosa temiamo oggi?, Torino, Bollati Boringhieri).
16 Slavoj Žižek, Virus. Catastrofe e solidarietà, Firenze, Ponte alle Grazie, 2020.
17 David Harvey, Seventeen Contradictions and the End of Capitalism, London, Profile Books, 2014 (trad. it. 2014, Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, Roma, Feltrinelli, pp. 245-261).
18 Global Project, https://globalproject.info/it/in_movimento/covid-supremazia-abilista-e-interdipendenza/23834, ultima consultazione: 9 marzo 2022.
19 Harvey, Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, cit., p. 261.
20 Jason Moore, Anthropocene Or Capitalocene?: Nature, History, and the Crisis of Capitalism, Oakland, PM Press, 2016 (trad. it. 2017, Antropocene o capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nell’era della crisi planetaria, Verona, Ombre Corte).
21 Louis Althusser, Marxisme et humanisme, 1963, in Pour Marx, Paris, Édition La Découverte, 1996 (trad. it. 2008, Marxismo e umanesimo in Per Marx, a cura di Maria Turchetto, Milano-Udine, Mimesis, pp. 193-212).
22 Ivi, pp. 204-205.
23 Louis Althusser, Ideologie et appareils ideologique d’Etat, Paris, Editions Sociales, 1970 (trad. it. 1976, Sull’ideologia, Bari, Dedalo).
24 Quammen, Spillover, cit., pp. 275-280.
25 Stefano Pippa, “A Heap of Splinters on the Floor”. Ideology and Dis-interpellation in Althusser, in “Soft Power. Revista euro-americana de teoría ehistoria de la política y del derecho”, 2020, 7 (1), pp. 125-144.