Intervista a Rosanna Galli, Micaela Gavioli e Katia Graziosi. Per una storia orale della Rete regionale archivi Udi Emilia-Romagna

Interview with Rosanna Galli, Micaela Gavioli and Katia Graziosi. An oral history of the Regional Udi Archives Network of Emilia-Romagna

In apertura: Manifestazione regionale a Bologna, 8 aprile 1978 (Centro documentazione donna, Archivio Udi Modena).

L’intervista ricostruisce dall’interno la storia della Rete regionale archivi Udi dell’Emilia-Romagna dalla sua genesi, nel 1989, a oggi. Ne parliamo con Rosanna Galli, già Presidente dell’Udi di Modena e Presidente della Rete archivi negli anni Novanta, Micaela Gavioli, già Presidente della Rete archivi negli anni Duemila, e Katia Graziosi, Presidente dell’Udi di Bologna e Presidente della Rete archivi dal 2018. L’intervista è stata realizzata da Eloisa Betti e Vincenzo Cosentino, con la collaborazione di Giulia Natali.

ROSANNA GALLI

Quando hai incontrato l’Udi e quando hai iniziato a preoccuparti dell’archivio dell’associazione?

Dunque, io sono stata segretaria dell’Udi di Modena dal ’73 al ’78, da qui è maturata la mia passione per la ricerca e la conservazione del materiale archivistico. Quando sono arrivata all’Udi, la sede non aveva al suo interno alcun tipo di materiale archivistico, “non potevo crederci”. Dopo qualche tempo, parlando con l’onorevole Gina Borellini, la quale era stata presidente dell’associazione, mi disse che aveva del materiale e che lo avrebbe consegnato all’Udi. Oggi questo materiale si trova al Centro Documentazione Donna ed è grazie ad esso che ho potuto ampliare le mie conoscenze sull’Udi.

In che anni hai maturato questa riflessione sugli archivi ed hai incontrato Gina Borellini?

Gina Borellini la conoscevo prima di entrare a far parte dell’Udi, essendo lei parlamentare, medaglia d’oro della Resistenza e una delle fondatrici dell’Udi stessa. Mi ha aiutato molto dato che ci presentava le sue proposte in parlamento, i temi che portava avanti e il rapporto che voleva avere con le Udi locali…

Quindi, dopo il tuo incontro con Gina Borellini, inizia a prendere corpo l’Archivio Udi di Modena?

Grazie al materiale di Gina Borellini che copre la parte antecedente il 1973, io organizzai immediatamente l’archivio di Modena. In più abbiamo portato avanti un altro lavoro, ovvero quello di raccogliere il materiale delle varie donne che avevano frequentato l’Udi di Modena. A questo punto, organizzammo il materiale diviso in macro-temi. Un punto di rottura per me e l’Udi credo sia stato il dodicesimo congresso nell’82, poiché da quel momento si è azzerata la struttura organizzativa e, in seguito, le funzionarie si dimisero tutte. In treno di ritorno dal congresso io ed altre quattro donne decidemmo di salvaguardare il patrimonio archivistico e di fondare il gruppo Archivio. Con la collaborazione di una cinquantina di donne, quindi, iniziammo a lavorare al materiale che le funzionarie avevano lasciato, ma anche quello che altre donne decisero di portare. Iniziammo così a reperire una grande quantità di materiale, su cui avremmo lavorato per ricollocarlo ed organizzarlo per tematiche. Dal ’82 al ’96 lavorammo su questo come Centro Documentazione Donna dell’Udi di Modena. Dal ’96 il Centro Documentazione Donna è diventato autonomo, con un suo organigramma, una sua presidente e un suo direttivo, ma attraverso una convenzione con l’Udi continua la gestione degli archivi dell’associazione.

Nel 1989 nasce formalmente il Coordinamento regionale degli archivi Udi dell’Emilia-Romagna di cui tu sei stata la rappresentante…

Ci è voluto un po’ di tempo prima che il nostro lavoro emergesse. In Emilia-Romagna inizia ad emergere nel 1988. Quell’anno fu molto significativo, poiché riuscii ad incontrare il presidente della regione dell’epoca, Luciano Guerzoni, per discutere della salvaguardia del materiale archivistico e le tematiche che l’archivio portava avanti. Questo incontro diede due grandi risultati: riuscimmo ad attuare una convenzione e ad ottenere un contributo che è ancora presente.

Penso di aver ricoperto il ruolo di coordinatrice e rappresentante delegata dalla firma della convenzione per una dozzina di anni, dall’89 fino ai primi anni Duemila, in seguito, il coordinamento venne spostato a Ferrara dove per tanti anni la carica è stata ricoperta da Micaela Gavioli e, infine, a Bologna.

Quali sono state per te le sfide e i progetti più importanti in quel decennio decisivo per la costruzione della Rete regionale archivi?

Il lavoro più grande è stato quello di ricerca dei materiali, in seguito quello di invitare le donne a partecipare alle iniziative che proponevamo, perché il nostro era un lavoro del tutto volontario. Oltre a fare questo lavoro di ricerca e di sistemazione dei materiali, il gruppo archivio si è attivato per trovare le risorse per sostenere i costi dell’apertura della sede.

Come nasce il rapporto con le altre Udi nella Rete regionale archivi, attraverso il lavoro che avete fatto a Modena?

A Modena ci incontravamo con le Udi di Reggio Emilia, Imola, Ravenna, Forlì, oltre che di Bologna e Ferrara. Non presero parte agli incontri le sedi di Parma e Piacenza. Per Reggio Emilia fu importante la figura di Massimilla Rinaldi, attivista fortemente attaccata al valore dell’archivio; quando Rinaldi smise di essere la referente, anche Reggio Emilia smise di essere parte attiva negli incontri tra Udi e Rete archivi.

Come prosegue negli anni Novanta il rapporto con le istituzioni dopo il tuo incontro con il Presidente della Regione Emilia-Romagna, di cui ci hai parlato?

Molto bene, il contributo che ci venne assegnato dalla Regione fu suddiviso tra le città dove le varie sedi di Udi conservavano l’archivio, e si cercava di colmare un po’ quelle che erano le esigenze delle varie sedi, in base al lavoro che veniva svolto.

Vuoi raccontarci di qualche progetto in particolare che avete realizzato come Rete regionale archivi negli anni in cui tu sei stata coordinatrice e responsabile?

La cosa su cui abbiamo lavorato di più per poter dar modo all’archivio di funzionare è stata quella di avere un minimo di attenzione da parte delle istituzioni, per far si che la storia di tante donne nella nostra regione e nelle nostre provincie non si perdesse…

MICAELA GAVIOLI

Quando è avvenuto il tuo incontro con l’Udi, e soprattutto con la Rete regionale archivi, fino a diventarne presidente?

Il mio incontro con Udi avvenne nel 1994 quando stavo cercando dei materiali per la mia tesi di laurea, per ricostruire la presenza delle donne nella politica di Ferrara del secondo dopoguerra. Partendo dalla partecipazione delle donne ferraresi alla Resistenza, quindi, decisi di consultare anche l’archivio di Udi di Ferrara, anche se inizialmente pensavo non esistesse. Qui non solo trovai il materiale per la mia tesi, ma iniziai a collaborare con l’archivio che nel frattempo stava portando avanti una ricerca sulle donne nella resistenza ferrarese. Sono cominciate piccole collaborazioni, fino a quando nel 2000 l’associazione decide di assumermi prima a metà tempo e in seguito a tempo pieno, per seguire le attività dell’archivio e della biblioteca. Io, contrariamente a quanto raccontato da Rosanna Galli, sono arrivata quando l’Archivio Udi di Ferrara era ben consolidato, grazie al lavoro fatto dopo il 1982 dal Gruppo archivio che si era costituito anche a Ferrara con l’impegno di Ansalda Siroli, una delle figure storiche dell’Udi di Ferrara, e Liviana Zagagnoni che hanno messo in piedi il gruppo e sistemato tutta la documentazione.

Quando assumi il ruolo di Presidente della Associazione Rete regionale archivi?

Insieme alle compagne dell’Archivio di Ferrara partecipavo alle riunioni di coordinamento a Modena e su proposta proprio delle compagne dell’Udi di Ferrara mi fu assegnato il compito del coordinamento, perché non c’era una vera e propria associazione all’epoca, aveva un suo regolamento interno, ma non uno statuto ai sensi della legislazione sull’associazionismo. L’evento significativo nel periodo in cui io sono stata coordinatrice è quello del passaggio dal coordinamento all’associazione. Ho mantenuto il coordinamento dai primi anni Duemila, fino al 2017 quando abbiamo formalizzato gli organi sociali dell’Associazione e io sono stata eletta presidente, poco prima di terminare la mia esperienza nell’Udi. Mi sono impegnata in quest’arco temporale a lavorare in tre direzioni: la prima è stata il confronto tra le varie realtà Udi dopo il congresso del 1982, visto che ogni Udi presenta una sua specificità e disomogeneità territoriale, una grande sfida è stata quella di far amalgamare tutte queste particolarità che ogni sede presentava. La seconda direzione ha visto protagonista il rapporto con le istituzioni, cercando di rispettare i parametri della convenzione dato che nel 2003 fu richiesto agli archivi di uniformarsi, standardizzarsi a dei nuovi criteri per quanto riguarda sede, raccolte e descrizione catalografica. In terzo luogo, nel 2001 nasce la Associazione nazionale degli archivi dell’Udi e l’Emilia-Romagna era l’unica ad avere il coordinamento regionale, quindi, era favorita nel portare avanti il rapporto con la Rete archivi nazionale. Con l’associazione nazionale abbiamo realizzato diversi progetti, ad esempio il Censimento degli archivi dell’Udi e il suo aggiornamento e la mostra “Donne Manifeste”.

Ci puoi spiegare meglio i progetti che hai menzionato?

Ricordo prima di tutto di un seminario che è sfociato poi in “Volevamo cambiare il mondo”: si è trattato di un incontro tra le giovani donne che si erano avvicinate da poco all’Udi e che l’avevano studiata nella loro tesi di laurea e la generazione delle donne che, invece, aveva fatto la storia dell’Udi. Da lì è nato il progetto “Volevamo cambiare il mondo” in collaborazione con il Centro Documentazione Donna di Modena che lo aveva promosso, che ha prodotto oltre cento interviste su tutto il territorio regionale e una corposa pubblicazione.

E di Donne Manifeste, invece?

“Donne Manifeste” è una mostra di manifesti storici conservati nell’Archivio Centrale Udi, inaugurata nel 2004, in occasione del sessantesimo anniversario della nascita dell’associazione e diventata poi itinerante. Spesso accanto alla raccolta dell’archivio nazionale venivano esposti anche i manifesti provenienti dagli archivi locali delle Udi e abbinati poi a iniziative collaterali, quindi conferenze, incontri: si è cercato in questo modo di dare visibilità alla storia dell’associazione, a partire da temi fondamentali quali la cittadinanza, la partecipazione democratica, la rivendicazione dei diritti, l’applicazione delle leggi di parità.

Come cambia il rapporto con le istituzioni negli anni Duemila e dopo la fase descritta in precedenza da Rosanna Galli?

Non potevamo prendere dei contributi dei cittadini e delle cittadine, senza dare in cambio una nostra disponibilità alla fruizione del materiale, tant’è che la convezione con la Regione Emilia-Romagna richiedeva un monte ore di apertura dell’archivio in modo che potesse essere fruibile a chiunque ne necessitasse, la presenza di strumenti per l’archiviazione, una condizione di riordino e di inventariazione. L’archivio divenne dunque un servizio che le Udi si impegnavano a fornire, e questo fu certamente una sfida, poiché da un lato si desiderava che gli archivi venissero consultati affinché la storia dell’Udi potesse essere conosciuta, dall’altro c’era un’apertura totale per studiosi, studiose e studentesse. Iniziavano ad essere svolti in quella fase stage, tirocini curriculari, e negli ultimi anni in cui io ero ancora a capo del coordinamento veniva permesso alle volontarie e ai volontari del servizio civile di svolgerlo in Udi. Questo ha consentito una forte divulgazione del materiale presente in archivio.

Negli ultimi anni del tuo coordinamento è stato svolto un progetto che aveva come tema principale il welfare: ce lo vuoi illustrare?

È stato uno degli ultimi progetti collettivi importanti del mio periodo di coordinatrice, ritengo che sia stato un progetto anche coraggioso, perché ha voluto raccontare il welfare come tema cruciale della cittadinanza, nel senso che l’accesso ai servizi per le donne ed in particolare per le donne dell’Udi è sempre stato sinonimo di accesso ai diritti, quindi, alla cittadinanza. Noi ci siamo accorte che dentro gli archivi dell’Udi era espressa chiaramente questa consapevolezza, quindi, abbiamo cercato di far emergere il tema del welfare nella storia dell’Udi rendendo protagonista il materiale presente in archivio, usando le parole che uscivano dalle carte, poco importava se il vocabolario del welfare, quindi dei diritti, della cittadinanza non erano così standardizzate secondo quello che il senso comune avrebbe voluto e noi però abbiamo usato ugualmente le parole che emergevano dai nostri archivi: era un messaggio politico importante.

KATIA GRAZIOSI

Ti chiederei, Katia, di raccontarci il tuo primo approccio con l’Udi e quando sei entrata anche nella Rete regionale archivi…

Il mio è un percorso un po’ diverso, diciamo che tutte e tre veniamo da tre esperienze differenti e quindi abbiamo conosciuto e preso contatto con l’associazione in maniera differente. Io ero la figlia di una grande militante di Udi del dopoguerra e conoscevo l’associazione fin da bambina, andavo alle riunioni con la mamma. Dove lavoravo mi ricordo che veniva distribuita la rivista “Noi Donne” e continuavo a mantenere un rapporto con Ermanna Zappaterra che era la responsabile dell’Udi di Bologna in quegli anni. Mi riavvicino all’associazione quando quest’ultima decide di pubblicare un diario di mia madre del 1955, anno in cui fu arrestata durante un 8 marzo. Partecipai, quindi, ad una riunione del Gruppo Archivio di Bologna, siamo verso la fine degli anni Novanta. L’archivio era già stato riordinato, grazie al contributo di Ermanna Zappaterra, Silvana Martinioni, Elisa Dorso e Graziella Zavatti. Il lavoro fatto da queste donne è stato un po’ come quello che ci ha descritto Rosanna Galli, veniva richiesto il materiale alle militanti per poter costituire questa raccolta importantissima e poterla trasmettere. Si stava organizzando un incontro sugli archivi di Bologna ed Ermanna Zappaterra chiese il mio aiuto per l’organizzazione. Dopo quest’incontro, Ermanna mi propose di essere più presente in Udi fino a che ne diventai responsabile, ormai sono passati 15 anni. Prima Micaela Gavioli ha citato la mostra di “Donne Manifeste”: quando mi venne chiesto da Roma di presentarla anche a Bologna, fui molto contenta, perché mi permise di riallacciare i rapporti con diverse associazioni, come l’associazione femminile Orlando e diverse istituzioni, il rapporto con le quali in quegli anni era venuto un po’ meno; ricordo un momento importante durante una conferenza stampa in cui invitammo l’assessore regionale alla cultura e venne per testimoniare l’interesse che c’era sul piano storico sul percorso della storia delle donne italiane, insomma dava dei contenuti molto molto significativi.

Ci puoi spiegare meglio quando sei diventata responsabile della Rete e quali sono stati gli sviluppi organizzativi da quando tu hai assunto quest’incarico?

Durante un’assemblea della Rete regionale archivi nel 2017 vengo eletta come responsabile della rete e il coordinamento viene spostato a Bologna. In seguito, decidemmo, grazie all’aiuto della tesoriera Giuseppina Martelli, di adeguare lo statuto della rete alle nuove norme del terzo settore che nel frattempo erano venute avanti. Nel 2020, decidiamo di modificare lo statuto, diventammo associazione di promozione sociale e l’anno scorso su sollecitazione sempre di Giuseppina Martelli, ci iscrivemmo come rete nel registro nazionale dell’associazionismo (Runts), che consente di cooperare e partecipare a bandi. Oltre agli archivi di Bologna, Modena e di Ferrara, di cui abbiamo parlato, voglio anche ricordare che fanno parte della rete anche gli archivi di Ravenna, Forlì-Cesena e Imola. Abbiamo anche stabilito, attraverso l’operatività del comitato tecnico scientifico, la figura della responsabile scientifica, attualmente ricoperta da Eloisa Betti.

Quali sono dal tuo punto di vista le sfide e i progetti in corso nel decennio inaugurato dal 2020?

La cosa più importante è quella di aver fatto una scelta molto significativa, adeguando gli archivi agli standard richiesti dalla regione, grazie alla collaborazione di IBC. È stata fatta una mappatura nei vari archivi della regione per capire quali fossero i punti da adeguare alle nuove esigenze volute dalle istituzioni. Ad Imola, ad esempio, eravamo con degli scatoloni ed adesso abbiamo degli inventari. La sfida penso sia quella di rendere fruibile attraverso il web il materiale che abbiamo negli archivi.

Avrei una domanda conclusiva per tutte e tre: si può trasmettere la memoria e la storia alle nuove generazioni attraverso l’utilizzo degli archivi?

A Micaela Gavioli: quale importanza rivestono gli archivi come luoghi pubblici e luoghi di cultura?

La trasmissione è molto importante, anche perché le generazioni cambiano sempre; quindi, su ognuna c’è del lavoro da fare, assumendosi il rischio di non riuscire subito ad arrivare col proprio messaggio, perché appunto le generazioni hanno tutte una formazione differente, diversa l’una dall’altra. Io sono stata fortunata perché venivo da una generazione che aveva il ricordo tramandato della guerra e del dopoguerra, quindi, avevo un’attitudine a padroneggiare certi concetti. Adesso è molto più difficile perché se è cambiata la visibilità pubblica femminile – ma non la sua incidenza politica – c’è comunque un lavoro enorme da fare di trasmissione, un compito a cui dovrebbero assolvere sia le attiviste attuali e sia le non attiviste, nel senso che dovrebbe essere un lavoro diffuso. Sicuramente il lavoro che si sta facendo adesso sulla visibilità degli inventari di IBC Archivi è importantissimo e va in questa direzione. Tutti gli strumenti di accesso alla documentazione sono fondamentali, ma sono importanti le iniziative di valorizzazione e anche le donne che raccontano perché senza di loro manca un pezzo che per la storia dell’Udi è vitale.

A Rosanna Galli: come trasmettere la storia dell’Udi e quella degli archivi dell’Udi?

Io penso che quello della trasmissione sia l’aspetto più importante, perché quando vengono le ragazze che consultano gli archivi ne rimangono affascinate, perché questa storia è una storia sconosciuta, non è entrata molto nel giro della conoscenza storica. Questa parte di storia o la fa l’Udi o non la fa nessuno, perché non c’è un’altra storia analoga a quella di quest’associazione. Quindi, tutte le iniziative che venivano fatte e che vengono fatte, come le mostre, i manifesti, la pubblicazione di libri, come ad esempio i libri di Rosangela Pesenti o Rosanna Marcodoppido, sono iniziative importantissime. Si dovrebbe sviluppare sul territorio un lavoro di ricerca che riguarda la storia dell’Udi, e secondo me ci sono le possibilità e le ragazze in grado di fare questo passaggio di trasmissione storica.

A Katia Graziosi: e quale ruolo per i ragazzi, visto che sempre più gli archivi e l’associazione si stanno aprendo all’interesse che negli ultimi anni stanno maturando le nuove generazioni?

Credo che noi dobbiamo cogliere tutte le opportunità per promuovere la nostra conoscenza e la nostra storia. Ad esempio, arrivare a fare didattica su questi temi a scuola credo sia stato molto importante. Vedo che anche altre Udi si stanno aprendo a questo, ed è importantissimo, come lo è sfruttare tutte le occasioni che le istituzioni propongono, ad esempio, partecipando ai vari bandi. I temi che si possono sviluppare in archivio noi li includiamo in qualsiasi progetto che andiamo a presentare, perché non si può parlare di violenza, tralasciando tematiche quali i diritti o il lavoro. Penso anche ai ragazzi del servizio civile che hanno deciso di svolgere il servizio civile in Udi per conoscere la storia dell’associazione e ritengo molto importante che dei giovani si interessino a quest’aspetto della storia delle donne.

Micaela Gavioli:

Agganciandomi a quello che diceva Katia, lavorare con le scuole è fondamentale ma quello che ha il patrimonio dell’Udi è la complessità, una visione complessa delle cose di cui c’è tanto bisogno io credo al giorno d’oggi, perché la storia dell’Udi è complessa, le donne dell’Udi recano una complessità di visione, di prospettive che è difficile trovare altrove.